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domenica 24 maggio 2015

Il vero nemico...



“Il vero nemico è l’attaccamento al peccato”: così Benedetto XVI, in visita pastorale alla Parrocchia romana di Santa Felicita e Figli Martiri  

Solo il perdono di Dio e il suo amore ricevuto con cuore sincero liberano l’uomo dal peccato, che è la radice di ogni male: questo, il punto centrale dell’omelia di Benedetto XVI, che stamani si è recato in visita pastorale alla Parrocchia romana di Santa Felicita e Figli Martiri al quartiere Fidene, dove ha presieduto la Santa Messa. Accolto da una folla in festa, il Papa ha salutato i fedeli, dicendo: “Siete le pietre vive della Chiesa”. Il servizio di Roberta Moretti:  

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“Il vero nemico è l’attaccamento al peccato, che può condurci al fallimento della nostra esistenza”: commentando il brano evangelico della donna adultera condannata alla lapidazione, Benedetto XVI spiega che “solo il perdono divino e il suo amore ricevuto con cuore aperto e sincero ci danno la forza di resistere al male e di ‘non peccare più’”. 

“Solo l’amore di Dio può cambiare dal di dentro l’esistenza dell’uomo e conseguentemente di ogni società, perché solo il suo amore infinito lo libera dal peccato, che è la radice di ogni male”.  
Gesù è venuto sulla terra – aggiunge Benedetto XVI – “per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’Inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore”.  

“Se è vero che Dio è giustizia, non bisogna dimenticare che Dio è amore: Se Cristo odia il peccato è perché ama infinitamente ogni persona umana. Ama ognuno di noi e la sua fedeltà è così profonda da non lasciarsi scoraggiare nemmeno dal nostro rifiuto”.  

“L’atteggiamento di Gesù – precisa il Papa – diviene in tal modo un modello da seguire per ogni comunità, chiamata a fare dell’amore e del perdono il cuore pulsante della sua vita”. Alla comunità del quartiere Fidene, in particolare, dove “non mancano certo situazioni di disagio sia materiale che morale”, il Papa rivolge l’invito a nutrirsi delle “abbondanti provviste spirituali” donate dal Signore “per attraversare il deserto di questo mondo e trasformarlo in un fertile giardino”: 

“Queste provviste sono l’ascolto docile della sua Parola, i Sacramenti e ogni altra risorsa spirituale della liturgia e della preghiera personale. In definitiva, la vera provvista è il suo amore. L’amore che spinse Gesù ad immolarsi per noi, ci trasforma e ci rende a nostra volta capaci di seguirlo fedelmente”.  

Infine, l’esortazione a “seguire il Vangelo senza esitazioni e senza compromessi”, attraverso l’intercessione della Vergine Maria.

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VISITA PASTORALE ALLA PARROCCHIA ROMANA 
DI SANTA FELICITA E FIGLI MARTIRI , 25.03.2007
OMELIA DEL SANTO PADRE
Benedetto XVI

Cari fratelli e sorelle

della Parrocchia di santa Felicita e figli martiri!

Sono venuto volentieri a farvi visita in questa V Domenica di Quaresima. A voi tutti il mio cordiale saluto. Innanzitutto rivolgo il mio pensiero al Cardinale Vicario e al Vescovo Ausiliare Mons. Enzo Dieci. Saluto poi con affetto i Padri Vocazionisti, ai quali è affidata la Parrocchia fin dal suo nascere, nel 1958, ed in modo speciale il vostro parroco, don Eusebio Mosca, che ringrazio per le gentili parole con cui mi ha brevemente presentato la realtà della vostra comunità. Saluto gli altri sacerdoti, i religiosi, le religiose, i catechisti, i laici impegnati e quanti offrono in diverse maniere il proprio contributo alle molteplici attività della Parrocchia - pastorali, educative e di promozione umana - dirette con una attenzione prioritaria ai bambini, ai giovani e alle famiglie. Saluto la comunità filippina, abbastanza numerosa nel vostro territorio, che qui si raccoglie ogni domenica per la santa Messa celebrata nella propria lingua. Estendo il mio saluto a tutti gli abitanti del quartiere Fidene, formato in misura crescente da persone che provengono da altre regioni d’Italia e da diversi Paesi del mondo.

Qui, come altrove, non mancano certo situazioni di disagio sia materiale che morale, situazioni che domandano a voi, cari amici, un impegno costante per testimoniare che l’amore di Dio, manifestatosi appieno in Cristo crocifisso e risorto, abbraccia in modo concreto tutti senza distinzione di razza e cultura. Questa è in fondo la missione di ogni comunità parrocchiale, chiamata ad annunciare il Vangelo e ad essere luogo di accoglienza e di ascolto, di formazione e di condivisione fraterna, di dialogo e di perdono. Come può una comunità cristiana mantenersi fedele a questo suo mandato? Come può diventare sempre più una famiglia di fratelli animati dall’Amore? La parola di Dio che poc’anzi abbiamo ascoltato, e che risuona con singolare eloquenza nel nostro cuore durante questo tempo quaresimale, ci ricorda che il nostro pellegrinaggio terreno è irto di difficoltà e di prove, come il cammino del popolo eletto nel deserto prima di giungere alla terra promessa. Ma l’intervento divino, assicura Isaia nella prima Lettura, può renderlo facile, trasformando la steppa in un paese confortevole e ricco di acque (cfr Is 43,19-20). Al profeta fa eco il Salmo responsoriale: mentre richiama la gioia del ritorno dall’esilio babilonese, invoca il Signore perché intervenga a favore dei "prigionieri" che nell’andare vanno piangendo, ma nel tornare sono pieni di giubilo perché Iddio è presente, e come in passato, compirà anche in futuro "grandi cose per noi".

Questa stessa consapevolezza deve animare ogni comunità cristiana fornita dal suo Signore di abbondanti provviste spirituali per attraversare il deserto di questo mondo e trasformarlo in un fertile giardino. 

Queste provviste sono l’ascolto docile della sua Parola, i Sacramenti e ogni altra risorsa spirituale della liturgia e della preghiera personale. 

In definitiva, la vera provvista è il suo amore. L’amore che spinse Gesù ad immolarsi per noi, ci trasforma e ci rende a nostra volta capaci di seguirlo fedelmente. Sulla scia di quanto la liturgia ci ha proposto la scorsa domenica, l’odierna pagina evangelica ci aiuta a capire che solo l’amore di Dio può cambiare dal di dentro l’esistenza dell’uomo e conseguentemente di ogni società, perché solo il suo amore infinito lo libera dal peccato, che è la radice di ogni male. 
Se è vero che Dio è giustizia, non bisogna dimenticare che Egli è soprattutto amore: se odia il peccato, è perché ama infinitamente ogni persona umana. Ama ognuno di noi e la sua fedeltà è così profonda da non lasciarsi scoraggiare nemmeno dal nostro rifiuto. In particolare oggi Gesù ci provoca alla conversione interiore: ci spiega perché Egli perdona e ci insegna a fare del perdono ricevuto e donato ai fratelli il "pane quotidiano" della nostra esistenza.

Il brano evangelico narra l’episodio della donna adultera in due suggestive scene: nella prima assistiamo a una disputa tra Gesù e gli scribi e i farisei riguardo a una donna sorpresa in flagrante adulterio e, secondo la prescrizione contenuta nel Libro del Levitico (cfr 20,10), condannata alla lapidazione. Nella seconda scena si snoda un breve e commovente dialogo tra Gesù e la peccatrice. 
Gli spietati accusatori della donna, citando la legge di Mosè provocano Gesù – lo chiamano "maestro" (Didáskale) - chiedendogli se sia giusto lapidarla. Conoscono la sua misericordia e il suo amore per i peccatori e sono curiosi di vedere come se la caverà in un caso del genere, che secondo la legge mosaica non presentava dubbi. Ma Gesù si mette subito dalla parte della donna; in primo luogo scrivendo per terra parole misteriose, che l’evangelista non rivela, e poi pronunciando quella frase diventata famosa:"Chi di voi è senza peccato (usa il termine anamártetos,che viene utilizzato nel Nuovo Testamento soltanto qui), scagli per primo la pietra contro di lei" (Gv 8,7). Nota sant’Agostino che "il Signore, rispondendo, rispetta la legge e non abbandona la sua mansuetudine". Ed aggiunge che con queste sue parole obbliga gli accusatori a entrare dentro se stessi e guardando se stessi a scoprirsi peccatori. Per cui,"colpiti da queste parole come da una freccia grossa quanto una trave, uno dopo l’altro se ne andarono" (In Io. Ev. tract 33,5).

Uno dopo l’altro, dunque, gli accusatori che avevano voluto provocare Gesù, se ne vanno "cominciando dai più anziani fino agli ultimi". Quando tutti sono partiti il divino Maestro resta solo con la donna. Conciso ed efficace il commento di sant’Agostino: "relicti sunt duo: misera et misericordia, restano solo loro due, la misera e la misericordia" (Ibid.). Fermiamoci, cari fratelli e sorelle, a contemplare questa scena dove si trovano a confronto la miseria dell’uomo e la misericordia divina, una donna accusata di un grande peccato e Colui, che pur essendo senza peccato, si è addossato i peccati del mondo intero. Egli, che era rimasto chinato a scrivere nella polvere, ora alza gli occhi ed incontra quelli della donna. Non chiede spiegazioni, non esige scuse. Non è ironico quando le domanda: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?" (8,10). Ed è sconvolgente nella sua replica: "Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più" (8,11). Ancora sant’Agostino, nel suo commento, osserva: "Il Signore condanna il peccato, non il peccatore. Infatti, se avesse tollerato il peccato avrebbe detto: Neppure io ti condanno, va’, vivi come vuoi… per quanto grandi siano i tuoi peccati, io ti libererò da ogni pena e da ogni sofferenza. Ma non disse così"(Io. Ev. tract. 33,6)

Cari amici, dalla parola di Dio che abbiamo ascoltato emergono indicazioni concrete per la nostra vita. Gesù non intavola con i suoi interlocutori una discussione teorica: non gli interessa vincere una disputa a proposito di un’interpretazione della legge mosaica, ma il suo obbiettivo è salvare un’anima e rivelare che la salvezza si trova solo nell’amore di Dio. Per questo è venuto sulla terra, per questo morirà in croce ed il Padre lo risusciterà il terzo giorno. E’ venuto Gesù per dirci che ci vuole tutti in Paradiso e che l’inferno, del quale poco si parla in questo nostro tempo, esiste ed è eterno per quanti chiudono il cuore al suo amore. Anche in questo episodio, dunque, comprendiamo che il vero nostro nemico è l’attaccamento al peccato, che può condurci al fallimento della nostra esistenza. 

Gesù congeda la donna adultera con questa consegna: "Va e d’ora in poi non peccare più". Le concede il perdono affinché "d’ora in poi" non pecchi più. In un episodio analogo, quello della peccatrice pentita che troviamo nel Vangelo di Luca (7,36-50) Egli accoglie e rimanda in pace una donna che si è pentita. Qui, invece, l’adultera riceve il perdono in mondo incondizionato. In entrambi i casi – per la peccatrice pentita e per l’adultera – il messaggio é unico. In un caso si sottolinea che non c’è perdono senza pentimento; qui si pone in evidenza che solo il perdono divino e il suo amore ricevuto con cuore aperto e sincero ci danno la forza di resistere al male e di "non peccare più". L’atteggiamento di Gesù diviene in tal modo un modello da seguire per ogni comunità, chiamata a fare dell’amore e del perdono il cuore pulsante della sua vita.

Cari fratelli e sorelle, nel cammino quaresimale che stiamo percorrendo e che si avvia rapidamente al suo termine, ci accompagni la certezza che Iddio non ci abbandona mai e che il suo amore è sorgente di gioia e di pace; è forza che ci spinge potentemente sulla strada della santità, se necessario anche sino al martirio. Così avvenne per i figli e poi per la coraggiosa madre Felicita, patroni della vostra Parrocchia. Per loro intercessione vi conceda il Signore di incontrare sempre più in profondità Cristo e di seguirlo con docile fedeltà perché, come avvenne per l’apostolo Paolo, anche voi possiate con sincerità proclamare: 

"Tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura al fine di guadagnare Cristo" (Fil 3,8). L’esempio e l’intercessione di questi santi siano per voi un costante incoraggiamento a seguire il sentiero del Vangelo senza esitazioni e senza compromessi. Vi ottenga questa generosa fedeltà la Vergine Maria, che domani contempleremo nel mistero dell’Annunciazione e alla quale affido tutti voi e l’intera popolazione di questa borgata di Fidene. Amen.

© Copyright 2007 - Libreria Editrice Vaticana

AMDG et BVM

venerdì 25 luglio 2014

SI AVVICINA LA FESTA DEL SANTO CURATO: Lettera spirituale: Carissimo/a Amico/a,


Carissimo/a  Amico/a,

La sera del 19 febbraio 1818, dopo aver percorso a piedi i trenta chilometri che separano Ecully dal villaggio di Ars (vicino a Lione), Giovanni Maria Vianney, giovane sacerdote, chiede la strada della sua nuova parrocchia ad un pastorello. Questi mette sulla buona strada lo sconosciuto, e, a titolo di ringraziamento, si sente dire: «Amichetto mio, mi hai indicato la via per Ars; ti mostrerò la via del Cielo».«Rendiamo grazie a Dio per i santi che hanno costellato la storia della Francia» (Giovanni Paolo II, 25 settembre 1996). Forse che i santi non hanno la missione di indicarci la via che porta al Cielo? San Benedetto, nel Prologo della sua Regola, ci dice: «Cingiamoci i fianchi della fede e della pratica delle opere pie; sotto la guida del Vangelo, avanziamo sulle vie del Signore, al fine di meritare di vedere Colui che ci ha chiamati nel suo regno. Ma se vogliamo abitare nella dimora di tale regno, bisogna che vi corriamo attraverso le opere pie, senza le quali non vi si giunge».
San Giovanni Maria Vianney, una delle fiaccole che rischiarano la nostra strada, ci aiuta, con il suo esempio, ad agire secondo la vocazione cristiana.


Un pastorello sotto il terrore

1793. Il Terrore. A Lione, sulla piazza des Terreaux, la ghigliottina non smette di funzionare. Le chiese sono chiuse. Lungo le strade, solo i basamenti delle croci sussistono: uomini venuti da Lione hanno abbattuto le croci. Solo il santuario dei cuori rimane inviolato nei veri fedeli. Giovanni Maria Vianney, nato nel 1786, passa l'infanzia in quest'atmosfera di rivoluzione.

Conserva con infinite precauzioni una statuetta della Santa Vergine, che porta con sè perfino in campagna, in una tasca del camiciotto. La mette nel tronco di un vecchio albero, la circonda di muschio, di rami e di fiori, e poi, inginocchiato nell'erba, sgrana il rosario. Le sponde del ruscello hanno sostituito la chiesa sconsacrata, dove nessuno più prega. Altri pastori sorvegliano le greggi nei dintorni. Non è una compagnia sempre assennata; ma Giovanni Maria non può impedirle di avvicinarsi. Ed ecco che, senza pensarci, diventa apostolo. Catechista dei compagni, ripete quel che ha sentito lui stesso nel silenzio delle notti, ed insegna le preghiere che ha imparato dalla madre. Una vocazione sacerdotale è sbocciata: in fondo alla sua anima, si fa sentire quel seguimi (Matt. 8, 22) che, sulla riva del lago di Galilea, attira Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni al seguito di Gesù.

A 19 anni, comincia gli studi di seminarista. Ahimè! la grammatica latina gli sembra ostica. Il giovane ha la risposta pronta ed acuta; vien ascoltato con piacere, ma gli studi sono difficili; non appena ha in mano una penna, diventa lento, imbarazzato. Al seminario maggiore di Lione, i suoi sforzi sembrano sterili. La prova è dura quando, in capo a cinque o sei mesi, i direttori, ritenendo che non possa riuscire, lo pregano di ritirarsi. Molti suoi condiscepoli sono veramente afflitti nel vederlo lasciare il seminario. E lui, profondamente avvilito, si affida alla Provvidenza. Dopo un'attesa lunga e studiosa, il suo direttore spirituale lo presenta ad uno dei vicari generali, Monsignor Courbon, che regge l'arcidiocesi di Lione:
«È pio don Vianney? chiede questi. È devoto alla Santa Vergine? Sa recitare il rosario? – Sì, è un modello di devozione. – Un modello di devozione! Allora lo chiamo. La grazia di Dio farà il resto... La Chiesa non ha bisogno soltanto di sacerdoti dotti, ma anche e soprattutto di sacerdoti pii».

Monsignor Courbon ha una buona ispirazione. Con la grazia di Dio ed un lavoro assiduo, don Vianney compie effettivi progressi negli studi. Quando sostiene l'esame canonico in vista del sacerdozio, l'esaminatore lo interroga per più di un'ora sui punti più difficili della teologia morale. Le sue risposte nette e precise sono totalmente soddisfacenti. Durante tutta la vita, il Santo Curato darà una grande importanza alla conoscenza della santa dottrina. Preparerà accuratamente le prediche. Per alimentare le cognizioni acquisite, si rimetterà a studiare nelle serate invernali.


L'ossessione della salvezza delle anime

L'accesso al sacerdozio è ormai libero per don Vianney, che riceve l'Ordine sacro il 13 agosto 1815. Dio ha mandato suo Figlio nel mondo affinché, per mezzo di Lui, il mondo sia salvato (Giov. 3, 17). La missione dei sacerdoti è precisamente quella di rendere tale opera di salvezza presente ed efficiente ovunque nel mondo. Per questo, il Curato d'Ars potrà dire: «Senza il sacerdote, la morte e la Passione di Nostro Signore non servirebbero a nulla. È il sacerdote che continua l'opera della Redenzione sulla terra».
Come il Buon Pastore, passerà la vita a cercare le pecorelle smarrite per ricondurle all'ovile. «Se un pastore rimane muto vedendo Dio oltraggiato e le anime che si perdono, dirà un giorno, guai a lui!» Ha un'inclinazione particolare per la conversione dei peccatori. I suoi lamenti sulla perdita delle anime spezzano il cuore: «E ancora, se il Buon Dio non fosse così buono, ma è così buono!... Salva la tua povera anima!... Che peccato perdere un'anima che è costata tanto a Nostro Signore! Che male ti ha mai fatto perchè lo tratti in questo modo?» Un giorno, fa un'esposizione memorabile sul giudizio finale, ripetendo a parecchie riprese, a proposito dei dannati: «Maledetti da Dio!... Maledetti da Dio!... Che disgrazia, che disgrazia!» Non sono più parole, ma singhiozzi, che strappano le lacrime a tutti i presenti.

Si rende disponibile, tanto quanto può, per offrire alle anime pentite il perdono di Dio. Infatti, ha un immenso orrore del male: «Attraverso il peccato, cacciamo il Buon Dio dalle nostre anime, disprezziamo il Buon Dio, Lo crocifiggiamo, sfidiamo la Sua giustizia, rattristiamo il Suo cuore paterno, Gli togliamo adorazioni, omaggi che sono dovuti a Lui solo... Il peccato getta nel nostro spirito tenebre orribili che otturano gli occhi dell'anima, ottenebra la fede come una densa nebbia ottenebra il sole alla nostra vista... Ci impedisce di andare in cielo. Oh! che gran male è il peccato!» Per questo, impiega un tempo considerevole ad amministrare il sacramento della Penitenza, mezzo ordinario per ritrovare lo stato di grazia e l'amicizia del Signore.


Un confessionale assediato

«Il grande miracolo del Curato d'Ars, è stato detto, è il suo confessionale assediato giorno e notte». Il Santo vive in quell'angusto bugigattolo i tre quarti della sua esistenza: da novembre a marzo, vi passa almeno 11-12 ore al giorno, e durante la bella stagione, 16-18 ore. D'inverno, quando le dita screpolate dai geloni sono troppo intorpidite, accende bene o male un pezzo di giornale per riscaldarle. Quanto ai piedi, confessava lui stesso, «da Ognissanti a Pasqua, non li sento!» È talmente vero, che gli capita, la sera, togliendosi i calzini, di strappare in pari tempo anche la pelle dei calcagni. Ma le sofferenze non hanno importanza per lui, per salvare anime, è pronto a tutto.


«Per cancellare bene i peccati, bisogna confessarsi bene!» ha l'abitudine di dire. «Confessarsi bene»: ciò significa, prima di tutto, che bisogna prepararsi con un serio esame di coscienza. Papa Giovanni Paolo II ha ricordato che «la confessione deve essere completa, nel senso che deve enunciare tutti i peccati mortali... Oggi, numerosi fedeli che si accostano al sacramento della Penitenza, non si accusano integralmente dei peccati mortali, e, talvolta, si oppongono al sacerdote confessore, che, conformemente al proprio dovere, li interroga per giungere ad una formulazione esauriente e necessaria dei peccati, come se si permettesse un'intrusione ingiustificata nel santuario della coscienza. Spero e prego perchè quei fedeli poco illuminati si convincano che la regola secondo la quale si esige l'enumerazione specifica ed esauriente dei peccati, nella misura in cui la memoria interrogata onestamente permette di ricordarsene, non è un peso che vien loro arbitrariamente imposto, ma un mezzo di liberazione e di serenità» (Lettera al Cardinale W. Baum, 22 marzo 1996).
«Il peccato lega l'uomo con legami vergognosi», insegna il Santo Curato. Secondo le parole di Nostro Signore: Colui che commette il peccato è schiavo del peccato (Giov. 8, 34). Infatti, il peccato trascina al peccato, genera il vizio ed ottenebra la coscienza (ved. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1865). L'assoluzione sacramentale, ricevuta con le dovute disposizioni, rende all' anima la vera libertà interiore e le dà forze per vincere le cattive abitudini. «È bello pensare che abbiamo un sacramento che guarisce le piaghe dell'anima!» esclama San Giovanni Maria Vianney. «Nel sacramento della Penitenza, dice anche, Dio ci mostra e ci concede la sua misericordia fino all'infinito... Avete visto la mia candela questa notte: stamane ha finito di ardere. Dov'è? Non esiste più, è distrutta: allo stesso modo, i peccati per i quali si è ricevuta l'assoluzione non esistono più: sono distrutti».


Il sacramento della riconciliazione con Dio porta una vera «risurrezione spirituale», una restituzione dell'amicizia divina. Uno dei suoi frutti secondari è la gioia dell'anima, la pace della coscienza. Sono numerosi i penitenti di Ars ad averlo sperimentato. Uno di essi, un vecchio scettico che non si era confessato da più di trent'anni, riconobbe, dopo aver confessato le sue colpe, di aver provato «un benessere indefinibile».

La bontà del Santo per i peccatori non si cambia in debolezza. Prima di dare l'assoluzione, esige indizi sufficienti di conversione. Due cose sono assolutamente necessarie: prima di tutto, la contrizione, vale a dire «il dolore di aver peccato, fondato su motivi soprannaturali, poiché il peccato viola la carità verso Dio, Bene supremo, ha causato le sofferenze del Redentore e ci ha occasionato la perdita dei Beni eterni» (Giovanni Paolo II, ibid.). Il Santo Curato riprende un giorno un penitente maldisposto in questi termini: «Il tuo pentimento non viene da Dio, nè dal dolore per i tuoi peccati, ma soltanto dal timore dell'inferno». Il fermo proposito di non peccare più è altrettanto necessario. «È, inoltre, evidente che la formulazione dei peccati deve comprendere la seria intenzione di non commetterne più in avvenire. Se venisse meno tale disposizione dell'anima, in realtà non vi sarebbe più pentimento» (Giovanni Paolo II, idib.). L'intenzione di non peccare più implica la volontà di mettere in opera i mezzi appropriati e, se necessario, la rinuncia a certi comportamenti. A questo proposito, il Curato d'Ars manifesta una fermezza che gli attira critiche, quando, per esempio, esige dai penitenti la rinuncia alla danza ed all'abbigliamento indecente.


Fiducia nella grazia

«L 'intenzione di non peccare deve basarsi sulla grazia divina che il Signore non rifiuta mai a chi fa tutto il possibile per agire onestamente. Attendiamo dalla Bontà divina, in ragione delle promesse e dei meriti di Gesù Cristo, la vita eterna e le grazie necessarie per ottenerla» (Giovanni Paolo II, ibid.). Il Santo Curato incoraggia i penitenti ad attingere alle sorgenti della grazia: «Vi sono due cose per unirsi a Nostro Signore e per salvarsi: la preghiera ed i sacramenti». Con la grazia, tutto diventa possibile ed addirittura facile.


È alla comunione eucaristica che San Giovanni Maria Vianney vuol condurre soprattutto i fedeli. Comunicarsi, vuol dire ricevere Cristo stesso ed accrescere la nostra unione con Lui. Questo suppone lo stato di grazia: «Chi vuol ricevere Cristo nella comunione eucaristica deve essere in stato di grazia. Se uno è consapevole di aver peccato mortalmente, non deve accostarsi all'Eucaristia senza prima aver ricevuto l'assoluzione nel sacramento della Penitenza» (CCC, 1415). Alle anime bendisposte e desiderose di progredire, il Curato d'Ars, contrariamente alla consuetudine dell'epoca, consiglia di comunicarsi di frequente: «Il corpo ed il sangue di un Dio sono il nutrimento dell'anima! oh che bel nutrimento! l'anima può nutrirsi solo di Dio! solo Dio può appagarla! solo Dio può saziare la sua fame! le ci vuole assolutamente Dio! accostatevi dunque alla comunione, avvicinatevi a Gesù con amore e fiducia!»
Lui stesso ha fatto dell'Eucaristia il centro della propria vita. Si sa quale posto occupi la Messa in ciascuna delle sue giornate, con che cura vi si prepari e la celebri. Incoraggia pure molto le visite al Santissimo Sacramento, e gli piace raccontare il seguente aneddoto: «C'era qui, nella parrocchia, un uomo che è morto alcuni anni fa. Entrato la mattina in chiesa per recitare una preghiera prima di andare in campagna, lasciò la zappa davanti alla porta e perse la nozione del tempo lì, davanti a Dio. Un vicino, che lavorava non lontano da lui e che aveva l'abitudine di scorgerlo, si stupì della sua assenza. Tornando indietro, pensò di entrare in chiesa, ritenendo che ve lo avrebbe forse trovato. Ed infatti ve lo trovò. «Che ci fai così a lungo?» gli chiese.
E l'altro rispose: «Informo il Buon Dio, ed il Buon Dio informa me»».

Il mio più vecchio affetto

Mentre conduce le anime all'Eucaristia, il Santo Curato le conduce anche alla Santa Vergine, Madre della misericordia e Rifugio dei peccatori. Rimane per ore ed ore in preghiera ai piedi del suo altare. Nei catechismi, nelle prediche, nei colloqui, ne parla con il cuore in mano: «La Santissima Vergine sta fra suo Figlio e noi. Più siamo peccatori e più prova tenerezza e compassione per noi. Il figlio che è costato più lacrime alla madre è quello che è più caro al suo cuore. Una madre non corre sempre verso il figlio più debole e più esposto al pericolo? Un medico, in un ospedale, non ha più sollecitudine per i malati più gravi?» Un giorno, confida a Caterina Lassagne, di cui è il direttore spirituale: «L'ho amata, la Vergine, addirittura prima di conoscerla; è il mio più vecchio affetto!» La Santissima Vergine è la luce dei suoi giorni tetri. L'8 dicembre 1854, Papa Pio IX definisce il dogma dell'Immacolata Concezione. Malgrado la stanchezza, il Curato d'Ars tiene a cantare lui medesimo la messa solenne. Nel pomeriggio, dopo il Vespro, tutta la parrocchia si reca in processione al collegio dei Frati, dove egli benedice una statua dell'Immacolata, sistemata nel giardino, e di cui è il donatario. La sera, nel villaggio, vengono illuminati il campanile, i muri della chiesa, le facciate delle case. Questa festa costituisce veramente uno dei più bei giorni della sua vita. Quasi settuagenario, sembra ringiovanito di vent'anni. Mai figlio fu più felice di assistere al trionfo della propria madre: «Che gioia, che gioia! Ho sempre pensato che mancasse questo raggio allo splendore delle verità cattoliche. È una lacuna che non poteva trovar posto nella religione».

«Mi riposerò in paradiso»


Nel suo amore per le anime, San Giovanni Maria Vianney non dimentica i poveri. Fonda un pensionato per le ragazze abbandonate, e lo chiama «la Provvidenza». Tale istituto accoglie cinquanta-sessanta ragazze, dai dodici ai diciotto anni. Venute da tutte le regioni ed accolte senza che debbano pagare una retta, vi rimangono per un periodo indeterminato, quindi vanno a servizio nelle fattorie locali. Durante il loro soggiorno, imparano a conoscere, ad amare, a servire Dio. Formano una famiglia, in cui le maggiori servono di esempio, di consiglio e di guida alle più giovani. Non si tratta di un istituto ordinario, ma piuttosto di una emanazione della santità del fondatore. Risorse, vita, spirito e direzione provengono da lui.


Ma le anime non vengono salvate senza molte sofferenze. Da tutte le parti, contraddizioni, croci, lotte, insidie si riversano sul Santo Curato, tanto da parte degli uomini, che da parte dell'«Accalappiatore» (nomignolo con cui egli designa abitualmente il demonio). La sua vita è una lotta contro le forze del male. Le sole risorse che lo sostengano sono la pazienza, le preghiere ed il digiuno che supera talvolta i limiti della prudenza umana. Sviluppa la virtù della dolcezza al punto di far credere che è senza passioni ed incapace di adirarsi. Tuttavia, le persone che vivono accanto a lui e lo frequentano assiduamente si accorgono assai rapidamente che ha un'immaginazione fervida, un carattere focoso. Fra le prove stupefacenti della sua pazienza, si narra di un tale di Ars che si recò in canonica per coprirlo di insulti: lo riceve, lo ascolta senza aprir bocca, poi, per cortesia, lo riaccompagna e, prima di lasciarlo, lo abbraccia. Il sacrificio gli costa talmente, che risale immediatamente in camera sua e deve stendersi sul letto. Ha il corpo coperto di foruncoli, causati dallo sforzo che ha dovuto fare per dominarsi...

Tale eroica pazienza, il Santo la deve al suo amore per Gesù Cristo. Nostro Signore è la sua vita, il suo cielo, il suo presente, il suo avvenire, e la venerabile Eucaristia è la sola che possa estinguere la sete che lo consuma. «O Gesù! esclama spesso, con gli occhi pieni di lacrime, conoscerti, vuol dire amarti... Se sapessimo quanto ci ama Nostro Signore, moriremmo di piacere! Non ritengo che vi siano cuori abbastanza duri per non amare, vedendosi amati tanto... La carità è qualcosa di talmente bello! È un flusso del Cuore di Gesù, che è tutto amore... La sola felicità che abbiamo quaggiù, è quella di amare Dio e di sapere che Dio ci ama...»


Giunto al termine della vita, di cui abbiamo riferito soltanto alcuni episodi, il Santo Curato aspira ardentemente al Cielo. «Lo vedremo! lo vedremo!... oh, fratelli! ci avete mai pensato? vedremo Dio! lo vedremo davvero! lo vedremo quale Egli è... faccia a faccia!... lo vedremo! lo vedremo!» aveva detto un giorno. Come l'operaio che ha assolto coscienziosamente il proprio dovere, egli va a vedere Dio ed a riposarsi in paradiso, il 4 agosto 1859.


«La Chiesa non considera la sua eredità come il tesoro di un passato trascorso, ma come una potente ispirazione per progredire nel pellegrinaggio della fede, su vie sempre nuove» (Giovanni Paolo II, Reims, 22 settembre 1996). La vita del Curato d'Ars è un tesoro per la Chiesa. «San Giovanni Maria Vianney, tu che, durante tutta la vita, sei stato pieno di zelo per la salvezza delle anime ed hai avuto un amore senza limiti per i poveri peccatori, accresci in noi lo spirito di sacrificio e preparaci un posto in Cielo, affinché possiamo contemplare con te Dio in eterno».
È quel che chiediamo, nelle nostre preghiere, per Lei, per coloro che Le sono cari e per tutti i Suoi defunti.
Dom Antoine Marie osb

martedì 8 ottobre 2013

San Tommaso d'Aquino e l'anticristo : TRE ATTUALISSIME RIFLESSIONI per non cadere in trappola o addormentarsi

FILI REDEMPTOR MUNDI DEUS
miserere nobis.
Chi sono i falsi profeti

di don Ivo Cisar

È nota la parola di Gesù: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete" (Mt 7,15-16).

Nello stesso vangelo secondo san Matteo si legge ancora: "Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti" (Mt 24,24).

Per falsi profeti s’intendono di solito coloro che seminano errori o, come spiega la Bibbia di Gerusalemme, dottori di menzogna che seducono il popolo con false sembianze di pietà, ma perseguendo fini interessati. Mons. Salvat. Garofalo annota il passo: "I falsi profeti, notissimi dai libri del Vecchio Testamento, sono impostori e trafficanti della parola di Dio per il loro vantaggio".

La Bibbia di Navarra commenta: "Nella vita della Chiesa la figura di falsi profeti, di cui parla Gesù, è stata intesa dai Santi Padri come riferita agli eretici, i quali si rivestono con abiti esteriori di vita di pietà e di penitenza, ma il loro cuore non possiede i sentimenti di Cristo (san Girolamo, Commentum in Matthaeum, 7). San Giovanni Crisostomo applicava queste parole del Signore a coloro che simulano virtù che non hanno, e con questa finzione ingannano chi non li conosce (cfr.Omelie sul Vangelo di san Matteo, 23).

I falsi profeti si presentano in vesti di pecore, come se appartenessero all’ovile di Cristo, fingono lo zelo per la gloria di Dio, ma cercano la propria gloria e tramano per la rovina delle pecore.

S. Tommaso d’Aquino spiega, con san Giovanni Crisostomo, che i falsi profeti vengono chiamati "lupi rapaci", perché intendono nuocere agli altri (STh II-II, 172, 4 ad 3). Egli afferma che un profeta viene detto falso quando agisce come strumento del demonio (STh II-II, 172, 5c).

Il testo di Mt 7,15 viene citato nel Catechismo della Chiesa Cattolica a proposito dello scandalo: "Lo scandalo è grave quando a provocarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti a insegnare e a educare gli altri. Gesù lo rimprovera agli scribi e ai farisei: li paragona a lupi rapaci in veste di pecore" (CCC 2285).

Ma quale è la ragione profonda per la quale essi vengono chiamati falsi profeti e quale è concretamente il loro modo di agire?
1) Profeta non è principalmente colui che predice il futuro, ma colui che parla a nome di Dio, ispirato e incaricato da Lui. Siccome nel Vecchio Testamento i profeti preparavano la venuta di Cristo, essi ovviamente lo predicevano, anche nei suoi particolari. Evidentemente anche nel Nuovo Testamento, Cristo e i suoi, proclamando il regno del Padre (cfr. LG 35), lo indicavano come già presente e insieme futuro (cfr. LG 5).

Ora, proclamare il regno di Dio, ossia la sua grazia consistente nel perdono e nella salvezza futura, comporta l’invito e l’esortazione alla conversione: "Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicendo il vangelo di Dio e diceva: ‘Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al vangelo" (Mt 1,15).

Anche i profeti richiamavano alla fede in Dio, alla purezza dei costumi, denunciando i peccati e minacciando castighi divini. Basti ricordare le figure di Elia pieno di zelo per la purezza della fede nell’unico vero Dio (1Re 18,20-40), quella di Isaia che parla contro la corruzione morale (Is 1-5), quella di Natan che denuncia i peccati di Davide (2Sam 12,1-14), quella di Giona che annuncia i castighi divini alla città di Ninive (Gio 3); non sono che alcuni esempi scelti tra i tanti possibili. Il monoteismo, la moralità e l’attesa della salvezza sono oggetti della predicazione dei profeti, che esortano alla conversione.

Ma appunto per questo i profeti trovavano resistenze e reazioni, fino a dover temere per la propria vita; esempio tipico è quello di Geremia, "oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese" (Ger 15,10), che viene arrestato e giudicato (Ger 26).


2) Specialmente in Geremia emerge la differenza tra i veri e i falsi profeti: questi ultimi non sono stati mandati da Dio e parlano di testa propria; ne nasce un’aspra lotta (vedi Ger 23,9 ss.; 26,7 ss.; 27,9 s.; 28; Ez 13; Mi 3,5 ss.; Zc 13,2 ss.). Tipico dei falsi profeti è il tentativo di lusingare, illudere, tranquillizzare e narcotizzare le coscienze, per piacere agli uomini. Se ne lamenta Dio: "Così dice il Signore degli eserciti: ‘Non ascoltate le parole dei profeti che profetizzano per voi; essi vi fanno credere cose vane, vi annunziano fantasie del loro cuore, non quanto viene dalla bocca del Signore. Essi dicono a coloro che disprezzano la parola del Signore: voi avrete la pace! e a quanti seguono la caparbietà del loro cuore dicono: non vi coglierà sventura" (Ger 23,16-17). 

"La mia mano sarà sopra i profeti delle false visioni e dai vaticini bugiardi; ... poiché ingannano il mio popolo dicendo: pace! e la pace non c’è... " (Ez 13,9). Così pure, mentre i falsi profeti predicevano il successo al re, il profeta Michea predisse la disfatta (1Re 22,5 ss.).

Già nel libro del Deuteronomio Dio metteva sull’avviso: "Qualora si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio... ed egli ti dica: seguiamo dèi stranieri, che tu non hai mai conosciuti, e rendiamo loro un culto, tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore; perché il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima" (Dt 13,2-4). I segni che una profezia sia vera o falsa è la sua corrispondenza con la vera fede (Dt 13,2-6) e il suo adempimento (Dt 18,21-22), se cioè questi vi siano o se manchino.

Gesù dice che riconosciamo i falsi profeti dai loro frutti. Dei frutti dello Spirito Santo a differenza delle opere della carne parla san Paolo. Il profeta vero conduce alla fede, al pentimento, alla riconciliazione con Dio, alla bontà, alla fedeltà, al dominio di sé ecc., mentre il profeta falso semina impurità, idolatrie, dissensi, divisioni, fazioni, hairéseis-eresie, ecc. (Gal 5,19-23).

"Ma il frutto più caratteristico del falso profeta è l’impegno volto ad allontanare il popolo di Dio dal magistero della Chiesa, attraverso cui risuona nel mondo la dottrina di Cristo. Il Signore predice altresì la fine di questi truffatori: la perdizione eterna" (La Bibbia di Navarra, l.c.).

3) Insegnamento per noi.

a) La nostra esposizione è stata ridotta al minimo, abbiamo proceduto per cenni. San Giovanni apostolo ci avverte: 

"Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se vengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo" (1Gv 4,1-3). 

Oltre all’attualità del tema (cfr. Giovanni Paolo II nell’omelia del 31 dicembre 1993Non possiamo, infatti, chiudere gli occhi su ciò che ci circonda. Non possiamo non vedere che Cristo e il suo Vangelo sono e rimangono “segno di contraddizione” (Lc 2, 34). Non possiamo non avvertire che, insieme con la civiltà dell’amore, civiltà di verità e di vita, un’altra civiltà si va diffondendo: proprio di essa parla san Giovanni nel contesto dell’“ultima ora”. Scrive l’Apostolo: “Molti anticristi sono apparsi”. Ed aggiunge: “Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri” (1 Gv 2, 19). È come se egli riprendesse, in altri termini, la parabola del grano e della zizzania(cf. Mt 13, 24-30), raccontando la quale Cristo invitava a saper attendere fino al tempo della mietitura.
4. “Questa è l’ultima ora”.) ne risulta che la profezia autentica deve essere in armonia con gli articoli fondamentali della fede cristiana.

Nell’Apocalisse di san Giovanni viene descritta la fine dei falsi profeti al servizio della bestia, ossia delle forze che, arrogandosi poteri divini, si erigono contro Cristo e la Chiesa (Ap 13,11-17).

b) San Paolo dichiara: "Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!" (Gal 1,10).

Gesù ha proclamato: "Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande e la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi" (Mt 5,11-12).

Vi è un modo di "compiacere" che è secondo Cristo: "Ciascuno di noi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo" (Rm 15,2). "Io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio ma quello di molti perché giungano alla salvezza" (1Cor 10,33).

Sempre tenendo presente, però: "Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti" (Lc 6,26).

c) Siamo popolo profetico di Dio (LG 12), sotto la guida del Magistero della Chiesa (LG 25) i laici partecipano all’ufficio profetico di Cristo (LG 35) per l’evangelizzazione del mondo (ibidem), mediante l’apostolato (ibidem e AA), specie se confermati-cresimati (AA 3). Evangelizzare vuol dire annunciare Cristo per la conversione (cfr. At 2,36).

Una componente della funzione profetica del cristiano è il dovere della correzione fraterna o dell’ammonimento fraterno, di cui parla a più riprese il Nuovo Testamento: "Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo... " (Mt 18,15). "Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli" (Lc 17,3) 

Un presupposto della salvezza che consiste nel perdono dei peccati è la conoscenza dei peccati e il pentimento. La misericordia divina non significa che Dio chiude gli occhi davanti ai peccati, ma che ce li perdona, se ce ne pentiamo finché siamo in tempo: "Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni dicono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo dio pentirsi (2Pt 3,9). Ma Gesù ammonisce pure: "Se non vi convertite, perirete tutti" (Lc 13,3.5). 

La correzione fraterna è una delle opere di misericordia spirituale, ben diversa dal giudicare il prossimo (Mt 7,1 ss.). Invece di giudicare le persone e tollerare il peccato, come spesso facciamo, dobbiamo condannare il peccato, senza condannare le persone (Lc 6,37), perché Dio vuole salvare tutti (1Tm 2,4).

Perciò san Paolo esorta i cristiani: "Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso persino parlare" (Ef 5,10-12). 

Egli confida che i cristiani siano "capaci di correggere l’un l’altro" (Rm 15,14), ci esorta a correggere gli altri con dolcezza e umiltà (Gal 6,1), di accettare gli ammonimenti di coloro che ci sono preposti nel Signore, come pure di correggere gli indisciplinati (1Ts 5,12.14), di ammonire fraternamente (2Cor 2,7; 2Ts 3,15).

d) Quel che induce al peccato ed è peccato già in sé è il falso rispetto umano, di cui peccò già Adamo (Gn 3,6.12). Non solo non dobbiamo subirlo, ma dobbiamo essere profeti veri che si regolano secondo la parola di san Paolo: "Non conformatevi alla mentalità di questo secolo (mondo), ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto" (Rm 12,2)
Non seguendo i falsi profeti, accomodanti, che tentano di praticare sconti sulla dottrina e la morale di Cristo, per piacere agli uomini, dispiacendo a Dio, dal quale verranno giudicati, al quale dovranno rispondere (cfr. 2Cor 5,10; Rm 14,10-13; Gal 6,4-5), perché "responsabilità" vuol dire questo.


In conclusione
Dio manda i profeti, i quali parlano a nome Suo, denunciando i peccati, perché gli uomini possano rendersene conto e pentirsene e trovare la salvezza in Cristo. Ma alcuni auto-invitati si spacciano per profeti, mentre non lo sono, "pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono né alcuna di quelle cose che danno per sicure" (1Tm 1,7).

I falsi profeti addormentano le coscienze, i profeti veri le svegliano. E non si deve neppure tacere; specialmente le sentinelle costituite da Dio devono "suonare la tromba e dare l’allarme" (Es 33,2-3) avvertire della morte spirituale, conseguenza delle iniquità (Ez 33,10-16). Chi blandisce o tace colpevolmente compromette la salvezza eterna altrui.

Il mite san Francesco di Sales ha una parola molto forte: "Faccio eccezione per i nemici dichiarati di Dio e della Chiesa; quelli vanno screditati il più possibile: per esempio, le sette eretiche e scismatiche con i loro capi. È carità gridare al lupo quando si nasconde tra le pecore, non importa dove" (Filotea III 29).

Oggi si abusa della parola "speranza": è un termine inflazionato e spesso svuotato del suo contenuto proprio, soprannaturale, di virtù teologale, riferentesi a Dio (vedi per esempio Rm 5,5; 8,24); è divenuta una parola "riempitivo", immanentizzata, orizzontalizzata, storicizzata, non più trascendente, espressione della fede soprannaturale (vedi invece Ebr 11,1), ma una parola pseudoottimistica, ingannevole, anestetizzante, direi quasi "propagandistica". Se si studia bene l’Apocalisse, vi si constata un regresso nella storia e un progressivo aumento, crescita del male nel mondo (vedi Eduard Schick, L’Apocalisse, Roma, 1973, pp. 93, 99, 113, 114, 120, 126-129, 148-149, 185-186), donde la necessità dell’esortazione alla penitenza (vedi ivi, p. 127; cfr. Lc 13,1-5).

La voce dei falsi profeti spesso sovrasta quella dei veri, come quella di Anania in contrasto con Geremia (Ger 28). Ciò non porta alla conversione (penitenza) e alla salvezza. 

La gente pretende: "Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni!" (Is 30,10). Ma Dio avverte: "Non vi traggano in errore i profeti che sono in mezzo a voi e i vostri indovini; non date retta ai sogni che essi sognano. Poiché con inganno parlano come profeti a voi in mio nome; io non li ho inviati. Oracolo del Signore" (Ger 29,8-9). "I tuoi profeti hanno avuto per te visioni di cose vane e insulse, non hanno svelato le tue iniquità per cambiare la tua sorte; ma ti han vaticinato lusinghe, vanità e illusioni" (Lam 2,14). Così avviene anche oggi in certe conferenze, prediche, liturgie che non evangelizzano, cioè non inducono alla conversione-penitenza, ma sono falsamente consolatorie. San Paolo ha scritto: "Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole". (2Tm 4,3-4). E accenna anche a dei "falsi fratelli" (Gal 2,4).

San Gregorio Magno, commentando i passi biblici sui "cani muti" (Is 56,10), guardiani infedeli (ivi), non difensori (Ez 13,5), scrive dei falsi profeti: "La parola di Dio li rimprovera di vedere cose false, perché, per timore di riprendere le colpe, lusingano i colpevoli con promesse di sicurezza, e non svelano l’iniquità dei peccatori ai quali mai rivolgono una parola di riprensione. Il rimprovero è una chiave. Apre infatti la coscienza a vedere la colpa che spesso è ignorata anche da quello che l’ha commessa. ..." (Reg. past. 2,4).

I falsi profeti sono addormentatori di coscienze mediante l’aperturismo e lo pseudoottimismo ("aggiornamento" e "speranza"). Conducono all’indurimento nel peccato e all’impenitenza finale, peccati "irremissibili", perché contro lo Spirito Santo, contro la grazia di Dio (Mt 12,32); conducono non alla salvezza, ma alla perdizione (Fil 3,19; Mt 7,13).


Il peccato, in quanto contro Dio, non è evidente alla coscienza umana, ma ha bisogno di essere svelato nella sua vera dimensione e gravità: questa è la vera funzione profetica (vedi Is 58,1), come quella di Natan nei riguardi di Davide (2Sam 12,1-14)

La nuova (o rinnovata) evangelizzazione non consiste nella sola istruzione (catechetica, questa viene dopo), né in un solo dialogo (vedi Dialogo e annuncio, 19 maggio 1991), ma nel kerygma o annuncio del regno di Dio congiunto all’invito alla penitenza: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al vangelo" (Mc 1,15, cfr. Mt 4,17). È l’annuncio di Cristo e della salvezza in Lui solo: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati" (At 2,38). "In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati" (At 4,12).
COR VIGILANTISSIMUM MARIAE
ora pro nobis




mercoledì 2 ottobre 2013

Cebù e Manila. "Sono con voi gli Angeli Custodi, che vi conducono nella luce, così che il mio giardino sia presto tutto fiorito."



Cebù (Filippine), 2 ottobre 1980. Festa dei Santissimi Angeli Custodi.


Un grande disegno su questo popolo.


«Guarda questo immenso arcipelago e vedi come, in maniera straordinaria, la mia Opera si è anche qui diffusa.
Contempla le mie meraviglie in ogni parte del mondo; ti ho anche svelato tempi e luoghi in cui si sta realizzando il trionfo del mio Cuore Immacolato.
Guarda il cuore e l'anima di tutti questi miei figli: sono così fedeli a Gesù, devoti verso di Me e tanto uniti alla Chiesa. Per mezzo di essi la Luce del mio Cuore si diffonde in tutte le nazioni di questo continente.

Ho un grande disegno su questo popolo. Mi è gradito per la sua semplicità, la sua religiosità, la
grande povertà, la sua umiltà e pazienza.
Sono la Mamma di tutti i popoli. Io guardo al cuore delle nazioni, per cogliervi i semi di bene e farli fiorire nel giardino del mio Cuore Immacolato, affinché possa salvarne in maggior numero, nel momento della prova decisiva, quando alcune di esse scompariranno dalla faccia della terra.

Guardo con tenerezza e con gioia a questi miei figli, e ti conduco in mezzo a loro per fare Cenacoli di preghiera e per rinnovare insieme la consacrazione al mio Cuore Immacolato.

La tua venuta è segno della mia particolare presenza accanto a loro. Dona, a Me tutte le corone di fiori profumati con cui ti cingono. E' segno della grande corona di amore, che ormai i figli da ogni parte del mondo mi offrono, per togliermi la dolorosa corona di spine. Sono con voi gli Angeli Custodi, che vi conducono nella luce, così che il mio giardino sia presto tutto fiorito.

Allora la Chiesa e il mondo vedranno il capolavoro di amore, che per ora custodisco gelosamente nel mio Cuore Immacolato» .



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Manila (Filippine), 13 ottobre 1980. Anniversario ultima apparizione di Fatima.


Non peccate più.


«In questo giorno vi raccogliete qui, in un Cenacolo di preghiera, e ricordate la mia ultima apparizione nella Cova da Iria confermata dal miracolo del sole. Da questa terra, da Me prediletta, per l'amore e la devozione con cui sono amata e venerata, rivolgo ancora al mondo l'appello angosciato, che rivolsi nello stesso giorno a Fatima e che riassume, in poche parole, il messaggio che dal Cielo sono venuta a comunicarvi.
Non peccate più.
Non offendete più mio Figlio Gesù, che è già troppo offeso. Ritornate a Dio per mezzo della vostra conversione, sulla strada della preghiera e della penitenza.

Purtroppo questo mio messaggio è rimasto inascoltato. Così l'umanità ha continuato a
percorrere la strada della ribellione a Dio, del rifiuto ostinato della sua legge di amore.

Si è giunti persino alla negazione del peccato, a giustificare anche i più gravi disordini morali, in nome di una libertà falsamente intesa. Così Satana, il mio Avversario, è riuscito a farvi cadere nella sua seduzione.

Da molti si è persa la coscienza del peccato; perciò esso viene sempre più commesso e giustificato. E' quasi scomparso il senso del pentimento, che è il primo passo da compiere sulla via della conversione.
Anche nelle nazioni di più antica tradizione cristiana si è persino legittimato il grande delitto della uccisione dei bambini ancora nel seno della madre. Questo delitto grida vendetta al cospetto di Dio.

Questa è l'ora della giustizia e della misericordia. Questa è l'ora del castigo e della salvezza.
La Mamma Celeste intercede presso Dio per voi, perché mai, come in questi momenti, siete
così minacciati e così vicini alla prova suprema.

Per questo vi supplico di pentirvi e di ritornare a Dio. Per mezzo vostro, figli da Me prediletti e a Me consacrati, Apostoli miei in questi ultimi tempi, voglio che questo angosciato appello raggiunga gli estremi confini della terra.

Da questa nazione benedetta, su cui ho un grande disegno di amore e di luce, tutti vi raccolgo
nel rifugio del mio Cuore Immacolato».


"Io guardo al cuore delle nazioni, per cogliervi i semi di bene e farli fiorire nel giardino del mio Cuore Immacolato"