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domenica 12 aprile 2015

Beato Alfredo Ildefonso Card. Schuster


Così il Beato Alfredo Ildefonso Card. Schuster commenta il santo Vangelo della Domenica in albis:

...
La seguente lezione evangelica (Giov. XX, 19-31) narra di due distinte apparizioni di Gesù agli Apostoli
la prima, nella sera stessa di Pasqua, quando istituì il sacramento della confessione, l’altra otto giorni dopo, quando volle che Tommaso palpasse le sue piaghe. 

È significativo che sia stata accordata agli Apostoli la podestà di rimettere i peccati proprio il giorno della resurrezione del Cristo. Quello era un giorno di letizia e di trionfo, e perciò ben si conveniva che in esso la divina misericordia istituisse il Sacramento che viene a rimuovere da questa terra il lutto ed il pianto, e richiama i peccatori a nuova vita. 
A memoria del qual fatto, anche adesso il senso cristiano vuole che i fedeli innanzi di partecipare al Sacramento Pasquale, impetrino dal sacerdote l’assoluzione sacramentale dello proprie colpe. Nel linguaggio del nostro popolo, che però è così espressivo e riflette una profonda educazione cattolica, l’accostarsi in occasione della santa Pasqua a questi due sacramenti, si dice far Pasqua. Tanto adunque intimo è il nesso tra la resurrezione del Signore e la riconciliazione sacramentale dei penitenti. In antico la riconciliazione dei pubblici penitenti avveniva appunto il giovedì e il venerdì santo.

La seconda apparizione di Gesù nel cenacolo avvenne per confutare lo scetticismo di Tommaso [su Gesù così misericordioso da apparire a coloro che L'avevano totalmente abbandonato durante la Passione, e perdonarli]. Per credere, egli voleva toccare materialmente, ed Iddio permise questo difetto, perché poi la medicina onde fu guarito lui servisse a curare l’incredulità di tutte le future generazioni. La resurrezione del Signore non lascia alcun dubbio; essa prima che fosse creduta, fu veduta, fu anzi palpata da persone tutt’altro che propense ad ammetterla.


Sia lodato Gesù Maria!

12. "DOMINUS MEUS, ET DEUS MEUS"

12 Aprilis pridie Idus
Dom. in Albis et I post Pascha, 1. cl. De ea, dupl. maj. Statio ad S. Pancratium

QVASI  MODO 
GENITI  INFANTES 
ALLELVJA 
RATIONABILES  SINE  DOLO 
LAC  CONCVPISCITE 
ALLELVJA  ALLELVJA 
ALLELVJA
PRÆSTA  QVÆSVMVS  
OMNIPOTENS  DEVS  
VT  QVI  PASCHALIA  FESTA  
PEREGIMVS 
HÆC  TE  LARGIENTE 
MORIBVS  ET  VITA 
TENEAMVS





domenica 29 marzo 2015

29. DOMENICA DELLE PALME Stazione in Laterano alla basilica del Salvatore. (Stazione a S. Pietro, colletta a S. Maria "in Turri")


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DOMENICA  DELLE  PALME
Stazione in Laterano alla basilica del Salvatore. 
(Stazione a S. Pietro, colletta a S. Maria "in Turri"
)

Le grandi cerimonie della settimana pasquale, come gli antichi chiamavano questo solenne settenario che stiamo per iniziare, nel medio evo si compivano di regola presso la residenza pontificia nel classico palazzo dei Laterani. Perciò anche la processione degli olivi e l'odierna messa stazionale si celebrano oggi nella veneranda basilica del Salvatore, trofeo permanente delle vittorie del Pontificato Romano sull'idolatria, sulle eresie e su tutte le porte infernali che da oltre diciannove secoli congiurano a danno della Chiesa e sempre sono respinte e vinte. Non praevalebunt adversus eam, ha detto Gesù, e passerà il cielo e la terra prima che venga meno una sillaba del labbro del Salvatore.
Nel tardo medio evo talora l'odierna stazione, a volontà del Papa, si celebrava in Vaticano, ed allora la benedizione delle palme aveva luogo nella chiesa di Santa Maria in Turri, che sorgeva nell'atrio della basilica.
La benedizione delle palme ci conserva l'antico tipo delle sinassi liturgiche, di quelle adunanze cioè, come la recita del divin ufficio, l'istruzione dei fedeli ecc., in cui non seguiva l'offerta del divin Sacrificio. Questo tipo di sinassi deriva dall'uso giudaico nelle sinagoghe della diaspora, ed entrò nel rituale cristiano sin dall'evo apostolico.
La processione coi rami d'olivo deriva dall'uso gerosolimitano, quale ci descrive la pellegrina Eteria verso la fine del IV secolo. Da principio in occidente si tenevano i ramoscelli in mano durante la lettura del Vangelo; nelle Gallie cominciò a darsi una speciale benedizione, non già ai rami, ma a chi prestava tale atto d'ossequio alla parola evangelica. Si aggiunse la processione prima della messa, che venne a conferire una pompa ed un'importanza speciale ai ramoscelli, i quali finirono per essere alla loro volta santificati dalla benedizione sacerdotale.
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BENEDIZIONE  DELLE  PALME
Colletta a San Silvestro in Laterano.

Giusta gli Ordini Romani del secolo XIV, le palme venivano prima benedette dal cardinale di San Lorenzo, e quindi per ministero dei chierici erano trasportate nell'interno del Patriarchio nell'oratorio di San Silvestro, dove gli accoliti della basilica Vaticana avevano l'ufficio di farne la distribuzione al popolo. Quella al clero venivainvece compiuta personalmente dal Pontefice nell'aula tricliniare di Leone IV, donde appunto muoveva oggi la processione alla volta della chiesa stazionale del Salvatore.
Giunto il Papa sotto il portico, s'assideva in trono, e mentre le porte dell'aula sacra rimanevano ancor chiuse, il primicerio dei cantori e il priore basilicario a capo del loro personale di servizio intonavano l'inno Gloria, lausetc., prescritto ancor oggi nel Messale. Allora finalmente si aprivano le porte ed il corteo faceva la sua entrata trionfale nella basilica Salvatoriana, affine di dar principio colla messa al grandioso dramma dell'umana redenzione. Il Papa assumeva le sacre vesti nel secretarium, ma ad indicare la funebre mestizia che pervade tutta la liturgia di questa settimana, i basilicari quest'oggi tralasciavano di distendere sul suo capo la tradizionalemappula o baldacchino, che era uno dei contrassegni di rispetto e di venerazione presso gli antichi.
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La colletta per la benedizione delle palme comincia coll'introito: "Salve, o figlio di David; benedetto Colui che viene nel nome di Iahvè; o Re d'Israele, salve, evviva". Ecco il saluto messianico che il Cristo oggi acclamato dai gentili, dai fanciulli, dal basso popolo e dai semplici, s'attese invano dalla Sinagoga. La conseguenza si è, che Gesù ripudia l'ostinato Sanhedrin, e si rivolge invece alle nazioni dei gentili, le quali lo accolgono come il loro Dio e Redentore. La misericordia del Signore però è infinita, ed anche Israele può sperare salvezza, a condizione tuttavia che muova anch'esso incontro al Cristo cantando col Salmista e coi fanciulli del giorno delle palme: Benedetto Colui che viene nel nome di Iahvè.
Dobbiamo professare ima grande devozione per quest'atto di fede messianica, tanto desiderato da Gesù Cristo. La Chiesa lo rinnova nel momento più solenne del sacrificio, quando cioè Gesù all'invito del Sacerdote sta per discendere in stato di vittima sui nostri altari.

Segue la colletta di benedizione sull'adunanza: "O Dio, cui è giusto amare sopra ogni cosa, moltiplica su di noi i doni della tua grazia, e mentre pei meriti della morte del Figlio tuo ci fai sperare quell'eternità gloriosa che forma appunto l'oggetto della nostra fede, in grazia della sua risurrezione ci concedi di giungere là dove tendiamo". La forma è veramente solenne, ed il concetto è chiaro e preciso: la morte di Gesù è la causa meritoria di nostra salvezza, ma la sua risurrezione ne è la causa esemplare; perché Gesù glorioso trasfonde nel corpo e nelle sue mistiche membra quella santità e quella beatitudine che inonda il Capo nel giorno del suo solenne trionfo sulla morte e sul peccato.
Il brano dell'Esodo (XV, 27, XVI, 1-7) col racconto della rivolta degli Israeliti contro Mosè, veramente non ha troppo a vedere col mistero dell'odierna domenica; i liturgisti gallicani del medio evo lo prescelsero tuttavia in grazia delle fonti d'acqua e dei settanta palmizi all'ombra dei quali s'attendò il popolo del Signore.
Gl'Israeliti tratti via dalla servitù d'Egitto in modo così prodigioso, mormorano tuttavia contro il Signore e rimpiangono gli agli e le carni d'Egitto. Essi preludevano a quello che i figli loro erano per fare contro il vero Mosè, il vero liberatore dalla schiavitù dell'inferno, che sarebbe stato maledetto ed ucciso nel momento stesso in cui, a redimerli, stava dando per loro la vita.
I due responsori di ricambio che seguono, non sono in alcuna relazione colla cerimonia della benedizione delle palme, e sono stati assegnati qui tanto per riempire le lacune e dividere le due lezioni scritturali. Come si vede, tutto l'ordinamento dell'odierna funzione, non ostante la sua parvenza arcaica, è un po' fittizio; trattasi d'elementi d'origine e d'ispirazione disparatissimi, i quali vennero fusi insieme alla meglio senza una vera unità di concetto.
Il primo responsorio è derivato da Giovanni (XI, 47-53) e canta del convegno tenuto in casa di Caifa nel quale, all'osservazione che Gesù si traeva dietro le turbe ed esponeva il Sinedrio al pericolo che presto o tardi i Romani, gelosissimi, avrebbero soffocato quei moti d'insurrezione nazionale, Caifa dichiarò esser meglio mandare a morte uno, cioè Gesù, per salvare tutti. Lo Scrittore Sacro insiste nel far rilevare che le parole dello scaltro pontefice hanno una portata assai superiore alle sue intenzioni, e che in forza del suo ufficio gli furono poste sul labbro dallo Spirito Santo.
Il secondo responsorio serve solo di ricambio, ed è stato preso ad imprestito dal I Notturno del giovedì santo. Esso deriva dal Vangelo di san Matteo (XXVI, 39, 41) e descrive Gesù che nella sua

agonia nell'orto degli olivi supplica il Padre, si conforma alla sua santa volontà ed esorta gli addormentati discepoli, perché nell'orazione cerchino lo scampo contro la tentazione e la prova che sta ormai per incominciare. Non basta che le disposizioni abituali della volontà siano rette; la natura mortale è fragile e senza l'aiuto della grazia vien meno per il bene. Bisogna quindi pregare e non stancarsi mai d'implorare questo soccorso tanto necessario. I Santi, e specialmente sant'Alfonso, riassumevano così l'insegnamento cristiano circa la necessità della preghiera: Chi prega, si salva, e chi non prega, si danna.
L'odierna lettura di san Matteo col racconto dell'ingresso solenne di Gesù nella Santa Città (XXI, 1-9) ci è attestato nella liturgia di Gerusalemme sin dalla seconda metà del IV secolo. Giusta la profezia di Zaccaria, il Redentore entra nella Città Santa seduto sull'asinello, a simboleggiare il carattere tutto mite e benigno di questa sua prima apparizione messianica. Egli non vuole spaventare colle folgori, ma brama d'attirare tutti al suo Cuore colla dolcezza delle sue attrattive. L'asina poi e l'asinello, che, giusta il santo Vangelo, trovavansi legati alle mura del castello vicino al monte degli olivi, donde furono sciolti dagli Apostoli e menati a Gesù, rappresentano il popolo gentile, esiliato dalla patria d'Abramo, diseredato dall'eredità d'Israele, abbrutito sotto le ritorte dell'idolatria. Agli Apostoli è confidata la missione di proscioglierlo dai suoi errori e di ricondurlo al Salvatore.
La colletta seguente, giusta l'uso della liturgia romana, quando trattasi di preghiere di speciale importanza, serve come di preludio all'anafora consecratoria dei sacri rami. Essa quindi è parallela alla Secreta prima del prefazio della messa:
Preghiera. - "Accresci, o Dio, la fede di coloro che in te sperano, e clemente esaudisci le preghiere dei supplicanti. La tua misericordia discenda copiosa sopra di noi; e siano altresì benedetti questi germogli di palma e d'olivo; e come a prefigurar la Chiesa, tu concedesti numerosa progenie a Noè uscito dall'arca e a Mosè uscito dall'Egitto insieme coi figli d'Israele, cosi anche noi, recando in mano palme e rami d'olivo, per mezzo d'una santa vita possiamo andare incontro al Cristo, e per i suoi meriti meritiamo d'entrare nell'eterno gaudio. Egli che Dio teco e nell'unità dello Spirito Santo, vive e regna per tutti i secoli. R). Così è".
Questa preghiera, di gusto tanto squisito e d'una pietà sì profonda, spiega assai bene il simbolismo della processione che sta per

eseguirsi, assegna la cagione per cui si è letta la pericope dell'Esodo col racconto dei settanta palmizi. La palma si dà al vincitore, e colui che esce incolume dall'Egitto può ben meritare la gloria del trionfo.
Sac. V). "Il Signore sia con voi".
       R). "E col tuo spirito".

Sac. V). "In alto i cuori".
       R). "Sono già intenti al Signore".

Sac. V). "Rendiamo grazie al Signore nostro Dio".
       R). "È conveniente e giusto".

Segue l'anafora, che, giusta il suo primitivo significato, oggi è un vero carme eucaristico, ossia inno di lode e di ringraziamento a Dio per la sua immensa santità e la squisitezza della sua misericordia verso gli uomini:
Sac. "È veramente conveniente e giusto, retto e proficuo che sempre e dovunque noi ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre onnipotente, eterno Dio; tu che sei glorificato nella moltitudine dei tuoi Santi, cui tutte le creature ubbidiscono. Te solo, infatti, esse riconoscono per loro autore e Dio, onde non solo ogni cosa creata annunzia la tua lode, ma i tuoi Santi in modo speciale ti benedicono, quando liberamente confessano il gran nome del tuo Unigenito Figlio innanzi ai re e ai potenti di questo mondo. Cui assistono gli Angeli e gli Arcangeli, i Troni e le Dominazioni, che insieme con tutta quanta la milizia del celeste esercito, incessantemente cantano a te un inno alla tua gloria, dicendo: Santo, Santo, Santo è il Signore degli eserciti. La tua gloria riempie il cielo e la terra. Salve, evviva sino alle stelle. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Salve, evviva".
Segue una serie di collette di sapore abbastanza antico e d'elevatissima ispirazione, colle quali la Chiesa sembra che voglia quasi sfogare tutto il suo amore verso il Redentore, già vicino ad immolarsi per lei. In origine queste varie preghiere costituivano come una serie di collette di ricambio; oggi invece la cerimonia è divenuta molto prolissa, giacché tutte queste diverse formole di benedizione, prefazio cioè, collette ecc. che da principio si sostituivano, o meglio, s'escludevano a vicenda, nell'attuale Messale fanno parte integrale della cerimonia della benedizione delle palme. Ne è venuta fuori una funzione devota sì, ma forse senza proporzione ed armonia, il che rivela la sua tarda introduzione nella liturgia romana.

La seguente colletta si riferisce esclusivamente ai rami di olivo senza nessun accenno alle palme, che nel medio evo erano divenute estremamente rare in Europa:

Preghiera. - "O Signore santo, Padre onnipotente, eterno Dio, noi ti preghiamo di benedire e santificare quest'olivo da te creato, che per tuo volere germogliò sul tronco, e che la colomba portò nel becco ritornando nell'arca; affinché chiunque ne riceverà un germoglio conseguisca la salute dell'anima e del corpo, e divenga esso per noi rimedio salutare e pegno della tua grazia. Per il Signore".
Dio si compiace d'umiliare la superbia del Satana impedendogli di nuocere ai Cristiani, in grazia dei sacramentali, consistenti per lo più in piccoli oggetti di devozione, benedetti dal sacerdote, e conservati con fede dai fedeli. Alla qual specie di sacramentali appartengono appunto le palme.

Preghiera. - "O Signore, che raccogli quanto era disperso, e raccoltolo lo conservi; tu che benedicesti il popolo uscito incontro a Gesù coi rami d'albero, benedici altresì questi rami di palma e d'olivo che i tuoi servi ricevono con tutta fede e in onore del tuo nome; affinché dovunque siano recati, gli abitanti ne conseguano la tua benedizione, e allontanata ogni ostilità, la tua destra si degni di proteggere coloro che redense Gesù Cristo tuo figlio e nostro Signore. Il quale vive e regna".
Nella seguente preghiera si spiega tutto il simbolismo dell'odierna cerimonia. Come le turbe mossero incontro colle palme al trionfatore della morte e dell'inferno, cosi oggi Dio ci anticipa il dono della palma, onde stimolarci a lottare strenuamente affine di conseguire sulle soglie dell'eternità un'altra palma, non più soggetta ad appassire ed a disseccarsi, ma perpetuamente fresca e verdeggiante.

Preghiera. - "O Dio, che con meravigliosa armonia, anche per mezzo delle cose insensibili, volesti rivelarci l'ordine della nostra redenzione, fa che lo spirito dei tuoi devoti penetri bene il significato mistico del fatto compiuto oggi dalle turbe, che, rischiarate da superna luce, mossero incontro al Redentore e copersero il suo sentiero di rami di palma e d'olivo, Infatti i rami di palma preannunziano il suo trionfo sul principe della morte, e i germogli d'olivo indicano una certa qual unzione spirituale; giacché fin d'allora quella fortunata schiera di popolo dové comprendere che sotto quei simboli si dichiarava come il Redentore nostro, tocco dalla miseria degli uomini, doveva lottare contro il principe della morte per dar la vita a tutto il mondo, e morendo doveva riportarne il trionfo. E

perciò la medesima turba nel prestargli ossequio si servi di tali simboli che significassero i trionfi della sua vittoria e la facile copia della sua misericordia. Noi pure esprimendo con viva fede questo fatto e questo medesimo significato, o Signore Santo, Padre onnipotente, eterno Dio, supplichevoli ti preghiamo per il medesimo Signor nostro Gesù Cristo, onde in Lui e per Lui di cui tu ci volesti membra, riportando vittoria sull'impero della morte, meritiamo d'essere a parte della gloria della sua risurrezione. Egli che teco ecc.".
Nella seguente colletta già non si parla più di palmizi, ma all'olivo vengono riavvicinati altri alberi, giacché nei paesi nordici, dove massimamente si svolse l'odierno rito, a cagione del freddo non vi cresce né la palma, né l'olivo:
Preghiera. - "O Signore, che volesti che la colomba recasse in terra l'annunzio di pace per mezzo d'un ramoscello d'olivo; santifica colla tua benedizione + questi rami d'olivo e d'altri alberi, onde apportino salvezza a tutto il tuo popolo. Per Cristo ecc.".
Il rito esterno è vano, se al labbro che ora, non si unisce il cuore che adora:
Preghiera. - "Ti preghiamo, o Signore, benedici questi rami di palma e d'olivo, e fa sì che quanto oggi il popolo in tuo onore eseguisce in modo sensibile, lo compia anche interiormente con una fervida devozione, riportando vittoria sullo spirituale nemico, e dedicandosi con sommo trasporto alle opere di misericordia. Per il Signore".
Qui il sacerdote asperge i rami coll'acqua santa e li turifica coll'incenso benedetto.
Sac. V). "Il Signore sia con voi". 
       R). "E col tuo spirito".

Preghiera. - "O Dio, che per la nostra salute inviasti in questo mondo il tuo figliuolo Gesù Cristo Signor nostro, perché si abbassasse sino a noi onde risollevarci sino a te; a cui entrando in Gerusalemme a dar compimento alle Scritture, la turba del popolo credente coi rami di palma e con fervida devozione distese lungo il cammino le proprie vesti; ci concedi di preparargli la via della nostra fede, donde tolte via le pietre d'intoppo e gli scrupoli, distenda invece i suoi rami frondosi la giustizia per mezzo delle buone opere, affinché meritiamo di seguire le sue vestigia; Egli che vive e regna".
Durante la distribuzione delle palme o dei rami d'olivo benedetti, il coro dei cantori eseguisce le antifone seguenti tolte dal Vangelo poc'anzi recitato:
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"I fanciulli Ebrei andarono incontro al Signore con rami d'olivo, e dicevano: Salve, sino alle stelle".
Oggi i fanciulli fanno gli onori della festa, perché Dio si compiace delle anime semplici ed innocenti, ed è appunto a loro che rivela i suoi secreti.
"I fanciulli Ebrei stendevano le proprie vesti lungo la via e gridavano: Salve al Figlio di David; benedetto colui che viene nel nome del Signore".
Dopo distribuiti i rami benedetti si recita la seguente colletta, prima d'iniziare la processione:
Preghiera. - "O Dio eterno ed onnipotente, che disponesti che il Signor nostro Gesù Cristo sedesse sul polledro d'un'asina, e tu stesso insegnasti alla turba del popolo a distendere sulla via le vesti e i rami d'albero e a cantare Salve in suo onore; deh! fa che imitiamo la loro innocenza, onde meritiamo di conseguirne anche il premio. Per il medesimo Signore".
Diac. V). "Sfiliamo processionalmente e in pace". 
         R). "Nel nome di Cristo. Amen".

Segue la processione, che sebbene quest'oggi abbia un significato speciale e voglia ricordare l'entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, però è un residuo dell'antica processione stazionale e domenicale, che nel medio evo, specialmente nelle abbazie benedettine precedeva regolarmente la messa. Durante il cammino il coro dei cantori eseguisce le seguenti antifone:
Ant. "Avvicinandosi il Signore a Gerusalemme, mandò due dei suoi discepoli e disse loro: Andate al castello qui incontro, e ritroverete legato un polledro di giumenta, sul quale nessuno ancora sedé; scioglietelo e menatelo a me. Se qualcuno vi domanda, dite: Serve al Signore. Sciolto l'asinello lo condussero a Gesù, e distese sul suo dorso le loro vesti, Gesù vi sedé. Altri distesero i loro mantelli sulla via, altri la cosparsero di ramoscelli d'albero. Quelli che seguivano, gridavano: Salve, benedetto colui che viene nel nome del Signore; benedetto il regno di David, padre nostro. Salve sino alle stelle. Pietà di noi, figlio di David".
Ant. "Avendo il popolo saputo che Gesù era per giungere a Gerusalemme, presi dei rami di palme gli usci incontro. I fanciulli acclamavano: Ecco colui che viene a salvare il popolo. Questi è la nostra salvezza e la redenzione d'Israele. Quanto grande è la sua maestà cui escono incontro i Troni e le Dominazioni! Non temere.
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o figlia di Sion; ecco che viene a te il tuo re seduto su un polledro d'asina, siccome fu detto nella Scrittura: Salve, o re, artefice del mondo, che sei venuto a riscattarci".
Ant. "Sei giorni prima della solennità pasquale, quando il Signore giunse alla città di Gerusalemme, gli mossero incontro i fanciulli portando in mano rami di palme, e gridavano sino alle stelle: Salve. Benedetto sii tu che giungi qui nell'infinita tua misericordia: Salve, sino alle stelle".
Ant. "La turba muove incontro al Redentore coi fiori e colle palme, e rende il conveniente ossequio al vincitore e trionfatore; il popolo lo acclama Figlio di Dio; i gridi e le lodi del Cristo salgono in cielo. Salve, sino alle stelle".
Ant. "Mostriamoci fedeli al trionfatore della morte, insieme agli angeli ed ai bambini, ed acclamiamo: Salve, sino alle stelle".
Ant. "Un immenso popolo che s'era raccolto per la solennità della Pasqua, acclamava al Signore: Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Salve, sino alle stelle".
Segue l'inno Gloria, laus etc. colla cerimonia del crocifero che picchia alle porte del tempio per farle aprire al corteo. Come rito, Roma lo conobbe assai tardi; come simbolo, i due cori che si rispondono dentro e fuori del tempio, raffigurerebbero la lode divina che incessantemente alternano la Chiesa trionfante e quella militante.
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ALLA  MESSA
Stazione a San Giovanni in Laterano.

Al ritorno della processione segue la messa, che però ha un carattere affatto diverso dalla benedizione delle palme ed è in più intima relazione colla liturgia dei giorni precedenti. Infatti, mentre le preci e le antifone riferite più sopra acclamano il Redentore siccome trionfatore della morte e del peccato, la messa stazionale, d'ispirazione interamente romana, ne considera piuttosto gl'intimi sentimenti di profondo annientamento, d'umiliazione e di dolore, siccome vittima d'espiazione per i peccati del mondo.
La sacra liturgia di questi giorni non dissocia punto il ricordo della passione del Salvatore da quello dei trionfi della sua resurre-
zione - ecco la ragione dell'antico titolo di Hebdomada paschalis, dato già a questa settimana, e delle frequenti menzioni della santa resurrezione che ricorrono nella messa e nell'Ufficio Divino, così oggi che il venerdì santo -. Infatti, se il Pascha nostrum immolatus Christus, incomincia la sera del giovedì santo e si prosegue nella Parasceve, esso però ha il suo vero compimento nella mattina della risurrezione, allorché Colui che era mortuus propter delicta nostra, resurrexit propter iustificationem nostram. Per gli antichi il Paschale Sacramentumcomprendeva questo triplice mistero, onde essi, perfino il venerdì santo, innanzi all' adorabile Legno della Croce, già preannunziavano le glorie del Salvatore risorto. Crucem Tuam adoramus ... et sanctam resurrectionem tuam laudamus et glorificamus.
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L'introito è tolto da quel medesimo salmo 21 che intonò Gesù Cristo in croce, e che descrive cosi mirabilmente le sue sofferenze, le ignominie, i palpiti del suo cuore e le speranze per la prossima lieta risurrezione: "Signore, non allontanare da me il tuo soccorso; attendi a difendermi. Salvami dalle zanne del leone e scampa la mia debolezza dalle corna dei liocorni".
La colletta è d'una squisitezza di composizione che rivela l'aureo periodo della liturgia romana: "O Dio onnipotente ed eterno, che a dare al genere umano un esempio d'umiltà da imitarsi, disponesti che il Salvatore nostro s'incarnasse e subisse il supplizio della Croce, ci concedi d'accogliere fruttuosamente l'insegnamento della sua pazienza, onde essere a parte della sua risurrezione".
Ecco qui spiegato tutto il significato del sacro rito che dovrà compiersi durante questa settimana. Gesù crocifisso è come un libro nel quale l'anima legge tutto quello che Dio desidera da lei per divenir santa. La frase della colletta:patientiae ipsius habere documenta perde molto in energia quando viene tradotta in italiano. Essa significa che dobbiamo realizzare nella nostra vita quelle lezioni di sofferenza e di espiazione che Gesù c'impartisce dalla cattedra della croce. Viene infine la speranza della risurrezione, che la Chiesa non vuol mai disgiunta dalle sofferenze del Golgota.
La lezione è tratta dalla lettera ai Filippesi (II, 5-11) in cui san Paolo ci descrive il Cristo, il quale per nostro amore ecclissa la gloria della sua consustanzialità col Padre, prende l'abito servile ed ubbidisce a Dio sino alla morte più crudele ed infamante. Sin qui l'espiazione, ma ecco subito il trionfo e l'inizio dell'impero messianico.

Iddio col fuoco della sua divinità riscalda quelle gelide membra di Gesù che gli si erano offerte sulla Croce. Egli trasfonde in loro la propria vita, e al nome del Salvatore tracciato da Pilato sul cartello posto a titolo di ludibrio sull'asta verticale della croce attribuisce tanta gloria e tanta potenza, che diventa oggimai il simbolo di tutti i predestinati alla gloria del cielo.
Il responsorio graduale deriva dal salmo 72 e prelude già al trionfo di domenica prossima: "Per poco non stavo per vacillare, giacché mi eccitai a riguardo dei malvagi, indignato del letargo di morte in cui giacevano prostrati i peccatori. Tu però, o Padre mio, mi prendesti per mano, m'hai condotto giusta il tuo volere, e m'hai accolto con trionfo". Lo zelo di Gesù vedendo la rovina di tante e tante anime, arse di santo ardore nella sua passione; Egli affrontò impavido i nemici dell' umanità, i demoni e i loro alleati, cioè gli empi. Stava anzi per soccombere sotto i loro colpi, imperocché sulla Croce alla violenza dei tormenti l'anima sua benedetta fu separata dal corpo, il quale subì perfino l'umiliazione del sepolcro. Ma in tutto questo la mano dell'Onnipotente ha sempre guidato il suo unigenito Figliuolo; ella l'ha condotto sul sentiero della vita, e l'ha coronato colla gloria trionfale della sua risurrezione ed ascensione al cielo.
Il salmo tratto, o direttaneo, è il 21, nel quale prima si descrivono le agonie strazianti del Cristo e i suoi sentimenti d'umiltà, d'intima desolazione e di fiduciale abbandono in Dio; quindi si esalta il trionfo della redenzione messianica e si annunzia la nuova generazione, cioè la Chiesa, alla quale sarebbe diretto il messaggio evangelico.
La lezione evangelica di san Matteo contiene tutto il racconto della passione del Signore (XXVI-XXVII) dall'ultima cena cogli Apostoli sino all'apposizione dei suggelli al suo sepolcro. La qual tradizione a Roma è molto antica, essendoci attestata dagli Ordines del IX secolo.
La memoria delle pene sostenute per nostro amore da Gesù Cristo, deve conservarsi ognor viva nel nostro cuore, producendovi quei sentimenti d'amore e di gratitudine che produceva in san Paolo, quando scriveva: "Cristo mi ha amato ed ha dato se stesso per me; io vivo, ma non sono già più io che vivo, è bensì Cristo che vive in me. Io vivo nella sua fede".
Il Crocifisso ci deve insegnare sopratutto tre cose. Primo quanto grande è stato l'amore che tutta l'augusta Triade ci ha portato, sino a sacrificare per noi Gesù, l'unigenito di Dio; secondo, che orribil

cosa sia il peccato, il quale non ha potuto essere espiato altro che colla morte atrocissima del Salvatore; terzo, quanto vale l'anima propria, la quale non ha potuto essere riscattata a minor prezzo del Sangue di Gesù. Conchiudeva san Paolo la sua meditazione sulla passione di Gesù: Empti enim estis pretio magno, glorificate et portate Deum in corpore vestro.
L'antifona per l'offerta è tolta dal salmo 68, che pure prelude alla passione del Salvatore: "Venendo tra gli uomini, il mio cuore non si attese da loro che ignominie ed ingratitudine. Aspettai chi entrasse a parte della mia pena, ma indarno. Cercai chi mi consolasse, ma non ritrovai alcuno. Mi diedero in pasto del fiele, e nell'ardore della mia sete mi abbeverarono d'aceto".
Gesù ripeté questi medesimi accenti di desolazione a santa Gertrude e a santa Margarita Alacoque, manifestando il suo vivo desiderio che anime a lui particolarmente consacrate, quali i sacerdoti e le persone religiose, entrino a parte di questi suoi sentimenti, riparino, espiino con lui, e lo consolino col loro amore.
La preghiera sulle oblate, al pari di quella dopo la Comunione, derivano dalla domenica fra l'ottava di Natale che è di carattere generale.
L'antifona per la Comunione è stata tolta da san Matteo (XXVI, 42): "Padre, se non può farsi che io non sorbisca questo calice, si compia il tuo volere". Quando durante il canto di queste parole i fedeli si appressavano realmente a sorbire dal calice sostenuto dal diacono il Sangue del Cristo, essi comprendevano perfettamente che il comunicarsi è un rendersi solidari della sua passione. Nella messa infatti non è solamente Gesù Cristo che rinnova misteriosamente il suo sacrificio, ma siamo noi altresì che, sopratutto in grazia della santa Comunione, ci uniamo a lui, come le membra al capo, per umiliarci, per immolarci, per offrirci con lui, per morire nella sua morte, onde aver parte nella sua vita.
Questo calice di passione non può passar oltre da noi; è necessario che noi lo beviamo, se vogliamo vivere e compiere la volontà di Dio.

da: A. I. SCHUSTER, Liber Sacramentorum. Note storiche e liturgiche sul Messale Romano - III. Il Testamento Nuovo nel Sangue del Redentore (La Sacra Liturgia dalla Settuagesima a Pasqua), Torino-Roma, Marietti, 1933, pp. 178-189.