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domenica 24 giugno 2018

Le visioni profetiche

Le visioni profetiche

Quando Pio XII concluse il suo cammino terrestre, nel 1958 venne chiesto a Teresa Neumann chi sarebbe salito al trono pontificio. E lei, dopo una breve meditazione disse:
"Sul trono di Pietro siederà l’angelo proveniente dal mare. Porterà il nome di un papa che non fu papa e regnerà oltre il mio tempo".
La profezia si rivelò esatta, in modo impressionante. Venne eletto difatti il cardinale Angelo Roncalli, proveniente da Venezia (l’angelo proveniente dal mare). Il nuovo pontefice assunse il nome di Giovanni XXIII. Nel 1410 fu il cardinale Cossa che, dopo essersi fatto eleggere, assunse il nome di Giovanni XXIII. Ma le elezioni non erano state una libera scelta, tanto che cinque anni dopo venne dichiarato decaduto e condannato per simonia, Papa Roncalli scelse pertanto il nome di un papa che non fu papa. E il suo pontificato andò oltre il tempo terreno di Teresa. Questa morì difatti nel 1962, mentre Giovanni XXIII concluse il pontificato nel 1963.

Nel 1959 Teresa disse testualmente: "Fra dieci anni, o poco più, l’uomo guarderà la Terra dalla Luna". E nel 1969, Armstrong, il primo astronauta della storia, scese sulla luna. E, come aveva profetizzato la Veggente, "guardò il pianeta Terra, dal suo satellite". Durante una sua estasi, "vide" anche l’attentato a Giovanni Paolo II: "Ho visto il Santo Padre con le vesti macchiate di sangue, esclamò un giorno. L’ho visto su una piazza gremita di gente... Ho sentito gridare e ho sentito il rumore di un’autovettura che si stava allontanando"
E così avvenne in quel fatidico 1981, quando Ali Agca sparò in piazza San Pietro al pontefice.
La parte più significativa dei vaticini di Teresa riguardano però il nostro tempo futuro, Al termine della seconda guerra mondiale, quando le persone esultavano per la fine delle dittature (una fine che Teresa aveva profetizzato quando, alla vigilia del conflitto, venne stipulato tra l’Italia e la Germania il Patto d’Acciaio) la Veggente disse: "E' giustificata la gioia, perché l’incubo é finito.. ma la grande piaga si aprirà nel 1999 e sanguinerà per diciotto anni: sarà questo il tempo di Caino" (1999-2017).

Alcune delle sue visioni profetiche:
"Ho visto rovesciare sulla terra ceste piene di serpenti, che strisciavano sulle città e sulle campagne, distruggendo tutto.
E quando l’opera di distruzione è stata compiuta ho visto scendere sulla terra degli angeli, sotto forma di uomini".
"Il mondo intero sarà affidato a bestie orrende".

"L’ignoranza, il disprezzo per la cultura, la violenza, il lassismo, il materialismo, saranno i piedi dello scranno sul quale siederà il serpente dei serpenti.
Vedrete allora l’asino dettare legge al leone. Vedrete gli allievi insultare i loro insegnanti; vedrete la cultura bruciare sulla pubblica piazza, in nome della cultura.
Troppi leoni avranno il cuore dell’asino, e si lasceranno trarre in inganno. Ho visto il mondo affidato a bestie orrende, con la testa d’asino e il corpo da serpente. Ho visto l’orrenda strage degli uomini di pietà e degli uomini d’intelletto.
Quando poi l’epidemia avrà contaminato ogni casolare, si renderà necessaria una purificazione generale. L’acqua dovrà lavare ogni granello di sabbia che copre la terra.
Ho visto san Bernardo e tanti altri spiriti eletti ritornare sulla terra, per istruire le genti. E le genti, finalmente, sapranno fare tesoro dell’insegnamento.
E l’armonia del tutto si fonderà nella verità e nell’amore".

"Ho visto scendere dal cielo un’enorme quantità di foglie secche. E su ogni foglia c’era una scintilla di fuoco.
Un uomo che mi stava vicino, gridò a gran voce: scostatevi, perché piove la pestilenza stellare.
Molti cercarono di fuggire, ma vennero ugualmente raggiunti dalle foglie secche.
E quando una di queste si posava sulla pelle, si formava una macchia nera, e dalla macchia nera usciva uno zampillo di sangue".

"Ho visto fiumi enormi rompere gli argini, trascinando cose, uomini e cavalli. Ho visto la terra aprirsi come una vecchia ferita, e da questa sgorgare del sangue marcio... Mi sembra che la terra fosse diventata un tappeto sospeso nell’aria... Tutto tremava e sobbalzava, rendendo difficile mantenersi in equilibrio... Poi ho visto aprirsi una voragine... Ho visto aprirsi la terra, afferrare case e uomini e poi richiudersi".

"Ho visto la terra schiumeggiare come il mare. Ho visto contadini scavare alcune buche per piantare alberi, ma da queste buche usciva un liquido nerastro, schiumoso. E quando la pianta veniva messa nella terra si copriva a sua volta di schiuma. E la schiuma avanzava, come un mare in tempesta, coprendo montagne e pianure".

"Ho visto sulla strada, molta gente che respirava a fatica, mentre nel cielo si stavano addensando nubi gialle. Ho visto uomini salire sugli alberi per cercare un po’ d’aria. Ho visto uomini tagliarsi la gola, nella disperazione e nella speranza di succhiare un po’ d’aria".

"Ho visto un cimitero nel quale venivano sepolti i sogni dell’uomo. E ogni sogno aveva una lapide. E su ogni lapide c’era un epitaffio...
Su una pietra era scritto: ‘Qui giace il sogno dell’uomo, di correre più veloce del vento’. Altrove, ho visto scritto: ‘Qui giace il sogno dell’uomo di prolungare all’infinito la sua vita’. C’era poi la grande tomba, che racchiudeva il grande sogno. E l’epitaffio diceva: -Qui giace l’uomo che si credeva un dio- ".

"Ho visto un cielo pieno di stelle. Sembrava un enorme accampamento, con i fuochi accesi, in attesa dell’alba e della battaglia. A un certo punto ho visto una stella brillare di una luce eccezionale, tra il rosso e il viola.
E la stella iniziò a muoversi, e dietro a lei si accodarono tante altre stelle, tanto da formare una chioma. -Seguite la stella-, mi disse una voce...".
"Quando la purificazione sarà completata, riprenderà la vita. Ma l’uomo nuovo indosserà un abito nuovo: l’abito dell’umiltà e della fede". (Fine) 

martedì 6 dicembre 2016

I papi della mia vita

I papi della mia vita

1903-1914
Il primo Papa, quando sono nato,
era Giuseppe Sarto, il nome vero
fu Pio Decimo. Santo molto amato
del Catechismo fu vero Nocchiero.

Scrisse a Salzano il primo Catechismo
Quando era Parroco non conosciuto
Da Papa scrisse contro il modernismo.
Per tutta la Chiesa fu il Benvenuto.

1914- 1922
Il secondo, Giacomo della Chiesa,
Quindicesimo Papa Benedetto.
Nel periodo triste fu la Sua ascesa,
nella guerra mondiale venne eletto.

Si prodigò per la pace con lena,
contro tutti gli eccessi disumani,
per far cessare la grande cancrena,
sopportò calunnie e vituperi umani.

1922-1939
Fu il terzo, Achille Ratti di Desio,
salì col nome di Pio Undicesimo,
combatté il germanico vanesio
per salvare Chiesa e Cristianesimo.

A Lui m’opposi, povero ignorante,
e nell’errore mi rafforzai in Spagna.
Di corbellerie ne combinai tante.
Contro la Chiesa feci una campagna!

1939-1958
Il quarto fu Papa Eugenio Pacelli,
che prese il nome Pio Dodicesimo.
Pastore nel mondiale “casus belli”.
Lottò contro il nuovo paganesimo.

Clandestin, dalla Chiesa separato,
fui compagno nei difficili tempi
dalle fosse ardeati ne fui salvato
la Vergine m’apparve: “Lascia gli empi!”

1958-1963
Il quinto Angelo Giuseppe Roncalli,
nel millenovecentosessantuno
indisse il Concilio “Ripara falli”.
Nell’ottobre sessantadue, il Raduno.

Fu chiuso il Primo che restò aperto.
Nell’infallibil Dottrina di Fede
Papa Giovanni santamente esperto
Mostrò l’Ovile che in Roma ha Sede.

1963-1978
Il sesto Giovanni Battista Montini
Col nome dell’Apostol, Paolo Sesto.
Continuò il Concilio tra gli spini.
E al mondo il suo pensier fu manifesto.

L’unità dei Cristiani, cosa buona,
chi è uscito può rientrare,
la Chiesa è Madre, salva e perdona
ma eresia ed error devon lasciare.

1978-1978
Settimo il gioioso Albino Luciani
Giovanni Paolo in romana Sede,
non gustò molto il Seggio dei Romani.
Restò Papa poco, con tanta Fede.

Stavo all’udienza. Fece Catechismo,
interrogò i bambini: “Chi è Dio?”
Al Ciel voleva senza accademismi
portare l’anime senza sciupio.

1978...
L’ottavo Karol Wojtyla il “Polacco”
chiamato Giovanni Paolo Secondo,
malgrado l’età mette tutti... in sacco
girando missionario tutto il mondo.

Nel settantacinque, innanzi alla Grotta,
a Lui Cardinale raccolto in preghiera,
parlai della catechistica lotta:
“Odiavo la Chiesa, ora so ch’è vera!”


AVE MARIA PURISSIMA
VERGINE DELLA RIVELAZIONE

sabato 6 agosto 2016

Non inventa la Chiesa, ma trasmette

CHI TORNA AL SUO PASSATO, NON ESCE DALLA CHIESA



 Nei momenti di confusione pericolosa occorre fare un passo indietro.

 Non si fa forse proprio così nella vita? Di fronte a una situazione confusa, difficile da districare, che ci rende preoccupati e perplessi, ci si ferma e poi si fa un passo indietro, astenendosi dall'avanzare nel pericolo.

  È anche ciò che abbiamo fatto nella fede. Sì, crediamo che l'immagine rende idea delle nostre scelte.

  Amiamo la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo e nostra Madre, amiamo il Papa e il Vescovo, ma di fronte all'evidente confusione della vita cristiana intorno a noi, ci rifiutiamo di avanzare nell'ambiguità e nell'incertezza e domandiamo la grazia di restare nel cristianesimo sicuro.

  In fondo la nostra posizione è tutta qui. Per questo riteniamo, e abbiamo sempre ritenuto, di non  essere nella disobbedienza.

  Saremmo nella disobbedienza se inventassimo un “altro cristianesimo”, se ci inventassimo “una nostra messa”, una “nostra pastorale”, un “nostro catechismo”, se riconoscessimo degli “altri superiori” fuori da quelli che la Chiesa ci ha dato nel Papa e nel Vescovo.

  No, noi non facciamo nulla di tutto questo. Semplicemente, giudicando piena di confusione e di pericolo la nuova pastorale, il nuovo rito della messa, la nuova catechesi, ci avvaliamo del diritto che la Chiesa ha sempre riconosciuto alle anime nei momenti di crisi: ci atteniamo alla precedente prassi e dottrina della Chiesa, a quella sicura, a quella prima dello scoppio della crisi.

  Infatti, per la Messa, non andiamo a cercare chissà quale rito arcaico, ma ci atteniamo al Messale del 1962, quello promulgato da Papa Giovanni XXIII, perché le lievi modifiche e aggiunte apportate in quella riforma non hanno nella sostanza intaccato la Messa Romana di sempre. Non andiamo a cercare ciò che ci piace, ma obbediamo alle riforme della Chiesa, quelle sicure e solo a quelle sicure. E così facciamo per tutti gli altri aspetti della disciplina sui sacramenti e per tutto l'apostolato.

  Così facendo, siamo certi di non andare fuori dalla Chiesa, che è la stessa ieri e oggi. Non ci sono due Chiese, una prima e l'altra dopo il Concilio. No, ce n'è una sola! Ci sono invece, nella stessa Chiesa, riforme accettabili e riforme non accettabili; sono inaccettabili in coscienza le riforme che mettono in pericolo la fede e la vita cristiana. E siccome la Fede è il bene supremo, non è concesso a nessuno nella Chiesa esporla al pericolo.

  Sappiamo, ne siamo coscienti, di esprimere un giudizio severo sulle svolte della “chiesa moderna”.

  D'altronde, ad uno sguardo spassionato, gli esiti disastrosi dell' “ammodernamento” della Chiesa di questi ultimi decenni sono innegabili. L'ultima riforma del messale e conseguentemente di tutta la vita cattolica sta uccidendo il cattolicesimo nei nostri paesi. Negarlo è pura ideologia.

  Chiediamo e viviamo la libertà dei figli di Dio, che amando la Santa Madre Chiesa, dicono ai suoi legittimi Pastori: noi continuiamo su quello che ci avete insegnato un tempo, e continuando nella Tradizione siamo certi di contribuire, nonostante la nostra povertà, alla edificazione della Chiesa stessa.

  Uniamo così due atteggiamenti che in coscienza ci sembrano non disgiungibili:

  - un grande amore e rispetto per la Chiesa

  - una vigilanza per non mischiare mai la grande Tradizione della Chiesa con le ambiguità delle riforme post-conciliari, e questo non soltanto nel rito della messa.

  Amore e severità, insieme.

  Anche perché amare la Chiesa non in astratto, significa preservare il suo tesoro costituito dalla Rivelazione divina, Tradizione e Scrittura insieme. Ma la Rivelazione si è declinata e trasmessa in ciò che la Chiesa ha sempre creduto e praticato, a partire dalla Messa Cattolica.

  Sbaglia chi, avendo capito il terribile pericolo interno al Cattolicesimo attuale, piange in privato ma non interviene per rispetto alla Chiesa. Ama davvero chi la Chiesa la difende.

  Ciò che appare disobbedienza non lo è. È invece il più grande servizio che un credente possa fare alla Sua Madre.

  Chi parla di disobbedienza parlando dei “Tradizionalisti” (termine non bello, ma lo usiamo per capirci), lo fa per ignoranza: pensa che la Chiesa abbia una autorità assoluta su tutto. No, la Chiesa obbedisce a Gesù Cristo, ne è il suo corpo; deve custodire ciò che il Signore le ha consegnato, Verità e Grazia. Non inventa la Chiesa, ma trasmette.

  Per questo non può essere illegittimo decidere di stare nella Tradizione più sicura.

  Non esce dalla Chiesa chi sta al suo passato, ne esce chi inventa un cristianesimo nuovo.

Editoriale "Radicati nella fede" - Anno VII n° 8 - Agosto 2014

AMDG et BVM


venerdì 30 gennaio 2015

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI NELLA VISITA PASTORALE A LORETO , 4.X,2012 !!!!!

SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Piazza della Madonna di Loreto
Giovedì, 4 ottobre 2012

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’episcopato,
cari fratelli e sorelle!



Il 4 ottobre del 1962, il Beato Giovanni XXIII venne in pellegrinaggio a questo Santuario per affidare alla Vergine Maria il Concilio Ecumenico Vaticano II, che si sarebbe inaugurato una settimana dopo. In quella occasione, egli, che nutriva una filiale e profonda devozione alla Madonna, si rivolse a lei con queste parole: 




«Oggi, ancora una volta, ed in nome di tutto l’episcopato, a Voi, dolcissima Madre, che siete salutata Auxilium Episcoporum, chiediamo per Noi, Vescovo di Roma e per tutti i Vescovi dell’universo di ottenerci la grazia di entrare nell’aula conciliare della Basilica di San Pietro come entrarono nel Cenacolo gli Apostoli e i primi discepoli di Gesù: un cuor solo, un palpito solo di amore a Cristo e alle anime, un proposito solo di vivere e di immolarci per la salvezza dei singoli e dei popoli. Così, per la vostra materna intercessione, negli anni e nei secoli futuri, si possa dire che la grazia di Dio ha prevenuto, accompagnato e coronato il ventunesimo Concilio Ecumenico, infondendo nei figli tutti della Santa Chiesa nuovo fervore, slancio di generosità, fermezza di propositi» (AAS 54 [1962], 727).

A distanza di cinquant’anni, dopo essere stato chiamato dalla divina Provvidenza a succedere sulla cattedra di Pietro a quel Papa indimenticabile, anch’io sono venuto qui pellegrino per affidare alla Madre di Dio due importanti iniziative ecclesiali: l’Anno della fede, che avrà inizio tra una settimana, l’11 ottobre, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, e l’Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, da me convocata nel mese di ottobre sul tema «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». 

Cari amici! A voi tutti porgo il mio più cordiale saluto. Ringrazio l’Arcivescovo di Loreto, Mons. Giovanni Tonucci, per le calorose espressioni di benvenuto. Saluto gli altri Vescovi presenti, i Sacerdoti, i Padri Cappuccini, ai quali è affidata la cura pastorale del santuario, e le Religiose. Rivolgo un deferente pensiero al Sindaco, Dott. Paolo Niccoletti, che pure ringrazio per le sue cortesi parole, al Rappresentante del Governo ed alle Autorità civili e militari presenti. E la mia riconoscenza va a tutti coloro che hanno generosamente offerto la loro collaborazione per la realizzazione di questo mio Pellegrinaggio.

Come ricordavo nella Lettera Apostolica di indizione, attraverso l’Anno della fede «intendo invitare i Confratelli Vescovi di tutto l’orbe perché si uniscano al Successore di Pietro, nel tempo di grazia spirituale che il Signore ci offre, per fare memoria del dono prezioso della fede» (Porta fidei, 8). E proprio qui a Loreto abbiamo l’opportunità di metterci alla scuola di Maria, di lei che è stata proclamata «beata» perché «ha creduto» (Lc 1,45). 


Questo Santuario, costruito attorno alla sua casa terrena, custodisce la memoria del momento in cui l’Angelo del Signore venne da Maria con il grande annuncio dell’Incarnazione, ed ella diede la sua risposta. 

Questa umile abitazione è una testimonianza concreta e tangibile dell’avvenimento più grande della nostra storia: l’Incarnazione; il Verbo si è fatto carne, e Maria, la serva del Signore, è il canale privilegiato attraverso il quale Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). 



Maria ha offerto la propria carne, ha messo tutta se stessa a disposizione della volontà di Dio, diventando «luogo» della sua presenza, «luogo» in cui dimora il Figlio di Dio. Qui possiamo richiamare le parole del Salmo con le quali, secondo la Lettera agli Ebrei, Cristo ha iniziato la sua vita terrena dicendo al Padre: «Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato…Allora ho detto: “Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”» (10,5.7). 



Maria dice parole simili di fronte all’Angelo che le rivela il piano di Dio su di lei: «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). La volontà di Maria coincide con la volontà del Figlio nell’unico progetto di amore del Padre e in lei si uniscono cielo e terra, Dio creatore e la sua creatura. Dio diventa uomo, Maria si fa «casa vivente» del Signore, tempio dove abita l’Altissimo. 



Il Beato Giovanni XXIII cinquant’anni fa, qui a Loreto, invitava a contemplare questo mistero, a «riflettere su quel congiungimento del cielo con la terra, che è lo scopo dell’Incarnazione e della Redenzione», e continuava affermando che lo stesso Concilio aveva come scopo di estendere sempre più il raggio benefico dell’Incarnazione e Redenzione di Cristo in tutte le forme della vita sociale (cfr AAS 54 [1962], 724). 

E’ un invito che risuona oggi con particolare forza. Nella crisi attuale che interessa non solo l’economia, ma vari settori della società, l’Incarnazione del Figlio di Dio ci dice quanto l’uomo sia importante per Dio e Dio per l’uomo. Senza Dio l’uomo finisce per far prevalere il proprio egoismo sulla solidarietà e sull’amore, le cose materiali sui valori, l’avere sull’essere. 

Bisogna ritornare a Dio perché l’uomo ritorni ad essere uomo. Con Dio anche nei momenti difficili, di crisi, non viene meno l’orizzonte della speranza: l’Incarnazione ci dice che non siamo mai soli, Dio è entrato nella nostra umanità e ci accompagna.



Ma il dimorare del Figlio di Dio nella «casa vivente», nel tempio, che è Maria, ci porta ad un altro pensiero: dove abita Dio, dobbiamo riconoscere che tutti siamo «a casa»; dove abita Cristo, i suoi fratelli e le sue sorelle non sono più stranieri. Maria, che è madre di Cristo è anche nostra madre, ci apre la porta della sua Casa, ci guida ad entrare nella volontà del suo Figlio. È la fede, allora, che ci dà una casa in questo mondo, che ci riunisce in un’unica famiglia e che ci rende tutti fratelli e sorelle.

Contemplando Maria, dobbiamo domandarci se anche noi vogliamo essere aperti al Signore, se vogliamo offrire la nostra vita perché sia una dimora per Lui; oppure se abbiamo paura che la presenza del Signore possa essere un limite alla nostra libertà, e se vogliamo riservarci una parte della nostra vita, in modo che possa appartenere solo a noi. Ma è proprio Dio che libera la nostra libertà, la libera dalla chiusura in se stessa, dalla sete di potere, di possesso, di dominio, e la rende capace di aprirsi alla dimensione che la realizza in senso pieno: quella del dono di sé, dell’amore, che si fa servizio e condivisione.

La fede ci fa abitare, dimorare, ma ci fa anche camminare nella via della vita. Anche a questo proposito, la Santa Casa di Loreto conserva un insegnamento importante. 


Come sappiamo, essa fu collocata sopra una strada. La cosa potrebbe apparire piuttosto strana: dal nostro punto di vista, infatti, la casa e la strada sembrano escludersi. In realtà, proprio in questo particolare aspetto, è custodito un messaggio singolare di questa Casa. Essa non è una casa privata, non appartiene a una persona o a una famiglia, ma è un’abitazione aperta a tutti, che sta, per così dire, sulla strada di tutti noi. Allora, qui a Loreto, troviamo una casa che ci fa rimanere, abitare, e che nello stesso tempo ci fa camminare, ci ricorda che siamo tutti pellegrini, che dobbiamo essere sempre in cammino verso un’altra abitazione, verso la casa definitiva, verso la Città eterna, la dimora di Dio con l’umanità redenta (cfr Ap 21,3).



C’è ancora un punto importante del racconto evangelico dell’Annunciazione che vorrei sottolineare, un aspetto che non finisce mai di stupirci: Dio domanda il «sì» dell’uomo, ha creato un interlocutore libero, chiede che la sua creatura Gli risponda con piena libertà. 
San Bernardo di Chiaravalle, in uno dei suoi Sermoni più celebri, quasi «rappresenta» l’attesa da parte di Dio e dell’umanità del «sì» di Maria, rivolgendosi a lei con una supplica: «L’angelo attende la tua risposta, perché è ormai tempo di ritornare a colui che lo ha inviato… O Signora, da’ quella risposta, che la terra, che gli inferi, anzi, che i cieli attendono. Come il Re e Signore di tutti desiderava vedere la tua bellezza, così egli desidera ardentemente la tua risposta affermativa… Alzati, corri, apri! Alzati con la fede, affrettati con la tua offerta, apri con la tua adesione!» (In laudibus Virginis MatrisHom. IV, 8: Opera omnia, Edit. Cisterc. 4, 1966, p. 53s). 
Dio chiede la libera adesione di Maria per diventare uomo. Certo, il «sì» della Vergine è frutto della Grazia divina. Ma la grazia non elimina la libertà, al contrario, la crea e la sostiene. La fede non toglie nulla alla creatura umana, ma ne permette la piena e definitiva realizzazione.



Cari fratelli e sorelle, in questo pellegrinaggio che ripercorre quello del Beato Giovanni XXIII - e che avviene, provvidenzialmente, nel giorno in cui si fa memoria di san Francesco di Assisi, vero «Vangelo vivente»
vorrei affidare alla Santissima Madre di Dio tutte le difficoltà che vive il nostro mondo alla ricerca di serenità e di pace, i problemi di tante famiglie che guardano al futuro con preoccupazione, i desideri dei giovani che si aprono alla vita, le sofferenze di chi attende gesti e scelte di solidarietà e di amore. 
Vorrei affidare alla Madre di Dio anche questo speciale tempo di grazia per la Chiesa, che si apre davanti a noi. 

Tu, Madre del «sì», che hai ascoltato Gesù, parlaci di Lui, raccontaci il tuo cammino per seguirlo sulla via della fede, aiutaci ad annunciarlo perché ogni uomo possa accoglierlo e diventare dimora di Dio. Amen!




AMDG et BVM

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana

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sabato 27 settembre 2014

Beato Giovanni XXIII




La richiesta paterna ed amorevole di Papa Giovanni, affinché



in chiesa non si battano le mani e non si urli



perché la Chiesa è "Tempio di Dio".



http://www.aleteia.org/it/video/quando-giovanni-xxiii-chiese-di-non-battere-la-mani-in-chiesa-5872759703863296

giovedì 25 settembre 2014

B. GIOVANNI XXIII "SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA"

B. GIOVANNI XXIII
"SACERDOTII NOSTRI PRIMORDIA"

NEL XI CENTENARIO DEL PIISSIMO TRANSITO
DEL SANTO CURATO D'ARS
LETTERA ENCICLICA
(1 Agosto 1959)

Giovanni XXIII Curato d'Ars

Ai Venerabili Fratelli
Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi
e agli altri Ordinari
aventi pace e comunione con la Sede Apostolica
Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Introduzione
Significative coincidenze
Le purissime gioie che accompagnarono copiosamente le primizie del Nostro sacerdozio sono per sempre legate, nella Nostra memoria, alla emozione profonda che Noi provammo l'8 gennaio 1905 nella Basilica Vaticana, in occasione della gloriosa beatificazione di quell'umile prete di Francia che fu Giovanni Maria Battista Vianney. Noi pure elevati al sacerdozio da alcuni mesi appena, fummo colpiti dall'ammirabile figura sacerdotale che il Nostro predecessore san Pio X, l'antico parroco di Salzano, era tanto felice di proporre come modello a tutti i pastori di anime. E, a tanti anni di distanza, non possiamo richiamare questo ricordo senza ringraziare ancora come di un'insigne grazia il Nostro Divino Redentore, per lo slancio spirituale impresso in tal modo, fin dall'inizio, alla Nostra vita sacerdotale.

Ricordiamo ancora che, il giorno stesso di quella beatificazione, venimmo a conoscenza dell'elevazione all'episcopato di Mons. Giacomo Maria Radini-Tedeschi, il grande Vescovo che doveva, dopo alcuni giorni, chiamarCi al suo servizio e che fu per Noi maestro e padre carissimo. E fu in sua compagnia che, sugli inizi di quello stesso anno 1905, Ci recavamo per la prima volta in pellegrinaggio ad Ars, il modesto villaggio che il suo Santo Curato rese per sempre così celebre.

Per una nuova disposizione della Provvidenza, nell'anno in cui ricevevamo la pienezza del sacerdozio, il Papa Pio XI di gloriosa memoria, il 31 maggio 1925, procedeva alla solenne canonizzazione del " povero Curato d'Ars ". Nella sua omelia il Pontefice si compiaceva di descrivere " l'esile figura corporea di Giovanni Battista Vianney, la testa risplendente di una specie di bianca corona di lunghi capelli, il volto gracile e disfatto pei digiuni, dal quale talmente traspariva l'innocenza e la santità di un animo umilissimo e soavissimo che, al primo aspetto, le moltitudini venivano richiamate a pensieri salutari ". Poco dopo, lo stesso Pontefice, nell'anno del suo giubileo sacerdotale, completava il gesto già compiuto da San Pio X verso i parroci di Francia ed estendeva al mondo intero il celeste patrocinio di San Giovanni Maria Vianney " per promuovere il bene spirituale dei parroci in tutto il mondo ".

Questi atti dei Nostri Predecessori, legati a tanti cari ricordi personali, amiamo richiamare, Venerabili Fratelli, in questo Centenario della morte del Santo Curato d'Ars.
Il 4 agosto 1859, infatti, egli rese l'anima a Dio, consumato dalle fatiche di un eccezionale ministero pastorale di oltre quarant'anni e oggetto di unanime venerazione. E benediciamo la divina Provvidenza, che per due volte già volle rallegrare e illuminare le ore solenni della Nostra vita sacerdotale con lo splendore della santità del Curato d'Ars, perché ci offre nuovamente, fin dai primi tempi di questo supremo Pontificato, l'occasione di celebrare la memoria tanto gloriosa di questo pastore di anime. Non vi meraviglierete, d'altra parte, se, nell'indirizzarvi questa Lettera, il Nostro spirito e il Nostro cuore si rivolgono in modo speciale ai sacerdoti, Nostri figli carissimi, per esortarli tutti insistentemente - e soprattutto quelli che sono impegnati nel ministero pastorale - a meditare gli ammirabili esempi di un loro confratello nel sacerdozio, divenuto loro celeste patrono.
Insegnamenti di questo Centenario.
Sono certo numerosi i documenti pontifici che già richiamano ai sacerdoti le esigenze del loro stato e li guidano nell'esercizio del loro ministero. Per non ricordare se non i più importanti, raccomandiamo nuovamente l'Esortazione Haerent animo di San Pio X, che stimolò il fervore dei Nostri primi anni di sacerdozio, la magistrale enciclica Ad Catholici Sacerdotii fastigium di Pio XI e, tra tanti documenti e allocuzioni del Nostro immediato predecessore sul sacerdote, la sua esortazione Menti Nostrae, nonché l'ammirabile trilogia in onore del sacerdozio, che gli fu suggerita dalla canonizzazione di san Pio X. Tali testi, Venerabili Fratelli, vi sono noti. Ma ci permetterete di ricordare qui con l'animo commosso l'ultimo discorso che la morte impedì a Pio XII di pronunciare e che rimane come l'estremo e solenne appello di questo grande Pontefice alla santità sacerdotale: " Il carattere sacramentale dell'Ordine - vi è scritto - sigilla da parte di Dio un patto eterno del suo amore di predilezione, che esige dalla creatura prescelta il contraccambio della santificazione... il chierico sarà un prescelto tra il popolo, un privilegiato dei carismi divini, un depositario del potere divino, in una parola un alter Christus... Egli non si appartiene, come non appartiene a parenti, amici, neppure ad una determinata patria: la carità universale sarà il suo respiro. Gli stessi pensieri, volontà, sentimenti non sono suoi; ma di Cristo, sua vita ".

Verso queste vette della santità sacerdotale San Giovanni Maria Vianney tutti ci spinge, e noi siamo lieti di invitarvi i sacerdoti di oggi; perché se sappiamo le difficoltà che essi incontrano nella loro vita personale e negli oneri del ministero, se non ignoriamo le tentazioni e le stanchezze di alcuni, la nostra esperienza ci dice altresì la fedeltà coraggiosa della grande maggioranza e le ascensioni spirituali dei migliori. Agli uni come agli altri il Signore rivolse, nel giorno dell'Ordinazione, questa frase piena di tenerezza: " Iam non dicam vos servos, sed amicos! " (cf Gv 15,15). Possa questa Nostra Lettera Enciclica aiutarli tutti a perseverare e crescere in quest'amicizia divina, che costituisce la gioia e la forza di ogni vita sacerdotale.
Scopo dell'Enciclica
Non è nostra intenzione, Venerabili Fratelli, affrontare qui tutti gli aspetti della vita sacerdotale contemporanea; anzi, sull'esempio di San Pio X, " non diremo cose da voi mai udite o nuove per qualcuno, ma semplicemente cose che conviene a tutti ricordare ". Nel delineare, infatti, i tratti della santità del Curato d'Ars, saremo condotti a porre in rilievo alcuni aspetti della vita sacerdotale, che in tutti i tempi sono essenziali, ma acquistano tanta importanza ai nostri giorni che stimiamo un dovere del Nostro mandato apostolico insistervi in modo speciale in occasione di questo Centenario.

La Chiesa, che ha glorificato questo sacerdote " mirabile per lo zelo pastorale e per un desiderio ininterrotto di preghiera e penitenza ", oggi, a un secolo dopo la sua morte, ha la gioia di presentarlo ai sacerdoti di tutto il mondo come modello di ascesi sacerdotale, modello di pietà e soprattutto di pietà eucaristica, e modello di zelo pastorale.
                                                     



Prima Parte
ASCESI SACERDOTALE

Parlare di San Giovanni Maria Vianney è richiamare la figura di un sacerdote straordinariamente mortificato, che, per amore di Dio e per la conversione dei peccatori, si privava di nutrimento e di sonno, s'imponeva rudi discipline e praticava soprattutto la rinunzia di se stesso in grado eroico. Se è vero che non è generalmente richiesto ai fedeli di seguire questa via eccezionale, tuttavia la Divina Provvidenza ha disposto che nella Chiesa non mancassero mai pastori di anime che, mossi dallo Spirito Santo, non esitano ad incamminarsi per questo sentiero, poiché sono tali uomini specialmente che operano miracoli di conversioni. A tutti l'ammirabile esempio di rinunzia del Curato d'Ars, " severo con sé e dolce con gli altri ", richiama in modo eloquente e pressante il posto primordiale dell'ascesi della vita sacerdotale.


Consigli evangelici e santità sacerdotale
Il Nostro Predecessore Pio XII, volendo chiarire maggiormente questa dottrina e dissipare alcuni equivoci, tenne a precisare essere falso affermare " che lo stato clericale - in quanto tale e in quanto procede dal diritto divino - per sua natura o almeno per un postulato della stessa natura, esiga che siano osservati dai suoi membri i consigli evangelici ". E il Papa conclude giustamente: " Il chierico dunque non è obbligato per diritto divino ai consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza ". Ma sarebbe sbagliare enormemente sul pensiero di questo Pontefice, tanto sollecito della santità dei sacerdoti, e sull'insegnamento costante della Chiesa, credere pertanto che il sacerdote secolare sia chiamato alla perfezione meno del religioso. Anzi è vero il contrario, perché per il compimento delle funzioni sacerdotali " si richiede una santità interiore maggiore di quella richiesta anche dallo stato religioso ". E se, per raggiungere questa santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è imposta al sacerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a lui, come a tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione cristiana. Del resto, con grande Nostra consolazione, quanti sacerdoti generosi l'hanno oggi compreso giacché, pur rimanendo tra le file del clero secolare, domandano a pie associazioni approvate dalla Chiesa di essere guidati e sostenuti nelle vie della perfezione!

Persuasi che " la grandezza del sacerdote consiste nell'imitazione di Gesù Cristo ", i sacerdoti saranno dunque più che mai attenti agli appelli del divino Maestro: " Se qualcuno vuol seguirmi, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua " (Mt 16,24). Il Santo Curato d'Ars, vien riferito, " aveva meditato spesso questa frase di Nostro Signore e cercava di metterla in pratica ". Dio gli fece la grazia di restarvi eroicamente fedele; e il suo esempio ci guida ancora nelle vie dell'ascesi, in cui brilla di grande splendore per la sua povertà, castità e ubbidienza.
San Giovanni M. Vianney, esempio mirabile di povertà evangelica
Anzitutto osservate la povertà dell'umile Curato d'Ars, degno emulo di San Francesco d'Assisi, di cui fu nel Terz'Ordine un fedele discepolo. Ricco per dare agli altri, ma povero per sé, visse in un totale distacco dai beni di questo mondo e il suo cuore veramente libero si apriva largamente a tutte le miserie materiali e spirituali che affluivano a lui. " Il mio segreto - egli diceva - è semplicissimo: Dare tutto e non conservare niente ". Il suo disinteresse lo rendeva premuroso verso i poveri, soprattutto quelli della parrocchia, ai quali dimostrava un'estrema delicatezza, trattandoli " con vera tenerezza, con molti riguardi, si deve dire con rispetto ". Raccomandava che non bisogna mai mancare di riguardo ai poveri, perché tale mancanza ricade su Dio; e quando i miseri bussavano alla porta, egli era felice di poter loro dire, accogliendoli con bontà: " Io sono povero come voi; sono oggi uno dei vostri! ". Alla fine della vita amava ripetere: " Sono contentissimo: non ho più niente e il buon Dio può chiamarmi quando vorrà ".
Applicazioni per i sacerdoti di oggi
Potrete da ciò comprendere, Venerabili Fratelli, che con affetto esortiamo i nostri cari figli del sacerdozio cattolico a meditare un tale esempio di povertà e di carità. " L'esperienza quotidiana attesta - scriveva Pio XI pensando appunto al Santo Curato d'Ars - che i sacerdoti di vita modesta i quali, secondo la dottrina evangelica, non cercano in nessuna maniera i propri interessi, apportano mirabili benefici al popolo cristiano ". E lo stesso Pontefice, considerando la società contemporanea, rivolgeva anche ai sacerdoti questo grave monito: " Mentre si vedono gli uomini vendere e negoziare tutto per il denaro, procedano essi disinteressatamente attraverso le attrattive dei vizi; e respingendo santamente l'indegna cupidigia del guadagno, non cerchino l'utile pecuniario, ma quello delle anime, bramino e chiedano la gloria di Dio e non la loro ".

Queste parole devono essere scolpite nel cuore di tutti i sacerdoti. Se ve ne sono che possiedono legittimamente beni personali, non vi si attacchino. Si ricordino piuttosto dell'obbligo enunciato dal Codice di Diritto Canonico, a proposito dei benefici ecclesiastici, " di destinare il superfluo ai poveri e alle cause pie ". E voglia Dio che nessuno meriti il rimprovero fatto dal Santo Curato alle sue pecorelle: " Quanti hanno denaro che tengono serrato, mentre tanti poveri muoiono di fame! ". Ma Noi sappiamo che molti sacerdoti oggi vivono effettivamente in condizioni di reale povertà. La glorificazione di uno di loro, che volontariamente visse tanto spogliato e si rallegrava al pensiero di essere il più povero della parrocchia, sarà per essi un provvidenziale incoraggiamento a rinnegare se stessi nella pratica di una povertà evangelica. E se la Nostra paterna sollecitudine può essere loro di qualche conforto, sappiano che noi vivamente godiamo del loro disinteresse nel servizio di Cristo e della Chiesa.

Certamente, nel raccomandare questa santa povertà, non intendiamo affatto, Venerabili Fratelli, approvare la miseria, nella quale sono talora ridotti i ministri del Signore nelle città o nelle campagne. Nel commento su l'esortazione del Signore al distacco dai beni di questo mondo, San Beda Venerabile ci mette precisamente in guardia da ogni interpretazione abusiva: " Non bisogna credere - scrive egli - che sia comandato ai santi di non conservare denaro ad uso proprio o dei poveri; perché si legge che il Signore stesso per formare la sua chiesa aveva una cassa...; ma piuttosto che non si serva Dio per questo né rinunzi alla giustizia per timore della povertà ". D'altronde l'operaio ha diritto alla sua mercede: e Noi, facendo nostre le sollecitudini del nostro immediato precedessore, domandiamo instantemente a tutti i fedeli di rispondere con generosità all'appello dei Vescovi, giustamente premurosi di assicurare ai loro collaboratori convenienti risorse.
La sua castità angelica
San Giovanni Maria Vianney, povero di beni, fu ugualmente mortificato nella carne. " Non vi è che una maniera di darsi a Dio nell'esercizio della rinunzia e del sacrificio - egli diceva - darsi cioè interamente ". E in tutta la sua vita praticò in grado eroico l'ascesi della castità.
Il suo esempio su questo punto sembra particolarmente opportuno, perché in molte regioni, purtroppo, i sacerdoti sono costretti a vivere, a motivo del loro ufficio, in un mondo in cui regna un'atmosfera di eccessiva libertà e sensualità. Ed è troppo vera per essi la espressione di San Tommaso: " E' alquanto difficile vivere bene nella cura delle anime a causa dei pericoli esteriori ". Spesso, inoltre, essi sono moralmente soli, poco compresi, poco sostenuti dai fedeli, cui si dedicano. A tutti, specialmente ai più isolati e ai più esposti, Noi rivolgiamo qui un caldissimo appello perché la loro vita intera sia una chiara testimonianza resa a questa virtù che San Pio X chiamava " ornamento insigne dell'Ordine nostro ". E vi raccomandiamo con viva insistenza, Venerabili Fratelli, di procurare ai vostri sacerdoti, nel miglior modo possibile, condizioni di vita e di lavoro tale da sostenere la loro generosità. Bisogna cioè ad ogni costo combattere i pericoli dell'isolamento, denunciare le imprudenze, allontanare le tentazioni dell'ozio o i rischi dell'esagerata attività. Ci si ricordi ugualmente a questo riguardo dei magnifici insegnamenti del Nostro Predecessore nell'enciclica Sacra virginitas.

" La castità brillava nel suo sguardo ", è stato detto del Curato d'Ars. Realmente chi si pone alla sua scuola è colpito non solo dall'eroismo con cui questo sacerdote ridusse in servitù il suo corpo (cf 1 Cor 9,27), ma anche dall'accento di convinzione con cui egli riusciva a trascinare dietro di sé la moltitudine dei suoi penitenti. Egli conosceva, attraverso una lunga pratica del confessionale, le tristi rovine dei peccati della carne: " Se non ci fossero alcune anime pure per ricompensare Dio, sospirava..., vedreste come saremmo puniti! ". E parlando per esperienza, aggiungeva al suo appello un incoraggiamento fraterno: " La mortificazione ha un balsamo e dei sapori di cui non si può fare a meno quando li si abbia una volta conosciuti... In questa via quello che costa è solo il primo passo! ".

Questa ascesi necessaria della castità, lungi dal chiudere il sacerdote in uno sterile egoismo, rende il suo cuore più aperto e più pronto a tutte le necessità dei suoi fratelli: " Quando il cuore è puro - diceva ottimamente il Curato d'Ars - non può fare a meno di amare, poiché ha ritrovato la sorgente dell'amore che è Dio ". Quale beneficio per la società ave-e nel suo seno uomini che, liberi dalle preoccupazioni temporali, si consacrano completamente al servizio divino e dedicano ai propri fratelli la loro vita, i loro pensieri e le loro energie! Quale grazia sono per la Chiesa i sacerdoti fedeli a questa eccelsa virtù! Con Pio XI Noi la consideriamo come la gloria più pura del sacerdozio cattolico, e " per quanto riguarda le anime sacerdotali, Ci sembra rispondere nella maniera più degna e conveniente ai disegni e desideri del Sacratissimo Cuore di Gesù ". Pensava a questo disegno dell'amore divino il Santo Curato d'Ars, quando esclamava: " Il sacerdozio, ecco l'amore del Cuore di Gesù! ".
Il suo spirito di obbedienza
Sullo spirito di obbedienza del Santo le testimonianze sono innumerevoli, giacché si può veramente affermare che per lui l'esatta fedeltà al promitto dell'Ordinazione fu l'occasione di una rinuncia continua durata quarant'anni. Per tutta la sua vita, infatti, egli aspirò alla solitudine di un santo ritiro e le responsabilità pastorali furono per lui un fardello troppo pesante, di cui tentò anche più volte di liberarsi. Ma la sua obbedienza totale al Vescovo fu ancora più ammirabile. Ascoltiamo, Venerabili Fratelli, alcuni testimoni della sua vita: " Dall'età di quindici anni - dice uno di essi - questo desiderio (della solitudine) era nel suo cuore per tormentarlo e sottrargli le gioie che avrebbe potuto gustare nella sua posizione "; ma " Dio non permise - attesta un altro - che egli potesse realizzare il suo disegno. La divina Provvidenza voleva senza dubbio che, sacrificando il proprio gusto all'obbedienza, il piacere al dovere, già M. Vianney avesse continua occasione di vincersi "; " M. Vianney - conclude un terzo - restò Curato d'Ars con un'obbedienza cieca, e vi è rimasto fino alla morte ".

Questa totale adesione alla volontà dei suoi Superiori era, conviene precisarlo, interamente soprannaturale nel motivo; era un atto di fede nella parola di Cristo che dice ai suoi Apostoli: " Chi ascolta voi, ascolta me " (Lc 10,16) e, per restarvi fedele, si esercitava a rinunziare abitualmente alla sua volontà nell'accettare il pesante ministero del confessionale e in tutti gli altri compiti quotidiani, in cui la collaborazione tra confratelli rende l'apostolato più fruttuoso.
Ci piace proporre come esempio ai sacerdoti questa rigida obbedienza, nella fiducia che essi ne comprenderanno tutta la grandezza e ne acquisteranno il gusto spirituale. E, se mai fos- sero tentati di dubitare dell'importanza di questa virtù capitale, tanto facilmente misconosciuta oggi, sappiano di aver contro le chiare e decise affermazioni di Pio XII, il quale attestava che " la santità della vita di ciascuno e l'efficacia dell'apostolato si basano e poggiano, come su solido fondamento, sul rispetto costante e fedele per la sacra gerarchia". Del resto voi ricordate, Venerabili Fratelli, con che forza i nostri ultimi predecessori hanno denunziato i gravi pericoli dello spirito di indipendenza in seno al clero, tanto per l'insegnamento dottrinale, quanto per i metodi di apostolato e per la disciplina ecclesiastica.

Noi non vogliamo insistere oltre su questo punto, ma preferiamo esortare i Nostri figli sacerdoti a sviluppare in sé il senso filiale della loro appartenenza alla Chiesa, nostra Madre. Si diceva del Curato d'Ars che non viveva che nella Chiesa e per la Chiesa, come un fuscello di paglia posto in un braciere ardente. Sacerdoti di Gesù Cristo, siamo immersi nel braciere che il fuoco dello Spirito Santo vivifica; abbiamo ricevuto tutto dalla Chiesa; operiamo in suo nome e in virtù dei poteri da essa conferitici: amiamo servirla nei vincoli dell'unità e nella maniera in cui vuole essere servita. 

                       


Seconda Parte    
 





PREGHIERA E CULTO EUCARISTICO

Uomo di penitenza, San Giovanni Maria Vianney aveva ugualmente compreso che " il sacerdote prima di tutto dev'essere uomo di preghiera ". Ognuno conosce le lunghe notti di adorazione che, giovane curato di un villaggio allora poco cristiano, egli trascorreva davanti al Santissimo Sacramento. Il tabernacolo della sua chiesa divenne presto il focolare della sua vita personale e del suo apostolato, al punto che non si saprebbe richiamare meglio la parrocchia di Ars al tempo del Santo, che con queste espressioni di Pio XII sulla parrocchia cristiana: " Il centro è la chiesa, e nella chiesa il tabernacolo con a lato il confessionale; dove ritrovano la vita le anime morte e le malate riacquistano la sanità ".
La preghiera negli esempi e negli insegnamenti del Santo Curato d'Ars
Ai sacerdoti di questo secolo, facilmente sensibili all'efficacia dell'azione e facilmente tentati pure da un attivismo pericoloso, quanto è salutare questo modello di preghiera assidua in una vita interamente consacrata alle necessità delle anime! Quel che impedisce a noi sacerdoti di essere santi - egli diceva - è la mancanza di riflessione; non si rientra in se stessi; non si sa quel che si fa; ci è necessaria la riflessione, la preghiera, l'unione con Dio. Egli stesso restava, secondo la testimonianza dei contemporanei, in uno stato di continua preghiera, da cui non lo distraeva né la fatica spossante delle confessioni né gli altri compiti di pastore. " Conservava una unione costante con Dio in mezzo alla sua vita eccessivamente occupata ".
Ascoltiamo ancora lui stesso. Egli è inesauribile quando parla delle gioie e dei benefici della preghiera. " L'uomo è un povero che ha bisogno di domandare tutto a Dio ". " Quante anime possiamo noi convertire con le nostre preghiere! ". E ripeteva: " La preghiera, ecco la felicità dell'uomo sulla terra ". Questa felicità veniva copiosamente gustata da lui stesso, mentre il suo sguardo illuminato dalla fede contemplava i misteri divini e, con l'adorazione del Verbo incarnato, elevava la sua anima semplice e pura verso la Santissima Trinità, oggetto supremo del suo amore. E i pellegrini che si affollavano nella chiesa di Ars comprendevano che l'umile sacerdote manifestava loro qualche cosa del segreto della sua vita interiore con quell'esclamazione frequente che gli era cara: " Essere amati da Dio, essere uniti a Dio, vivere alla presenza di Dio, vivere per Dio: oh! che bella vita e che bella morte! ".
Il sacerdote è in primo luogo uomo di preghiera
Noi vorremmo, Venerabili Fratelli, che tutti i sacerdoti delle vostre diocesi si lasciassero convincere dalla testimonianza del Santo Curato d'Ars, della necessità di essere uomini di preghiera e della possibilità di esserlo, qualunque sia l'aggravio talora estremo delle occupazioni del loro ministero. Ma è necessaria una fede viva, come quella che animava Giovanni Maria Vianney e gli faceva compiere meraviglie. " Che fede! - esclamava uno dei suoi confratelli -. Vi sarebbe di che arricchire tutta una diocesi! ".

Questa fedeltà alla preghiera è del resto per il sacerdote un dovere di pietà personale, di cui la saggezza della Chiesa ha precisato parecchi punti importanti, come l'orazione mentale quotidiana, la visita al Santissimo Sacramento, il Rosario e l'esame di coscienza. Ed è anche uno stretto obbligo contratto di fronte alla Chiesa, quando si tratta della recita giornaliera dell'Ufficio Divino. Forse per aver trascurato talune di queste prescrizioni alcuni membri del clero si sono visti a poco a poco vittime della instabililtà esteriore, dell'impoverimento interiore ed esposti un giorno senza difesa alle tentazioni della vita. Al contrario, " lavorando incessantemente per il bene delle anime, Maria Vianney non trascurava la sua. Santificava se stesso per essere capace di santificare gli altri ".
Con San Pio X " riteniamo dunque per certo che il sacerdote, per essere degnamente all'altezza del suo grado e ufficio, deve essere dedito in modo esimio all'esercizio della preghiera... Più intensamente degli altri deve il sacerdote obbedire al precetto di Cristo: Bisogna pregare sempre; sul cui esempio San Paolo tanto raccomandava: " Insistete nella preghiera, vegliando in essa in rendimento di grazie; pregate senza interruzione " ". E volentieri, a conclusione di questo punto, riprendiamo Noi stessi la parola d'ordine che il Nostro immediato Predecessore Pio XII dava ai sacerdoti, fin dall'inizio del suo Pontificato: " Pregate, pregate sempre di più e con maggiore insistenza ". 

La pietà eucaristica del Santo Curato
La preghiera del Curato d'Ars, che trascorse per così dire gli ultimi trent'anni della sua vita in chiesa, dove lo trattenevano i suoi innumerevoli penitenti, era soprattutto una preghiera eucaristica. La sua devozione a Nostro Signore presente nel Santissimo Sacramento dell'altare era veramente straordinaria: " E' là - diceva - Colui che ci ama tanto; perché non lo dovremmo amare noi? ". E certamente egli l'amava e si sentiva irresistibilmente attratto verso il tabernacolo: " Non c'è bisogno di parlar molto per ben pregare - spiegava egli ai suoi parrocchiani -. Si sa che il buon Dio è là, nel santo tabernacolo; gli si apre il cuore, ci si rallegra della sua presenza. E' questa la migliore preghiera ". In ogni circostanza egli inculcava ai fedeli il rispetto e l'amore della divina presenza eucaristica, invitandoli ad accostarsi frequentemente alla mensa eucaristica e lui stesso dava l'esempio di questa profonda pietà: " Per convincersene - riferirono i testimoni - bastava vederlo celebrare la Santa Messa e fare la genuflessione quando passava davanti al tabernacolo ".
L'importanza dell'Eucaristia nella vita del sacerdote
" L'esempio ammirabile del Santo Curato d'Ars conserva anche oggi tutto il suo valore ", attesta Pio XII. Niente potrebbe sostituire nella vita di un sacerdote la preghiera silenziosa e prolungata davanti all'altare. L'adorazione di Gesù, nostro Dio, il ringraziamento, la riparazione per le nostre colpe e per quelle degli uomini, la supplica per tante intenzioni che gli sono raccomandate, si avvicendano nell'elevare questo sacerdote a un maggiore amore per il divino Maestro, al quale ha promesso fedeltà, e per gli uomini che attendono il suo ministero sacerdotale. Con la pratica di un tale culto, illuminato e fervente, verso l'Eucaristia, si accresce la vita spirituale del sacerdote e si preparano le energie missionarie degli apostoli più valorosi.
E bisogna aggiungere il beneficio che ne deriva per i fedeli, testimoni di questa pietà dei loro sacerdoti e attirati dal loro esempio. " Se volete che i fedeli preghino volentieri e con pietà - diceva Pio XII al clero di Roma - precedeteli in chiesa con l'esempio, facendo orazione al loro cospetto. Un sacerdote genuflesso davanti al tabernacolo, in atteggiamento degno, in profondo raccoglimento, è un modello di edificazione, un ammonimento e un invito all'emulazione orante per il popolo ". Questa fu l'arma apostolica per eccellenza del giovane Curato d'Ars, non dubitiamo del suo valore in qualsiasi circostanza.
Il Sacerdozio e il Sacrificio della Santa Messa
Non possiamo dimenticare tuttavia che la preghiera eucaristica nel significato pieno della parola è il Santo Sacrificio della Messa. Conviene insistere, Venerabili Fratelli, specialmente su questo punto, poiché tocca uno degli aspetti essenziali della vita sacerdotale.
Non abbiamo certo intenzione di rifare qui l'esposto della dottrina tradizionale della Chiesa circa il sacerdozio e il sacrificio eucaristico; i Nostri Predecessori di fel. mem. Pio XI e Pio XII, in documenti magistrali, hanno richiamato con tanta chiarezza questo insegnamento che non Ci resta se non esortarvi a farlo largamente conoscere dai sacerdoti e fedeli che vi sono affidati. Così verranno dissipate delle incertezze o audacie di pensiero che qua e là si sono manifestate a questo riguardo.

Giova però in questa Enciclica mostrare in quale senso profondo il Santo Curato d'Ars, fedele eroicamente ai doveri del suo ministero, meritò veramente di essere proposto come esemplare ai pastori di anime e proclamato celeste loro Patrono. Se, infatti, è vero che il sacerdote ha ricevuto il carattere dell'Ordine per il servizio dell'altare, e ha cominciato l'esercizio del suo sacerdozio col sacrificio eucaristico, questo non cesserà, per tutto il corso della sua vita, di essere alla base della sua attività apostolica e della sua santificazione personale. E tale fu appunto il caso di San Giovanni Maria Vianney.

Qual è infatti l'apostolato del sacerdote, considerato nella sua azione essenziale, se non di attuare, ovunque vive la Chiesa, la raccolta intorno all'altare di un popolo unito nella fede, rigenerato e purificato? Proprio allora il sacerdote, per quei poteri che egli solo ha ricevuto, offre il divino sacrificio nel quale Gesù stesso rinnova l'immolazione unica compiuta sul Calvario per la redenzione del mondo e la glorificazione del suo Padre. E' allora che i cristiani riuniti offrono al Padre Celeste la Vittima divina per mezzo del sacerdote e imparano ad immolare se stessi come " ostie vive, sante, gradite a Dio " (Rm 12,1). E' là che il popolo di Dio, illuminato dalla predicazione della fede, nutrito del corpo di Cristo, trova la sua vita, la sua crescita e, se ve ne è bisogno, rinsalda la sua unità. E' là in una parola che per generazioni e generazioni, su tutte le plaghe del mondo, si costruisce nella carità il Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa.

A questo proposito, poiché il Santo Curato d'Ars fu di giorno in giorno sempre più esclusivamente impegnato nell'insegnamento della fede e nella purificazione delle coscienze, mentre tutti i suoi atti di ministero convergevano verso l'altare, tale sua vita deve giustamente dirsi eminentemente sacerdotale e pastorale. E' vero che ad Ars i peccatori affluivano spontaneamente alla Chiesa, attirati dalla fama di santità del pastore, mentre tanti altri sacerdoti devono impiegare sforzi lunghi e laboriosi per raccogliere il loro gregge; è certo pure che altri hanno un compito più missionario, e si trovano appena al primo annunzio della buona Novella del Salvatore; questi lavori apostolici, tuttavia, tanto necessari e talora così difficili non possono far dimenticare agli apostoli il fine a cui devono mirare e a cui giungeva il Curato d'Ars, quando nella sua umile chiesa di campagna, si consacrava ai compiti essenziali dell'azione pastorale.
La Santa Messa,  sorgente prima di santificazione personale del sacerdote

C'è di più. Tutta la santificazione personale del sacerdote deve modellarsi sul sacrificio che celebra, conforme all'invito del Pontificale Romano: " Conoscete quel che fate; imitate quel che maneggiate ". Ma lasciamo qui la parola al nostro immediato Predecessore nella sua Esortazione Menti nostrae: " Come tutta la vita del nostro Salvatore fu in funzione del suo sacrificio, così pure la vita del sacerdote, che deve riprodurre in sé l'immagine di Cristo, bisogna che diventi con lui, in lui, per lui un grato sacrificio... Perciò bisogna che non solo celebri il sacrificio eucaristico, ma, in una certa profonda maniera, lo viva; in questo modo può attingere quella forza soprannaturale, da cui sarà intimamente trasformato e parteciperà alla vita espiatoria dello stesso Divin Redentore ". E il medesimo Pontefice concludeva: " E' quindi necessario che l'anima sacerdotale si sforzi di riprodurre in sé quello che si compie sull'altare del sacrificio: come infatti Gesù Cristo immola se stesso, così il suo ministro deve insieme con lui immolare se stesso; come Gesù espia i peccati degli uomini, così il sacerdote deve pervenire alla propria ed altrui purificazione attraverso l'arduo cammino dell'ascesi cristiana ".
La Chiesa ha presente quest'alta dottrina quando invita i suoi ministri a una vita d'ascesi e loro raccomanda di celebrare con profonda pietà il sacrificio eucaristico. Non è forse per non aver compreso abbastanza bene lo stretto legame, e quasi reciprocità, che unisce il dono quotidiano di se stesso all'offerta della Messa, che certi sacerdoti sono giunti poco alla volta a perdere la " prima caritas " della loro Ordinazione? Tale era l'esperienza fatta dal Curato d'Ars: " La causa - egli diceva - del rilassamento del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa ". E il santo che aveva appunto l'eroica " abitudine di offrirsi in sacrificio per i peccatori ", versava lacrime abbondanti " pensando alla disgrazia dei sacerdoti che non corrispondono alla santità della loro vocazione ".

Con affetto paterno, Noi chiediamo ai Nostri diletti sacerdoti di esaminarsi periodicamente sulla maniera con cui celebrano i santi misteri, e sulle disposizioni spirituali con cui salgono all'altare e sui frutti che si sforzano di ricavarne. Il Centenario di questo ammirabile sacerdote che attingeva dalla " consolazione e fortuna di celebrare la Santa Messa " il coraggio del suo proprio sacrificio, ve l'invita; Noi nutriamo ferma fiducia che la sua intercessione otterrà loro abbondanti grazie di luce e di forza.



Anno Sacerdotale

Terza Parte


ZELO PASTORALE
Il Santo Curato d'Ars modello di zelo apostolico
La vita di ascesi e di preghiera di cui, Venerabili Fratelli, vi abbiamo detto il fervore, manifesta inoltre il segreto dello zelo pastorale di San Giovanni Maria Vianney e la sorprendente efficacia soprannaturale del suo ministero. " Si ricordi il sacerdote - scriveva il Nostro Predecessore di fel. mem. Pio XII - che tanto più fruttuoso sarà il gravissimo compito a lui affidato quanto più egli opererà congiunto con Cristo e guidato dal suo spirito ". La vita del Curato d'Ars conferma una volta ancora questa grande legge di ogni apostolato, basato sulla parola stessa di Gesù: " Senza di me non potete fare nulla " (Gv 25,15).
Non si tratta evidentemente qui di ricordare tutta l'ammirabile storia di questo umile curato di campagna, il cui confessionale fu per trent'anni assediato da folle così innumerevoli che certi spiriti forti dell'epoca osarono rimproverargli di " turbare il diciannovesimo secolo "; né crediamo qui opportuno trattare dei suoi metodi di apostolato che non sempre sono applicabili all'apostolato contemporaneo. A Noi basta richiamare alla mente su questo punto che il santo Curato fu al suo tempo un modello di zelo pastorale in quel villaggio di Francia, dove la fede e i costumi risentivano ancora il turbamento della Rivoluzione. " Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete ", gli si era detto nel mandarvelo. Apostolo infaticabile, pieno di iniziative per guadagnare la gioventù e santificare i focolari, attento alle necessità umane delle sue pecorelle, vicino alla loro vita, sollecito a prodigarsi senza misura per l'istituzione delle scuole cristiane e in favore delle missioni popolari, egli fu davvero per il suo piccolo gregge il buon pastore che conosce le sue pecorelle, le salvaguarda dai pericoli e le guida con autorità e saggezza. Non faceva forse, senza pensarvi, un elogio di se stesso con questa esclamazione in uno dei suoi discorsi: " Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio: ecco il più grande tesoro che il buon Dio possa concedere ad una parrocchia "?
L'esempio del Curato d'Ars conserva un valore permanente ed universale su tre punti essenziali, che qui Ci piace, Venerabili Fratelli, proporre alla vostra attenzione.

Alto senso delle proprie responsabilità pastorali
Ciò che colpisce, anzitutto, è il senso profondo che egli aveva delle sue responsabilità pastorali. La sua umiltà e la conoscenza soprannaturale che aveva del prezzo delle anime, gli fecero portare con paura l'ufficio di parroco. " Amico mio - confidava un giorno ad un confratello - voi non sapete ciò che voglia dire per un parroco presentarsi al tribunale di Dio! ". Ed è ben conosciuto il desiderio che lo tormentò a lungo di fuggire in qualche luogo solitario per " piangervi la sua povera vita ", e come l'obbedienza e lo zelo delle anime lo ricondussero ogni volta al suo posto.

Ma se in certi momenti fu così abbattuto dal suo ufficio divenuto eccezionalmente opprimente, fu precisamente perché aveva un'idea eroica del suo dovere e delle responsabilità di pastore. " Mio Dio - pregava nei suoi primi anni - accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vorrete per tutto il tempo della mia vita! ". Ottenne dal cielo quella conversione. Ma più tardi confessava: " Se avessi previsto, quando venni ad Ars, le sofferenze che mi aspettavano, sul colpo sarei morto di apprensione ". Sull'esempio degli apostoli di tutti i tempi, egli vedeva nella croce il grande mezzo soprannaturale per cooperare alla salvezza, delle anime che gli erano affidate. Senza lamentarsi soffriva per esse le calunnie, le incomprensioni, le contraddizioni; per esse accettò il vero martirio fisico e morale d'una presenza quasi ininterrotta al confessionale, ogni giorno, per trent'anni; per esse lottò come atleta del Signore contro le potenze infernali; per esse mortificò il suo corpo. Ed è ben nota la risposta data a un confratello che si lamentava per la poca efficacia del suo ministero: " Voi avete pregato, avete pianto, gemuto e sospirato. Ma avete voi digiunato, avete vegliato, vi siete coricato per terra, vi siete data la disciplina? Finché non sarete giunto a questo, non crediate d'aver fatto tutto ".

Noi Ci rivolgiamo a tutti i sacerdoti in cura d'anime e li scongiuriamo di ascoltare queste veementi parole! Ognuno, secondo la prudenza soprannaturale che deve sempre regolare le nostre azioni, valuti la propria condotta nei riguardi del popolo affidato alle sue sollecitudini pastorali. Senza mai dubitare della divina misericordia che viene in aiuto della nostra debolezza, consideri alla luce degli esempi di San Giovanni Maria Vianney le proprie responsabilità. " La grande sventura per noi parroci - deplorava il Santo - è che l'anima si intorpidisce "; ed intendeva con questo un pericoloso assuefarsi del pastore allo stato di peccato in cui vivono tante delle sue pecorelle. O ancora, per meglio mettersi alla scuola del Curato d'Ars, che era convinto che per fare del bene agli uomini bisogna amarli, interroghi ciascuno se stesso intorno alla carità da cui è animato nei riguardi di coloro per cui deve rispondere davanti a Dio e per cui Cristo è morto!

E' pur vero che la libertà degli uomini o certi avvenimenti indipendenti dalla loro volontà possono talora opporsi agli sforzi dei più grandi santi. Il sacerdote però ha il dovere di ricordare che, secondo i disegni insondabili della divina Provvidenza, la sorte di molte anime è legata al suo zelo pastorale e all'esempio della sua vita. E tal pensiero non è forse di tal natura da provocare una salutare inquietudine nei tiepidi e stimolare i più ferventi?

Predicatore e catechista infaticabile
" Sempre pronto a rispondere ai bisogni delle anime ", San Giovanni Maria Vianney eccelse come vero pastore nel procurare loro abbondantemente l'alimento primordiale della verità religiosa. Per tutta la vita fu predicatore e catechista.
E' ben nota la fatica improba e perseverante che si impose per soddisfare pienamente a questo dovere d'ufficio, " primum et maximum officium " secondo il Concilio di Trento. Gli studi suoi, compiuti in ritardo, furono laboriosi; e le sue prediche gli costarono da principio molte veglie. Ma quale esempio per i ministri della parola di Dio! Alcuni si appoggerebbero volentieri sulla scarsa istruzione di lui, per scusare il proprio difetto di zelo negli studi. Sarebbe meglio imitare il suo coraggio per rendersi degno d'un sì grande ministero, secondo la misura dei doni che gli erano stati conferiti: d'altronde questi stessi non erano così modesti come qualche volta si ama ripetere, poiché " egli aveva una intelligenza molto limpida e chiara ". Ad ogni modo, ciascun sacerdote ha il dovere di acquistare e coltivare le cognizioni generali e la scienza teologica proporzionata alle sue capacità e alle sue funzioni. E piacesse al Signore che i pastori di anime facciano sempre quanto fece il Curato d'Ars per sviluppare le capacità della sua intelligenza e memoria, e soprattutto per attingere ai lumi del libro più ricco di scienza che si possa leggere, la croce del Cristo! Il suo Vescovo diceva di lui a certi suoi detrattori: " Non so se sia dotto, ma egli è illuminato ".

Ben a ragione quindi il Nostro Predecessore di fel. mem. Pio XII non esitava affatto ad assegnare come modello ai predicatori della Città Eterna l'umile prete di campagna. " Il Santo Curato d'Ars non aveva certo il genio naturale d'un Segneri o di un Bossuet, ma la convinzione viva, chiara, profonda, da cui era animato, vibrava nella sua parola, brillava nei suoi occhi, suggeriva alla sua fantasia e alla sua sensibilità idee, immagini, paragoni giusti, appropriati, deliziosi, che avrebbero rapito un San Francesco di Sales. Tali predicatori conquistano veramente il loro uditorio. Chi è pieno di Cristo, non troverà difficile di guadagnare altri a Cristo ". Queste parole descrivono a meraviglia il Curato d'Ars, catechista e predicatore. E quando alla fine della sua vita, la sua voce affievolita non arrivava più a farsi intendere da tutto l'uditorio, era ancora col suo sguardo di fuoco, con le sue lacrime, coi suoi gridi di amor di Dio o le sue espressioni di dolore al solo pensiero del peccato, che convertiva i fedeli accorsi ai piedi del suo pulpito. Come non essere colpiti dalla testimonianza d'una vita così totalmente consacrata all'amore di Cristo?

Fino alla sua santa morte San Giovanni Maria Vianney fu in tal modo fedele nell'istruire il suo popolo e i pellegrini che riempivano la sua chiesa, denunziando " opportune, importune " (2 Tm 4,2) il male sotto tutte le sue forme, ed innalzando soprattutto le anime verso Dio, perché " preferiva mostrare l'aspetto attraente della virtù piuttosto che la bruttezza del vizio ". Questo umile sacerdote aveva in realtà compreso in grado non comune la dignità e la grandezza del ministero della parola di Dio: " Nostro Signore che è la Verità stessa - diceva egli - non ha minor cura della sua parola che del suo Corpo ".

Si comprende perciò la gioia dei Nostri Predecessori nell'offrire questo pastore di anime a modello dei sacerdoti, perché è di somma importanza che il clero ovunque ed in ogni tempo sia fedele al suo dovere di insegnare. " Qui giova - diceva a tal proposito San Pio X - a questo solo tendere e su questo solo insistere, che cioè ogni sacerdote non è tenuto da nessun altro ufficio più grave, né è obbligato da nessun altro vincolo più stretto ". Questo vibrante appello, costantemente rinnovato dai Nostri Predecessori, e di cui si fa eco il Diritto Canonico, ve lo rivolgiamo anche Noi a Nostra volta, Venerabili Fratelli, in questo anno Centenario del santo catechista e predicatore di Ars. Noi incoraggiamo i tentativi fatti con prudenza e sotto il vostro controllo in diversi paesi per migliorare le condizioni dell'insegnamento religioso per i giovani e per gli adulti, nelle differenti sue forme e tenendo conto dei vari ambienti. Ma per quanto utili siano tali lavori, Dio ci richiama alla mente in questo Centenario del Curato d'Ars l'irresistibile potenza apostolica d'un sacerdote, che, sia nella propria vita come nelle sue parole, rende testimonianza a Cristo crocifisso " non in persuasibilibus humanae sapientiae verbis, sed in ostensione spiritus et virtutis " (1 Cor 2,4)

Strenuo apostolo del confessionale
Ci rimane infine da rievocare nella vita di San Giovanni Maria Vianney quella forma di ministero pastorale, che fu per lui come un lungo martirio e dal cui svolgimento l'amministrazione del Sacramento della Penitenza rifulse di particolare splendore e produsse frutti in sommo grado copiosi e salutari. " Egli trascorreva in media quindici ore al giorno al confessionale. Questo lavoro quotidiano cominciava all'una o alle due del mattino e non finiva che di notte ". E quando cadde, di sfinimento, cinque giorni prima della morte, gli ultimi penitenti si strinsero al capezzale del moribondo. Si calcola che verso la fine della vita il numero annuo di pellegrini avesse raggiunta la cifra di 80.000.

Si stenta ad immaginare i disagi, gli incomodi, le sofferenze fisiche di queste interminabili sedute al confessionale, per un uomo già esausto dai digiuni, macerazioni, infermità, mancanza di riposo e di sonno. Ma soprattutto egli fu moralmente come oppresso dal dolore. Ascoltate questo suo lamento: " Si offende tanto il buon Dio, che si sarebbe tentati di invocare la fine del mondo!... Bisogna venire ad Ars per sapere che cos'è il peccato... Non si sa cosa fare; non si può far altro che piangere e pregare ". Il Santo si dimenticava di aggiungere che egli prendeva anche su di sé una parte dell'espiazione: " Quanto a me - confidava a chi gli chiedeva consiglio - assegno loro una piccola penitenza ed il resto lo faccio io al loro posto ".

E veramente il Curato d'Ars non viveva che per i " poveri peccatori ", come egli diceva, nella speranza di vederli convertirsi e piangere. La loro conversione era lo scopo a cui convergevano tutti i suoi pensieri e l'opera per cui spendeva tutto il suo tempo e tutte le sue forze. E ciò per il fatto che egli conosceva per l'esperienza del confessionale tutta la malizia del peccato e le sue rovine spaventose nel mondo delle anime. Egli ne parlò in termini terribili: " Se avessimo la fede e se vedessimo un'anima in stato di peccato mortale, noi moriremmo di spavento! ".
Ma l'acerbità della sua pena e la veemenza della sua parola provengono meno dal timore delle pene eterne che minacciano il peccatore indurito, che dall'emozione provata al pensiero dell'amore divino misconosciuto ed offeso. Davanti alla ostinazione del peccatore e alla sua ingratitudine verso un Dio così buono, le lacrime sgorgavano dai suoi occhi: " Oh, amico mio - diceva - io piango proprio perché non piangete voi! ".

Al contrario però con quale delicatezza e con quale fervore non fa rinascere la speranza nei cuori pentiti! Per essi egli instancabilmente si fa ministro della misericordia divina, la quale è, diceva egli, potente " come un torrente in piena che trascina i cuori al suo passaggio ", e più tenera che la sollecitudine d'una madre, perché Dio è " pronto a perdonare più di quello che sarebbe una madre a tirar fuori dal fuoco un suo figlio ".

I pastori d'anime quindi, sull'esempio del Santo Curato d'Ars, avranno a cuore di consacrarsi, con competenza e dedizione, a questo ministero tanto importante, poiché in fondo è qui che la misericordia di Dio trionfa sulla malizia degli uomini ed il peccatore viene riconciliato al suo Dio. Si tenga pure a mente che il Nostro Predecessore Pio XII ha condannato gravissimis verbis l'opinione errata secondo cui non sarebbe da farsi gran conto della confessione frequente dei peccati veniali: " Per un progresso sempre più alacre sul cammino della virtù, intendiamo raccomandare vivamente il pio uso della confessione frequente, introdotto dalla Chiesa non senza una ispirazione dello Spirito Santo ". Infine Noi vogliamo confidare che i ministri del Signore saranno essi stessi i primi, secondo le prescrizioni del Diritto Canonico, alla pratica regolare e fervente del sacramento della Penitenza, così necessario alla loro santificazione, e terranno il più gran conto delle pressanti insistenze che più volte e dolenti animo Pio XII si sentì in dovere di loro rivolgere a questo riguardo.



CONCLUSIONE
Al termine di questa Lettera, Venerabili Fratelli, desideriamo dirvi tutta la Nostra soavissima speranza che, con la grazia di Dio, questo Centenario della morte del Santo Curato d'Ars possa risvegliare presso ogni sacerdote il desiderio di compiere più generosamente il suo ministero e soprattutto il suo " primo dovere di sacerdote, cioè il dovere di raggiungere la propria santificazione ".

Quando da questo vertice del Supremo Pontificato dove la Provvidenza Ci ha voluto collocare, consideriamo l'immensa aspettativa delle anime, i gravi problemi dell'evangelizzazione in tanti paesi e le necessità religiose delle popolazioni cristiane, sempre e ovunque si presenta al Nostro sguardo la figura del sacerdote. Senza di lui, senza la sua azione quotidiana, che sarebbe delle iniziative, anche le più adatte alle necessità dell'ora presente? Che farebbero anche i più generosi apostoli del laicato? Proprio a questi sacerdoti tanto amati e su cui si fondano tante speranze per il progresso della Chiesa, Noi osiamo richiedere, in nome di Cristo Gesù, l'intera fedeltà alle esigenze spirituali della loro vocazione sacerdotale. Avvalorino il Nostro appello queste parole, piene di sapienza, di San Pio X: " Per far regnare Gesù Cristo nel mondo nessuna cosa è così necessaria come la santità del clero, perché con l'esempio, con la parola e con la scienza esso sia guida dei fedeli ".

Quasi lo stesso diceva San Giovanni Maria Vianney al suo Vescovo: " Se volete convertire la vostra diocesi, dovete fare santi tutti i vostri parroci ".
A voi, Venerabili Fratelli, che portate la responsabilità della santificazione dei vostri sacerdoti, Noi raccomandiamo di aiutarli nelle difficoltà, talora ben gravi, della loro vita personale o del loro ministero. Cosa non può fare un Vescovo che ama i suoi sacerdoti, se ha conquistato la loro confidenza, se li conosce, li segue da vicino e li guida con autorità ferma e sempre paterna? Pastori di tutta la diocesi, siatelo anzitutto e in maniera particolare per coloro che così strettamente collaborano con voi e ai quali vi stringono vincoli tanto sacri.

A tutti i fedeli pure Noi domandiamo, in questo anno centenario, di pregare per i sacerdoti e di contribuire, per quanto possono, alla loro santificazione. Oggi i cristiani ferventi attendono molto dal sacerdote. Essi vogliono vedere in lui - in un mondo dove trionfano il potere del denaro, la seduzione dei sensi, il prestigio della tecnica - un testimonio del Dio invisibile, un uomo di fede, dimentico di se stesso e pieno di carità. Sappiano tali cristiani che essi possono molto influire sulla fedeltà dei loro sacerdoti ad un tale ideale, col religioso rispetto al loro carattere sacerdotale, una più esatta comprensione del loro compito pastorale e delle loro difficoltà, e una più attiva collaborazione al loro apostolato.

In fine verso la gioventù cristiana rivolgiamo uno sguardo colmo d'affetto e pieno di speranza. La messe è vasta ma gli operai sono pochi (cf Mt 9,37). In molte regioni gli apostoli, sfiniti dalle fatiche, con vivissimo desiderio aspettano chi li sostituirà.

Popoli interi soffrono una fame spirituale, più grave ancora che quella materiale; chi porterà loro il celeste nutrimento della verità e della vita? Abbiamo ferma fiducia che la gioventù del nostro secolo non sarà meno generosa nel rispondere all'appello del Maestro, di quella dei tempi passati. Senza dubbio, la condizione del sacerdote è spesso difficile. Non c'è da meravigliarsi che egli sia il primo esposto alla persecuzione dei nemici della Chiesa, perché, diceva il Curato d'Ars, quando si vuole distruggere la religione si comincia coll'attaccare il sacerdote. Ma, nonostante queste gravissime difficoltà, nessuno dubiti della sorte altamente fortunata che è retaggio del sacerdote fervente chiamato dal Salvatore Gesù a collaborare alla più santa delle imprese, la redenzione delle anime e la crescita del Corpo Mistico. Le famiglie cristiane perciò valutino bene le loro responsabilità, e diano loro figli con gioia e gratitudine per il servizio della Chiesa. Noi non intendiamo qui sviluppare questo appello, che è anche il vostro, Venerabili Fratelli. Ma siamo certi che voi comprenderete e parteciperete l'ansietà del No- stro cuore e tutta la forza di convinzione che vorremmo mettere nelle Nostre parole. A San Giovanni Maria Vianney Noi affidiamo questa causa tanto grave e da cui dipende l'avvenire di tante migliaia di anime!

E ora volgiamo i Nostri sguardi verso la Vergine Immacolata. Poco prima che il Curato d'Ars compisse la sua lunga carriera piena di meriti, Ella era apparsa in un'altra regione di Francia ad una fanciulla umile e pura per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l'immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo una illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l'Immacolata Concezione della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrata la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854.

Anche Noi Ci compiaciamo di unire nel Nostro pensiero e nella Nostra gratitudine verso Dio questi due Centenari di Lourdes e di Ars, che si succedono provvidenzialmente ed onorano grandemente la Nazione sì cara al Nostro cuore, cui appartengono quei luoghi santissimi. Memori di tanti benefici ricevuti e nella speranza di nuovi favori, facciamo Nostra l'invocazione Mariana che era familiare al Santo Curato d'Ars: " Sia benedetta la santissima ed Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria Madre di Dio! Che tutte le nazioni glorifichino, tutta la terra invochi e benedica il Vostro Cuore Immacolato! ".

Con la viva speranza che questo Centenario della morte di San Giovanni Maria Vianney possa suscitare nel mondo intero un rinnovamento di fervore presso i sacerdoti e presso i giovani chiamati al sacerdozio, e possa altresì richiamare più viva ed operosa l'attenzione di ogni fedele sui problemi che riguardano la vita e il ministero dei sacerdoti, a tutti, e in primo luogo a voi, Venerabili Fratelli, di cuore impartiamo, come pegno delle grazie celesti e testimonianza della Nostra benevolenza, l'Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° Agosto 1959, anno primo del Nostro Pontificato.
IOANNES PP. XXIII