Bach - Le Più Grandi Opere di J. S. Bach
L’ESPERIENZA DI DIO NEL CHASSIDISMO
[Pubblicato in: Horeb 2 (1993) [1] 54-60]
Fra le diverse esperienze mistiche presenti all'interno delle religioni, il chassidismo è sicuramente
fra le più originali e singolari.
Conosciuto soprattutto in relazione ai racconti che ha prodotto, è stato fonte di ispirazione per
diversi pensatori del mondo giudaico. Basta considerare le opere di Martin Buber e Abraham
Heschel, o gli scritti di Elie Wiesel, giusto per citare i nomi più noti.
Questi ed altri hanno rielaborato molti elementi della mistica chassidica che, attraverso di loro,
sono filtrati nel mondo occidentale. Se la grande ondata del chassidismo iniziale si è oramai
ridimensionata, molti dei valori da questo proposti sono rimasti nella cultura contemporanea.
Cercheremo pertanto di penetrare nel variegato fenomeno chassidico, che si colloca a sua volta nel
complesso orizzonte dell'ebraismo (o giudaismo) post-biblico, cercando di cogliere la particolare
esperienza di Dio che lo stesso testimonia.
Il chassidismo nel contesto della mistica ebraica
Il chassidismo viene considerato l'ultima fase della mistica ebraica che ha le sue origini già a partire
dal primo secolo dell'era volgare: la scuola di Hillel è di indirizzo mistico e Rabbi Aqiva si rivela
cultore di mistica, così come si possono trovare nella Torah orale1
e nel suo commento posizioni a
favore o contro tale forma di speculazione (es.: Mishnah, Chaghigah II,1 discussa nel Talmud
Babilonese, trattato omonimo, foglio 14b).
I testi biblici ai quali questi antichi maestri si riferivano sono quello di Genesi 1, dove il Signore
crea attraverso la parola, ed Ezechiele 1 che presenta la visione del carro con la gloria di Dio.
A questo inizio è seguita una complessa evoluzione che ha visto il sorgere della qabbalah, cioè la
"ricezione" delle "cose sacre", confluita poi nello Zohar, il Libro dello splendore, ancora oggi
venerato nei circoli mistici.
L'idea fondante è esattamente contraria a quella che designa la mistica come esperienza
dell'indicibile: se Dio crea e si rivela all'uomo attraverso la parola significa che la stessa è un mezzo
per comunicare con Lui. Occorre però distinguere fra parola scritta e parola parlata: misticamente
fondamentale è la lingua scritta, dove non solo le lettere, ma anche gli spazi bianchi, sono fonte di
rivelazione e di conoscenza per chi lo sa scoprire.
A tale valutazione estremamente positiva del linguaggio, che raggiunge Dio proprio perchè
proviene da Lui facendo sì che l'ineffabile possa essere detto, corrisponde tuttavia una pratica
limitata: tale esperienza non pare essere accessibile a tutti ma a pochi dotti esperti nella Torah
poichè ritenuta “pericolosa”.
La mistica qabbalistica produce comunque, lentamente e occultamente, il chassidismo che, nella
prima metà del '700, dalla Podolia e dall'Ucraina si diffonde rapidamente in Polonia, in Russia e in
quasi tutte le comunità ebraiche dell'Europa orientale assumendo un carattere di massa e quindi
contrapponendosi alla mistica tradizionale.
È doveroso precisare che qui il termine “mistica” viene usato impropriamente: tale parola in
ebraico non esiste, il giudaismo preferisce indicare i mistici utilizzando altri termini come “uomini
della verità”, “conoscitori della sapienza nascosta” o “uomini pii-devoti” come nel caso in
questione.
1 Nell'ebraismo si considera Torah, cioè insegnamento divino rivelato, sia il Pentateuco che la tradizione orale
codificata nella Mishnah unitamente ai commenti rabbinici. Da qui la duplice dicitura: Torah scritta e Torah orale
(letteralmente: "sulla bocca").
Chassidim e chassidismo
Con il termine chassidim, letteralmente i pii o devoti, si designano gli appartenenti al movimento
chassidico fondato in Podolia da Isra'el ben Eliezer detto il Baal Shem Tov, “il Signore del Nome
buono”, cioè del Nome divino2
.
Il Baal Shem Tov appare come un personaggio fra storia e leggenda: di umili origini, la sua nascita
viene preannunciata come “luce per Israele”, vive per un certo periodo in modo molto riservato e
poi, scoperta la sua “vocazione”, si manifesta pubblicamente.
Gli si riconosce la capacità di compiere miracoli e di operare prodigi di ogni sorta. Le
testimonianze sulla sua persona spaziano dalle comuni notizie biografiche alle storie piu' insolite e
inverosimili. Il fatto certo è che attorno a lui si raduna una comunità che lo considera guida
carismatica di notevole valore. Il movimento religioso a lui collegato prende il nome di
chassidismo polacco al fine di non essere confuso con quello renano medioevale di tutt‟altro
genere.
Fin dal suo sorgere si configura come una mistica di massa proponibile a tutti: tra i devoti troviamo
sia lo studioso che l'incolto appartenenti ad ogni estrazione sociale. Si impernia sulla figura dello
tzaddiq, il giusto, maestro spirituale a cui i chassidim si rivolgono con fiducia.
Si presenta inoltre come movimento di risveglio religioso che, sopravvissuto al dramma della
Shoah, lo sterminio nazista durante la seconda guerra mondiale, rappresenta tutt'ora una forza
effettiva per migliaia e migliaia di ebrei: ci sono scuole in Occidente (New York, Bruxelles, Parigi)
e in Israele; la corrente più forte e più intellettuale, quella dei Lubavitcher o Chabad (sigla formata
con le iniziali delle parole ebraiche: sapienza, scienza, conoscenza), ha alcuni esponenti e seguaci a
Milano, Venezia, Roma e tra gli ebrei stranieri.
Come tanti fenomeni religiosi il chassidismo ha vissuto momenti ed epoche diverse, attualmente è
in una sorta di involuzione piuttosto lontana dall'entusiasmo delle origini. Noi non ci occuperemo
del suo sviluppo storico bensì di quei valori religiosi che, al di là del periodo in cui sono emersi,
rappresentano un patrimonio di fede ancora vivo destinato ad illuminare le generazioni future.
Il senso del narrare
Quando si parla di chassidismo si parla di racconti e di narrazioni che la comunità custodisce e
tramanda.
Il narrare è infatti una delle caratteristiche fondamentali dell'ebraismo poichè è il Signore stesso che
invita a raccontare gli eventi salvifici e a trasmettere i suoi insegnamenti: “...perchè tu possa
raccontare alle orecchie di tuo figlio e del figlio di tuo figlio...” (Es 10,2); “Quando tuo figlio ti
chiederà...allora dirai...” (Dt 6,20-21).
Il raccontare per l‟ebreo abbraccia un orizzonte che comprende sia il ricordare che Dio ha parlato e
ha agito, che il narrare quelle esperienze di vita utili a consolidare la fede, a tenere unita la
comunità, capaci a loro volta di produrre salvezza.
I racconti chassidici si collocano in questo contesto accentuando la potenza della parola a cui la
memoria e' affidata: “A un rabbi, il cui nonno era stato un discepolo del Baal Shem, fu chiesto di
raccontare una storia. „Una storia‟ - disse egli – „va raccontata in modo che sia essa stessa un aiuto‟.
E raccontò: „mio nonno era storpio. Una volta gli chiesero di raccontare una storia del suo maestro.
Allora raccontò come il santo Baal Shem solesse saltellare e danzare mentre pregava. Mio nonno si
2 Notizie riguardanti la vita del Baal Shem Tov sono ritrovabili un po' ovunque nelle narrazioni dei chassidim. Per
quanto concerne le opere di carattere biografico si segnalano: I.B. SINGER, Le distese del cielo. La storia del Baal Shem
Tov, Ugo Guanda Ed., Parma 1991; M. BUBER, La leggenda del Baalscem, Carucci, Roma 1989.
alzò e raccontò, e il suo racconto lo trasportò tanto che ebbe bisogno di mostrare saltellando e
danzando come facesse il maestro. Da quel momento guarì. Così vanno raccontate le storie”3
.
Raccontare le storie dei santi maestri diviene così un nuovo valore religioso, quasi la celebrazione
di un rito al quale affidare un patrimonio ideale.
Qabbalah divenuta ethos
Il chassidismo riprende elementi qabbalistici legati a quella che viene considerata la “recezione” o
Tradizione delle cose divine.
Quella che viene proposta è una nuova prassi, nel senso di un nuovo modo di vivere la Torah
considerata soprattutto nella sua dimensione mistica.
La qabbalah viene riproposta come ethos, dove ethos è da intendersi come sinonimo di halakhah,
la prassi codificata, e dove la qabbalah non rappresenta più una sorta di teosofia ma la ricerca di
una via, di una mistica della vita individuale.
In questo modo tutti i concetti qabbalistici vengono messi in relazione con i valori della vita
individuale e riproposti indistintamente a tutti e non più solo a pochi eletti.
La meta è un incontro immediato con il mondo del divino orientato, più che alla pura conoscenza,
ad una via di redenzione: al vertice della scala sta la fede, con un significato tutto particolare e
decisivo, e non il sapere.
Si potrebbe a questo punto avere l'impressione che l‟attenzione allo studio, elemento fondamentale
nell'ebraismo che lo considera un atto religioso indispensabile, venga in qualche modo messa da
parte. In effetti c‟è una tendenza a porre l'accento maggiormente sulla preghiera, che nasce però da
una denuncia verso il sapere che diventa sinonimo di potere.
I maestri chassidici sono convinti che lo studio che aiuta l‟uomo nel suo rapporto con Dio e con gli
altri sia non solo buono ma indispensabile, e mostrano particolare venerazione sia per la Torah
scritta che per quella orale. Sono convinti che chi ha la capacità e la possibilità di studiare e
indagare i molteplici sensi della Scrittura è bene che lo faccia, ricordandosi però che il fine non
deve essere la sottomissione di chi ne sa meno o l‟esercizio di una sterile dialettica bensì
l'illuminare la strada a chi è nel buio.
Una mistica di massa
Quello che dà al chassidismo un'impronta originale è la fondazione di una comunità religiosa che
ruota attorno a coloro che realizzano in sè la vita mistica: gli tzaddiqim, i santi maestri, i quali,
anzichè procedere per proprio conto in una via che si configura come personale, si rivolgono alla
gente semplice, insegnano il cammino a tutti gli uomini di buona volontà comunicando loro un
nuovo linguaggio e dando origine ad un vero e proprio fenomeno sociale.
L'antico paradosso di solitudine e comunità qui è messo alla prova: chi ha raggiunto la piena
comunione con Dio, chi è realmente in grado di essere solo con Lui, diventa il vero centro della
comunità dal quale i benefici della luce divina si irradiano su tutti. Lo tzaddiq appare come “guida
pneumatica” segno di una personale relazione con l‟Eterno, prova che l‟ideale può essere
raggiunto.
Da molti racconti emerge la funzione pastorale dello stesso. Rabbi Dov Bar, il grande Magghid,
cioè grande maestro, a proposito del versetto del Salmo “il giusto (tzaddiq) fiorirà come la palma,
crescerà come il cedro del Libano”, diceva: “Ci sono due specie di tzaddiqim. Gli uni si occupano
degli uomini, li ammoniscono e gli ammaestrano, gli altri coltivano gli insegnamenti solo per sè. I
3 M. BUBER, I racconti dei chassidim, Garzanti, Milano 1988, pp.3-4.
primi portano frutto nutriente come la palma da dattero, i secondi sono come i cedri elevati e
infecondi”4
.
La ragione per cui è importante occuparsi degli uomini nasce dalla convinzione che anche i meno
istruiti nella Torah possono esprimere una religiosità profonda. Dai racconti emerge l'attenzione
verso tutte le categorie dei così detti ultimi, gli ‘am ha-’aretz (incolti, gente semplice) e i peccatori;
si condannano le punizioni troppo severe che non tengono conto del contesto in cui il peccato è
avvenuto; fra i pii si annoverano anche le donne e si presta attenzione ai bambini.
La potenza della parola di cui abbiamo già accennato, appare ora trasferita nel santo chassidico che
diviene esso stesso Torah vivente capace di operare miracoli e di procurare la teshuvah, la
conversione, poichè riesce a conoscere intimamente chi gli sta davanti e le intenzioni del suo cuore.
Il rapporto tra maestro e discepoli si allarga così all‟umanità circostante, offrendo a chiunque la
possibilità di essere coinvolto in un'esperienza mistica che si diffonde al suo esterno.
La figura del santo chassidico appare in questo modo nella sua peculiarità: la sua personalità
prende il sopravvento rispetto alla dottrina, il suo carattere assume maggiore importanza del suo
sapere. Si tramanda che Rabbi Lob, figlio di Sara, avrebbe detto: “Se io andai dal Magghid (Rabbi
Dov Bar di Mesritsch) non fu per ascoltare insegnamenti da lui, ma solo per vedere come egli si
slaccia le scarpe di feltro e come se le allaccia”5
.
Quale il senso ultimo di tutto ciò?
Un particolare rapporto Dio-uomo-mondo dove l‟agire dei “giusti” contribuisce a produrre il
tiqqun, la riunificazione della luce divina che è presente nella storia in modo frammentario.
Secondo la mistica ebraica Dio creando si è autolimitato per lasciare spazio all'uomo al quale è
chiesto di collaborare perchè l‟opera divina giunga a compimento. Riunificare la presenza di Dio
nella storia significa quindi penetrare nel mistero divino producendo qualcosa di buono per il
mondo, gli uomini e Dio stesso.
BIBLIOGRAFIA
La comunità chassidicha, a c. di D. LEONI, Città Nuova, Roma 1989.
C. BLOCH, Storie chassidiche, Ed.Theoria, Roma-Napoli 1991.
M. BUBER, I racconti dei chassidim, Garzanti, Milano 1988.
Y. ELIACH, Non ricordare...Non dimenticare..., Città Nuova, Roma 1992.
J. LANGHER, Le nove porte. I segreti del chassidismo, Adelphi, Milano 1987.
G. SCHOLEM, Le grandi correnti della mistica ebraica, Il Melangolo, Genova 1990.
Elena Lea Bartolini
Facoltà Teologica dell‟Italia Settentrionale (ISSR-MI)
Università degli Studi di Milano-Bicocca
4 M. BUBER, I racconti..., p.144.
5 M. BUBER, I racconti..., p.150.
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