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mercoledì 9 agosto 2023

IL SANTO CURATO D'ARS

 

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Mercoledì, 5 agosto 2009

 

San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars

Cari fratelli e sorelle,

nell’odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars


sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali. Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt 25,34). Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all’ingresso di un così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l’Anno Sacerdotale, che, com’è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.

Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l’8 maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato, com’era buon uso all’epoca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli animali, tanto che, all’età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili. Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente all’età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.

Il Santo Curato d’Ars manifestò sempre un’altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: “Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!” (Abbé Monnin, Esprit du Curé d’Ars, p. 113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: “Se fossi prete, vorrei conquistare molte anime” (Abbé Monnin, Procès de l’ordinaire, p. 1064). E così fu. Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11). Sull’esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo servizio sacerdotale. La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale.

Centro di tutta la sua vita era dunque l’Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione e rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura sacerdotale era l’assiduo ministero delle confessioni. Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (cfr Gv 20,23). San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e maestro spirituale. 

// Passando “con un solo movimento interiore, dall’altare al confessionale”, dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr Lettera ai sacerdoti per l’Anno Sacerdotale).  //

I metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibili, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati a coltivare. A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è stata la sua umile fedeltà alla missione a cui Iddio lo aveva chiamato; è stato il suo costante abbandono, colmo di fiducia, nelle mani della Provvidenza divina. Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu “innamorato” di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio. La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più per il sacerdote, l’Eucaristia “non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l’intero io dell’uomo e crea un nuovo noi” (Joseph Ratzinger, La Comunione nella Chiesa, p. 80).

Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima attualità. Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di “dittatura del razionalismo” volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.

Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l’uomo “mendicante di significato e compimento” va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi.

Avevano ben presente questa “sete di verità”, che arde nel cuore di ogni uomo, i Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II quando affermarono che spetta ai sacerdoti, “quali educatori della fede”, formare “un’autentica comunità cristiana” capace di aprire “a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo” e di esercitare “una vera azione materna” nei loro confronti, indicando o agevolando a che non crede “il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa”, e costituendo per chi già crede “stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale” (cfr Presbyterorum ordinis, 6). L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars é che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore. Solo così, di conseguenza, potrà infondere entusiasmo e vitalità spirituale alle comunità che il Signore gli affida. Preghiamo perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e coadiuvare il loro ministero. Affidiamo questa intenzione a Maria, che proprio oggi invochiamo come Madonna della Neve.


Saluti:

Je suis heureux d’accueillir les pèlerins de langue française présents ce matin. Je salue particulièrement les jeunes de la paroisse Sainte-Rose de Lima, du Robert, à La Martinique. Alors que nous célébrons en ces jours le cent-cinquantième anniversaire de la mort de Saint Jean-Marie Vianney, je vous invite à prier pour que son témoignage soit pour les prêtres d’aujourd’hui un enseignement qui les encourage à vivre leur ministère avec foi et générosité. Que par l’intercession du Curé d’Ars le Seigneur donne à son Église de saints prêtres qui trouveront chez les fidèles soutien et collaboration dans leur mission d’annoncer l’Évangile. Que Dieu vous bénisse!

I offer a warm welcome to the English-speaking visitors present at today’s Audience, especially the pilgrimage groups from England, China, Korea and the United States of America. Yesterday the Church celebrated the one hundred and fiftieth anniversary of the death of Saint John Vianney, the Curé of Ars, who is the patron saint of parish priests. In this Year for Priests, let us pray that through his intercession all priests will be renewed in love of the Lord, in the joyful pursuit of holiness and in generous commitment to the spread of the Gospel. Upon you and your families I invoke God’s blessings of joy and peace!

Ganz herzlich begrüße ich die vielen deutschsprachigen Besucher hier in Castel Gandolfo. Besonders heiße ich die Behindertengruppe aus Augsburg und die St.-Georgs-Pfadfinder willkommen. Gestern haben wir des 150. Todestags des heiligen Pfarrers von Ars gedacht. Jean-Marie Vianney hat die Liebe Christi wirklich verkörpert, die er in der Predigt verkündete und in den Sakramenten feierte. Dadurch, daß er wirklich von innen durchdrungen war, vom Licht des Herrn, konnte er viele Menschen zur Umkehr und zur Heiligkeit führen. So beten wir in diesem Jahr für alle Priester, lassen sie unsere Wertschätzung und unsere Unterstützung erfahren und beten darum, daß der Herr auch unseren Zeiten und unseren Landen wieder heilige Priester schenke. Euch allen schenke der Herr die Gnade einer innigen Freundschaft mit Christus, er segne euch und eure Familien.

Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. En particular, a los grupos de la pastoral juvenil de Toledo, Valencia y Sigüenza-Guadalajara. En este Año Sacerdotal, invito a todos a acompañar a los ministros del Señor con la oración, la solidaridad espiritual y la colaboración, para que sean fieles a su vocación y vivan gozosamente su misión en la Iglesia, siguiendo en todo a Cristo, Buen Pastor, a ejemplo de San Juan María Vianney. Que la Virgen María interceda para que el Pueblo de Dios se enriquezca con santos y abnegados sacerdotes. Muchas gracias.

Amados peregrinos de língua portuguesa, sede bem-vindos! A todos saúdo com grande afeto e alegria, nomeadamente aos grupos que vieram de Palhaça e do Brasil com o desejo de encontrar o Sucessor de Pedro. Com votos de que vossas existências sejam uma catequese vivente como foi a vida do santo Cura d'Ars, desça sobre vós, vossas famílias e comunidades a minha Bênção.

Saluto in lingua ceca:

Srdečně zdravím poutníky z farnosti Jalubí! Drazí, přeji vám všem, aby letní dovolené a prázdniny přispěly nejen ke zdraví těla, ale i duše. K tomu vám rád žehnám! Chvála Kristu!

Traduzione italiana:

Un cordiale benvenuto ai pellegrini della Parrocchia di Jalubí. Carissimi, auguro a voi tutti che le ferie estive giovino non solo alla salute del corpo, ma anche a quella dell'anima. Con questi voti volentieri vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua polacca:

Serdecznie witam uczestniczących w tej audiencji Polaków. Wczoraj obchodziliśmy wspomnienie świętego Jana Marii Vianneya, patrona kapłanów. Za jego wstawiennictwem, prośmy Boga, w Roku Kapłańskim, o dar świętości ich życia i posługi. Niech będą dla wszystkich posłańcami nadziei, pojednania i pokoju. Niech będzie pochwalony Jezus Chrystus.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente i Polacchi presenti a quest’Udienza. Ieri, abbiamo celebrato la memoria di san Giovanni Maria Vianney, patrono dei sacerdoti. Per sua intercessione, chiediamo a Dio, in quest’anno sacerdotale, il dono della santità della loro vita e del loro ministero. Siano per tutti messaggeri di speranza, di riconciliazione e di pace. Sia lodato Gesù Cristo.

Saluto in lingua ungherese:

Isten hozta a magyar zarándokokat! Szeretettel köszöntelek Benneteket! Apostoli áldásom kísérjen minden utatokon. Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Rivolgo ora il mio cordiale saluto ai pellegrini di lingua ungherese. La Benedizione Apostolica vi accompagni sulle vostre vie. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Saluto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, le Suore di Santa Marta e le Suore della Misericordia. Per tutti assicuro la mia preghiera, perché, sostenuti dalla Grazia divina ciascuno possa impegnarsi con rinnovato slancio apostolico nell'opera della nuova evangelizzazione.

Il mio pensiero si dirige, inoltre, ai malati, agli sposi novelli e ai giovani, in particolare ai partecipanti al “5° Meeting Internazionale dei Giovani verso Assisi”. Oggi, memoria liturgica della Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, la liturgia ci invita a volgere lo sguardo a Maria, Madre di Cristo. Guardate sempre a Lei, cari giovani, imitandola nel seguire fedelmente la volontà divina; ricorrete a Lei con fiducia, cari ammalati, per sperimentare nel momento della prova l'efficacia della sua protezione; affidate a Lei, cari sposi novelli, la vostra famiglia, perché sia sempre sorretta dalla sua materna intercessione.

AMDG et DVM

sabato 20 aprile 2019

La maldicenza

Autore san Giovanni Maria Vianney

“Si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente" (Mc 7,35)

Sarebbe desiderabile, fratelli miei, che si potesse dire di ognuno di noi, ciò che il Vangelo dice di questo muto che Gesù guarì, cioè, che parlava molto bene. Ma, ahimè!, fratelli miei, forse ci si dovrebbe rimproverare che noi parliamo quasi sempre male, soprattutto quando parliamo del nostro prossimo. Quale è, infatti, la condotta della maggior parte dei cristiani dei nostri giorni?

Eccola: criticare, censurare, screditare e condannare, ciò che fa e dice il prossimo. Questo, fra tutti i vizi, è quello più comune, quello più universalmente diffuso, e, forse, il peggiore di tutti. Vizio, che non si potrà mai detestare abbastanza, vizio che produce le più funeste conseguenze, che sparge dappertutto il turbamento e la desolazione. Ah! piacesse a Dio di darmi uno dei suoi carboni di cui l'angelo si servì per purificare le labbra del profeta Isaia, perché potessi purificare la lingua di tutti gli uomini! Oh! Quanti mali si potrebbero bandire dalla faccia della terra, se si potesse scacciarne la maldicenza! Potessi, fratelli miei, farvi provare un tale orrore, da ricevere la grazia di correggervi per sempre da questo vizio! 

Ecco, fratelli miei, qual è il mio progetto.

1°: farvi capire cos'è la maldicenza;

2°: quali sono le sue cause e le sue conseguenze;

3°: la difficoltà e la necessità di combatterla.

Non voglio cominciare mostrandovi la gravità e la nefandezza di questo crimine, che semina tanto male; che è la causa di tante discordie, di odio, di omicidi e di inimicizie, che spesso durano tanto quanto la vita delle persone, crimine che non risparmia né i buoni, né i cattivi. E' sufficiente che vi dica, che questo crimine è uno di quelli che trascina più anime nell'inferno.

Credo, però, che sia più necessario farvi conoscere in quanti modi noi possiamo rendercene colpevoli, affinché, conoscendo il male che fate, possiate correggervi, ed evitare i tormenti che sono preparati nell'altra vita per questo vizio. Se mi domandaste: che cos'è la maldicenza? Io vi risponderei: la maldicenza è far conoscere un difetto o una colpa del prossimo, in maniera tale da nuocere, poco o molto, alla sua reputazione. E ciò avviene in vari modi. Si parla male, in primo luogo, allorché si attribuisce al prossimo un male che non ha fatto o un difetto che non ha, e questo si chiama calunnia. E' un crimine infinitamente terribile, ma che, tuttavia è molto comune. Attenti a non ingannarvi, fratelli miei, perché dal parlar male al calunniare, il passo è molto breve. Se ci facciamo caso, ci accorgiamo che, quasi sempre, si aggiunge qualcosa e si aumenta il male che si dice del prossimo. Una cosa che passa per molte bocche, non è più la stessa; colui che l'ha detta per primo, non la riconosce più, tanto è stata cambiata e accresciuta. Da ciò, io concludo che uno che parla male è, quasi sempre, anche calunniatore, e ogni calunniatore è un infame. C'è un santo padre che dice che bisognerebbe scacciare i maldicenti dalla società degli uomini, come si trattasse di bestie feroci. Si parla male, inoltre, quando si gonfia il male che il prossimo ha fatto. Avete visto qualcuno che ha commesso qualche colpa, e voi cosa fate? Invece di ricoprirla col velo della carità, o, almeno, di ridimensionarla, voi invece la ingigantite. Vedete un domestico che si riposa un istante, o un

operaio che fa lo stesso, e se qualcuno ve ne parla, riferirete, senza nessuna verifica, che è un fannullone, che ruba il denaro del suo padrone. Vedete passare una persona in una vigna o in un frutteto, e vi accorgete che coglie qualche radice o qualche frutto, cosa che non dovrebbe fare, è vero. Ma voi andrete a raccontare a tutti quelli che incontrate, che quel tale è un ladro, che bisogna guardarsi da lui, anche se quello non ha mai rubato; e così via... E', ciò che si chiama, parlare male per esagerazione. 

Ascoltate cosa dice san Francesco di Sales: "Non dite che il tale è un ubriaco o un ladro, perché lo avete visto rubare o ubriacarsi una sola volta. Noè e Lot si ubriacarono una volta; eppure né l'uno né l'altro erano degli ubriachi. San Pietro non era un bestemmiatore, per aver imprecato una volta. Una persona non è viziosa, per essere caduta una volta nel vizio, e quand'anche vi cadesse più volte, parlandone male si corre il rischio di accusarlo falsamente. E' ciò che accadde a Simone il lebbroso, quando vide la Maddalena ai piedi del Salvatore, mentre li bagnava con le sue lacrime: "Se quest'uomo fosse un profeta, come si dice, non saprebbe che è una peccatrice, colei che si è gettata ai suoi piedi?". Egli si sbagliava di grosso: la Maddalena non era più una peccatrice, ma una santa penitente, perché le erano stati perdonati tutti i suoi peccati.

Vedete ancora questo orgoglioso fariseo, che, stando nel tempio, faceva l'elenco di tutte le sue pretese opere buone, ringraziando Dio di non essere come gli altri uomini, adulteri, ingiusti e ladri, proprio come quel pubblicano. Egli riteneva che quel pubblicano fosse un peccatore, invece, in quello stesso momento, quello era stato giustificato. Ah! figli miei, continua questo ammirevole san Francesco di Sales, dal momento che la misericordia di Dio è tanto grande, che un solo istante è sufficiente perché Egli perdoni il più grande delitto del mondo, come possiamo noi avere l'audacia di dire che colui che fino a ieri era un gran peccatore, lo sia anche oggi?".

Concludendo le osservazioni fatte in precedenza, io dico che quasi sempre ci sbagliamo, quando giudichiamo male il nostro prossimo, sebbene la cosa su cui portiamo il nostro giudizio, possa avere qualche apparenza di verità. Dico ancora che si parla male, quando si fa conoscere, senza una legittima ragione, un difetto nascosto del prossimo, o una colpa ignota. Ci sono persone che s'immaginano che quando vengono a sapere qualcosa di male sul prossimo, possono tranquillamente dirlo ad altri e intrattenervisi. Ti sbagli di grosso, amico mio. Che cosa la nostra religione ci raccomanda più della carità? La stessa ragione ci suggerisce di non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi. Considerate la cosa più da vicino: saremmo contenti noi, se qualcuno ci avesse visto commettere una colpa, e andasse a spifferarla a tutti? No, senza dubbio; al contrario, se ci facesse la carità di tenerla nascosta, gli saremmo molto riconoscenti. 

Sapete bene come vi infastidisce, se qualcuno dice qualcosa sul vostro conto o sulla vostra famiglia. Dov’è, dunque, la giustizia e la carità? Finché la colpa del vostro prossimo è nascosta, egli conserverà la sua reputazione; ma dall'istante in cui la farete conoscere, gli ruberete la stima di cui gode, e in ciò gli farete un gran torto, più che se gli toglieste una parte dei suoi beni, poiché lo Spirito Santo ci dice che una buona reputazione vale più delle ricchezze. Si parla male, inoltre, allorché si interpretano male le buone azioni del prossimo. Ci sono persone simili al ragno, che trasforma in veleno le cose migliori. Un poveretto, una volta che finisce sulla lingua dei maldicenti, è simile a un chicco di grano, sotto la ruota del mulino: viene lacerato, sfracellato e completamente distrutto. Questa gente, vi attribuirà delle intenzioni che voi non avete mai avuto, avveleneranno ogni vostra azione e ogni vostro movimento. Se siete persone pie, che vogliono adempiere fedelmente i doveri della vostra religione, per loro siete solo degli ipocriti, che vi comportate come un dio, quando state in Chiesa, e come diavoli, quando siete in casa vostra. Se compite opere buone, essi penseranno che lo fate per orgoglio, per farvi vedere. Se fuggite le abitudini del mondo, per essi siete persone strane, malati di testa; se avete cura dei vostri beni, per essi siete soltanto avari. Diciamolo francamente, fratelli miei, la lingua del maldicente è come un verme che intacca i buoni frutti, cioè le migliori azioni di questo mondo, e cerca di trasformarli in roba da buttar via. La lingua del maldicente è come un bruco che insudicia i fiori più belli, deponendo in essi la traccia disgustosa della sua schiuma. 

Affermo ancora, che si parla male, perfino senza dire nulla, ed ora vi spiego come. Potrà accadere che, alla vostra presenza, si lodi una persona che si sa che conoscete. E voi non dite nulla, oppure la lodate con una certa freddezza: allora il vostro silenzio o la vostra simulazione, porteranno a pensare che voi conoscete, sul suo conto, qualcosa di brutto, e che ciò vi porta a non dire nulla. Altri, poi, parlano male sotto un'apparenza di compassione. "Non sai niente, essi dicono, non hai sentito ciò che è successo a quella tale, che conosci bene? Peccato, che si è lasciata ingannare!...

Tu, tu che sei come me, non avresti mai creduto?...". San Francesco ci dice che una simile maldicenza è simile a una freccia avvelenata, che si immerge nell'olio, perché penetri più in profondità. E poi, un gesto, un sorriso, un "ma...", un dondolio della testa, una sottile aria di disprezzo: tutto ciò contribuisce a far pensare un gran male della persona di cui si parla. Ma la maldicenza più nera e più funesta nelle sue conseguenze, consiste nel riferire a qualcuno ciò che un altro ha detto di lui o ha fatto contro di lui. Queste delazioni, producono i mali più terribili, che fanno nascere sentimenti di odio e di vendetta, che durano spesso fino alla morte. Per mostrarvi quanto questa specie di persone sia colpevole, ascoltate quello che ci dice lo Spirito Santo: "Ci sono sei cose che Dio odia, ma la settima egli la detesta, questa settima è la delazione". Ecco, fratelli miei, in quanti modi, pressappoco, si può peccare a causa della maldicenza. Scandagliate il vostro cuore e vedete se non siete anche voi, in qualche modo, colpevoli in questa materia

Anzitutto vorrei avvertirvi che non si deve credere facilmente al male che si dice degli altri, e, se capita che una persona, accusata, non si difenda, non si deve affatto credere che, per questo, ciò che si va dicendo sia vero. Eccovi un esempio che vi dimostrerà che possiamo sbagliarci tutti, e che dobbiamo molto difficilmente credere al male che ci viene riferito sugli altri. Si racconta che un vedovo, che aveva una figlia unica molto giovane, la affidò a uno dei parenti e andò a farsi religioso in un monastero di solitari. La sua virtù lo rese amabile da parte di tutti gli altri religiosi.

Da parte sua, egli era molto contento della sua vocazione, ma qualche tempo dopo, pensando a sua figlia, la tenerezza che nutrì per la ragazza, lo riempì di dolore e di tristezza per averla abbandonata così. Il padre abate se ne accorse e un giorno gli disse: "Fratello mio, cos'è che ti affligge tanto?" - "Ahimè! padre mio, gli rispose il solitario, ho lasciato in città una ragazza molto giovane: è questo il motivo della mia pena". L'abate, non avendo compreso che si trattava di una figlia, ma credendo che fosse un figlio maschio, gli disse: "Vai a cercarlo e portalo qui, così lo farai crescere in mezzo a noi". Subito quello partì, considerando il comando come se fosse una voce dal cielo, e, trovata la figlia, ancora piccola, che si chiamava Marina, le disse di prendere il nome di Marino, le raccomandò di non rivelare mai di essere una donna, e la condusse in monastero. Il padre si adoperò talmente per mostrarle la necessità della perfezione, dopo che aveva lasciato il mondo per donarsi a Dio, che, in poco tempo, ella divenne un modello di virtù, anche per i religiosi più anziani, pur essendo, lei, così giovane. 
Prima di morire, suo padre le raccomandò fortemente di nuovo, di non rivelare mai la sua vera identità. Marina aveva appena diciassette anni, allorché il padre la lasciò. Tutti i religiosi, la chiamavano Marino. La sua umiltà profonda e la virtù non comune, la fecero amare e rispettare da tutti i religiosi. Ma il demonio, geloso perché la vedeva camminare tanto rapidamente nella via della virtù, o piuttosto, volendo Dio metterla alla prova, permise che fosse calunniata nel modo più abietto. Le sarebbe stato molto facile dimostrare la sua innocenza, ma ella non volle farlo. 
Capite, così, che una persona che ama veramente Dio, considera tutto ciò che Dio permette che accada, persino la maldicenza e la calunnia, come un dono per il suo maggior bene. I fratelli del monastero, erano soliti, certi giorni della settimana, andare al mercato a fare provvista, e quel fratello (Marino) li accompagnava. Il padrone dell'osteria, aveva una figlia che aveva peccato miseramente con un soldato. Essendosi accorto che era incinta, volle sapere da lei chi l'aveva disonorata. Questa figlia, piena di malizia, si inventò la più oscena maldicenza e la più terribile calunnia, e disse a suo padre che era stato il monaco Marino che l'aveva sedotta, e che era caduta nel peccato insieme a lui. Il padre, pieno di furore, venne a fare le sue rimostranze all'abate, il quale rimase molto stupito che il monaco Marino avesse potuto fare una simile cosa, proprio lui che era ritenuto un grande santo. Allora il padre abate mandò a chiamare fratel Marino alla sua presenza e gli chiese che cosa mai avesse combinato, che razza di vita avesse condotto finora, e se si rendesse conto quale vergogna fosse per un religioso! 
Il povero fratel Marino, elevando a Dio il suo cuore, pensava a che cosa dovesse rispondere, e allora, piuttosto che diffamare quella ragazza impudica, si accontentò di rispondere così: "Sono un povero peccatore, che merita di fare penitenza". 

L'abate non indagò oltre, e credendolo colpevole del crimine di cui veniva accusato, lo castigò aspramente e lo cacciò dal monastero. E questa povera figlia, simile a Gesù Cristo, ricevette i colpi e l'affronto, senza aprire bocca per lamentarsi né per fare riconoscere la sua innocenza, lei che avrebbe potuto dimostrarla con tanta facilità. Ella restò per tre anni alla porta del monastero, guardata da tutti i religiosi come un'infame. Quando i religiosi passavano, si prostrava davanti a loro per chiedere l'aiuto delle loro preghiere e un piccolo pezzo di pane, per non morire di fame. La ragazza dell'osteria, avendo partorito, custodì per qualche tempo il bambino, ma poi, quando fu svezzato, lo inviò a fratel Marino, come se ne fosse il padre. Egli, senza manifestare per nulla la sua innocenza, lo accolse come se fosse suo figlio, e lo nutrì per due anni, condividendo con lui le poche elemosine che riceveva.   
   Gli altri religiosi, commossi da tanta umiltà, andarono a pregare l'abate di avere pietà di fratel Marino, osservando che da cinque anni faceva penitenza alla porta del monastero, e che bisognava accoglierlo e perdonarlo per amore di Gesù Cristo. Il padre abate, avendolo fatto venire, gli rivolse aspri rimproveri: "Tuo padre era un santo, gli dice l'abate, ti fece entrare qui dalla tua infanzia, e tu hai avuto la sfrontatezza di disonorare questo luogo col più detestabile dei crimini. Tuttavia, ti concedo di entrare in questa casa con questo bambino, del quale tu sei l'indegno padre, e ti condanno, come espiazione del tuo peccato, ai servizi più vili e più bassi verso tutti gli altri fratelli". Il povero fratel Marino, senza dire una sola parola di lamento, si sottomise a tutti, sempre contento e sempre deciso a non dire nulla per far conoscere la sua completa innocenza. Questo nuovo lavoro, che a mala pena avrebbe potuto sostenere un uomo robusto, non lo scoraggiò affatto. Tuttavia, di lì a poco, schiacciato dalla fatica del lavoro e dall'austerità dei digiuni, soccombette, e, pochi giorni dopo, morì. L'abate ordinò, secondo carità, che gli fossero tributati gli uffici, come a ogni altro religioso; ma per stigmatizzare al massimo il vizio dell'impurità, lo fece seppellire lontano dal monastero, perché al più presto venisse dimenticato. 
   Ma Dio volle che si riconoscesse la sua innocenza, che ella (Marina = fratel Marino) aveva tenuta nascosta per sì lungo tempo. Avendo i fratelli scoperto che era una donna, si misero a gridare, percuotendosi il petto: "Dio mio, come ha potuto, questa santa figlia, soffrire con tanta pazienza tante ingiurie e afflizioni, senza lamentarsi, quando invece le sarebbe stato tanto facile discolparsi?". Allora corrono dal padre abate, urlando con forza e spandendo lacrime in abbondanza: "Venite, padre mio, gli dissero, venite a vedere fratel Marino". L'abate, meravigliato per queste grida e per queste lacrime, corre verso questa povera figlia innocente. Egli fu assalito da un così vivo dolore, che si inginocchiò, battendo la fronte per terra e versando torrenti di lacrime. Allora tutti insieme, lui e i suoi religiosi, cominciarono a gridare, desolati: "O santa e innocente figlia, ti scongiuro, per la misericordia di Gesù Cristo, di perdonarmi tutte le pene e gli ingiusti rimproveri che ti ho fatti! Ahimè! urlava l'abate, ero nell'ignoranza; tu hai avuto tanta pazienza per accettare tutto, mentre io troppo poca luce per riconoscere la santità della tua vita". 
Avendo fatto riporre il corpo di questa santa donna nella cappella del monastero, portarono la notizia al padre della ragazza che aveva accusato fratel Marino. Questa povera disgraziata, che aveva falsamente accusato il santo fratello Marino, dopo il peccato era rimasta posseduta dal demonio. Ella venne, disperata, ai piedi della santa (Marina), per confessare il suo crimine, domandandole perdono. E subito, per sua intercessione, fu liberata dal demonio.

Vedete, fratelli miei, quanto la calunnia e la maldicenza fanno soffrire dei poveri innocenti!
Quante povere persone, anche nel mondo, vengono accusate falsamente, ma nel giorno del giudizio, riconosceremo essere innocenti. Tuttavia, coloro che sono accusati in questo modo, devono riconoscere che è Dio che lo permette, e che la cosa migliore per loro, è quella di rimettere la loro innocenza nelle mani di Dio, e di non tormentarsi perché la loro reputazione ne può risentire; quasi tutti i santi hanno fatto così. 

Vedete ancora san Francesco di Sales, che fu accusato davanti a un gran numero di persone, di aver fatto uccidere un uomo, per convivere con sua moglie. Il santo lasciò tutto nelle mani di Dio, e non si preoccupò per nulla della sua reputazione.
A coloro che gli consigliavano di difenderla (la reputazione), rispondeva che lasciava a Colui che aveva permesso che fosse infamata, il compito di ristabilirla, quando lo avesse ritenuto opportuno.

Siccome la calunnia è qualcosa che ferisce la sensibilità, Dio permette che quasi tutti i santi siano calunniati. Credo che la scelta migliore che possiamo fare in questi casi, sia quella di non dire niente, di chiedere al buon Dio di poter soffrire tutto ciò per amor suo, e di pregare per coloro che ci calunniano. D'altro canto, Dio permette questo solo a coloro sui quali la sua misericordia nutre grandi aspettative. Se una persona è calunniata, significa che Dio ha deciso di farla giungere a grande perfezione. Dobbiamo piangere su coloro che oscurano la nostra reputazione, e rallegrarci per noi stessi, perché stiamo accumulando grandi tesori nel cielo.

Ma ora ritorniamo al nostro argomento, poiché il nostro principale scopo è quello di far conoscere il male che il maldicente procura a se stesso. Vi dirò che la maldicenza costituisce peccato mortale, quando si afferma qualcosa di grave, poiché san Paolo colloca questo peccato tra quelli che ci escludono dal regno dei cieli. 
   Lo Spirito Santo ci dice che il maldicente è maledetto da Dio, che egli è in abominio a Dio e agli uomini. E' vero anche che la maldicenza è più o meno grave, a seconda della qualità, della prossimità e della dignità della persona a cui è riferita. Di conseguenza, è peccato più grave divulgare i difetti e i vizi dei propri superiori, come anche del proprio padre o della propria madre, della moglie o del marito, dei propri fratelli e sorelle e dei parenti, piuttosto che divulgare i difetti di gente estranea, poiché si deve nutrire maggiore carità per gli uni che per gli altri. 
Parlare male, poi, delle persone consacrate e dei ministri della Chiesa, è un peccato ancora più grave, a motivo delle conseguenze funeste che si causano alla religione, e dell'oltraggio che si compie contro la loro sacra dignità. Ascoltate ciò che lo Spirito Santo ci dice per bocca del suo profeta: 
"Maledire i ministri sacri, equivale a toccare la pupilla del proprio occhio". Vale a dire che niente li può oltraggiare in modo tanto sensibile, e quindi si commette un crimine talmente grande che non lo si potrà mai comprendere appieno... Gesù Cristo ci dice anche: "Chi disprezza voi, disprezza me". Perciò, fratelli miei, quando vi trovate in compagnia di persone di un'altra parrocchia, sempre pronti a parlar male del loro pastore, non dovete mai prendervi parte. Allontanatevi, se lo potete, e se non vi è possibile, rimanete zitti. 

Ciò detto, fratelli miei, sarete d'accordo con me, che per fare una buona confessione, non basta dire che si è parlato male del prossimo; bisogna aggiungere se lo si è fatto per leggerezza, per odio, per vendetta, se abbiamo voluto nuocere alla sua reputazione. Bisognerà precisare, di chi abbiamo parlato male: se si tratta di un superiore, di un collega, del padre, della madre, dei nostri parenti, o di persone consacrate a Dio; e davanti a quante persone: tutto ciò è necessario, per fare una buona confessione.

Molti si ingannano su quest'ultima cosa: ci si accusa, magari, di aver parlato male del prossimo, ma non si precisa di chi, né quale fosse l'intenzione che li spingeva a parlar male di quelle persone, e ciò è causa di molte confessioni sacrileghe. Altri, poi, se si chiede loro se per caso queste maldicenze abbiano recato danno al prossimo, vi risponderanno di no. Amico mio, ti sbagli di grosso; tutte le volte che hai detto qualcosa di male su qualcuno, e quella cosa fino ad allora era sconosciuta alla persona con cui ne hai parlato, ciò ha prodotto un danno al prossimo, perché hai pur sempre sminuito nell'animo di questa persona, la buona stima che essa poteva avere dell'altro.

Da ciò possiamo facilmente dedurre, che quasi mai si parla male senza nuocere, o indebolire, in qualche modo, la reputazione del prossimo. Ma forse mi obietterai: se il fatto è di pubblico dominio, non c'è nulla di male. Amico mio, quando la cosa è ormai risaputa, è come se una persona avesse tutto il corpo coperto di lebbra, eccetto una piccola parte, e tu dicessi che siccome ormai è tutto coperto, bisogna finire di ricoprirlo (di lebbra). Così avviene qui.

Se il fatto è pubblico, tu devi, al contrario, avere compassione di questo povero infelice, nascondere o sminuire la sua colpa quanto più puoi. Ti sembrerebbe giusto, vedendo una persona malata sull'orlo del precipizio, approfittare della sua debolezza e del fatto che è prossima a cadere, per spingerla giù? Ebbene! Proprio questo si fa quando si ripete ad altri un fatto di pubblico dominio. Ma, mi dirai, e se si riferisce il fatto ad un amico, facendosi promettere che non lo dirà mai a nessuno? Ti sbagli ancora; come puoi pensare che quello non lo dirà, dal momento che tu stesso non ti sai trattenere dal dirlo? E' come se tu dicessi a qualcuno: "Vedi, amico mio, sto per dirti una cosa, ti prego di essere più saggio e più discreto di me; abbi più carità di me; non fare e non dire ciò che ti dico". Ma allora la cosa migliore è che tu non dica proprio niente. Qualunque cosa un altro faccia o dica, a te non deve interessare che una cosa soltanto: guadagnarti il cielo. Mai nessuno si è dispiaciuto di non aver detto nulla, mentre quasi sempre ci si è pentiti di aver parlato troppo. Lo Spirito Santo ci dice che "chi troppo parla, non parla mai bene". Vediamo adesso, quali sono le cause e le conseguenze della maldicenza.

Ci sono molti motivi che ci portano a parlar male del prossimo. Gli uni parlano male per invidia, e questo accade soprattutto fra persone dello stessa condizione, per trarne vantaggio. Essi diranno male degli altri: che le loro mercanzie non valgono niente, o che ingannano, che sono dei poveracci, e che quindi sarebbe impossibile per loro dare la mercanzia a un prezzo così basso, che molti sono rimasti delusi..., che si accorgeranno essi stessi che ciò che hanno comprato è inservibile..., oppure che non era il peso o la misura giusta. Un operaio giornaliero, dirà che quell'altro non è un buon operaio, che dovunque vada a lavorare, nessuno resta contento; che invece di lavorare, perde tempo, oppure, che non sa proprio lavorare. E poi chi vi sta parlando aggiungerà: "Mi raccomando, non riferire a nessuno ciò che ti ho detto, non vorrei che gli procurasse un danno". Allora bisognerebbe rispondergli: "Ma, se è così, non sarebbe stato meglio che ti fossi stato proprio zitto?". Un contadino vedrà che la proprietà del vicino prospera più della sua: ciò lo infastidisce, e allora comincerà a sparlare. Altri parleranno male di te per vendetta, specialmente se gli hai detto o fatto qualcosa, magari, per dovere di carità. Cominceranno a screditarti, a inventare mille cose contro di te, per vendicarsi. Se poi parli bene di qualcuno, altri restano infastiditi e ti diranno: "E' come gli altri, ha anche lui i suoi difetti; ha fatto questo., ha detto quest'altro...; tu non lo conosci, non hai mai avuto a che fare con lui". Parecchi sparlano per orgoglio, credendo di mettere in risalto se stessi, abbassando gli altri, parlando male degli altri; essi faranno valere le loro presunte buone qualità; tutto ciò che essi stessi diranno o faranno sarà bene, e tutto ciò che gli altri faranno o diranno, sarà male.

La maggior parte della gente, però, sparla per leggerezza, per un certo prurito di parlare, senza esaminare se quello che dicono è vero o no, basta che parlino. Sebbene costoro siano meno colpevoli degli altri, cioè di coloro che sparlano per odio, per invidia o per vendetta, tuttavia non sono esenti da peccato; quale che sia il motivo che li spinga, tuttavia, non sono meno nocivi alla reputazione del prossimo Sì, fratelli miei, questo peccato contiene in sé il veleno di tutti i vizi: la meschinità della vanità, il veleno della gelosia, l'asprezza della collera, il fiele dell'odio, e la leggerezza, tanto indegna di un cristiano. E' questo che fa dire a san Giacomo apostolo "che la lingua del mormoratore è piena di veleno mortale, è un mondo di iniquità". Se volessimo prenderci la pena di esaminare meglio tutto ciò, nulla ci sembrerebbe più chiaro. Non è, infatti, la maldicenza che semina, quasi dappertutto, discordia e divisione, che scompiglia le amicizie, che impedisce ai nemici di riconciliarsi, che turba la pace delle famiglie, che mette il fratello contro il fratello, il marito contro la moglie, la nuora contro la suocera, il genero contro il suocero? Quante famiglie vivevano in armonia, prima che una sola lingua cattiva le mettesse sottosopra, e ora non si possono più vedere e non si parlano più. Chi ne è stata la causa? La sola malalingua del vicino o della vicina.

Sì, fratelli miei, la lingua del maldicente avvelena tutte le buone azioni e mette allo scoperto quelle peggiori. E' lei, che tante volte spande su un'intera famiglia delle macchie, che si trasmettono di padre in figlio, da una generazione all'altra, e che, forse, non saranno mai cancellate! La lingua del maldicente arriva perfino a rivoltare le tombe dei morti, ella tenta di riesumare le ceneri di quei poveri malcapitati, facendole rivivere, cioè ricordando i loro difetti, che erano stati sepolti con loro nella tomba. Quale ignominia! Da quale indignazione sareste presi, fratelli miei, se vedeste un disgraziato infierire contro un cadavere, tagliuzzandolo in mille pezzi?

Ciò vi farebbe gemere di compassione. Ebbene! E' ancora molto più grande il crimine di andare a riesumare le colpe di un povero morto.

Quante persone, che hanno quest'abitudine, parlando di qualcuno che è morto, diranno: "Ah! quante ne ha combinate ai suoi tempi, era un ubriaco incallito, un furbo finito male, insomma, viveva molto male". Ahimè! amico mio, forse ti sbagli, e quand'anche avessi indovinato, potrebbe darsi che quello ora si trovi in cielo, avendolo il buon Dio perdonato. Ma dov'è la tua carità? Non pensi che stai danneggiando la reputazione dei suoi figli, se ne ha, o dei suoi parenti?

Saresti contento che si parlasse così dei tuoi parenti? Se avessimo la carità, noi non troveremmo niente da dire su nessuno, cioè ci prenderemmo cura di esaminare soltanto la nostra condotta e non quella degli altri. Ma se mettete da parte la carità, non ci sarebbe sulla terra un solo uomo, nel quale non trovereste qualche difetto; sicché la lingua del maldicente, trova sempre qualcosa da ridire su chiunque. No, fratelli miei, noi non conosceremo se non nel Giorno della Vendetta, il male che la lingua del maldicente ha fatto. Considerate che la sola calunnia che Aman fece contro i Giudei, poiché Mardocheo non aveva voluto piegare le ginocchia davanti a lui, aveva prodotto nel re, la decisione di far morire tutti i Giudei. Se la calunnia non fosse stata sventata, la nazione giudea sarebbe stata sterminata, secondo il disegno del generale (Aman). Dio mio! Quanto sangue sarebbe stato sparso per una sola calunnia! Ma Dio, che non abbandona mai l'innocente, permise che questo disgraziato perisse col medesimo supplizio con cui voleva far morire i Giudei.

Ma, senza andare troppo lontano, quanto male fa una persona che parli male col figlio, del proprio padre o della propria madre, o dei suoi padroni. Così facendo, avete iniettato in lui una cattiva opinione, per cui egli li guarderà con disprezzo; se non avesse timore della punizione, arriverebbe perfino a maltrattarli. Come risposta, il padre e la madre, il padrone o la padrona, lo malediranno, imprecheranno contro di lui, lo tratteranno con durezza; e quale sarà stata la causa di tutto ciò? La vostra malalingua! Avete parlato male dei ministri della Chiesa, e forse anche del vostro stesso pastore; così facendo avete indebolito la fede in coloro che vi ascoltavano, ed ora hanno abbandonato i sacramenti, e vivono senza più religione; e quale ne è stata la causa? La vostra malalingua! Siete voi la causa per cui quei mercanti o quegli operai non fanno più gli stessi affari, perché li avete screditati. Quella moglie, che viveva felice e contenta con suo marito, voi l'avete calunniata presso di lui; adesso egli non può più sopportarla, sicché a causa delle vostre mormorazioni, in quella famiglia non c'è più che odio e maledizione.

Fratelli miei, se le conseguenze della maldicenza sono così terribili, la difficoltà nel porvi rimedio non è meno grande. Allorché la maldicenza è di una certa gravità, fratelli miei, non è sufficiente confessarsi di averla commessa. Con ciò non voglio dire che non bisogna confessarla; no, fratelli miei, perché se non confessate le vostre maldicenze, sarete condannati, nonostante tutte le penitenze che potreste fare. Ma voglio dire che, dopo averle confessate, bisognerà assolutamente, se è nella vostra possibilità, riparare il danno che la calunnia ha causato al vostro prossimo. Come, infatti, il ladro che non restituisce i beni che ha rubato, non vedrà mai il cielo, allo stesso modo, colui che ha tolto la reputazione al suo prossimo, non vedrà giammai il cielo, se non farà tutto ciò che dipende da lui, per ristabilire la reputazione del suo prossimo.

Ma, mi chiederete, come si deve dunque fare per riparare la reputazione del proprio prossimo? Ecco. Se quello che si è detto contro di lui è falso, bisognerà assolutamente andare a trovare tutti coloro con i quali si è parlato male di questa persona, riconoscendo che tutto ciò che si è detto è falso; che si è parlato per odio, per vendetta o per leggerezza. E se anche, facendo così, passeremo per bugiardi, per furbi o per impostori, dobbiamo farlo lo stesso. E se, per caso, ciò che avevamo detto era vero, non potremo disdire, perché non è mai permesso di mentire, ma bisognerà dire di quella persona tutto il bene che conosciamo, in modo da cancellare il male che si è detto prima. E se poi quella maldicenza, quella calunnia, gli hanno causato qualche torto, si è obbligati a ripararlo tanto quanto lo si può.

Giudicate voi stessi da ciò, fratelli miei, quanto sia difficile riparare le conseguenze negative della maldicenza. Vi accorgerete, fratelli miei, come sia imbarazzante dover ammettere di aver mentito su quella persona; eppure, se quello che abbiamo detto è falso, bisognerà farlo, se non volete dire addio al cielo! Ahimè! fratelli miei, proprio questa mancanza di riparazione, rischia di mandare il mondo in perdizione! Il mondo è pieno di maldicenti e di calunniatori, ma non c'è quasi nessuno che voglia riparare al male fatto, e, di conseguenza, quasi nessuno si salverà! Non c'è una via di mezzo, fratelli miei, o la riparazione, se è nella nostra possibilità, o la dannazione.

Esattamente come accade per i beni che uno ha rubato; saremo dannati se li possiamo restituire ma non li restituiamo. Ebbene! fratelli miei, capite, adesso, il male che fate con la vostra lingua e come sia difficile, poi, riparare? Tuttavia, bisogna anche capire che non sempre si tratta di maldicenza.

Non è maldicenza, infatti, allorché si fanno conoscere ai genitori i difetti dei propri figli, al padrone il difetto del suo domestico, purché lo si faccia nell'intento di aiutarli a correggersi. E allora se ne parlerà soltanto con coloro che possono porvi rimedio, e sempre guidati dal vincolo della carità.

Termino dicendo che non è da evitare solo il parlar male o il calunniare, ma anche ascoltare con un certo piacere la maldicenza e la calunnia. Infatti, se non ci fosse chi ascolta, non esisterebbe neppure chi calunnia. San Bernardo ci dice che è molto difficile giudicare chi sia più colpevole, se chi calunnia, o chi ascolta; l'uno ha il demonio sulla lingua, l'altro nelle orecchie. Ma, mi direte voi, che cosa si deve fare quando si capita in una compagnia dove si sparla? Ecco. Se si tratta di un suddito, cioè di una persona a voi sottomessa, dovete imporgli di tacere all'istante, facendogli notare il male che va facendo. Se è una persona del vostro rango, dovete con abilità sviare la conversazione, parlando d'altro, o dando a vedere di non gradire ciò che dice. Se poi si tratta di un superiore, cioè di una persona che è al di sopra di voi, non la potrete rimproverare. Ma allora, mostrerete un'aria seria e triste, che gli faccia capire che vi trovate a disagio, e, se potete andarvene, dovete farlo.

Cosa dovremo concludere da tutto ciò che si è detto, fratelli miei? Ecco. Non dobbiamo, per nessun motivo, prendere l'abitudine di parlare del comportamento degli altri. Dobbiamo pensare che ci sarebbe tanto e poi tanto da dire sul nostro conto, se gli altri ci conoscessero come siamo veramente. Dobbiamo invece fuggire le compagnie mondane più che possiamo. Con sant'Agostino, dobbiamo spesso ripetere: "Dio mio, fammi la grazia di conoscermi come sono veramente". Felice! mille volte felice, colui che userà la sua lingua soltanto per chiedere a Dio il perdono dei suoi peccati, e per cantare le sue lodi!

mercoledì 9 agosto 2017

Dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.

DE EN ES FR HR IT PT ]


BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Mercoledì, 5 agosto 2009

San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars

Cari fratelli e sorelle,
nell’odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali. Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt 25,34). Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all’ingresso di un così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l’Anno Sacerdotale, che, com’è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.

Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l’8 maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato, com’era buon uso all’epoca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli animali, tanto che, all’età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili.

 Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente all’età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.

Il Santo Curato d’Ars manifestò sempre un’altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: “Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!” (Abbé Monnin, Esprit du Curé d’Ars, p. 113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: “Se fossi prete, vorrei conquistare molte anime” (Abbé Monnin, Procès de l’ordinaire, p. 1064). E così fu. Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11). Sull’esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo servizio sacerdotale. La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale.

Centro di tutta la sua vita era dunque l’Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione e rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura sacerdotale era l’assiduo ministero delle confessioni. Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (cfr Gv 20,23). 

San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e maestro spirituale. Passando “con un solo movimento interiore, dall’altare al confessionale”, dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr Lettera ai sacerdoti per l’Anno Sacerdotale).

I metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibili, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati a coltivare. 

A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è stata la sua umile fedeltà alla missione a cui Iddio lo aveva chiamato; è stato il suo costante abbandono, colmo di fiducia, nelle mani della Provvidenza divina. Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu “innamorato” di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio. 

La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più per il sacerdote, l’Eucaristia “non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l’intero io dell’uomo e crea un nuovo noi” (Joseph Ratzinger, La Comunione nella Chiesa, p. 80).

Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima attualità. Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di “dittatura del razionalismo” volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.

Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo.

Oggi però, come allora, l’uomo “mendicante di significato e compimento” va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi.

Avevano ben presente questa “sete di verità”, che arde nel cuore di ogni uomo, i Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II quando affermarono che spetta ai sacerdoti, “quali educatori della fede”, formare “un’autentica comunità cristiana” capace di aprire “a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo” e di esercitare “una vera azione materna” nei loro confronti, indicando o agevolando a che non crede “il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa”, e costituendo per chi già crede “stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale” (cfr Presbyterorum ordinis, 6). 

L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars è che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore. Solo così, di conseguenza, potrà infondere entusiasmo e vitalità spirituale alle comunità che il Signore gli affida. 
Preghiamo perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e coadiuvare il loro ministero. Affidiamo questa intenzione a Maria, che proprio oggi invochiamo come Madonna della Neve.

AMDG et BVM

martedì 8 agosto 2017

San Giovanni Maria Vianney, Curato d'Ars



Lettura 
Giovanni Maria Vianney, nato da pii contadini nel villaggio di Dardilly, nella diocesi di Lione, diede ben presto molti segni di santità. 


A otto anni, mentre custodiva le pecore, era solito insegnare ai bambini, genuflessi dinanzi all'immagine della Madonna, il rosario, con la parola e con l'esempio e, mentre attendeva al lavoro dei campi, meditava le cose celesti. 

Nutriva grande amore per i poveri e cercava di aiutarli con tutti i mezzi. 

Poiché era tardo d'ingegno [?], implorò l'aiuto divino e, nonostante avesse compiuto a fatica il corso di teologia, venne consacrato sacerdote. 

Nominato parroco, trasformò la sua parrocchia, che era squallida e deserta, rendendola fiorente. 

Ogni giorno si dedicava assiduamente alla confessione e alla direzione spirituale e sopportava con pazienza gli atroci tormenti del demonio. 
Istituì i pii esercizi delle Missioni in più di cento parrocchie. Essendo molto umile, si sforzava di sottomettersi al santo desiderio dei fedeli che accorrevano nella sua parrocchia per vederlo, anche dalle province lontane. 

Consumato più dalle fatiche che dalla vecchiaia, dopo aver predetto il giorno della sua morte, si addormentò nel Signore il 4 agosto 1859, a settantatré anni. 

Per i numerosi miracoli, Pio X lo iscrisse fra i beati. Pio XI, nell'anno santo, lo annoverò fra i santi e nel cinquantesimo del suo sacerdozio lo proclamò patrono di tutti i parroci.


V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Preghiamo:
Dio onnipotente e misericordioso, che rendesti mirabile san Giovanni Maria per lo zelo pastorale e per il continuo ardore della preghiera e della penitenza: danne, te ne preghiamo, che, per l'esempio e la intercessione di lui, riusciamo a guadagnare a Cristo le anime dei fratelli e a conseguire insieme con essi la gloria eterna. 
Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
AMDG et BVM