Giunto il Papa sotto il portico, s'assideva in trono, e mentre le porte dell'aula sacra rimanevano ancor chiuse, il primicerio dei cantori e il priore basilicario a capo del loro personale di servizio intonavano l'inno Gloria, lausetc., prescritto ancor oggi nel Messale. Allora finalmente si aprivano le porte ed il corteo faceva la sua entrata trionfale nella basilica Salvatoriana, affine di dar principio colla messa al grandioso dramma dell'umana redenzione. Il Papa assumeva le sacre vesti nel secretarium, ma ad indicare la funebre mestizia che pervade tutta la liturgia di questa settimana, i basilicari quest'oggi tralasciavano di distendere sul suo capo la tradizionalemappula o baldacchino, che era uno dei contrassegni di rispetto e di venerazione presso gli antichi.
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La colletta per la benedizione delle palme comincia coll'introito: "Salve, o figlio di David; benedetto Colui che viene nel nome di Iahvè; o Re d'Israele, salve, evviva". Ecco il saluto messianico che il Cristo oggi acclamato dai gentili, dai fanciulli, dal basso popolo e dai semplici, s'attese invano dalla Sinagoga. La conseguenza si è, che Gesù ripudia l'ostinato Sanhedrin, e si rivolge invece alle nazioni dei gentili, le quali lo accolgono come il loro Dio e Redentore. La misericordia del Signore però è infinita, ed anche Israele può sperare salvezza, a condizione tuttavia che muova anch'esso incontro al Cristo cantando col Salmista e coi fanciulli del giorno delle palme: Benedetto Colui che viene nel nome di Iahvè.
Dobbiamo professare ima grande devozione per quest'atto di fede messianica, tanto desiderato da Gesù Cristo. La Chiesa lo rinnova nel momento più solenne del sacrificio, quando cioè Gesù all'invito del Sacerdote sta per discendere in stato di vittima sui nostri altari.
Segue la colletta di benedizione sull'adunanza: "O Dio, cui è giusto amare sopra ogni cosa, moltiplica su di noi i doni della tua grazia, e mentre pei meriti della morte del Figlio tuo ci fai sperare quell'eternità gloriosa che forma appunto l'oggetto della nostra fede, in grazia della sua risurrezione ci concedi di giungere là dove tendiamo". La forma è veramente solenne, ed il concetto è chiaro e preciso: la morte di Gesù è la causa meritoria di nostra salvezza, ma la sua risurrezione ne è la causa esemplare; perché Gesù glorioso trasfonde nel corpo e nelle sue mistiche membra quella santità e quella beatitudine che inonda il Capo nel giorno del suo solenne trionfo sulla morte e sul peccato.
Il brano dell'Esodo (XV, 27, XVI, 1-7) col racconto della rivolta degli Israeliti contro Mosè, veramente non ha troppo a vedere col mistero dell'odierna domenica; i liturgisti gallicani del medio evo lo prescelsero tuttavia in grazia delle fonti d'acqua e dei settanta palmizi all'ombra dei quali s'attendò il popolo del Signore.
Gl'Israeliti tratti via dalla servitù d'Egitto in modo così prodigioso, mormorano tuttavia contro il Signore e rimpiangono gli agli e le carni d'Egitto. Essi preludevano a quello che i figli loro erano per fare contro il vero Mosè, il vero liberatore dalla schiavitù dell'inferno, che sarebbe stato maledetto ed ucciso nel momento stesso in cui, a redimerli, stava dando per loro la vita.
I due responsori di ricambio che seguono, non sono in alcuna relazione colla cerimonia della benedizione delle palme, e sono stati assegnati qui tanto per riempire le lacune e dividere le due lezioni scritturali. Come si vede, tutto l'ordinamento dell'odierna funzione, non ostante la sua parvenza arcaica, è un po' fittizio; trattasi d'elementi d'origine e d'ispirazione disparatissimi, i quali vennero fusi insieme alla meglio senza una vera unità di concetto.
Il primo responsorio è derivato da Giovanni (XI, 47-53) e canta del convegno tenuto in casa di Caifa nel quale, all'osservazione che Gesù si traeva dietro le turbe ed esponeva il Sinedrio al pericolo che presto o tardi i Romani, gelosissimi, avrebbero soffocato quei moti d'insurrezione nazionale, Caifa dichiarò esser meglio mandare a morte uno, cioè Gesù, per salvare tutti. Lo Scrittore Sacro insiste nel far rilevare che le parole dello scaltro pontefice hanno una portata assai superiore alle sue intenzioni, e che in forza del suo ufficio gli furono poste sul labbro dallo Spirito Santo.
Il secondo responsorio serve solo di ricambio, ed è stato preso ad imprestito dal I Notturno del giovedì santo. Esso deriva dal Vangelo di san Matteo (XXVI, 39, 41) e descrive Gesù che nella sua
agonia nell'orto degli olivi supplica il Padre, si conforma alla sua santa volontà ed esorta gli addormentati discepoli, perché nell'orazione cerchino lo scampo contro la tentazione e la prova che sta ormai per incominciare. Non basta che le disposizioni abituali della volontà siano rette; la natura mortale è fragile e senza l'aiuto della grazia vien meno per il bene. Bisogna quindi pregare e non stancarsi mai d'implorare questo soccorso tanto necessario. I Santi, e specialmente sant'Alfonso, riassumevano così l'insegnamento cristiano circa la necessità della preghiera: Chi prega, si salva, e chi non prega, si danna.
L'odierna lettura di san Matteo col racconto dell'ingresso solenne di Gesù nella Santa Città (XXI, 1-9) ci è attestato nella liturgia di Gerusalemme sin dalla seconda metà del IV secolo. Giusta la profezia di Zaccaria, il Redentore entra nella Città Santa seduto sull'asinello, a simboleggiare il carattere tutto mite e benigno di questa sua prima apparizione messianica. Egli non vuole spaventare colle folgori, ma brama d'attirare tutti al suo Cuore colla dolcezza delle sue attrattive. L'asina poi e l'asinello, che, giusta il santo Vangelo, trovavansi legati alle mura del castello vicino al monte degli olivi, donde furono sciolti dagli Apostoli e menati a Gesù, rappresentano il popolo gentile, esiliato dalla patria d'Abramo, diseredato dall'eredità d'Israele, abbrutito sotto le ritorte dell'idolatria. Agli Apostoli è confidata la missione di proscioglierlo dai suoi errori e di ricondurlo al Salvatore.
La colletta seguente, giusta l'uso della liturgia romana, quando trattasi di preghiere di speciale importanza, serve come di preludio all'anafora consecratoria dei sacri rami. Essa quindi è parallela alla Secreta prima del prefazio della messa:
Preghiera. - "Accresci, o Dio, la fede di coloro che in te sperano, e clemente esaudisci le preghiere dei supplicanti. La tua misericordia discenda copiosa sopra di noi; e siano altresì benedetti questi germogli di palma e d'olivo; e come a prefigurar la Chiesa, tu concedesti numerosa progenie a Noè uscito dall'arca e a Mosè uscito dall'Egitto insieme coi figli d'Israele, cosi anche noi, recando in mano palme e rami d'olivo, per mezzo d'una santa vita possiamo andare incontro al Cristo, e per i suoi meriti meritiamo d'entrare nell'eterno gaudio. Egli che Dio teco e nell'unità dello Spirito Santo, vive e regna per tutti i secoli. R). Così è".
Questa preghiera, di gusto tanto squisito e d'una pietà sì profonda, spiega assai bene il simbolismo della processione che sta per
eseguirsi, assegna la cagione per cui si è letta la pericope dell'Esodo col racconto dei settanta palmizi. La palma si dà al vincitore, e colui che esce incolume dall'Egitto può ben meritare la gloria del trionfo.
Sac. V). "Il Signore sia con voi".
R). "E col tuo spirito".
Sac. V). "In alto i cuori".
R). "Sono già intenti al Signore".
Sac. V). "Rendiamo grazie al Signore nostro Dio".
R). "È conveniente e giusto".
Segue l'anafora, che, giusta il suo primitivo significato, oggi è un vero carme eucaristico, ossia inno di lode e di ringraziamento a Dio per la sua immensa santità e la squisitezza della sua misericordia verso gli uomini: