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venerdì 31 maggio 2019

Atto di Consacrazione del genere umano al Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria

Dal Manuale delle Indulgenze - 1952


    << Regina del santissimo Rosario, ausilio dei cristiani, rifugio del genere umano, vincitrice di tutte le battaglie di Dio, supplici ci prostriamo al vostro trono, sicuri di impetrare misericordia e di ricevere grazie e opportuno aiuto nelle presenti calamità, non per i nostri meriti, dei quali non presumiamo, ma unicamente per  l’immensa bontà del vostro materno Cuore. 

     A Voi, al vostro Cuore Immacolato, in questa ora grave della storia umana, ci affidiamo e ci consacriamo, non solo con tutta la santa Chiesa, corpo mistico del vostro Gesù, che soffre in tante parti e in tanti modi è tribolata e perseguitata, ma anche con tutto il mondo straziato da discordie, agitato dall’odio, vittima della propria iniquità. 

     Vi commuovano tante rovine materiali e morali, tanti dolori, tante angoscie, tante anime torturate, tante in pericolo di perdersi eternamente! Voi, o Madre di misericordia, impetrateci da Dio la riconciliazione cristiana dei po­poli, ed anzitutto otteneteci quelle grazie, che possono in un istante convertire i cuori umani, quelle grazie che preparano e assicurano questa sospirata pacificazione.           
    Regina della pace, pregate per noi e date al mondo la pace nella verità, nella giustizia, nella carità di Cristo. Dategli soprattutto la pace delle anime, affinchè nella tranquillità dell’ordine si dilati il regno di Dio. 
     Accordate la vostra protezione agli infedeli e a quanti giacciono nelle ombre della morte ; fate che sorga per loro il Sole della verità e possano, insieme con noi, innanzi all’unico Salvatore del mondo ripetere : Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! 
     Ai popoli separati per l ’errore o per la discordia, e segnatamente a coloro che professano per Voi singolare devozione, date la pace e riconduceteli all’unico ovile di Cristo, sotto l’unico e vero Pastore.       
    Ottenete libertà completa alla Chiesa santa di Dio; difendetela dai suoi nemici; arrestate il diluvio dilagante della immoralità; suscitate nei fedeli l 'amore alla purezza, la pratica della vita cristiana e lo zelo apostolico, affinchè il popolo di quelli che servono Dio aumenti in meriti e in numero. 

    Finalmente, come al Cuore del vostro Gesù furono consacrati la Chiesa e tutto il genere umano, perchè, riponendo in Lui ogni speranza, Egli fosse per loro fonte inesauribile di vittoria e di salvezza; così parimente noi in perpetuo ci consacriamo anche a Voi, al vostro Cuore Immacolato, o Madre nostra e Regina del mondo; affinchè il vostro amore e patrocinio affrettino il trionfo del regno di Dio e tutte le genti, pacificate con Dio e tra loro, vi proclamino beata, e con Voi intonino, da una estremità all’altra della terra, l’eterno «Magnificat» di gloria, amore, riconoscenza al Cuore di Gesù, nel quale solo possono trovare la verità, la vita e la pace.>>

Pio Pp. XII

Indulgentia trium -annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si consecrationis actus quotidie in integrum mensem devote repetitus fuerit (Pio XII, Rescr. Secret. Status, 17 nov. 1942; exhib. docum., 19 nov. 1942).
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PIO XII, (1939-1958), 
Radiomessaggio al Portogallo. 
La consacrazione della Chiesa e 
del genere umano al Cuore Immacolato di Maria, del 31-10-1942




Venerabili Fratelli e diletti Figli,
“Benedicite Deum coeli, et coram omnibus viventibus confitemini ei, quia fecit vobiscum misericordiam suam” (Tob. 12, 6).
“Benedite il Dio del cielo e glorificatelo al cospetto di tutti i viventi, perchè Egli ha usato con voi le sue misericordie”.
Più volte in questo anno di grazia voi siete saliti in devoto pellegrinaggio alla montagna santa di Fatima, e con voi avete recato i cuori di tutto il Portogallo credente per deporre, in quella oasi balsamica di fede e di pietà, ai piedi della Vergine patrona, il tributo filiale del vostro più puro amore, l’omaggio della vostra riconoscenza per gli immensi benefici di recente ricevuti, la preghiera fiduciosa perchè Ella si degni di continuare il suo patrocinio sulla vostra Patria, di qua e di là dal mare, e di estenderlo alla grande tribolazione che affligge il mondo.
Noi, che, come Padre comune dei fedeli, facciamo Nostre le tristezze e le gioie dei Nostri figli, con tutto l’affetto della Nostra anima Ci uniamo a voi per lodare e magnificare il Signore, datore di ogni bene; per benedire e ringraziare Colei, per le cui mani la munificenza divina ci comunica torrenti di grazie.
E tanto più di buon grado lo facciamo in quanto voi, con filiale delicatezza, avete voluto associare nelle medesime solennità eucaristiche e impetratorie il giubileo della Madonna di Fatima e il venticinquesimo anniversario della Nostra Consacrazione Episcopale: la SS.ma Vergine Maria e il Vicario di Cristo in terra, due devozioni così care ai portoghesi e sempre unite nell’affetto del fedelissimo Portogallo, fin dagli albori della sua vita nazionale, fin da quando le prime terre riconquistate, nucleo della futura nazione, vennero consacrate alla Madre di Dio come Terra di Santa Maria, e il regno, appena costituito, fu posto sotto l’egida di S. Pietro.
“Il primo e più grande dovere dell’uomo è quello della gratitudine” (S. Ambrosii De excessu fratris sui Sat. l. I, n. 44, Migne PL, t. 16, col. 1361). “Nulla è così accetto a Dio, come l’anima riconoscente, che rende grazie per i benefici ricevuti” (cfr. S. Ioannis Chrys. Hom. 52 in Gen., Migne PG, t. 54, col. 460).
E voi avete un gran debito verso la Vergine, Signora e Patrona della vostra Patria.
In un’ora tragica di tenebre e di disorientamento allorchè la nave dello Stato portoghese, smarrita la rotta delle sue più gloriose tradizioni, sperduta nella tormenta anticristiana e antinazionale, sembrava correre verso inevitabile naufragio, inconscia dei pericoli presenti e più ancora inconsapevole di quelli futuri — la cui gravità del resto nessuna prudenza umana, per quanto accorta, poteva allora prevedere — il Cielo, che vedeva gli uni e prevedeva gli altri, intervenne pietoso, e dalle tenebre scaturì la luce, dal caos emerse l’ordine, la tempesta si mutò in bonaccia, e il Portogallo potè trovare e riannodare il perduto filo delle sue più belle tradizioni di Nazione fedelissima, per proseguire — come nei giorni in cui “nella piccola casa Lusitana non mancavano cristiani ardimenti” per “dilatare la legge della vita eterna”(Camões, Lusíadas, canto VII, ottave 3 e 14) — nel suo cammino glorioso di popolo crociato e missionario.
Onore ai benemeriti, che furono strumento della Provvidenza per così grande impresa!
Ma la prima gloria, benedizione, e azione di grazie è dovuta alla Vergine Nostra Signora, Regina e Madre della Terra di S. Maria, che Ella mille volte salvò, che sempre sorresse nelle ore tragiche, — e in quest’ora, forse la più tragica, così manifestamente ha fatto — sicchè già nel 1934 il Nostro Predecessore Pio XI di immortale memoria, nella Lettera Apostolica Ex officiosis litteris, attestava “gli straordinari benefici con cui la Vergine Madre di Dio si era degnata anche recentemente di favorire la vostra Patria”(Acta Ap. Sedis, a. XXVI, 1934, p. 628). E in quel momento non ancora si pensava al Voto del Maggio del 1936 contro il pericolo rosso, tanto paurosamente vicino e tanto insperatamente scongiurato.
Non era peranco attuata la meravigliosa pace di cui, nonostante tutto, il Portogallo al presente gode, e la quale, nonostante i sacrifici che esige, è sempre immensamente meno rovinosa della guerra di sterminio che va devastando il mondo.
Oggi in cui ai tanti benefici si sono aggiunti anche questi, e l’atmosfera di miracolo che aleggia sul Portogallo si espande in prodigi materiali e in più grandi e più numerosi prodigi di grazie e di conversioni, e fiorisce in una primavera splendente di vita cattolica che promette i migliori frutti, oggi con ben più ragione dobbiamo confessare che la Madre di Dio vi ha ricolmati di favori veramente straordinari; a voi perciò incombe il sacro dovere di renderle incessante riconoscenza.
E voi avete ringraziato durante tutto questo anno, ben lo sappiamo.
Al Cielo devono essere stati accetti gli omaggi ufficiali; ma lo avranno ancor più commosso i sacrifici dei pargoletti, la preghiera e la penitenza sincera degli umili.
Al vostro attivo sono scritte nel libro di Dio:
l’apoteosi della Vergine Nostra Signora nel suo viaggio dal Santuario di Fatima alla Capitale dell’Impero, durante le memorande giornate dall’8 al 12 dell’aprile scorso, forse la più grande dimostrazione di fede nella storia otto volte secolare della vostra Patria;
il pellegrinaggio nazionale del 13 maggio “giornata eroica del sacrificio” che, nonostante il freddo, le pioggie e le distanze enormi percorse a piedi, raccolse in Fatima, per pregare, ringraziare, riparare, centinaia di migliaia di devoti, tra i quali eccelle, rigogliosa di bellezza, l’esempio della balda Gioventù Portoghese;
le adunanze infantili della Crociata Eucaristica, nelle quali i fanciulli, così prediletti da Gesù, con la fiducia filiale dell’innocenza, attestarono alla Madre di Dio di “aver completamente ottemperato a quanto Ella aveva chiesto: preghiere, comunioni, sacrifici… a migliaia!” e perciò supplicavano: “Nostra Signora di Fatima, adesso e solo con Voi; dite al vostro divino Figlio una parola e il mondo sarà salvo e il Portogallo preservato completamente dal flagello della guerra”; la preziosa corona, di oro e di gemme preziose, e, più ancora, di purissimo amore e di generosi sacrifici, che il 13 del corrente mese avete offerto nel Santuario di Fatima alla vostra augusta Patrona, come simbolo e monumento perenne di eterna gratitudine.
Queste e altre bellissime dimostrazioni di pietà, di cui, sotto le zelanti direttive dell’Episcopato, vi è stata tanta ricchezza in tutte le diocesi e parrocchie nel presente anno giubilare, dimostrano bene quanto il fedele popolo portoghese, grato riconosca l’immenso debito verso la celeste Regina e Madre, e come ad esso intenda di soddisfare.
La gratitudine per il passato è pegno di fiducia per il futuro. “Dio esige da noi che lo ringraziamo dei benefici ricevuti”, non perchè abbia bisogno dei nostri ringraziamenti, ma “affinchè questi lo inducano a concederne altresì dei maggiori” (cfr. S. Ioannis Chrys. Hom. 52 in Gen., Migne PG, t. 54, col. 460). Pertanto è giusto sperare che anche la Madre di Dio, accettando il vostro ringraziamento, non lascerà incompleta la sua opera e proseguirà ad accordarvi quell’indefettibile patrocinio sino ad ora elargitovi, liberandovi da più gravi calamità.
Ma affinchè la speranza non sia presunzione, è necessario che tutti, consci delle proprie responsabilità, procurino di non rendersi indegni del singolare favore della Vergine Madre, anzi da buoni figlioli, riconoscenti e affettuosi, meritino sempre più la sua squisita tenerezza. Bisogna che, accogliendo il consiglio materno che Ella dava alle nozze di Cana, noi facciamo tutto ciò che Gesù ci dice (cfr. Io. 2, 5): ed Egli dice a tutti di far penitenza, poenitentiam agite (Matth. 4, 17); di mutare vita e fuggire il peccato, causa principale dei grandi castighi con cui la Giustizia dell’Eterno affligge il mondo; di essere, in mezzo a questo mondo materialista e paganizzante, nel quale tutta la carne corruppe le sue vie (Gen. 6, 12), il sale che preserva e la luce che illumina; di onorare con impegno la purezza; di rispecchiare nei costumi l’austerità santa del Vangelo, e coraggiosamente e ad ogni costo, come proclamava la Gioventù cattolica a Fatima, “di vivere come cattolici sinceri e convinti al cento per cento!”. E inoltre: pieni di Cristo, occorre diffondere intorno a sè, vicino e lontano, l’odore di Cristo, e colla preghiera assidua, particolarmente con il Rosario quotidiano, e con i sacrifizi che lo zelo generoso ispira, procurare alle anime peccatrici la vita della grazia e la vita eterna.
Invocherete quindi fiduciosamente il Signore ed Egli vi ascolterà; farete appello alla Madre di Dio ed Ella vi risponderà: eccomi! (cfr. Is. 58, 9). Non vigilerà perciò invano colui che difende la città, perchè il Signore vigila con lui e la difenderà; e non sarà mal sicura la casa ricostruita sulle fondamenta di un ordine nuovo, perchè il Signore la consoliderà (cfr. Ps. 126, 1-2). Beato il popolo il cui Signore è Iddio, e la cui Regina è la Madre di Dio. Essa intercederà e Dio benedirà il suo popolo colla pace, compendio di tutti i beni: Dominus benedicet populo suo in pace (Ps. 28, 11).
Ma voi non vi disinteressate (chi può estraniarsene?) dell’immensa tragedia che travaglia il mondo. Anzi quanto più segnalati sono i vantaggi di cui oggi rendete grazie alla Madonna di Fatima, quanto più sicura è la fiducia che in Lei riponete per l’avvenire, quanto più vicina a voi la sentite mentre Ella vi protegge col suo manto di luce, tanto più tragica appare, nel confronto, la sorte di tante nazioni sconvolte dalla più grande calamità che la storia ricordi. Grandiosa manifestazione della divina Giustizia! Adoriamola tremando; ma non dubitiamo però della divina Misericordia, poichè il Padre, che sta nei cieli, non la dimentica neppure nei giorni della sua ira: Cum iratus fueris, misericordiae recordaberis (Hab. 3, 2).
Oggi, al quarto anno di guerra sorto più tetro col sinistro estendersi del conflitto, oggi più che mai ci resta soltanto la fiducia in Dio e, come Mediatrice innanzi al trono divino, Colei che un Nostro Predecessore, nel primo conflitto mondiale, ordinò di invocare quale Regina della Pace.
Invochiamola ancora una volta, chè solamente Ella può aiutarci! Maria, il cui Cuore materno si commosse dinnanzi alle rovine che si accumulavano nella vostra Patria e sì meravigliosamente la soccorse; Maria, che, mossa a pietà nella previsione dell’attuale immensa sventura, con la quale la Giustizia di Dio castiga il mondo, già anticipatamente indicava nell’orazione e nella penitenza la strada della salvezza, Maria non ci negherà il suo materno affetto e l’efficacia della sua protezione.

<<Regina del Santissimo Rosario, ausilio dei cristiani, rifugio del genere umano, vincitrice di tutte le battaglie di Dio! supplici ci prostriamo al vostro trono, sicuri di impetrare misericordia e di ricevere grazie e opportuno ausilio nelle presenti calamità, non per i nostri meriti, dei quali non presumiamo, ma unicamente per l’immensa bontà del vostro materno Cuore.
A Voi, al vostro Cuore Immacolato, Noi, quale Padre comune della grande famiglia cristiana, come Vicario di Colui al quale fu concesso ogni potere in cielo e in terra (Matth. 28, 18), e dal quale ricevemmo la cura di quante anime redente col suo sangue popolano l’universo mondo, — a Voi, al vostro Immacolato Cuore, in quest’ora tragica della storia umana, affidiamo, rimettiamo, consacriamo non solo la Santa Chiesa, corpo mistico del vostro Gesù, che soffre e sanguina in tante parti e in tanti modi tribolata, ma anche tutto il mondo straziato da feroci discordie, riarso in un incendio di odio, vittima delle proprie iniquità.
Vi commuovano tante rovine materiali e morali; tanti dolori, tante angosce di padri e di madri, di sposi, di fratelli, di bimbi innocenti; tante vite in fiore stroncate; tanti corpi lacerati nell’orrenda carneficina; tante anime torturate e agonizzanti, tante in pericolo di perdersi eternamente!
Voi, o Madre di misericordia, impetrateci da Dio la pace! e anzitutto quelle grazie che possono in un istante convertire i cuori umani, quelle grazie che preparano, conciliano, assicurano la pace! Regina della pace, pregate per noi e date al mondo in guerra la pace che i popoli sospirano, la pace nella verità, nella giustizia, nella carità di Cristo. Dategli la pace delle armi e la pace delle anime, affinchè nella tranquillità dell’ordine si dilati il Regno di Dio.
Accordate la vostra protezione agli infedeli e a quanti giacciono ancora nelle ombre della morte; concedete loro la pace e fate che sorga per essi il Sole della verità, e possano, insieme a noi, innanzi all’unico Salvatore del mondo ripetere: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! (Luc. 2, 14).
Ai popoli separati per l’errore o per la discordia, e segnatamente a coloro che professano per Voi singolare devozione, e presso i quali non c’era casa ove non si tenesse in onore la vostra veneranda icone (oggi forse occultata e riposta per giorni migliori), date la pace e riconduceteli all’unico ovile di Cristo, sotto l’unico e vero Pastore.
Ottenete pace e libertà completa alla Chiesa santa di Dio; arrestate il diluvio dilagante di neopaganesimo, tutto materia; fomentate nei fedeli l’amore alla purezza, la pratica della vita cristiana e lo zelo apostolico, affinchè il popolo di quelli che servono Dio aumenti in meriti e in numero.

Finalmente, siccome al Cuore del vostro Gesù furono consacrati la Chiesa e tutto il genere umano, perchè, riponendo in Lui ogni speranza, Egli fosse per loro segno e pegno di vittoria e salvezza (cfr. Litt. Enc. Annum SacrumActa Leonis XIII, vol. 19, p. 79), così parimenti da oggi siano essi in perpetuo consacrati anche a Voi e al vostro Cuore Immacolato, o Madre nostra e Regina del mondo: affinchè il vostro amore e patrocinio affrettino il trionfo del Regno di Dio, e tutte le genti, pacificate tra loro e con Dio, Vi proclamino beata, e con Voi intonino, da un’estremità all’altra della terra, l’eterno Magnificat di gloria, amore, riconoscenza al Cuore di Gesù, nel quale solo possono trovare la Verità, la Vita e la Pace.>>

AMDG et DVM

martedì 10 ottobre 2017

La concelebrazione...

Considerazioni teologiche e liturgiche sulla concelebrazione

(di Cristiana de Magistris) Fino al Concilio Vaticano II la concelebrazione non è stata una questione particolarmente disputata. La tradizione e la prassi della Chiesa erano ben consolidate e non v’era motivo di sollevar questioni. La diatriba è iniziata col modernismo ed è culminata nell’ultima assise conciliare, a partire dalla quale la concelebrazione è divenuta una consuetudine “selvaggia”, che ha oscurato pesantemente e spesso ostacolato la celebrazione individuale.
Nel 1981 il padre carmelitano Joseph de Sainte-Marie dedicò al “problema” della concelebrazione – ché tale era divenuto dopo il Vaticano II – un ampio e documentato volume, il quale a tutt’oggi sembra essere lo studio più esauriente sul tema (L’Eucharistie, salut du monde, Dominique Martin Morin, Paris 1982).
Il punto centrale del problema della concelebrazione è stabilire se nella concelebrazione si ha un solo sacrificio, ossia una sola Messa, o tante Messe quante sono i concelebranti. È a tale questione che il padre Joseph dedica gran parte dei suoi sforzi, poiché è dalla risposta a tale domanda che dipende conseguenzialmente l’opportunità della concelebrazione per il bene comune della Chiesa, o il suo contrario. In fin dei conti, la ragione ultima della disputa è sapere qual è il modo di celebrare il santo Sacrificio della Messa che dà a Dio maggior gloria e procura la più grande ricchezza di grazia redentrice per la Chiesa.
Una prima osservazione riguarda la distinzione capitale tra l’antica concelebrazione “cerimoniale” e quella “sacramentale”. Il padre Joseph de Sainte-Marie la spiega bene, ricordandone le origini storiche. La concelebrazione delle origini è esclusivamente “cerimoniale”: il vescovo, o il Papa, celebra e i sacerdoti stanno intorno. Con l’Ordo Romanus III (ultimi anni dell’VIII secolo) appare per la prima volta, a Roma, la concelebrazione “sacramentale”: essa si svolge in quattro occasioni durante l’anno (Pasqua, Pentecoste, festa di S. Pietro, Natività).
I preti-cardinali della città di Roma si riuniscono intorno al Papa per concelebrare. Nel IX secolo, in seguito all’Ordo Romanus IV, vi sono dei documenti che parlano di Messa crismale del Giovedì Santo concelebrata in alcune città della Francia (es. Lione) e di alcune altre feste liturgiche come l’Epifania e l’Ascensione. Con la fine del XII secolo scompare la concelebrazione a Roma. Nel XVI secolo riappare inizialmente in forma sporadica poi più generalizzata per le Messe di ordinazione, specialmente sacerdotali ed episcopali.
Nel XVIII secolo in Oriente inizia ad essere adottata la concelebrazione “sacramentale” per l’influenza che arriva dall’Occidente, ma è prevista solo nei giorni di festa per dar maggior risalto alla liturgia. In Oriente si era sempre avuta la concelebrazione “cerimoniale” dove permane ancora esclusivamente nella maggior parte delle chiese (riti Caldei, Armeni, Etiopici, Greci ortodossi, Siriaci).
Il tema della concelebrazione riapparve dopo la Seconda guerra mondiale, lanciato dal movimento liturgico: il principio teologico soggiacente era la soppressione della distinzione tra sacerdozio del prete e quello dei fedeli che “concelebrano” insieme. Papa Pio XII denunciò tali errori nell’enciclica Mediator Dei (20-11-1947). Nel 1954 Pio XII ribadì che solo il sacerdote ha il potere di offrire il sacrificio della Messa e condannò il principio secondo cui una Messa alla quale partecipano 100 sacerdoti sia uguale a 100 Messe.
Il 22 settembre 1956 nel Congresso Internazionale di Liturgia, Pio XII chiarì il suo pensiero spiegando che «nel caso d’una concelebrazione nel senso vero e proprio della parola, Cristo invece di agire per il tramite di un solo ministro, agisce per mezzo di più». Nel discorso del Papa è chiara la necessaria differenza tra concelebrazione “sacramentale” e concelebrazione “cerimoniale”.
Negli anni del Concilio avvenne il passaggio dalla concelebrazione cerimoniale a quella sacramentale, “lanciata” da teologi e liturgisti progressisti, ma rigorosi, come padre Karl Rahner, mons. A.G. Martimort, Dom Bette, consapevoli del fatto che la concelebrazione sacramentale comportava un unico atto liturgico e dunque un’unica Messa. Questa linea influenzò il Concilio, in cui si discusse molto sull’argomento.
Il 25 gennaio 1964, Paolo VI, con il Motu Proprio Sacram Liturgiam istituì una commissione con il compito di attuare le prescrizioni presenti nella Sacrosanctum Concilium. Paolo VI concelebrò in San Pietro il 14 settembre dello stesso anno all’apertura della III sessione del Concilio. Da allora la concelebrazione sacramentale dilagò nella Chiesa, in modo preoccupante.
L’unicità del Sacrificio nel caso della concelebrazione è ritenuto dal padre de Sainte-Marie un dato certo e non suscettibile di dibattito. Già san Tommaso aveva posto la questione: «Se più sacerdoti possano consacrare una medesima ostia», a cui aveva dato la seguente spiegazione: «Se ciascun sacerdote agisse per virtù propria, gli altri celebranti sarebbero superflui, bastandone uno soloMa poiché il sacerdote non consacra che in persona di Cristo, e i molti non sono che «una cosa sola in Cristo», poco importa che questo sacramento venga consacrato da uno o da molti, purché si rispetti il rito della Chiesa» (Summa Theologica, III, q.82, a.2, ad. 2 m).
In sostanza san Tommaso ritiene superfluo che più sacerdoti facciano ciò che può fare uno solo. Di conseguenza per la concelebrazione di una Messa importa poco o importa nulla il numero dei celebranti. E il solo modo di moltiplicare il numero dei sacrifici eucaristici (per la gloria di Dio e la salvezza delle anime) non è quella di moltiplicare i ministri della concelebrazione, che produce l’effetto contrario, ma di moltiplicare le celebrazioni liturgiche del rito sacramentale della Messa.
Il teologo domenicano Roger Thomas Calmel fornisce un calzante esempio per spiegare l’unicità del sacrificio nel caso della concelebrazione: «Se per fucilare un traditore si riunisce un plotone di 12 soldati, ci saranno certamente dodici atti “uccisivi”, ma l’uccisione è una sola. Immaginate che ci siano tanti traditori. Ebbene, la patria sarà molto più efficacemente soccorsa se ciascuno dei soldati mette a morte un traditore, piuttosto che si raggruppassero 12 soldati per uccidere un solo traditore. Parimenti la Chiesa di Dio sarà ben più aiutata (e soprattutto Dio sarà ben più glorificato) se, per esempio, 40 preti dicono ciascuno una Messa, piuttosto che se 40 preti si riuniscono per fare insieme una consacrazione unica, una sola Messa(…) La gloria resa a Dio, l’intercessione propiziatoria per le anime è certamente minore quando c’è un solo sacrificio sacramentale (concelebrazione) che quando ci sono 40 sacrifici sacramentali. Dico “sacramentali” per distinguerli dal sacrificio cruento che è unico».
Più tardi, nel 1991, in una lettera al card. Pietro Palazzini, padre Enrico Zoffoli, autore del testo La Messa unico tesoro e la sua concelebrazione, si chiede: quante sono realmente le Messe: una, oppure quanti sono i sacerdoti concelebranti? «Non esito a rispondere – scrive – che tutti celebrano una sola Messa, se veramente con-celebrano.
Infatti: se nella Messa individuale uno è il ministro offerente, in quella concelebrata sono molti; tali però solo fisicamente, non MORALMENTE; distinzione che, a mio parere, è sufficiente a risolvere la controversia. In realtà: unico è l’altare…, unica la materia da consacrare…, unica la consacrazione…, unico il tempo della pronunzia delle parole della medesima…; unico il sacerdozio ministeriale messo in evidenza dalla concelebrazione… Tutti, dunque, rappresentano e si comportano come se fossero (formassero) UN SOLO MINISTRO con l’intenzione di compiere una sola azione liturgica: Multi sunt unum in Christo…» (S. Th., III, q.82, a.2, 3um).
L’importante è che «omnium intentio debet ferri ad idem instans consecrationis» (iv., c.). «Il quesito – scrive il teologo passionista –, antecedentemente ad ogni mia affermazione e spiegazione, è stato più volte proposto a numerosi e scelti gruppi di fedeli, che all’unanimità e senza alcuna esitazione si sono pronunciati sostenendo che “la Messa” concelebrata è una, non molte Messe celebrate quanti sono i sacerdoti».
Da parte di taluni si vorrebbe far passare Pio XII come un apripista della concelebrazione.  In realtà, sotto il pontificato di Pio XII, la concelebrazione non ebbe diritto di cittadinanza se non – com’era già tradizione della Chiesa – in occasione delle ordinazioni episcopali e sacerdotali. L’unica novità è contenuta nell’Episcopalis Consecrationis con cui si apre la “concelebrazione episcopale” (ossia l’imposizione delle mani sul nuovo Vescovo) ai Vescovi assistenti, secondo precise indicazioni. Con l’affermazione che nella concelebrazione v’è una “consacrazione simultanea” (Allocuzione in occasione della chiusura del Congresso nazionale di Liturgia pastorale – Assisi 1956) sembra abbastanza chiaro che si tratti di un unico Sacrificio, come sostenuto anche dal cardinal Journet, il quale afferma che nella concelebrazione ci sono molti consacranti, «plures ex aequo consecrantes», ma una sola azione consacratoria, «una consecratio» (Le sacrifice de la Messe, in Nova et Vetera, 46 (1971), p. 248).
Va pure notato che gl’interventi magisteriali più autorevoli in materia liturgica (la Costituzione apostolica Episcopalis Consecrationis e l’Enciclica Mediator Dei) non trattano della concelebrazione eucaristica in senso stretto. Di essa Pio XII trattò solo nell’allocuzione del 22 settembre 1956 in cui affermò che «nel caso di una concelebrazione nel senso proprio della parola, Cristo invece di agire per il tramite di un solo ministro, agisce per mezzo di più».
Il primo esperimento di concelebrazione venne effettuato il 19 giugno 1964 nella chiesa di Sant’Anselmo con la concelebrazione di 20 sacerdoti. Da allora la concelebrazione si è diffusa in modo esponenziale e selvaggio. Ma – a chiarire le intenzioni dei novatores – occorre leggere il cap. XI “Concelebrazione” del volume di mons. Annibale Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975) (C.L.V.- Edizioni Liturgiche, Roma 1997, pp. 133-144 e passi), in cui l’autore, segretario della Commissione Liturgica preparatoria, spiega come si arrivò al «primo rito completamente nuovo della riforma» (p. 133), quello della concelebrazione e della comunione sotto le due specie, entrato in vigore il 15 aprile 1965. Bugnini conferma come «in questa forma di celebrazione, più sacerdoti, in virtù dello stesso sacerdozio e nella persona del Sommo Sacerdote, agiscono insieme, con una sola volontà e una sola voce, e celebrano l’unico sacrificio con un unico atto sacramentale e insieme vi partecipano» (p. 138).
Al di là della diatriba teologico-liturgica, bisogna tener presenti i risvolti pastorali della concelebrazione. Certamente la concelebrazione non aiuta né sacerdoti né fedeli nella vita spirituale, e quindi nella salus animarum che è – fino a prova contraria – la suprema lex. Nella concelebrazione i sacerdoti sono immersi in mille distrazioni e certamente sono molto meno partecipi del mistero che se celebrassero da soli.
I fedeli vedono diminuire le Messe in modo vertiginoso, poiché i preti spesso preferiscono la veloce e meno impegnativa concelebrazione. Se poi la concelebrazione viene, gradualmente imposta, allora per i fedeli sarà sempre più difficile trovare Messe a diversi orari, visto che per ogni concelebrazione c’è una diminuzione di Messe (e di grazie) inversamente proporzionale al numero dei concelebranti. Dunque, meno Messe per quel popolo di Dio, quel gregge, che nell’attuale Pontificato sembra essere il grande privilegiato di tutte le scelte pastorali. Ma in tema di concelebrazione è, in realtà, il grande penalizzato. A meno che non si voglia leggere l’attuale disposizione come un capzioso e lento invito ad abbandonare progressivamente la Santa Messa.  (Cristiana de Magistris)
“Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa”

sabato 12 agosto 2017

Per gustare Iddio, Iddio solo, nell'incanto delle creature.

IT ]
PREGHIERA DI SUA SANTITÀ PIO XII
ALLA VERGINE ASSUNTA IN CIELO*

 

<< O Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre degli uomini.
1. — Noi crediamo con tutto il fervore della nostra fede nella vostra assunzione trionfale in anima e in corpo al cielo, ove siete acclamata Regina da tutti i cori degli Angeli e da tutte le schiere dei Santi;
e noi ad essi ci uniamo per lodare e benedire il Signore, che vi ha esaltata sopra tutte le altre pure creature, e per offrirvi l'anelito della nostra devozione e del nostro amore.

2. — Noi sappiamo che il vostro sguardo, che maternamente accarezzava l'umanità umile e sofferente di Gesù in terra, si sazia in cielo alla vista della umanità gloriosa della Sapienza increata, e che la letizia dell'anima vostra nel contemplare faccia a faccia l'adorabile Trinità fa sussultare il vostro cuore di beatificante tenerezza;
e noi, poveri peccatori, noi a cui il corpo appesantisce il volo dell'anima, vi supplichiamo di purificare i nostri sensi, affinchè apprendiamo, fin da quaggiù, a gustare Iddio, Iddio solo, nell'incanto delle creature.

3. Noi confidiamo che le vostre pupille misericordiose si abbassino sulle nostre miserie e sulle nostre angosce, sulle nostre lotte e sulle nostre debolezze; che le vostre labbra sorridano alle nostre gioie e alle nostre vittorie; che voi sentiate la voce di Gesù dirvi di ognuno di noi, come già del suo discepolo amato: Ecco il tuo figlio;
e noi, che vi invochiamo nostra Madre, noi vi prendiamo, come Giovanni, per guida, forza e consolazione della nostra vita mortale.

4. — Noi abbiamo la vivificante certezza che i vostri occhi, i quali hanno pianto sulla terra irrigata dal sangue di Gesù, si volgono ancora verso questo mondo in preda alle guerre, alle persecuzioni, alla oppressione dei giusti e dei deboli ;
e noi, fra le tenebre di questa valle di lacrime, attendiamo dal vostro celeste lume e dalla vostra dolce pietà sollievo alle pene dei nostri cuori, alle prove della Chiesa e della nostra Patria.

5. — Noi crediamo infine che nella gloria, ove voi regnate, vestita di sole e coronata di stelle, voi siete; dopo Gesù, la gioia e la letizia di tutti gli Angeli e di tutti i Santi;
e noi, da questa terra, ove passiamo pellegrini, confortati dalla fede nella futura risurrezione, guardiamo verso di voi, nostra vita, nostra dolcezza, nostra speranza; attraeteci con la soavità della vostra voce, per mostrarci un giorno, dopo il nostro esilio, Gesù, frutto benedetto del vostro seno, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria. >>


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
 Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 281 - 282
 Tipografia Poliglotta Vaticana

 A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 15, pp. 781 - 782.



© Copyright - Libreria Editrice Vaticana

AMDG et BVM

martedì 6 dicembre 2016

I papi della mia vita

I papi della mia vita

1903-1914
Il primo Papa, quando sono nato,
era Giuseppe Sarto, il nome vero
fu Pio Decimo. Santo molto amato
del Catechismo fu vero Nocchiero.

Scrisse a Salzano il primo Catechismo
Quando era Parroco non conosciuto
Da Papa scrisse contro il modernismo.
Per tutta la Chiesa fu il Benvenuto.

1914- 1922
Il secondo, Giacomo della Chiesa,
Quindicesimo Papa Benedetto.
Nel periodo triste fu la Sua ascesa,
nella guerra mondiale venne eletto.

Si prodigò per la pace con lena,
contro tutti gli eccessi disumani,
per far cessare la grande cancrena,
sopportò calunnie e vituperi umani.

1922-1939
Fu il terzo, Achille Ratti di Desio,
salì col nome di Pio Undicesimo,
combatté il germanico vanesio
per salvare Chiesa e Cristianesimo.

A Lui m’opposi, povero ignorante,
e nell’errore mi rafforzai in Spagna.
Di corbellerie ne combinai tante.
Contro la Chiesa feci una campagna!

1939-1958
Il quarto fu Papa Eugenio Pacelli,
che prese il nome Pio Dodicesimo.
Pastore nel mondiale “casus belli”.
Lottò contro il nuovo paganesimo.

Clandestin, dalla Chiesa separato,
fui compagno nei difficili tempi
dalle fosse ardeati ne fui salvato
la Vergine m’apparve: “Lascia gli empi!”

1958-1963
Il quinto Angelo Giuseppe Roncalli,
nel millenovecentosessantuno
indisse il Concilio “Ripara falli”.
Nell’ottobre sessantadue, il Raduno.

Fu chiuso il Primo che restò aperto.
Nell’infallibil Dottrina di Fede
Papa Giovanni santamente esperto
Mostrò l’Ovile che in Roma ha Sede.

1963-1978
Il sesto Giovanni Battista Montini
Col nome dell’Apostol, Paolo Sesto.
Continuò il Concilio tra gli spini.
E al mondo il suo pensier fu manifesto.

L’unità dei Cristiani, cosa buona,
chi è uscito può rientrare,
la Chiesa è Madre, salva e perdona
ma eresia ed error devon lasciare.

1978-1978
Settimo il gioioso Albino Luciani
Giovanni Paolo in romana Sede,
non gustò molto il Seggio dei Romani.
Restò Papa poco, con tanta Fede.

Stavo all’udienza. Fece Catechismo,
interrogò i bambini: “Chi è Dio?”
Al Ciel voleva senza accademismi
portare l’anime senza sciupio.

1978...
L’ottavo Karol Wojtyla il “Polacco”
chiamato Giovanni Paolo Secondo,
malgrado l’età mette tutti... in sacco
girando missionario tutto il mondo.

Nel settantacinque, innanzi alla Grotta,
a Lui Cardinale raccolto in preghiera,
parlai della catechistica lotta:
“Odiavo la Chiesa, ora so ch’è vera!”


AVE MARIA PURISSIMA
VERGINE DELLA RIVELAZIONE

martedì 5 maggio 2015

PREGHIERA DI SUA SANTITÀ PIO XII ALLA SS.MA VERGINE MARIA



PREGHIERA DI SUA SANTITÀ PIO XII 

ALLA SS.MA VERGINE  MARIA


 
<< O Vergine bella come la luna, delizia del cielo, nel cui volto guardano i beati e si specchiano gli angeli, fa' che noi, tuoi figliuoli, ti assomigliamo e che le nostre anime ricevano un raggio della tua bellezza, che non tramonta con gli anni, ma che rifulge nell'eternità.

O Maria, sole del cielo, risveglia la vita dovunque è morte, rischiara gli spiriti dove sono le tenebre. Rispecchiandoti dall'alto nei tuoi figli, concedi a noi un riflesso del tuo lume e del tuo fervore.

O Maria, forte come un esercito, dona alle nostre schiere la vittoria. Siamo tanto deboli, e il nostro nemico infierisce con tanta superbia. Ma con la tua bandiera ci sentiamo sicuri di vincerlo; egli conosce il vigore del tuo piede, egli teme la maestà del tuo sguardo. Salvaci, o Maria, bella come la luna, eletta come il sole, forte come un esercito schierato, sorretto non dall'odio, ma dalla fiamma dell'Amore. Così sia. >>

Die 17 Ianuarii 1956
Ssmus  D. N. Pius div. Prov. Pp. XII benigne tribuere dignatus est partialem quingentorum dierum Indulgentiam a christifidelibus saltem corde contrito acquirendam quoties supra relatam orationem devote recitaverint. Contrariis quibuslibet minime obstantibus.

N. Card. CANALI, Paenitentiarius Maior
S. Luzio, Regens

L. + S.

giovedì 15 gennaio 2015

PIO PP. XII Venerabile LETTERA ENCICLICA HUMANI GENERIS





PIO PP. XII
SERVO DEI SERVI DI DIO

LETTERA ENCICLICA
HUMANI GENERIS
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI
PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI
AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE
PACE E COMUNIONE.
"CIRCA ALCUNE FALSE OPINIONI CHE MINACCIANO
DI SOVVERTIRE I FONDAMENTI DELLA DOTTRINA CATTOLICA"


VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Introduzione

I dissensi e gli errori degli uomini in materia religiosa e morale, per tutti gli onesti, soprattutto dei i sinceri e fedeli figli della Chiesa, sono sempre stati origine e causa di fortissimo dolore, ma specialmente oggi, quando vediamo come da ogni parte vengano offesi gli stessi principi della cultura cristiana.
Veramente non c'è da meravigliarsi, se fuori dell'ovile di Cristo sempre vi sono stati questi dissensi ed errori. Benché la ragione umana, assolutamente parlando, con le sue forze e con la sua luce naturale possa effettivamente arrivare alla conoscenza, vera e certa, di Dio unico e personale, che con la sua Provvidenza sostiene e governa il mondo, e anche alla conoscenza della legge naturale impressa dal Creatore nelle nostre anime, tuttavia non pochi sono gli ostacoli che impediscono alla nostra ragione di servirsi con efficacia e con frutto di questo suo naturale potere. Le verità che riguardano Dio e le relazioni tra gli uomini e Dio trascendono del tutto l'ordine delle cose sensibili; quando poi si fanno entrare nella pratica della vita e la informano, allora richiedono sacrificio e abnegazione.
Nel raggiungere tali verità, l'intelletto umano incontra ostacoli della fantasia, sia per le cattive passioni provenienti dal peccato originale. Avviene che gli uomini in queste cose volentieri si persuadono che sia falso, o almeno dubbio, ciò che essi "non vogliono che sia vero". Per questi motivi si deve dire che la Rivelazione divina è moralmente necessaria affinché quelle verità che in materia religiosa e morale non sono per sé irraggiungibili, si possano da tutti conoscere con facilità, con ferma certezza e senza alcun errore. (Conc. Vat. D. B. 1876, Cost. "De fide Cath.", cap. II, De revelatione).
Anzi la mente umana qualche volta può trovare difficoltà anche nel formarsi un giudizio certo di credibilità circa la fede cattolica, benché da Dio siano stati disposti tanti e mirabili segni esterni, per cui anche con la sola luce naturale della ragione si può provare con certezza l'origine divina della religione cristiana. L'uomo infatti, sia perché guidato da pregiudizi, sia perché istigato da passioni e da cattiva volontà, non solo può negare la chiara evidenza dei segni esterni, ma anche resistere alle ispirazioni che Dio infonde nelle nostre anime.
Chiunque osservi il mondo odierno, che è fuori dell'ovile di Cristo, facilmente potrà vedere le principali vie per le quali i dotti si sono incamminati. Alcuni, senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono l'ipotesi monistica e panteistica dell'universo soggetto a continua evoluzione. Di quest’ipotesi volentieri si servono i fautori del comunismo per farsi difensori e propagandisti del loro materialismo dialettico e togliere dalle menti ogni nozione di Dio.

Le false affermazioni di siffatto evoluzionismo, per cui viene ripudiato quanto vi è di assoluto, fermo ed immutabile, hanno preparato la strada alle aberrazioni di una nuova filosofia che, facendo concorrenza all'idealismo, all'immanentismo e al pragmatismo, ha preso il nome di "esistenzialismo" perché, ripudiate le essenze immutabili delle cose, si preoccupa solo della "esistenza" dei singoli individui.
Si aggiunge a ciò un falso "storicismo" che si attiene solo agli eventi della vita umana e rovina le fondamenta di qualsiasi verità e legge assoluta sia nel campo della filosofia, sia in quello dei dogmi cristiani.

In tanta confusione di opinioni, Ci reca un po' di consolazione il vedere coloro che un tempo erano stati educati nei principî del razionalismo, ritornare oggi, non di rado, alle sorgenti della verità rivelata, e riconoscere e professare la parola di Dio, conservata nella Sacra Scrittura, come fondamento della Teologia. Nello stesso tempo però reca dispiacere il fatto che non pochi di essi, quanto più fermamente aderiscono alla parola di Dio, tanto più sminuiscono il valore della ragione umana, e quanto più volentieri innalzano l'autorità di Dio Rivelatore, tanto più aspramente disprezzano il Magistero della Chiesa, istituito da Cristo Signore per custodire e interpretare le verità rivelate da Dio. Questo disprezzo non solo è in aperta contraddizione con la Sacra Scrittura, ma si manifesta falso anche con la stessa esperienza. Poiché frequentemente gli stessi "dissidenti" si lamentano in pubblico della discordia che regna fra di loro nel campo dogmatico, cosicché, pur senza volerlo, riconoscono la necessità di un vivo Magistero.

Ora queste tendenze, che più o meno deviano dalla retta strada, non possono essere ignorate o trascurate dai filosofi e dai teologi cattolici, che hanno il grave còmpito di difendere le verità divine ed umane e di farle penetrare nelle menti degli uomini. Anzi, essi devono conoscere bene queste opinioni, sia perché le malattie non si possono curare se prima non sono bene conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po' di verità, sia infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche che teologiche.

Se i nostri cultori di filosofia e di teologia da queste dottrine, esaminate con cautela, cercassero solo di cogliere i detti frutti, non vi sarebbe motivo perché il Magistero della Chiesa avesse a interloquire. Ma, benché Noi sappiamo bene che gli insegnanti e i dotti cattolici in genere si guardano da tali errori, è noto però che non mancano nemmeno oggi, come ai tempi apostolici, coloro che, amanti più del conveniente delle novità e timorosi di essere ritenuti ignoranti delle scoperte fatte dalla scienza in quest'epoca di progresso, cercano di sottrarsi alla direzione del sacro Magistero e perciò sono nel pericolo di allontanarsi insensibilmente dalle verità Rivelate e di trarre in errore anche gli altri.

Si nota poi un altro pericolo, e tanto più grave, perché si copre maggiormente con l'apparenza della virtù. Molti, deplorando la discordia e la confusione che regna nelle menti umane, mossi da uno zelo imprudente e spinti da uno slancio e da un grande desiderio di rompere i confini con cui sono fra loro divisi i buoni e gli onesti; essi abbracciano perciò una specie di "irenismo" che, omesse le questioni che dividono gli uomini, non cerca solamente di ricacciare, con unità di forze, l'irrompente ateismo, ma anche di conciliare le opposte posizioni nel campo stesso dogmatico.

E come un tempo vi furono coloro che si domandavano se l'apologetica tradizionale della Chiesa costituisse più un ostacolo che un aiuto per guadagnare le anime a Cristo, cosi oggi non mancano coloro che osano arrivare fino al punto di proporre seriamente la questione, se la teologia e il suo metodo, come sono in uso nelle scuole con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, non solo debbano essere perfezionate, ma anche completamente riformate, affinché si possa propagare con più efficacia il regno di Cristo in tutto il mondo, fra gli uomini di qualsiasi cultura o di qualsiasi opinione religiosa.

Se essi non avessero altro intento che quello di rendere, con qualche innovazione, la scienza ecclesiastica e il suo metodo più adatti alle odierne condizioni e necessità, non ci sarebbe quasi motivo di temere; ma alcuni, infuocati da un imprudente "irenismo", sembrano ritenere un ostacolo al ristabilimento dell'unità fraterna, quanto si fonda sulle leggi e sui principî stessi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate, o quanto costituisce la difesa e il sostegno dell'integrità della fede, crollate le quali, tutto viene sì unificato, ma soltanto nella comune rovina.

Queste opinioni, provenienti da deplorevole desiderio di novità o anche da lodevoli motivi, non sempre vengono proposte con la medesima gradazione, con la medesima chiarezza o con i medesimi termini, né sempre i sostenitori di esse sono pienamente d'accordo fra loro; ciò che viene oggi insegnato da qualcuno più copertamente con alcune cautele e distinzioni, domani da altri, più audaci, viene proposto pubblicamente e senza limitazioni, con scandalo di molti, specialmente del giovane clero, e con detrimento dell'autorità ecclesiastica. Se di solito si usa più cautela nelle pubblicazioni stampate, di questi argomenti si tratta con maggiore libertà negli opuscoli distribuiti in privato, nelle lezioni dattilografate e nelle adunanze. Queste opinioni non vengono divulgate solo fra i membri del clero secolare e regolare, nei seminari e negli istituti religiosi, ma anche fra i laici, specialmente fra quelli che si dedicano all'educazione e all'istruzione della gioventù.

I

Per quanto riguarda la Teologia, certuni intendono ridurre al massimo il significato dei dogmi; liberare lo stesso dogma dal modo di esprimersi, già da tempo usato nella Chiesa, e dai concetti filosofici in vigore presso i dottori cattolici, per ritornare nell'esporre la dottrina cattolica, alle espressioni usate dalla Sacra Scrittura e dai Santi Padri. Essi così sperano che il dogma, spogliato degli elementi estrinseci, come essi dicono, alla divina rivelazione, possa venire con frutto paragonato alle opinioni dogmatiche di coloro che sono separati dalla Chiesa e in questo modo si possa pian piano arrivare all'assimilazione del dogma con le opinioni dei dissidenti. Inoltre, ridotta in tali condizioni la dottrina cattolica, pensano di aprire cosi la via attraverso la quale arrivare, dando soddisfazione alle odierne necessità, a poter esprimere i dogmi con le categorie della filosofia odierna, sia dell'immanentismo, sia dell'idealismo, sia dell'esistenzialismo o di qualsiasi altro sistema.
E perciò taluni, più audaci, sostengono che ciò possa, anzi debba farsi, perché i misteri della fede, essi affermano, non possono mai esprimersi con concetti adeguatamente veri, ma solo con concetti approssimativi e sempre mutevoli, con i quali la verità viene in un certo qual modo manifestata, ma necessariamente anche deformata. Perciò ritengono non assurdo, ma del tutto necessario che la teologia, in conformità ai vari sistemi filosofici di cui essa nel corso dei tempi si serve come strumenti, sostituisca nuovi concetti agli antichi; cosicché in modi diversi, e sotto certi aspetti anche opposti, ma come essi dicono equivalenti, esponga al modo umano le medesime verità divine. Aggiungono poi che la storia dei dogmi consiste nell'esporre le varie forme di cui si è rivestita successivamente la verità rivelata, secondo le diverse dottrine e le diverse opinioni che sono sorte nel corso dei secoli.

Da quanto abbiamo detto è chiaro che queste tendenze non solo conducono al relativismo dogmatico, ma di fatto già lo contengono; questo relativismo e poi fin troppo favorito dal disprezzo verso la dottrina tradizionale e verso i termini con cui essa si esprime. Tutti sanno che le espressioni di tali concetti, usate sia nelle scuole sia dal Magistero della Chiesa, possono venir migliorate e perfezionate; è inoltre noto che la Chiesa non è stata sempre costante nell'uso di quelle medesime parole. È chiaro pure che la Chiesa non può essere legata ad un qualunque effimero sistema filosofico; ma quelle nozioni e quei termini, che con generale consenso furono composti attraverso parecchi secoli dai dottori cattolici per arrivare a qualche conoscenza e comprensione del dogma, senza dubbio non poggiano su di un fondamento così caduco. Si appoggiano invece a principî e nozioni dedotte da una vera conoscenza del creato; e nel dedurre queste conoscenze, la verità rivelata, come una stella, ha illuminato per mezzo della Chiesa la mente umana. Perciò non c'è da meravigliarsi se qualcuna di queste nozioni non solo sia stata adoperata in Concili Ecumenici, ma vi abbia ricevuto tale sanzione per cui non ci è lecito allontanarcene.

Per tali ragioni, è massima imprudenza il trascurare o respingere o privare del loro valore i concetti e le espressioni che da persone di non comune ingegno e santità, sotto la vigilanza del sacro Magistero e non senza illuminazione e guida dello Spirito Santo, sono state più volte con lavoro secolare trovate e perfezionate per esprimere sempre più accuratamente le verità della fede, e sostituirvi nozioni ipotetiche ed espressioni fluttuanti e vaghe della nuova filosofia, le quali, a somiglianza dell'erba dei campi, oggi vi sono e domani seccano; a questo modo si rende lo stesso dogma simile a una canna agitata dal vento. Il disprezzo delle parole e delle nozioni usate dai teologi scolastici, di per sé conduce all'indebolimento della teologia speculativa, che essi ritengono priva di una vera certezza in quanto si fonda sulle ragioni teologiche.

Purtroppo questi amatori delle novità facilmente passano dal disprezzo della teologia scolastica allo spregio verso lo stesso Magistero della Chiesa che ha dato, con la sua autorità, una cosi notevole approvazione a quella teologia. Questo Magistero viene da costoro fatto apparire come un impedimento al progresso e un ostacolo per la scienza; da alcuni acattolici poi viene considerato come un freno, ormai ingiusto, con cui alcuni teologi più colti verrebbero trattenuti dal rinnovare la loro scienza. E benché questo sacro Magistero debba essere per qualsiasi teologo, in materia di fede e di costumi, la norma prossima e universale di verità (in quanto ad esso Cristo Signore ha affidato il deposito della fede - cioè la Sacra Scrittura e la Tradizione divina - per essere custodito, difeso ed interpretato, tuttavia viene alle volte ignorato, come se non esistesse, il dovere che hanno i fedeli di rifuggire pure da quegli errori che in maggiore o minore misura s'avvicinano all'eresia, e quindi "di osservare anche le costituzioni e i decreti. con cui queste false opinioni vengono dalla Santa Sede proscritte e proibite" (Corp. Jur. Can., can. 1324; Cfr. Conc. Vat. D. B. 1820, Cost. "De fide cath.", cap. 4, De fide et ratione, post canones).

Quanto viene esposto nelle Encicliche dei Sommi Pontefici circa il carattere e la costituzione della Chiesa, viene da certuni, di proposito e abitualmente, trascurato con lo scopo di far prevalere un concetto vago che essi dicono preso dagli antichi Padri, specialmente greci. I Pontefici infatti - essi vanno dicendo - non intendono dare un giudizio sulle questioni che sono oggetto di disputa tra i teologi; è quindi necessario ritornare alle fonti primitive, e con gli scritti degli antichi si devono spiegare le costituzioni e i decreti del Magistero.

Queste affermazioni vengono fatte forse con eleganza di stile; però esse non mancano di falsità. Infatti è vero che generalmente i Pontefici lasciano liberi i teologi in quelle questioni che, in vario senso, sono soggette a discussioni fra i dotti di miglior fama; però la storia insegna che parecchie questioni, che prima erano oggetto di libera disputa, in seguito non potevano più essere discusse.
Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle Encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero Supremo.
Infatti questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, di cui valgono poi le parole: "Chi ascolta voi, ascolta me" (Luc. X, 16); e per lo più, quanto viene proposto e inculcato nelle Encicliche, è già per altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica. Se poi i Sommi Pontefici nei loro atti emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione, secondo l'intenzione e la volontà degli stessi Pontefici, non può più costituire oggetto di libera discussione fra i teologi.

È vero pure che i teologi devono sempre ritornare alle fonti della Rivelazione divina: è infatti loro còmpito indicare come gli insegnamenti del vivo Magistero "si trovino sia esplicitamente sia implicitamente" nella Sacra Scrittura o nella divina tradizione. Inoltre si aggiunga che ambedue le fonti della Rivelazione contengono tali e tanti tesori di verità da non potersi mai, di fatto, esaurire. Le scienze sacre con lo studio delle sacre fonti ringiovaniscono sempre; al contrario, diventa sterile, come sappiamo dall’esperienza, la speculazione che trascura la ricerca del sacro deposito. Ma per questo motivo la teologia, anche quella positiva, non può essere equiparata ad una scienza solamente storica. Dio insieme a queste sacre fonti ha dato alla sua Chiesa il vivo Magistero, anche per illustrare e svolgere quelle verità che sono contenute nel deposito della fede soltanto oscuramente e come implicitamente. E il divin Redentore non ha mai dato questo deposito, per l'autentica interpretazione, né ai singoli fedeli, né agli stessi teologi, ma solo al Magistero della Chiesa. Se poi la Chiesa esercita questo suo officio (come nel corso dei secoli è spesso avvenuto) con l'esercizio sia ordinario che straordinario di questo medesimo officio, è evidente che è del tutto falso il metodo con cui si vorrebbe spiegare le cose chiare con quelle oscure; anzi è necessario che tutti seguano l'ordine inverso. Perciò il Nostro Predecessore di imperitura memoria Pio IX, mentre insegnava che è còmpito nobilissimo della teologia quello di mostrare come una dottrina definita dalla Chiesa è contenuta nelle fonti, non senza grave motivo aggiungeva le seguenti parole: "in quello stesso senso, con cui è stata definita dalla Chiesa".

II

Ritorniamo ora alle teorie nuove, di cui abbiamo parlato prima: da alcuni vengono proposte o istillate nella mente diverse opinioni che sminuiscono l'autorità divina della Sacra Scrittura. Con audacia alcuni pervertono il senso delle parole del Concilio Vaticano con cui si definisce che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura, e rinnovano la sentenza, già più volte condannata, secondo cui l'inerranza della Sacra Scrittura si estenderebbe soltanto a ciò che riguarda Dio stesso o la religione e la morale.

Anzi falsamente parlano di un senso umano della Bibbia, sotto il quale sarebbe nascosto il senso divino, che è, come essi dichiarano, il solo infallibile. Nell'interpretazione della Sacra Scrittura essi non vogliono tener conto dell'analogia della fede e della tradizione della Chiesa; in modo che la dottrina dei Santi Padri e del Magistero dovrebbe essere misurata con quella della Sacra Scrittura, spiegata, però, dagli esegeti in modo puramente umano; e non piuttosto la Sacra Scrittura esposta secondo la mente della Chiesa, che da Cristo Signore è stata costituita custode e interprete di tutto il deposito delle verità rivelate.

Inoltre il senso letterale della Sacra Scrittura e la sua spiegazione elaborata, sotto la vigilanza della Chiesa, da tali e tanti esegeti, dovrebbe, secondo le loro false opinioni, cedere il posto ad una nuova esegesi, chiamata simbolica e spirituale; secondo quest’esegesi i libri del Vecchio Testamento, che oggi nella Chiesa sono una fonte chiusa e nascosta, verrebbero finalmente aperti a tutti. In questo modo - essi affermano - svaniscono tutte le difficoltà alle quali vanno incontro soltanto coloro che si attengono al senso letterale delle Scritture.

Tutti vedono quanto tutte queste opinioni si allontanino dai principi e dalle norme ermeneutiche giustamente stabilite dai Nostri Predecessori di felice memoria: da Leone XIII nell'Enciclica "Providentissimus Deus", da Benedetto XV nell'Enciclica "Spiritus Paraclitus", come pure da Noi stessi nell'Enciclica "Divino afflante Spiritu".
Non deve recare meraviglia che tali novità in quasi tutte le parti della teologia abbiano prodotto i loro velenosi frutti. Si mette in dubbio che la ragione umana, senza l'aiuto della divina Rivelazione e della grazia, possa dimostrare con argomenti dedotti dalle cose create, l'esistenza di un Dio personale; si afferma che il mondo non ha avuto inizio e che la creazione del mondo è necessaria, perché procede dalla necessaria liberalità del divino amore; così pure si afferma che Dio non ha prescienza eterna ed infallibile delle libere azioni dell'uomo: tutte opinioni contrarie alle dichiarazioni del Concilio Vaticano (Cfr. Conc. Vat. Cost. "De fide cath.", cap. 1: De Deo rerum omnium creatore).

Da alcuni poi si mette in discussione se gli angeli siano persone; se vi sia una differenza essenziale fra la materia e lo spirito. Altri snaturano il concetto della gratuità dell'ordine sovrannaturale, quando sostengono che Dio non può creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica. Né basta; poiché, messe da parte le definizioni del Concilio di Trento, viene distrutto il vero concetto di peccato originale e insieme quello di peccato in genere, in quanto offesa di Dio, come pure quello di soddisfazione data per noi da Cristo. Né mancano coloro che sostengono che la dottrina della transustanziazione, in quanto fondata su un concetto antiquato di sostanza, deve essere corretta in modo da ridurre la presenza reale di Cristo nell'Eucaristia ad un simbolismo, per cui le specie consacrate non sarebbero altro che segni efficaci della presenza di Cristo e della sua intima unione nel Corpo mistico con i membri fedeli.

Certuni non si ritengono legati alla dottrina che Noi abbiamo esposta in una Nostra Enciclica e che è fondata sulle fonti della Rivelazione, secondo cui il Corpo mistico di Cristo e la Chiesa cattolica romana sono una sola identica cosa. Alcuni riducono ad una vana formula la necessità di appartenere alla vera Chiesa per ottenere l'eterna salute. Altri infine non ammettono il carattere razionale dei segni di credibilità della fede cristiana.

È noto che questi errori, ed altri del genere, serpeggiano in mezzo ad alcuni Nostri figli, tratti in inganno da uno zelo imprudente o da una scienza di falso conio; e a questi figli sono costretti a ripetere, con animo addolorato, verità notissime ed errori manifesti, indicando loro con ansietà i pericoli dell'errore.


III

Tutti sanno quanto la Chiesa apprezzi il valore della ragione umana, alla quale spetta il còmpito di dimostrare con certezza l’esistenza di un solo Dio personale, di dimostrare invincibilmente per mezzo dei segni divini i fondamenti della stessa fede cristiana; di porre inoltre rettamente in luce la legge che il Creatore ha impressa nelle anime degli uomini; ed infine il còmpito di raggiungere una conoscenza limitata, ma utilissima, dei misteri (Cfr. Conc. Vat. D. B. 1796).

Ma questo còmpito potrà essere assolto convenientemente e con sicurezza, se la ragione sarà debitamente coltivata: se cioè essa verrà nutrita di quella sana filosofia che è come un patrimonio ereditato dalle precedenti età cristiane e che possiede una più alta autorità, perché lo stesso Magistero della Chiesa ha messo al confronto con la verità rivelata i suoi principî e le sue principali asserzioni, messe in luce e fissate lentamente attraverso i tempi da uomini di grande ingegno. Questa stessa filosofia, confermata e comunemente ammessa dalla Chiesa, difende il genuino valore della cognizione umana, gli incrollabili principî della metafisica cioè di ragion sufficiente, di causalità e di finalità ed infine sostiene che si può raggiungere la verità certa ed immutabile.

In questa filosofia vi sono certamente parecchie cose che non riguardano la fede e i costumi, né direttamente né indirettamente, e che perciò la Chiesa lascia alla libera discussione dei competenti in materia; ma non vi è la medesima libertà riguardo a parecchie altre, specialmente riguardo ai principî ed alle principali asserzioni di cui già parlammo. Anche in tali questioni essenziali si può dare alla filosofia una veste più conveniente e più ricca; si può rafforzare la stessa filosofia con espressioni più efficaci, spogliarla di certi mezzi scolastici meno adatti, arricchirla anche - però con prudenza - di certi elementi che sono frutto del progressivo lavoro della mente umana; però non si deve mai sovvertirla o contaminarla con falsi principî, né stimarla solo come un grande monumento, sì, ma archeologico. La verità in ogni sua manifestazione filosofica non può essere soggetta a quotidiani mutamenti specialmente trattandosi dei principî per sé noti della ragione umana o di quelle asserzioni che poggiano tanto sulla sapienza dei secoli che sul consenso e sul fondamento anche della Rivelazione divina. Qualsiasi verità la mente umana con sincera ricerca ha potuto scoprire, non può essere in contrasto con la verità già acquisita; perché Dio, Somma Verità, ha creato e regge l'intelletto umano non affinché alle verità rettamente acquisite ogni giorno esso ne contrapponga altre nuove; ma affinché,, rimossi gli errori che eventualmente vi si fossero insinuati, aggiunga verità a verità nel medesimo ordine e con la medesima organicità con cui vediamo costituita la natura stessa delle cose da cui la verità si attinge. Per tale ragione il cristiano, sia egli filosofo o teologo, non abbraccia con precipitazione e leggerezza tutte le novità che ogni giorno vengono escogitate, ma le deve esaminare con la massima diligenza e le deve porre su una giusta bilancia per non perdere la verità già conquistata o corromperla, certamente con pericolo e danno della fede stessa.

Se si considera bene quanto sopra è stato esposto, facilmente apparirà chiaro il motivo per cui la Chiesa esige che i futuri sacerdoti siano istruiti nelle scienze filosofiche "secondo il metodo, la dottrina e i principi del Dottor Angelico" (Corp. Jur. Can., can. 1366, 2), giacché, come ben sappiamo dall'esperienza di parecchi secoli, il metodo dell'Aquinate si distingue per singolare superiorità tanto nell'ammaestrare gli animi che nella ricerca della verità; la sua dottrina poi è in armonia con la Rivelazione divina ed è molto efficace per mettere al sicuro i fondamenti della fede come pure per cogliere con utilità e sicurezza i frutti di un sano progresso (A. A. S. vol. XXXVIII, 1946, p. 387).

Perciò è quanto mai da deplorarsi che oggi la filosofia confermata ed ammessa dalla Chiesa sia oggetto di disprezzo da parte di certuni, talché essi con imprudenza la dichiarano antiquata per la forma e razionalistica per il processo di pensiero. Vanno dicendo che questa nostra filosofia difende erroneamente l'opinione che si possa dare una metafisica vera in modo assoluto; mentre al contrario essi sostengono che le verità, specialmente quelle trascendenti, non possono venire espresse più convenientemente che per mezzo di dottrine disparate che si completano tra loro, benché siano in certo modo l'una all'altra opposte. Perciò la filosofia scolastica con la sua lucida esposizione e soluzione delle questioni, con la sua accurata determinazione dei concetti e le sue chiare distinzioni, può essere utile - essi concedono - come preparazione allo studio della teologia scolastica, molto bene adattata alla mentalità degli uomini medievali; ma non può darci - aggiungono - un metodo ed un indirizzo filosofico che risponda alle necessità della nostra cultura moderna. Oppongono, inoltre, che la filosofia perenne non è che la filosofia delle essenze immutabili, mentre la mentalità moderna deve interessarsi della "esistenza" dei singoli individui e della vita sempre in divenire.

Però, mentre disprezzano questa filosofia, esaltano le altre, sia antiche che recenti, sia di popoli orientali che di quelli occidentali, in modo che sembrano voler insinuare che tutte le filosofie o opinioni, con l'aggiunta - se necessario - di qualche correzione o di qualche complemento, si possono conciliare con il dogma cattolico. Ma nessun cattolico può mettere in dubbio quanto tutto ciò sia falso, specialmente quando si tratti di sistemi come l'immanentismo, l'idealismo, il materialismo, sia storico che dialettico, o anche come l'esistenzialismo, quando esso professa l'ateismo o quando nega il valore del ragionamento nel campo della metafisica.

Infine alla filosofia delle nostre scuole essi fanno questo rimprovero: che essa nel processo del pensiero bada solo all'intelletto e trascura la funzione della volontà e del sentimento. Ciò non corrisponde a verità. La filosofia cristiana non ha mai negato l'utilità e l'efficacia che hanno le buone disposizioni di tutta l'anima per conoscere ed abbracciare le verità religiose e morali; anzi, ha sempre insegnato che la mancanza di tali disposizioni può essere la causa per cui l'intelletto, sotto l'influsso delle passioni e della cattiva volontà, venga cosi oscurato da non poter rettamente vedere. Di più, il Dottor Comune ritiene che l'intelletto possa in qualche modo percepire i beni di grado superiore dell'ordine morale sia naturale che soprannaturale, in quanto esso esperimenta nell'ultimo una certa "connaturalità" sia essa naturale, sia frutto della grazia, con i medesimi beni (Cfr. S. Thom., Summa Theol. IIa IIæ, quæst. I, art. 4 ad 3; et quæst. 45, art. 2, in c.); ed è chiaro quanto questa, sia pur subcosciente, conoscenza possa essere di aiuto alla ragione nelle sue ricerche. Ma altro è riconoscere il potere che hanno la volontà e le disposizioni dell'animo di aiutare la ragione a raggiungere una conoscenza più certa e più salda delle verità morali, ed altro in quanto vanno sostenendo quei tali novatori: cioè che la volontà e il sentimento hanno un certo potere intuitivo e che l'uomo, non potendo col ragionamento discernere con certezza ciò che dovrebbe abbracciare come vero, si volge alla volontà, per cui egli possa compiere una libera risoluzione ed elezione fra opposte opinioni, mescolando malamente così la conoscenza e l'atto della volontà.

Non c'è da meravigliarsi che con queste nuove opinioni siano messe in pericolo le due scienze filosofiche che, per natura loro, sono strettamente collegate con gli insegnamenti della fede, cioè la teodicea e l'etica; essi ritengono che la funzione di queste non sia quella di dimostrare con certezza qualche verità riguardante Dio o altro ente trascendente, ma piuttosto quella di mostrare come siano perfettamente coerenti con le necessità della vita le verità che la fede insegna riguardo a Dio, Essere personale, e ai suoi precetti, e che perciò devono essere accettate da tutti per evitare la disperazione e per ottener l'eterna salvezza. Tutte queste affermazioni e opinioni sono apertamente contrarie ai documenti dei Nostri Predecessori Leone XIII e Pio X, e sono inconciliabili con i decreti del Concilio Vaticano.

Sarebbe veramente inutile deplorare queste aberrazioni, se tutti, anche nel campo filosofico, fossero ossequienti con la debita venerazione verso il Magistero della Chiesa, che per istituzione divina ha la missione non solo di custodire e interpretare il deposito della Rivelazione, ma anche di vigilare sulle stesse scienze filosofiche perché i dogmi cattolici non abbiano a ricevere alcun danno da opinioni non rette.
IV

Rimane ora da parlare di quelle questioni che, pur appartenendo alle scienze positive, sono più o meno connesse con le verità della fede cristiana. Non pochi chiedono instantemente che la religione cattolica tenga massimo conto di quelle scienze. Il che è senza dubbio cosa lodevole, quando si tratta di fatti realmente dimostrati; ma bisogna andar cauti quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in qualche modo fondate scientificamente, nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella Sacra Scrittura o anche nella tradizione. Se tali ipotesi vanno direttamente o indirettamente contro la dottrina rivelata, non possono ammettersi in alcun modo.

Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell'attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell'evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull'origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente sia Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all'evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l'ufficio di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della fede (Cfr. Allocuzione Pont. ai membri dell'Accademia delle Scienze, 30 novembre 1941; A. A. S. Vol. , p. 506). Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela.

Però quando si tratta dell'altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I fedeli non possono abbracciare quell'opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l'insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (cfr. Rom. V, 12-19; Conc. Trident., sess. V, can. 1-4).

V

Come nelle scienze biologiche ed antropologiche, cosi pure in quelle storiche vi sono coloro che audacemente oltrepassano i limiti e le cautele stabilite dalla Chiesa. In modo particolare si deve deplorare un certo sistema di interpretazione troppo libera dei libri storici del Vecchio Testamento; i fautori di questo sistema, per difendere le loro idee, a torto si riferiscono alla Lettera che non molto tempo fa è stata inviata all'arcivescovo di Parigi dalla Pontificia Commissione per gli Studi Biblici (16 gennaio 1948; A. A. S., vol. XL, pp. 45-48).

Questa Lettera infatti fa notare che gli undici primi capitoli del Genesi, benché propriamente parlando non concordino con il metodo storico usato dai migliori autori greci e latini o dai competenti del nostro tempo, tuttavia appartengono al genere storico in un vero senso, che però deve essere maggiormente studiato e determinato dagli esegeti; i medesimi capitoli - fa ancora notare la Lettera - con parlare semplice e metaforico, adatto alla mentalità di un popolo poco civile, riferiscono sia le principali verità che sono fondamentali per la nostra salvezza, sia anche una narrazione popolare dell'origine del genere umano e del popolo eletto.

Se qualche cosa gli antichi agiografi hanno preso da narrazioni popolari (il che può essere concesso), non bisogna mai dimenticare che hanno fatto questo con l'aiuto dell'ispirazione divina, che nella scelta e nella valutazione di quei documenti li ha premuniti da ogni errore. Quindi le narrazioni popolari inserite nelle Sacre Scritture non possono affatto essere poste sullo stesso piano delle mitologie o simili, le quali sono frutto più di un'accesa fantasia che di quell'amore alla verità e alla semplicità che risalta talmente nei Libri Sacri, anche del Vecchio Testamento, da dover affermare che i nostri agiografi son palesemente superiori agli antichi scrittori profani.

Veramente Noi sappiamo che la maggioranza dei dottori cattolici, dei cui studi raccolgono i frutti gli Atenei, i Seminari e i Collegi dei religiosi, sono lontani da quegli errori che apertamente o di nascosto oggi vengono divulgati, sia per smania di novità, sia anche per una non moderata intenzione di apostolato. Ma sappiamo anche che queste nuove opinioni possono fai presa tra le persone imprudenti; quindi preferiamo porvi rimedio sugli inizi, piuttosto che somministrare la medicina quando la malattia è ormai invecchiata.

Per questo motivo, dopo matura riflessione e considerazione, per non venir meno al Nostro sacro dovere, ordiniamo ai Vescovi e ai Superiori Generali degli Ordini e Congregazioni religiose, onerata in maniera gravissima la loro coscienza, di curare con ogni diligenza che opinioni di tal genere non siano sostenute nelle scuole o nelle adunanze e conferenze, né con scritti di qualsiasi genere e nemmeno insegnate, in qualsivoglia maniera, ai chierici o ai fedeli.
Gli insegnanti degli Istituti ecclesiastici sappiano che essi non possono esercitare con tranquilla coscienza l'ufficio di insegnare che è stato loro affidato, se non accettano religiosamente le norme che abbiamo stabilite e non le osservano esattamente nell'insegnamento delle loro materie. Quella doverosa venerazione ed obbedienza che nel loro assiduo lavoro devono professare verso il Magistero della Chiesa le infondano anche nella mente e nell'anima dei loro scolari.

Conclusione

Cerchiamo con ogni sforzo e con passione di concorrere al progresso delle scienze che insegnano; ma si guardino anche dall'oltrepassare i confini da Noi stabiliti per la difesa della fede e della dottrina cattolica. Alle nuove questioni, che la cultura moderna e il progresso hanno fatto diventare di attualità, diano l'apporto delle loro accuratissime ricerche, ma con la conveniente prudenza e cautela; infine, non abbiano a credere, per un falso "irenismo", che si possa ottenere un felice ritorno nel seno della Chiesa dei dissidenti e degli erranti, se non si insegna a tutti, sinceramente, tutta la verità in vigore nella Chiesa, senza alcuna corruzione e senza alcuna diminuzione.

Fondati su questa speranza, che sarà aumentata dalla vostra pastorale solerzia, come auspicio dei celesti doni e segno della Nostra paterna benevolenza, impartiamo di gran cuore a voi tutti singolarmente, come al clero e al popolo vostri, l'apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 22 del mese di Agosto dell'anno 1950, XII del Nostro Pontificato.

PIO PP. XII




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