VENERDÌ SANTO
LA MATTINA
Gesù condannato da Caifa.
Il sole è sorto su Gerusalemme; ma i pontefici e i dottori della legge non hanno aspettato la luce per sfogare il loro odio contro Gesù. L'augusto prigioniero prima è ricevuto da Anna, il quale a sua volta lo fa condurre da Caifa suo genero. L'indegno pontefice ha voluto assoggettare ad un interrogatorio il Figlio di Dio; e solo perché non risponde è oltraggiato con uno schiaffo da uno dei servi. Falsi testimoni, da loro istruiti, sono venuti ad attestare menzogne in faccia a colui ch'è la Verità; ma le loro deposizioni discordano. Allora il gran sacerdote, accorgendosi che il sistema adottato per convincere Gesù di bestemmia non è servito ad altro che a smascherare i complici della sua frode, tenta di strappare dalla stessa bocca del Salvatore la confessione d'un delitto che lo potrà rendere passibile di pena davanti alla Sinagoga: "Ti scongiuro per il Dio vivo di rispondere: Sei tu il Cristo, Figlio di Dio benedetto?" (Mt 26,63; Mc 14, 61).
Tale è l'interpellanza che il pontefice rivolge al Messia. Finalmente Gesù, volendo insegnarci il rispetto dovuto all'autorità, cui da tanto tempo ne aveva conservato i titoli, esce dal suo silenzio e con fermezza risponde: "Sì, lo sono; e vedrete il Figlio dell'uomo assiso alla destra della potenza di Dio venire sulle nubi del cielo" (Mc 14,62). Allora il sommo sacerdote, stracciatesi le vesti, esclama: "Ha bestemmiato! che bisogno abbiamo più di testimoni? Avete sentita la bestemmia? che ve ne pare?". E da ogni angolo della sala si grida: "È reo di morte!".
Il Figlio di Dio è venuto sulla terra per ridare la vita all'uomo, caduto nell'abisso della morte; ed ora, per un orribile capovolgimento, è l'uomo che, in ricambio d'un tal beneficio, osa tradurre in tribunale il Verbo eterno, giudicandolo degno di morte. E Gesù tace, non incenerisce col fuoco della sua collera questi uomini tanto audaci ed ingrati! Ripetiamo in questo momento le parole, con le quali la Chiesa Greca interrompe spesso la lettura odierna della Passione : "Gloria alla tua pazienza, o Signore!".
Scena d'insulti.
All'esplodere del grido: "è reo di morte", le guardie del sommo sacerdote s'avventano contro Gesù e gli sputano in faccia e, bendatolo, lo percuotono di schiaffi e gli domandano: "Profeta, indovina chi t'ha percosso" (Lc 22,64). Ecco gli onori della Sinagoga al Messia, da lei atteso con tanta fierezza! La penna trema ed esita nel ripetere la descrizione degli oltraggi fatti al Figlio di Dio; e siamo appena all'inizio degli affronti subiti dal Redentore.
Il rinnegamento di Pietro.
Frattanto, una scena più dolorosa al cuore di Gesù avviene fuori del Sinedrio, nel cortile del sommo sacerdote: Pietro, introdottosi là dentro, litiga coi servi e le guardie, che l'hanno riconosciuto per un galileo seguace di Gesù. L'Apostolo, sconcertato e temendo della sua vita, rinnega codardamente il suo Maestro ed osa protestare con giuramento che neppure conosce quell'uomo. Triste esempio del castigo che merita la presunzione! Ma, oh misericordia di Gesù! quando le guardie del sommo sacerdote lo fanno passare là ove stava l'Apostolo infedele, gli rivolge uno sguardo di rimprovero e di perdono. Pietro si confonde, piange ed esce subito da quella casa maledetta. Immerso in un profondo dolore, non si consolerà fino a che non rivedrà il Maestro risuscitato e trionfante. Sia perciò, questo discepolo peccatore e convertito, il nostro modello in queste ore dolorose in cui la santa Chiesa ci offre lo spettacolo delle sofferenze sempre più gravi del nostro Salvatore! Pietro, temendo la propria debolezza, fugge; ma noi dobbiamo restare fino alla fine, senza timori, affinché Gesù, che intenerisce i cuori più duri, si degni rivolgere anche a noi un suo sguardo!
I prìncipi dei sacerdoti vedendo che comincia a farsi giorno, si preparano a tradurre Gesù davanti al governatore romano. Hanno istruito il suo processo come quello d'un bestemmiatore; ma non è in loro potere applicargli la legge di Mosè, secondo la quale dovrebbe essere lapidato. Gerusalemme non è più libera: non è più governata dalle sue leggi; il diritto di vita o di morte dovrà essere esercitato dai suoi dominatori, e sempre nel nome di Cesare. Come non ricordarsi in questo momento, i pontefici e i dottori dell'oracolo di Giacobbe morente, che preannunciò l'avvento del Messia, quando sarebbe stato tolto lo scettro a Giuda? Ma una nera invidia li ha traviati, e non s'accorgono che il trattamento cui vogliono assoggettare il Messia è già descritto nelle antiche profezie, ch'essi hanno studiato e di cui si dicono i custodi.
La disperazione di Giuda.
La "voce sparsa nella città, che Gesù è stato catturato questa notte e che sta per essere tradotto davanti al governatore, giunge alle orecchie di Giuda traditore. Il miserabile amava il denaro, ma non aveva motivo di desiderare la morte del Maestro. Egli conosceva il potere soprannaturale di Gesù, e forse si lusingava che il risultato del suo tradimento sarebbe stato prontamente impedito da chi aveva sulla natura e sugli elementi un potere irresistibile. Ma ora che vede Gesù nelle mani dei crudeli nemici, e che tutto annuncia una tragica fine, un violento rimorso s'impadronisce di lui; corre al Tempio e getta ai piedi dei prìncipi dei sacerdoti il denaro ch'era stato il prezzo del suo sangue. Si direbbe che quest'uomo sia convertito è vada ad implorare perdono: ma, ahimè! niente di tutto questo. L'unico sentimento che gli rimane è la disperazione, e s'affretta a porre fine ai suoi giorni. Il ricordo di tutti i richiami che Gesù fece sentire al suo cuore, ieri, durante la Cena, e questa notte al Getsemani, lungi dall'infondergli fiducia, non fa altro che accasciarlo di più; e appunto perché ha dubitato di quella misericordia, che tuttavia doveva conoscere, si precipita verso l'eterna dannazione proprio quando comincia a scorrere il sangue che lava ogni delitto.
Gesù davanti a Pilato.
Ora i prìncipi dei sacerdoti, trascinandosi dietro Gesù in catene, si presentano al governatore Pilato, chiedendo d'essere ascoltati sopra una causa criminale. Pilato compare e domanda loro con aria seccata: "Che accusa portate contro quest'uomo? - Se non fosse un malfattore non te l'avremmo consegnato", risposero. Nelle parole del governatore già si nota disprezzo e disgusto, ed impazienza nella risposta dei prìncipi dei sacerdoti. Forse Pilato s'infastidisce al pensiero di dover fare il ministro delle loro vendette, quindi dice loro: "Pigliatelo voi, e giudicatelo secondo la vostra legge. - Ma noi, replicarono quegli uomini sanguinari, non abbiamo diritto di dar morte ad alcuno" (Gv 18,29-31).
Allora Pilato, ch'era uscito fuori dal Pretorio per rispondere ai nemici di Gesù, rientra ed ordina che lo si conduca davanti a lui. Si trovano di fronte il Figlio di Dio e il rappresentante del mondo pagano. "Sei tu il re dei Giudei? domanda Pilato. - Il mio regno non è di questo mondo, risponde Gesù: se fosse di questo mondo il mio regno, i miei ministri, certo, lotterebbero perché non fossi dato in mano dei Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù. - Dunque sei re? insiste Pilato. - Tu lo dici, io sono re", conferma il Salvatore. Confessata la sua augusta dignità, l'Uomo-Dio cerca di elevare questo Romano al di sopra degli interessi volgari della sua posizione, additando che esiste per l'uomo uno scopo più degno della ricerca degli onori della terra: "Per questo son venuto al mondo, a rendere testimonianza alla Verità. Chi è per la verità ascolta la mia voce. - Che cos'è la verità?" gli domanda Pilato; e senz'aspettare la risposta, desideroso di farla finita, lascia Gesù e compare di nuovo davanti agli accusatori e dice loro: "Io non trovo in lui colpa alcuna" (ivi, 33-38).
Questo pagano credeva di ravvisare in Gesù il dottore d'una setta giudaica, i cui insegnamenti non valeva la pena d'ascoltare; d'altra parte, pensava, è un uomo innocuo, è quindi ingiusto cercare in lui un uomo pericoloso.
Davanti ad Erode.
Ma non appena Pilato espresse un simile giudizio a favore di Gesù, un cumulo di accuse fu lanciato contro il Re dei Giudei dai prìncipi dei sacerdoti. All'udire tante atroci menzogne, Gesù tace; e il governatore, sorpreso, l'interroga: "Non senti di quante cose ti accusano?" (Mt 27,13). Una simile disinteressata domanda non distoglie Gesù dal suo nobile silenzio; ma da parte dei suoi nemici provoca uno scoppio di. rabbia: "Solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dalla Galilea, dove ha cominciato, fino a qui" (Lc 23,5). Al sentire la Galilea, Pilato crede d'aver trovato uno spiragliodi luce. Erode, tetrarca di Galilea, attualmente si trova a Gerusalemme; e Gesù è suo suddito: è meglio consegnarlo a lui; la cessione d'una tal causa criminale non solo toglierà d'imbarazzo il governatore romano, ma ristabilirà la buona armonia tra lui ed Erode.
Perciò il Salvatore viene condotto per le vie di Gerusalemme, dal Pretorio al palazzo di Erode. I nemici lo accompagnano ardendo di rabbia, mentre Gesù continua a tacere. Là altro non trovava che il disprezzo del misero Erode, l'uccisore di Giovanni Battista; e poco dopo gli abitanti di Gerusalemme lo rivedono per le strade vestito da pazzo e di nuovo trascinato al Pretorio.
Barabba.
Al ritorno inatteso dell'accusato, Pilato rimane turbato; tuttavia crede di aver escogitato un nuovo mezzo per sbarazzarsi dell'odiosa causa. La festa di Pasqua gli dà occasione di graziare un condannato; proverà a fare accordare questo favore a Gesù. La folla s'è ammutinata fuori del Pretorio; basterà mettere a confronto Gesù, lo stesso Gesù che la città aveva salutato con trionfo alcuni giorni fa, con Barabba, il malvivente che Gerusalemme ha in orrore: e la scelta non potrà non favorire Gesù. "Chi volete che vi liberi, chiede Pilato, Gesù o Barabba?". La risposta non si fa attendere, e voci tumultuose gridano: "Non Gesù, ma Barabba! - Che devo dunque fare di Gesù, replica impressionato il governatore. - Crocifiggilo! - Ma che male ha fatto? lo castigherò e lo rimanderò. - No! sia crocifisso!".
La flagellazione.
Il tentativo del debole governatore è fallito, e la situazione s'è fatta ancora più critica. Invano ha cercato d'abbassare l'innocente al livello d'un malfattore; la passione d'un popolo ingrato e ribelle non ne ha fatto nessuna considerazione. Pilato arriva a promettere che infliggerà a Gesù un castigo atroce, nell'estremo tentativo di spegnere un po' la sete di sangue che divora quella plebaglia; ma non ottiene altro che un nuovo grido di morte.
Non andiamo più oltre senza offrire al Figlio di Dio una degna ammenda per l'oltraggio di cui è stato fatto segno. Paragonato ad un uomo infame, si preferisce, questi non lui; e se Pilato tenta per compassione di salvargli la vita, lo fa a condizione di fargli subire cotesto ignobile confronto, e ne risulta una perdita. Le voci che cantavano Osanna al Figlio di Dio, pochi giorni fa, si sono tramutate in urli feroci; per cui il governatore, temendo una sedizione, assicura di punire colui ch'egli stesso ha riconosciuto innocente.
Gesù dunque viene consegnato alla soldatesca per essere flagellato. Viene spogliato con violenza delle sue vesti, e lo si lega alla colonna che serviva per tali torture. Le sferzate più crudeli straziano tutto il suo corpo, ed il sangue cola sulle sue divine membra. Raccogliamo questa seconda effusione di sangue del nostro Redentore, con la quale Gesù espia per l'umanità intera i piaceri peccaminosi della carne. Per mano dei Gentili subisce tale martirio; i Giudei glielo consegnano, i Romani eseguiscono: tutti noi siamo complici del deicidio.
La coronazione di spine.
Finalmente la soldataglia è stanca di percuoterlo; i carnefici sciolgono la vittima: ne sentiranno forse compassione? Tutt'altro! a tanta crudeltà aggiungono una derisione sacrilega. Gesù s'è detto Re dei Giudei: ebbene, i soldati prendono lo spunto da questo titolo per inventare una nuova forma di oltraggio. Ad un re spetta la corona; e i soldati ne imporranno una al Figlio di David: intrecciano in fretta una corona con rami d'arbusti spinosi, gliela calcano sul capo, e per la terza volta scorre il sangue di Gesù. Poi, per completare l'ignominia, i soldati gli buttano sulla spalle un mantello di porpora e gli mettono in mano una canna, a guisa d'uno scettro. Indi s'inginocchiano davanti a lui e lo salutano dicendo: "Ave, Re dei Giudei!". Ed accompagnano l'ingiurioso omaggio con sputi e schiaffi sul volto dell'Uomo-Dio; ogni tanto gli strappano la canna dalle mani e gliela sbattono in testa, per premere sempre di più le spine di cui è formata la corona.
Omaggio riparatore.
A tale spettacolo il cristiano si prostra con doloroso rispetto e, a sua volta, dice: "Ave, Re dei Giudei! Veramente sei Figlio di David, e perciò, nostro Messia e Redentore. Israele ti nega la regalità che prima aveva proclamato; la gentilità ha una ragione di più per oltraggiarli; però non con la giustizia tu regnerai su Gerusalemme, che non tarderà a sentirsi schiacciata sotto il tuo scettro vendicatore; ma regnerai con la misericordia sui Gentili, i quali fra poco saranno dagli Apostoli portati ai tuoi piedi. Frattanto, degnati di ricevere il nostro omaggio e la nostra sudditanza: oggi stesso regna sui nostricuori e sull'intera nostra vita".
Ecce Homo.
Gesù viene condotto a Pilato così come l'ha ridotto la crudeltà dei soldati; il governatore si tien certo che la vittima, ridotta agli estremi, otterrà grazia davanti al popolo, e, accompagnando il Salvatore sopra una loggia del palazzo, lo mostra alla moltitudine dicendo: "Ecco l'uomo!" (Gv 19,5). Parola più profonda di quello che credesse Pilato! Difatti non disse: Ecco Gesù, né: ecco il Re dei Giudei; ma usò un'espressione generica senza conoscerne il mistero, e della quale solo il cristiano può comprendere la portata.
Il primo uomo, ribellandosi a Dio col peccato, aveva sovvertito tutta l'opera del Creatore: in castigo della superbia e della concupiscenza, la carne aveva asservito lo spirito; anche la terra, in segno di maledizione, non produceva che triboli e spine. Ma ecco apparire il nuovo uomo, che porta con sé non la realtà, ma la rassomiglianza col peccato; ed in lui l'opera del Creatore riacquista la prima armonia, ma la riacquista con la forza. Per mostrarci che la carne deve essere asservita allo spirito, la sua è lacerata da flagelli; per provare che la superbia deve far posto all'umiltà, cinge la sua testa d'una corona formata dalle spine di questa terra maledetta. L'uomo nuovo trionfa con lo spirito sui sensi e con l'avvilimento della superba volontà sotto il giogo della sentenza: ecco l'uomo.
Gesù e Pilato.
Israele è come una tigre: la vista del sangue irrita la sua sete, e non sarà contento finché non vi si immerga. Appena vede la sua vittima insanguinata, con nuovo furore grida: "Sia crocifisso! sia crocifisso! - Ebbene, dice Pilato, pigliatelo voi e crocifiggetelo; io non trovo in lui colpa alcuna". Ma intanto, per suo ordine, l'ha ridotto in uno stato che, per sé, gli può causare la morte. La sua debolezza non approderà ancora a nulla. I Giudei insistono appellandosi al diritto che i Romani lasciano ai popoli conquistati: "Noi abbiamo una legge, e secondo questa legge deve morire, perché s'èfatto Figlio di Dio". A questo reclamo Pilato si turba; rientra nella sala con Gesù e gli domanda: "Donde sei tu?". Gesù non gli risponde, perché non era degno che gli rendesse conto della sua divina origine. Pilato si stizzisce e lo rimprovera: "Non mi parli? Non sai che ho potere di liberarti o di crocifiggerti?". Solo allora Gesù risponde, e lo fa per insegnarci che ogni potere d'autorità, anche quello degl'infedeli, viene da Dio, e non da ciò che si chiama patto sociale: "Tu non avresti alcun potere sopra di me, se non ti fosse dato dall'alto. Per questo, chi mi ha consegnato nelle tue mani è più colpevole di te" (Gv 19,11).
La nobiltà e la dignità di tali parole soggiogano il governatore, il quale tenta ancora una volta di salvare Gesù. Ma gli schiamazzi del popolo penetrano di nuovo nella sua casa: "Se rimetti costui, gli dicono, non sei amico di Cesare. Chiunque si fa re si mette contro Cesare". A queste parole Pilato, cercando un'ultima volta di muovere a compassione il popolo furibondo, esce fuori di nuovo e, sedendosi all'aperto tribunale, si fa condurre Gesù: "Ecco, dice loro, il vostro re; come può Cesare temere qualche cosa da lui?". Ma quelli raddoppiano gli schiamazzi : "Via! toglilo dinanzi! mettilo incroce! - Ma, dice il governatore, simulando di non temere la gravità del pericolo, dovrò dunque crocifiggere il vostro re?". Ed i Pontefici rispondono: "Non abbiamo altro re che Cesare".
Parola indegna, che, uscendo dal tempio, avverte i popoli che la fede è in pericolo; parola anche di condanna a Gerusalemme, perché, se non ha altro re che Cesare, vuol dire che lo scettro non è più in mano a Giuda, ed è arrivato il tempo messianico.
Gesù condannato da Pilato.
Pilato, vedendo che la sedizione è giunta al colmo, e che la sua responsabilità di governatore è minacciata, si decide d'abbandonare Gesù nelle mani dei suoi nemici; e proclama a malincuore la sentenza, che gli procurerà un tale rimorso da cercare subito di liberarsene col suicidio. Traccia di suo pugno sopra una tavoletta, con un pennello, l'iscrizione che sarà collocata in cima alla croce, sopra la testa di Gesù; e, per colmo d'ignominia, concede pure all'astio dei nemici del Salvatore, che due ladroni vengano crocifissi a suo fianco, poiché occorreva che s'adempisse anche la profezia: "Saràannoverato tra i malfattori" (Is 53,12). Infine, lavandosi pubblicamente le mani, nello stesso momento che contamina l'anima col più nefando delitto grida verso il popolo: "Io sono innocente del sangue di questo giusto: pensateci voi"; e tutto il popolo assetato di questa brama, risponde: "Il sangue di lui cada su di noi e sui nostri figli" (Mt 27,24-25). In quel momento il marchio del parricida s'impresse sulla fronte del popolo ingrato e sacrilego, come una volta su quella di Caino, che diciannove secoli di schiavitù, di miseria e d'infamia non hanno ancora cancellato.
Su noi, figli della gentilità, s'è posato, quale misericordiosa rugiada il sangue divino; ebbene, rendiamo grazie alla bontà del Padre celeste, che "ha tanto amato il mondo da darci il suo unico Figliolo" (Gv 3,16); e ringraziamo anche l'amore dell'unico Figliolo di Dio, il quale, sapendo che tutte le nostre sozzure potevano essere lavate solo nel suo sangue, oggi ce lo elargisce fino all'ultima goccia.
La Via dolorosa.
Qui comincia la Via dolorosa, ed il Pretorio di Pilato, dove risuonò la sentenza contro Gesù, ne è la prima stazione. I Giudei s'impossessano del Redentore per autorizzazione del governatore; i soldati gli gettano le mani addosso e lo conducono fuori del cortile pretoriale; gli strappano il mantello di porpora e lo coprono delle vesti che gli avevano tolte per flagellarlo; quindi lo caricano della croce sulle spalle lacerate. Il luogo dove il novello Isacco ricevette l'albero del suo sacrificio è designato come la seconda Stazione. La truppa dei soldati, rinforzata dai carnefici, dai prìncipi dei sacerdoti, dai dottori della legge e da una moltitudine immensa, si mette in cammino. Gesù avanza sotto il peso della croce; ma presto, spossato dalle perdite di sangue e da ogni sorta di patimenti, non regge più, e, cadendo sotto quel peso, segna la terza Stazione.
L'incontro di Gesù con Maria.
I soldati rialzano brutalmente il divino prigioniero, che soccombeva più sotto il peso dei nostri peccati che sotto lo strumento del suo supplizio. Ha appena ripreso il suo vacillante cammino, quando si presenta improvvisamente ai suoi sguardi la desolata madre. La donna forte è venuta ad incontrare il Figlio: vuole vederlo, seguirlo, unirsi a lui finché non esalerà l'ultimo respiro; il suo amore materno è invincibile. Il suo dolore oltrepassa ogni espressione umana; le agitazioni di questi ultimi giorni l'hanno spossata; non c'è sofferenza del Figlio che non le sia stata divinamente manifestata, ed alla quale lei non si sia associata, sopportandole tutte, ad una ad una. Come può più rimanere nascosta? Il sacrificio è in atto, s'avvicina la consumazione: deve unirsi assolutamente al Figlio e nessuna forza la potrà trattenere. È con lei la Maddalena in lacrime, e vi sono pure: Giovanni, Maria madre di Giacomo e Salomè; essi piangono il Maestro ma lei piange il Figlio. Gesù vede la Madre sua, ma non può consolarla; e tutto questo non è che l'inizio dei dolori! Il sentimento d'angoscia che prova in questo momento il cuore della più tenera delle madri opprime ancora di più il cuore del più amante dei figli. Ma non per questo i carnefici che gli sono ai fianchi accorderanno un sol momento di ritardo nel loro cammino, in favore della madre d'un condannato; se vuole, si trascini pure dietro al fatale corteo: è già molto se non la cacciano via; e l'incontro di Gesù con Maria sulla via del Calvario indicherà per sempre la quarta Stazione.
Il Cireneo.
C'è ancora molta strada da fare, perché, secondo la legge, i criminali dovevano essere suppliziati fuori le porte della città. I Giudei temono che la vittima venga a mancare prima d'arrivare al luogo del sacrificio; perciò, vedendo tornare dalla campagna un uomo chiamato Simone di Cirene, lo fermano e, per un crudele sentimento di umanità verso Gesù, lo costringono a condividere con questi la fatica di portare lo strumento della salvezza del mondo. L'incontro di Gesù con Simone Cireneo consacra la quinta Stazione.
Il Volto Santo.
Di lì a pochi passi, un fatto inatteso viene a colpire di meraviglia e di stupore fin'anche i carnefici: una donna attraversa la folla, sguscia tra i soldati e si precipita ai piedi del Salvatore. Ella stringe fra le mani un velo spiegato, e, tutta tremante, asciuga il volto di Gesù reso irriconoscibile dal sangue, dal sudore e dagli sputi. Essa però l'ha riconosciuto, perché lo ama, e non ha temuto d'esporre la propria vita per procurargli un leggero sollievo. Il suo amore sarà ricompensato: il volto del Redentore, impresso per miracolo su quel velo, sarà d'ora in poi il suo più ricco tesoro; e, col suo atto coraggioso avrà la gloria di costituire la sesta Stazione della Via Crucis.
Compassione di Gesù per Gerusalemme.
Ma quanto più Gesù s'avvicina alla mèta fatale, tanto più le sue forze lo abbandonano. Un improvviso abbattimento segna, con la seconda caduta della vittima, la settima Stazione. I soldati lo rialzano con violenza, e riecco Gesù sul sentiero che bagna col suo sangue. Tanti indegni maltrattamenti strappano grida di dolore ad un gruppo di donne, che, mosse da compassione verso Gesù, lo seguivano fra i soldati, sfidando i loro insulti. Gesù, intenerito dalla condotta di queste donne che, nella debolezza del loro sesso, mostravano più grandezza d'animo che non tutto insieme il popolo diGerusalemme, si degna di rivolgere loro uno sguardo di bontà, e riprendendo tutta la dignità del suo linguaggio profetico, in presenza dei prìncipi dei sacerdoti e dei dottori della legge, preannuncia il terribile castigo che seguirà al misfatto di cui esse sono testimoni e che deplorano con tante lacrime: "Figlie di Gerusalemme! dice loro in quello stesso luogo che viene rialzato nell'ottava Stazione; Figlie di Gerusalemme! non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figlioli, perché, ecco, verranno giorni in cui si dirà: Beate le sterili e i seni che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato! Allora si metteranno a dire alle montagne: Cadeteci addosso; e alle colline: Ricopriteci. Che se si tratta così il legno verde, che sarà del secco?" (Lc 23,28-31).
L'arrivo al Calvario.
Finalmente si giunge ai piedi della collina del Calvario, che Gesù dovrà salire, prima di raggiungere il luogo del sacrificio. Ma una terza volta l'estrema fatica lo rovescia al suolo, e santifica il posto in cui i fedeli venereranno la nona Stazione. La barbara soldataglia interviene ancora una volta a far riprendere a Gesù la penosa salita, e finalmente, fra molti urti, arriva in cima al cocuzzolo che diventerà l'altare del più sacro e più potente degli olocausti.
I carnefici gli tolgono la croce e la stendono a terra, in attesa di conficcarvi la vittima. Ma prima, secondo l'uso dei Romani, praticato anche dai Giudei, offrono a Gesù una tazza di vino misto a mirra. Una tale bevanda, amara come il fiele, serviva da narcotico per addormentare entro un certo limite i sensi del paziente e diminuire i supplizi. Gesù bagna appena le labbra di questa pozione, che la consuetudine e più che il senso d'umanità gli offriva; non vuole berne, per poter assaporare coscientemente le sofferenze che si è degnato accettare per la salvezza degli uomini. Poi i carnefici gli strappano le vesti che s'erano attaccate alle piaghe e lo portano subito sul posto dove l'attende la croce. Il luogo dove Gesù fu spogliato sul Calvario ed assaggiò l'amara bevanda è indicato come la decima Stazione della Via Crucis. Le nove precedenti sono tuttora visibili nelle vie di Gerusalemme, dal Pretorio fino ai piedi del Calvario; ma quest'ultima e le quattro successive si venerano nell'interno della Chiesa del Santo Sepolcro, che nella sua vastità racchiude il teatro delle ultime scene della Passione del Salvatore.
Ma a questo punto dobbiamo sospendere la narrazione dei fatti, perché ci siamo già inoltrati abbastanza nei fatti della grande giornata; del resto dobbiamo ancora tornare sul Calvario. È ormai tempo che ci uniamo alla santa Chiesa nella funzione con la quale sta per celebrare la morte del Signore.
LA SOLENNE FUNZIONE LITURGICA
DEL POMERIGGIO CON LA QUALE SI CELEBRA
LA PASSIONE E LA MORTE DI CRISTO
Il servizio divino di questo pomeriggio si divide in quattro parti, di cui spiegheremo successivamente i misteri. Prima vi sono le Letture; seguono le Preghiere; poi viene l'adorazione della Croce, ed infine la Comunione. Questi riti insoliti fanno capire ai fedeli la grandezza di questo giorno, e al tempo stesso fanno avvertire la sospensione del Sacrificio quotidiano di cui prendono il posto. L'altare è spoglio, senza croce senza candelieri; il leggio del Vangelo è senza drappo.
Recitata l'Ora di Nona, il Celebrante avanza coi ministri; i loro paramenti neri significano il lutto della santa Chiesa. Giunti ai piedi dell'altare, si prostrano sui gradini e pregano alcuni istanti in silenzio; quindi si dà inizio alle Letture.