domenica 8 maggio 2022

Giovanni e le colpe di Giuda Iscariota. I farisei e la questione del divorzio.

 


CCCLVII. Giovanni e le colpe di Giuda Iscariota. I farisei e la questione del divorzio.

   11 dicembre 1945.

   357.1Le magnifiche stelle di una serena notte di marzo splendono nel cielo d’Oriente, così larghe e vivide che sembra che il firmamento si sia abbassato come un baldacchino sulla terrazza della casa che ha accolto Gesù. Una casa molto alta, e messa in uno dei punti più alti della città, di modo che l’orizzonte infinito si apre davanti e intorno a chi guarda da ogni parte. E se la terra si annulla nella oscurità della notte non ancora allietata dalla luna, che è nella fase decrescente, il cielo splende nelle sue mille e mille luci. È veramente la rivincita del firmamento, che espone vittoriosamente le sue aiuole d’astri, le sue praterie di Galatea, i suoi giganti planetari, i suoi boschi di costellazioni contro le effimere vegetazioni della terra che, anche se secolari, sono sempre di un’ora rispetto a queste che sono da quando il Creatore fece il firmamento. E perdendosi a guardare lassù, passeggiando lo sguardo per i viali splendenti dove sono piante le stelle, pare di percepire le voci, i canti di quelle selve di splendori, di quell’enorme organo della più sublime delle cattedrali, nel quale mi piace immaginare facciano da mantici e registri i venti delle corse astrali e voci le stelle lanciate nelle loro traiettorie. Tanto più pare di percepirlo perché il silenzio notturno di Gadara dormente è assoluto. Non canta una fonte, non canta un uccello. Il mondo dorme, e dormono le creature. Dormono gli uomini, meno innocenti delle altre creature, i loro sonni, più o meno quieti, nelle case buie.

   357.2Ma dalla porta della stanza che sbocca sulla terrazza inferiore, perché ve ne è una superiore sulla stanza più alta, sbuca un’ombra alta, appena visibile nella notte per il biancore del viso e delle mani sulla veste oscura, ed è seguita da un’altra più bassa. Camminano in punta di piedi per non destare quelli che forse dormono nella stanza sottostante, e in punta di piedi salgono la scaletta esterna che porta all’ultima terrazza. Poi si prendono per mano e vanno così a sedersi su una panca che corre lungo il parapetto molto alto che cinge la terrazza. La panchetta bassa e il parapetto alto fanno sì che ogni cosa dispaia dai loro occhi. Anche ci fosse la più chiara luna in cielo, scendente ad illuminare il mondo, per essi sarebbe un nulla. Perché la città è nascosta tutta, e con essa le ombre più oscure, nello scuro della notte, dei monti vicini. Solo il cielo si mostra a loro con le sue costellazioni di primavera e le magnifiche stelle di Orione: di Rigel e Beteigeuze, di Aldebaran, del Perseo, e Andromeda e Cassiopea e le Pleiadi unite come sorelle. E Venere zaffirea e diamantata, e Marte di pallido rubino, e il topazio di Giove, sono i re del popolo astrale e palpitano, palpitano come salutando il Signore, affrettando i loro palpiti di luce per la Luce del mondo.
   Gesù alza il capo a guardarle, appoggiandolo contro il muretto alto, e Giovanni lo imita perdendosi a guardare lassù dove si può ignorare il mondo… Poi Gesù dice: «Ed ora che ci siamo detersi nelle stelle, preghiamo».
   Si alza in piedi e Giovanni lo imita. Una lunga preghiera, silenziosa, pressante, tutt’anima, le braccia aperte a croce, il viso alzato, volto a oriente dove si annuncia un primo lucore di luna. E poi il Pater detto insieme, lentamente, non una, ma tre volte, e sempre con un aumento di insistenza nel chiedere, che è chiaramente denunciato nella voce. Una supplica che separa l’anima dalla carne, lanciandola sulle vie dell’infinito, tanto è ardente.
   Poi silenzio. Si siedono dove erano prima, mentre la luna inalba sempre più la terra dormiente.

   357.3Gesù passa un braccio sulle spalle di Giovanni e se lo attira a Sé dicendo: «Dimmi dunque ciò che senti di dovermi dire. Quali sono le cose che il mio Giovanni ha intuite, con l’aiuto della luce spirituale, nell’anima tenebrosa del compagno?».
   «Maestro… io sono pentito di averti detto questo. Farò due peccati…».
   «Perché?».
   «Perché ti darò dolore svelandoti anche quello che non sai e… perché… Maestro, è peccato dire il male che vediamo in un altro? Sì, non è vero? E allora come posso dire questo, ledendo la carità?!…». Giovanni è angosciato.
   Gesù dà luce alla sua anima: «Ascolta, Giovanni. Per te è da più il Maestro o il condiscepolo?».
   «Il Maestro, Signore. Tu sei il più».
   «E che sono Io per te?».
   «Il Principio e la Fine. Sei il Tutto».
   «Credi tu che Io, essendo Tutto, sappia anche tutto ciò che è?».
   «Sì, Signore. Per questo è in me un grande contrasto. Perché penso che Tu sai e soffri. E perché ricordo che mi hai detto un giorno che talora Tu sei l’Uomo, solo l’Uomo, e perciò il Padre ti fa conoscere ciò che è essere uomo, che deve guidarsi secondo ragione. E penso anche che Dio, per pietà di Te, potrebbe occultarti queste brutte verità…».
   «Attieniti a questo pensiero, Giovanni. E parla. Con confidenza. Confidare, a chi ti è “Tutto”, ciò che sai, non è peccato. Perché il “Tutto” non si scandalizza né mormora né mancherà di carità, neppure col pensiero, verso l’infelice. Sarebbe peccato se tu dicessi quello che sai a chi non può essere tutto amore, ai compagni, ad esempio, che farebbero mormorazioni ed anche assalirebbero il colpevole senza misericordia, nuocendo a lui e a loro stessi. Perché bisogna avere misericordia, una misericordia sempre tanto più grande quanto più abbiamo di fronte una povera anima malata di tutti i mali. Un medico, un pietoso infermiere, oppure una madre, se il male di uno malato è poco, poco si impressionano e poco lottano per guarirlo. Ma se il figlio oppure l’uomo è molto malato, in pericolo di vita, già cancrena e paralisi, come lottano, vincendo ripugnanze e fatiche, per guarirlo! Non è così?».
   «Così è, Maestro», dice Giovanni, che ha preso la sua posa abituale del braccio allacciato al collo del Maestro e il capo appoggiato sulla spalla di Lui.
   «Ebbene, non tutti sanno avere misericordia per le anime malate. Perciò si deve essere prudenti nel rendere noti i loro mali, acciò il mondo non le fugga e non nuoccia loro col disprezzo. Un malato che si vede schernito si incupisce e si peggiora. Ma se invece è curato con ilare speranza può guarire, perché l’ilarità fiduciosa dell’assistente entra in lui e aiuta l’opera del farmaco. Ma tu sai che Io sono Misericordia e che non mortificherò Giuda. Parla dunque senza scrupoli. Non sei una spia. Sei un figlio che confida al padre, con amoroso affanno, il male scoperto nel fratello, perché il padre lo curi. Suvvia…».

   357.4Giovanni sospira forte, poi curva ancora di più il capo, lasciandolo scivolare sul petto di Gesù, e dice: «Come è penoso parlare di cose putride!… Signore… Giuda è un impuro… e mi tenta a impurità. Che egli mi schernisca non me ne importa. Ma mi duole che egli venga a Te sozzo dei suoi amori. Da quando è tornato mi ha tentato più volte. Quando il caso ci lascia soli — ed egli lo provoca in tutti i modi — egli non fa che parlare di donne… ed io ne ho il disgusto che avrei essendo immerso in fetide materie che tentassero filtrarmi in bocca…».
   «Ma ne sei turbato nel profondo?».
   «Turbato come? L’anima mia freme. La ragione grida contro queste tentazioni… Io non voglio essere corrotto…».
   «Ma la tua carne che fa?».
   «Si raggriccia di ribrezzo».
   «Questo solo?».
   «Questo, Maestro, e piango allora perché mi pare che Giuda non potrebbe recare maggior offesa a chi si è consacrato a Dio. Dimmi: ciò farà lesione alla mia offerta?».
   «No. Non più di una manata di fango gettata su una lastra di diamante. Non incide la lastra, non la penetra. Basta una coppa d’acqua pura gettata sopra essa per nettarla. Ed è più bella di prima».
   «Detergimi allora».
   «La tua carità ti deterge e il tuo angelo. Nulla resta su te.
   Sei un altare pulito sul quale scende Iddio.

   357.5E che altro fa Giuda?».
   «Signore, egli… Oh! Signore!». La testa di Giovanni scivola più in basso ancora.
   «Che?».
   «Egli… Non è vero che siano soldi suoi quelli che ti dà per i poveri. Sono i soldi dei poveri che egli ruba per sé, per essere lodato di generosità non vera. Tu lo hai inferocito perché nel ritorno dal Tabor gli hai levato tutti i denari. E a me ha detto: “Ci sono spioni fra noi”. Io ho detto: “Spioni di che? Rubi tu forse?”. “No”, mi ha risposto, “ma però uso previdenza e faccio due borse. Qualcuno lo ha detto al Maestro e Lui mi ha imposto di dare tutto, così forte lo ha imposto che fui come legato a farlo”. Ma non è vero, Signore, che faccia ciò per previdenza. Lo fa per avere denaro. Ne potrei deporre con la quasi certezza di dire il vero».
   «Quasi certezza! Questo dubbio, sì, che è lieve colpa. Non puoi accusarlo di essere ladro se non ne sei assolutamente certo. Le azioni degli uomini hanno talora brutto aspetto, ma sono buone».
   «È vero, Maestro. Non lo accuserò più neppure col pensiero.
   Ma però che abbia due borse, e quella che dice sua e che ti dà sia ancora tua e lo faccia per essere lodato, è vero. E io questo non lo farei. Sento che non è bene farlo».
   «Hai ragione.

   357.6Che altro devi dire?».
   Giovanni alza un viso spaventato, apre la bocca per parlare e poi la chiude e scivola in ginocchio nascondendo il viso fra la veste di Gesù, che gli mette una mano sui capelli.
   «Su, dunque! Potresti aver visto male. Io ti aiuterò a vedere bene. Mi devi anche dire ciò che tu pensi sulle probabili cause del peccare di Giuda».
   «Signore, Giuda si sente senza la forza che vorrebbe per fare i miracoli… Tu lo sai che ci ha sembre ambito… Ti ricordi di Endor? E invece… è quello che ne fa meno. Da quando è tornato, poi, non riesce più a nulla… e nella notte se ne lamenta anche in sogno, come fosse un incubo e… Maestro, Maestro mio!».
   «Su. Parla. Fino in fondo».
   «E impreca… e fa della magia. Questa non è menzogna e non è dubbio. L’ho visto io. Mi sceglie per compagno perché dormo sodo. Perché dormivo sodo, anzi. Ora, lo confesso, lo sorveglio, e il mio sonno è meno profondo perché appena si muove io lo sento… Ho fatto male forse. Ma ho finto di dormire per vedere ciò che faceva. E per due volte l’ho visto e sentito fare cose brutte. Io non mi intendo di magia. Ma quella è tale».
   «Solo?».
   «No e sì. A Tiberiade io l’ho seguito. È andato in una casa.
   Ho chiesto dopo chi ci sta. Uno che fa negromanzia con altri. E quando Giuda è uscito, quasi a mattina, dalle parole dette ho capito che si conoscono e sono in tanti… e non tutti stranieri. Chiede al demonio la forza che Tu non gli dài. È per questo che io sacrifico la mia al Padre perché la passi a lui, e lui non sia più peccatore».
   «Dovresti dargli la tua anima. Ma questo né il Padre né Io lo permetteremmo…».

   357.7Un lungo silenzio. Poi Gesù dice con voce stanca: «Andiamo, Giovanni. Scendiamo. Riposeremo in attesa dell’alba».
   «Sei più triste di prima, Signore! Ho fatto male a parlare!».
   «No. Io sapevo già. Ma tu almeno sei più sollevato… e ciò è quello che conta».
   «Signore, devo sfuggirlo?».
   «No. Non temere. Satana non nuoce ai Giovanni. Li terrorizza, ma non può levare loro la grazia che Dio continuamente fa loro. Vieni. A mattina parlerò e poi andremo a Pella. Occorre fare presto, perché il fiume è già gonfio per le nevi che sciolgono e per le acque degli scorsi giorni. Presto sarà in piena, molto più che la luna cerchiata predice piogge abbondanti…».
   Scendono e scompaiono nella stanza inferiore alla terrazza.

   357.8È mattina. Una mattina di marzo. Perciò schiarite e nuvole si alternano nel cielo. Ma le nuvole soverchiano le schiarite, tendendo ad impossessarsi del cielo. Un’aria calda soffia a respiri sincopati e fa pesante l’aria, velandola di una polvere venuta forse dalle zone dell’altipiano.
   «Se non muta vento, questa è acqua!», sentenzia Pietro uscendo dalla casa con gli altri.
   Ultimo esce Gesù, che si accomiata dalle padrone di casa, mentre il padrone si unisce a Lui. Si dirigono verso una piazza.
   Dopo pochi passi li ferma un graduato romano che è insieme a dei militi. «Sei Tu Gesù di Nazaret?».
   «Lo sono».
   «Che fai?».
   «Parlo alle turbe».
   «Dove?».
   «In piazza».
   «Parole sediziose?».
   «No. Precetti di virtù».
   «Bada! Non mentire. Roma ne ha basta di falsi dèi».
   «Vieni tu pure. Vedrai che non mento».
   L’uomo che ha ospitato Gesù sente il dovere di interloquire:
   «Ma da quando tante domande a un rabbi?».
   «Denunzia di uomo sedizioso».
   «Sedizioso? Lui? Ma tu prendi abbaglio, Mario Severo! Questo è l’uomo più mite della Terra. Te lo dico io».
   Il graduato si stringe nelle spalle e risponde: «Meglio per Lui. Ma così ebbe denunzia il centurione. Vada pure. È avvisato». E si volta tutto di un pezzo, andandosene coi subalterni.
   «Ma chi può essere stato? Io non capisco!», dicono in diversi.
   Gesù risponde: «Lasciate di capire. Non serve. Andiamo mentre molti sono sulla piazza. Poi partiremo anche di qui».

   357.9La piazza deve essere una piazza piuttosto commerciale.
   Non è un mercato ma poco meno, perché cinta di fondachi in cui sono depositi di merce di ogni genere. E la gente si affolla in essi. Perciò vi è molta gente sulla piazza e qualcuno ammicca a Gesù e presto un cerchio di gente è intorno al «Nazareno». Un cerchio composto di ogni genere e classe e nazione. Chi c’è per venerazione, chi per curiosità.
   Gesù fa cenno di parlare.
   «Udiamolo!», dice un romano che esce da un magazzino.
   «Non ci sarà da sentire una lamentazione?», gli risponde un suo simile.
   «Non lo credere, Costanzo. È meno indigesto di uno dei soliti retori nostri».
   «A chi mi ascolta, pace! È detto nell’Esdra, nella preghiera[105] di Esdra: “E che diremo ora, o Dio nostro, dopo le cose avvenute? Che, se abbiamo abbandonato i tuoi comandamenti da Te intimati a mezzo dei tuoi servi…”».
   «Fermati, Tu che parli. Il soggetto te lo diamo noi», urla un pugno di farisei che si fanno largo fra la gente. Quasi subito riappare la scorta armata e si ferma all’angolo più vicino. I farisei sono ora di fronte a Gesù. «Sei Tu il Galileo? Gesù di Nazaret sei?».
   «Lo sono!».
   «Lode a Dio che ti abbiamo trovato!». Veramente hanno certi ceffi così astiosi che non mostrano di essere in gioia per l’incontro…
   Il più vecchio parla: «Ti seguiamo da molti giorni, arrivando sempre dopo che Tu sei partito».
   «Perché mi seguite?».
   «Perché sei il Maestro e vogliamo essere ammaestrati in un punto oscuro della Legge».
   «Non vi sono punti oscuri nella Legge di Dio».
   «In essa no. Ma, eh! eh!… Ma sulla Legge sono venute le “sovrapposizioni”, come Tu dici, eh! eh!… e hanno fatto oscurità».
   «Penombre, al massimo. E basta volgere l’intelletto a Dio per distruggere esse pure».
   «Non tutti lo sanno fare. Noi, per esempio, rimaniamo in penombra. Tu sei il Rabbi, eh! eh! Aiutaci dunque».

   357.10«Che volete sapere?».
   «Volevamo sapere se è lecito all’uomo ripudiare per un motivo qualsiasi la propria moglie. È una cosa che spesso avviene, ed ogni volta crea molto rumore là dove avviene. Si rivolgono a noi per sapere se è lecito. E noi, a seconda del caso, rispondiamo».
   «Approvando l’avvenuto nel novanta per cento dei casi. E il dieci per cento che resta disapprovato è nella categoria dei poveri o dei nemici vostri».
   «Come lo sai?».
   «Perché così avviene in tutte le cose umane. E unisco nella categoria la terza classe, quella che, se fosse lecito il divorzio, più ne avrebbe diritto, perché quella dei veri casi penosi, quali una lebbra incurabile, oppure una condanna a vita, o malattie innominabili…».
   «Allora per Te non è mai lecito?».
   «Né per Me, né per l’Altissimo, né per nessuno che sia di animo retto. Non avete letto che il Creatore, nel principio dei giorni, creò l’uomo e la donna? E li creò maschio e femmina; e non aveva bisogno di farlo, ché, se avesse voluto, avrebbe potuto, per il re della creazione, fatto a sua immagine e somiglianza, creare altro modo di procreazione, e ugualmente buono sarebbe stato, pur essendo dissimile da ogni altro naturale. E disse: “Così per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con la moglie e i due saranno una sola carne”. Dunque Dio li congiunse in una sola unità. Non sono dunque più “due” ma “una” sola carne. Ciò che Dio ha congiunto, perché vide che “è buona cosa”, l’uomo non lo divida, perché, se così avvenisse, cosa non più buona sarebbe».

   357.11«Ma perché allora Mosè disse: “Se un uomo ha preso una donna con sé, ma essa non ha trovato grazia ai suoi occhi per qualcosa di turpe, egli scriverà un libello di ripudio, glielo consegnerà in mano e la manderà via di casa sua”?».
   «Lo disse per la durezza del vostro cuore. Per evitare, con un ordine, dei disordini troppo gravi. Per questo vi permise di ripudiare le mogli. Ma dal principio non fu così. Perché la donna è da più della bestia, la quale è, a seconda del capriccio del padrone o delle libere circostanze di natura, sottoposta a questo o a quel maschio, carne senz’anima che si accoppia per riprodurre. Le vostre mogli hanno un’anima come voi l’avete, e non è giusto che voi la calpestiate senza sentirne compassione. Ché se è detto nella condanna: “Tu sarai sottoposta alla potestà del marito ed egli ti dominerà”, ciò deve avvenire secondo giustizia e non con prepotenza che lede i diritti dell’anima libera e degna di rispetto. Voi, ripudiando, come lecito non vi è, portate offesa all’anima della vostra compagna, alla carne gemella che alla vostra si è unita, al tutto che è la donna che avete sposata esigendo la sua onestà, mentre, o spergiuri, andate ad essa disonesti, menomati, talora corrotti, e continuate ad esserlo, cogliendo ogni occasione per poterla colpire e dare maggior campo alla libidine insaziabile che è in voi. Prostitutori delle mogli vostre! Per nessun motivo potete separarvi dalla donna che vi è congiunta secondo la Legge e la Benedizione. Solo nel caso che la grazia vi tocchi, e comprendiate che la donna non è un possesso ma un’anima, e perciò ha diritti uguali ai vostri di essere riconosciuta parte dell’uomo e non suo oggetto di piacere, e solo nel caso che sia tanto duro il vostro cuore da non sapere elevarla a moglie, dopo averla goduta come una prostituta, solo nel caso di levare questo scandalo di due che convivono senza benedizione di Dio sulla loro unione, voi potete rimandarla. Perché allora la vostra non è unione ma fornicazione, e sovente senza onore di figli, perché disciolti contro natura o allontanati come vergogna. In nessun altro caso. In nessun altro. Perché se figli illegittimi avete dalla vostra concubina, avete il dovere di porre fine allo scandalo sposandola, se liberi siete. Non contemplo il caso dell’adulterio consumato ai danni della moglie ignara. Per quello sono sante le pietre della lapidazione e le fiamme dello sceol. Ma per chi rimanda la propria moglie legittima perché di essa è sazio e ne prende un’altra, non c’è che una sentenza: costui è adultero. E adultero è chi prende la ripudiata, perché se l’uomo si è arrogato il diritto di separare ciò che Dio ha congiunto, l’unione matrimoniale continua, agli occhi di Dio, e maledetto è chi passa a seconda moglie senza essere vedovo. E maledetto è chi riprende la donna prima sua e poi, rimandatala per ripudio e abbandonatala alle paure della vita, onde essa cede a nuove nozze per il suo pane, la riprende se resta vedova del secondo marito. Perché, anche che vedova sia, ella fu adultera per colpa vostra, e voi raddoppiereste il suo adulterio. Avete compreso, o farisei che mi tentate?».
   Questi se ne vanno scornati, senza rispondere.

   357.12«Severo è l’uomo. Se fosse a Roma vedrebbe però che il fango ribolle ancor più fetente», dice un romano.
   Anche alcuni di Gadara brontolano: «Dura cosa essere uomini, se bisogna essere casti così!…».
   E alcuni più forte: «Se tale è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, meglio stare senza nozze».
   E questa ragione ripetono anche gli apostoli mentre ripigliano la via verso la campagna, dopo aver lasciato quelli di Gadara. Lo dice Giuda con scherno. Lo dice Giacomo di Zebedeo con rispetto e riflessione; e Gesù risponde all’uno e all’altro:
   «Non tutti capiscono questo, né lo capiscono bene. Alcuni infatti preferiscono il celibato per essere liberi di secondare i vizi. Altri per evitare di poter peccare essendo mariti non buoni. Ma solo alcuni, ai quali è concesso, comprendono la bellezza di essere scevri di sensualità e di anche onesta fame di donna. E sono i più santi, i più liberi, i più angelici sulla Terra. Parlo di coloro che si fanno eunuchi per il Regno di Dio. Ci sono negli uomini quelli che nascono tali. Altri che tali vengono fatti. I primi sono mostruosità che devono suscitare compassione, i secondi abusi che vanno repressi. Ma c’è infine la terza categoria: di eunuchi volontari che, senza usarsi violenza, e perciò con doppio merito, sanno aderire alla richiesta di Dio e vivono da angeli perché l’abbandonato altare della Terra abbia ancora fiori e incensi per il Signore. Costoro negano alla parte inferiore soddisfacimento per crescere la parte superiore, onde fiorisca in Cielo nelle aiuole più prossime al trono del Re. E in verità vi dico che non sono dei mutilati, ma sono degli esseri dotati di ciò che manca ai più fra gli uomini. Non oggetto perciò di stolto scherno, ma anzi di grande venerazione. Comprenda ciò chi deve, e rispetti, se può».
   Gli ammogliati fra gli apostoli bisbigliano fra loro.
   «Che avete?», chiede Gesù.
   «E noi? Noi non sapevamo questo e abbiamo preso donna. Ma ci piacerebbe essere come Tu dici…», dice per tutti Bartolomeo.
   «Né vi è interdetto farlo d’ora in poi. Vivete in continenza, vedendo nella compagna la sorella, e grande merito ne avrete agli occhi di Dio. Ma affrettate il passo. Per essere a Pella prima della pioggia».

[105] preghiera, che è in: Esdra 9, 6-15. La parte ripresa inizia al versetto 10.

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