Qual’è la vera devozione a San Francesco?
San Francesco imbarca per la quinta crociata.
La parola italiana “devozione” viene dal verbo latino, « devovere » (cioè, consacrare). La devozione, in quanto relazione tra i pellegrini e i Santi, non è nient’altro che la fedeltà, la lealtà e la risoluzione nel seguire Cristo imitando il loro esempio ammirevole.
Il seguace devoto è colui che ha consacrato – ossia, dedicato – tutta la sua vita all’attività di discepolo. Nel linguaggio comune il devoto di un Santo è una persona che lo invoca ogni giorno e frequenta le celebrazioni, le chiese, le cappelle e i santuari costruiti in suo onore. Ma il seguace devoto, il discepolo devoto, è qualcosa di molto più grande. Per lui, l’imitazione del Santo è l’elemento fondamentale della sua esistenza, il fondamento della sua identità, la chiave per il suo destino personale in Cristo.
La devozione a San Francesco non è nient’altro che questa. La devozione che i figli di San Francesco dovrebbero avere non dovrebbe essere nient’altro che questa.
Si può imitare un Santo incorporando al proprio comportamento, ai propri ideali, alle proprie abitudini, ai propri costumi, elementi tratti dalla sua vita e dalle sue virtù. Ma tale devozione opera solo a livello materiale. Esattamente come, nella filosofia aristotelica, la causa materiale è subordinata alla causa formale, anche la devozione a elementi particolari associati alla vita e ai tempi di un Santo è subordinata alla vera devozione.
La vera devozione a un Santo necessita un’unione formale del cuore e della mente col Santo stesso. Non esiste imitazione più grande per il discepolo che diventare una sola cosa col suo maestro. Nostro Signore ha insegnato questo tipo di devozione quando ha detto ai Suoi discepoli: “Nessun discepolo è più grande del suo maestro; un discepolo deve rallegrarsi di essere come il suo maestro”.
Dunque, la vera devozione a un Santo deve trascendere la devozione materiale, poiché quest’ultima non arriva a incorporare la verità in Cristo che i Santi sono mezzi e non fini per l’imitazione di Cristo Gesù, l’Unico Maestro di tutti. Imitare veramente un Santo significa pertanto fare propri il suo stesso desiderio, la sua stessa saggezza e risolutezza nel seguire e imitare Cristo. In tal modo, la devozione a un Santo si transfigura in un’autentica vita di perfezione cristiana.
La vera devozione a San Francesco, perciò, non deve sforzarsi di raggiungere o di ammirare solamente lo spirito del Poverello e del suo stile di vita. La vera devozione a San Francesco deve amare quel che Egli amava con l’amore e il proposito con cui egli lo ha amato.
Ora, le fonti storiche sulla vita di San Francesco delineano chiaramente qual era l’amore preminente nel cuore di San Francesco. Egli stesso dichiarò, la mattina del 24 febbraio 1208, alla Porziuncola, vicino ad Assisi: “Questo è ciò che voglio; questo è ciò che io anelo con tutto il mio cuore”.
Il Santo pronunciò queste parole riferendosi a quel passaggio della Scrittura che il sacerdote gli aveva appena spiegato, e che era stato letto quella mattina nella Messa in onore di San Mattia Apostolo. Si trattava dell’invio degli Apostoli da parte di Nostro Signore e della fondazione della vita apostolica di mendicità: “Non prendete nulla con voi nel cammino…”.
La fiducia illimitata da parte del discepolo nei confronti del maestro che questo stile di vita richiede fu il marchio fondamentale della spiritualità e della consacrazione religiosa del Poverello d’Assisi. Questa è la chiave della sua vita e del suo amore per Cristo Crocifisso.
Ne segue pertanto che la vera devozione a San Francesco necessita quest’adozione fondamentale dello stile di vita della mendicità in tutto il suo rigore e in tutta la sua semplicità, non perché San Francesco l’abbia adottato, ma perché Cristo l’ha insegnato. Non per diventare un discepolo di San Francesco, ma piuttosto per camminare col Santo in questa vita per diventare un perfetto discepolo di Gesù Cristo Nostro Signore.
Tale devozione non richiede quindi altro che un ritorno all’osservanza risoluta dei precetti della Regola di San Francesco. Questo è lo stile di vita che il Santo ha voluto espressamente tramandare ai suoi figli come eredità e retaggio perpetui. Questa Regola incarna semplicemente e rigorosamente i principi della vita di mendicità che Cristo ha insegnato agli Apostoli. Questo è l’insegnamento di Papa Niccolò III e di Clemente V.
Essere un autentico figlio di San Francesco significa perciò essere un osservante della Regola. Una persona che trova l’essenza e la forma della sua vita, della sua vocazione e del suo carisma, non nelle costituzioni o negli statuti o nei costumi della comunità francescana a cui appartenga; ma piuttosto, una persona che trova l’essenza e la forma della sua vita consacrata e della sua vocazione, e finanche la sua vera identità e il suo vero destino, nella Regola di San Francesco, considerandola l’autentica disciplina che può guidare, giorno dopo giorno, la sua vita personale e il suo apostolato.
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Cos’è « l’osservanza antica » della Regola di San Francesco?
L’osservanza antica della Regola Bollata di San Francesco d’Assisi è la forma di vita ispirata di Gesù Cristo, scritta dalle mani di San Francesco, approvata da Papa Onorio III il 26 Novembre 1223 e confermata da più che 20 papi. Essa è la forma di vita originaria della vita Francescana che non si osserva in nessun altra comunità religiosa in tutto il mondo.
Questa vita è distinta dal non uso dei soldi, il non avere di proprietà sia personale sia in comune, il portare indosso del saio francescano sempre e ovunque ecc., della predica dei quattro nuovissimi: in somma, dalla osservanza di tutti i precetti della Regola Bollata di San Francesco senza mitigazioni.
Deo Volente, un giorno [non molto lontano, dopo la fine dei tempi malvagi] l’abbreviazione per indicare questi frati sarà [o potrebbe essere] « O.F.M. A.O. », cioè, l’Ordine di Frati Minori dell’Osservanza Antica. Così sia! Fiat, fiat. Amen!
Per il testo Latino originale e una traduzione letterale italiana, eccolo.
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Torniamo a seguire le orme del nostro Serafico Patriarca
Sono passati ottocento anni da quando Dio Altissimo si è degnato di rivolgere il Suo sguardo al Suo servo Francesco per chiamarlo a una vita di semplicità evangelica. In un primo momento, tramite la visione miracolosa a San Damiano, durante i primi giorni dell’inverno del 1206; poi, durante la festa di San Mattia, il 24 febbraio 1209, quando San Francesco, che aveva l’abitudine di assistere ogni giorno al Santissimo Sacrificio della Messa nella chiesa della Vergine Regina degli Angeli alla Porziuncola, nella vallata sottostante al paese di Assisi, in Italia, udì con le sue orecchie il Vangelo dell’invio dei discepoli e rimase dopo la celebrazione per chiedere al sacerdote di spiegargliene il significato. Dopo aver compreso il significato di questo brano della Scrittura, il Serafico Padre esclamò con gioia: Questo è ciò che voglio, questo è ciò che anelo con tutto il mio cuore!
Che gran giorno fu quello, che giorno pieno di speranza fu per tutti i figli e le figlie del Poverello! Possiamo scorrere le innumerevoli pagine degli anni e tornare indietro a quel giorno meraviglioso e sorprendente in cui un uomo così umile, Francesco di Bernardone, che desiderava con tutta la sua anima e il suo corpo seguire il Signore Gesù, intraprese la vita evangelica in un modo straordinario e apostolico, mettendo in pratica le parole del Vangelo in modo letterale. Perché a partire da quel giorno San Francesco fece ciò che Nostro Signore comandò: non prese nulla con sé, né oro né argento, né una seconda tunica, né un bastone né una bisaccia, e cominciò una vita di completa, intera e perfetta dedizione al servizio di Gesù Cristo nella Sua Chiesa, predicando il pentimento ai peccatori e offrendo opere di carità ai lebbrosi e ai poveri.
Che giorni pieni di speranza sono quelli per tutti noi Francescani! Possiamo vedere che ciò che ha reso San Francesco così grande è qualcosa a cui non solo possiamo aspirare, ma che possiamo tutti ottenere, perché a San Francesco fu concesso dalla grazia di Dio, che Egli, nella Sua impenetrabile misericordia e generosità, si è degnato di concedere anche a noi, tramite la nostra vocazione, e verso cui e in cui possiamo camminare e progredire, se solo vogliamo seguire le orme del nostro Serafico Padre, San Francesco.
Umiliamoci, dunque, e camminiamo ancóra una volta con nostro Padre. Mostriamoci suoi figli ascoltando le sue parole e osservando la sua Regola. Imitiamo soprattutto la sua semplicità nella sua fede nel Vangelo, che era pari a quella di un bambino, come lo era il suo distacco da tutti gli interessi e le ambizioni mondani.
Sì, la grazia grande e consolatrice che è stata concessa a San Francesco in quei giorni gloriosissimi e meravigliosi è a nostra disposizione e a disposizione dell’intero Ordine: è sufficiente che allunghiamo le mani per riceverla, e che apriamo i nostri cuori per accettarla.
E non siamo soli, perché nel Cielo che ci sovrasta è schierata, insieme al nostro gloriosissimo Patriarca, San Francesco, l’intera compagnia dei Martiri e delle Vergini, dei Dottori e dei Vescovi, dei Sacerdoti e dei Fratelli Francescani, e delle Povere Clarisse, delle Sorelle e dei membri del Terz’Ordine che regnano oggi con Cristo nella Gloria eterna. I membri di questa schiera ci guardano dal Cielo con i loro cuori pieni di misericordia e affetto, con le loro mani piene di grazie per ciascuno di noi, se soltanto vogliamo riceverle.
Ma se dobbiamo celebrare degnamente questi anni di grazie, possiamo farlo solamente aprendo i nostri cuori con la disposizione ad accettare le stesse grazie che stiamo commemorando. E possiamo aprire i nostri cuori solo se torniamo all’umiltà di San Francesco; poiché, se è vero che Dio dà la Sua grazia all’umile e respinge l’orgoglioso, con quanta maggior ragione San Francesco e tutta la compagnia dei Santi Francescani ci offrirà delle grazie quando ci umilieremo e metteremo da parte il nostro orgoglio.
Ciò che rende necessario l’aprirci a questa speranza è oggi, sventuratamente, la coscienza del fatto che lo stato dell’Ordine, in tutte le sue comunità, è affardellato da molti problemi, da molti peccati, da molti vizi, da molti scandali, da molte imperfezioni, dalla sfiducia, dal dissenso, dall’infedeltà, dalla carnalità, da molte concupiscenze, da molti desideri carnali, da molta mondanità.
Sì, è un giorno triste quello che vede l’Ordine incapace di celebrare degnamente l’ottocentesimo anniversario della conversione di San Francesco: incapace, perché le tormente della storia e l’infedeltà dei suoi leader l’hanno sospinto ben lontano dalla semplicità evangelica, dalla Regula Bullata e dalla purezza e semplicità di San Francesco.
Ma per questa stessa ragione è anche un giorno e un anno pieno di speranza. Perché in nessuna epoca come la presente l’Ordine ha avuto tanto bisogno di ricevere di nuovo la grazia della conversione personale del suo Serafico fondatore.
Quest’anno, facciamoci un dovere di lasciarci rinnovare nella grazia della nostra vocazione francescana. Ascoltiamo il consiglio di un grande Santo Francescano, San Bonaventura, che ci mostra il cammino. Egli scrive: ubi est reformatio, ibi est conformatio et informatio [I. Sent., d. 17, p. I, a. unic, q. 1, sed contra 2.]
Vale a dire, laddove c’è bisogno di una riforma delle anime, è necessario tornare all’Ideale da cui, originariamente, si è ricevuta la vocazione, ed accettarlo.
E se ci sono dubbi su quale sia l’Ideale da cui abbiamo ricevuto la nostra vocazione, e unicamente nel quale essa può vivere, muoversi ed esistere, non dobbiamo far altro che rivolgere lo sguardo a quell’evento trasformatore nella vita del nostro Serafico Padre, un evento che lo ha marcato per sempre con il Sigillo della Passione stessa del Cristo: le sante stimmate.
Il nostro Ideale è Cristo Crocifisso. Ciò non vuol dire che ci possiamo considerare in alcun senso comparabili a Lui, Che trascende il tempo e lo spazio essendone lo stesso Creatore, Che stringe nelle Sue mani tutto l’universo e tutte le ere, Che è adorato dalle miriadi degli Angeli e dalla formidabile compagnia dei Santi. No, ma piuttosto, come figli di San Francesco, siamo chiamati a seguire spiritualmente le orme della Sua Sanguinosa Passione, che Egli ha sofferto come Uomo, ascoltando i Suoi consigli:
— Se non rinneghi te stesso, non puoi essere Mio discepolo!
— Cerca in primo luogo il Regno di Dio e la Sua Giustizia!
— Se non farete penitenza perirete tutti allo stesso modo!
Quando il Poverello, sulla montagna della Verna, è stato marcato con le sante stimmate, era come una massa di cera sciolta che ha ricevuto il Sigillo dell’Anello del Regno Eterno, e quindi egli reca per sempre il marchio di Cristo e dirige ora il Coro dei Santi nell’eterna lode del Cristo Crocifisso. L’intero proposito della sua vocazione, dunque, era quello di far rivivere nei cuori degli uomini sulla terra la memoria vivida e la viva devozione del Cristo Crocifisso, di tutto quanto Egli ha fatto, detto e sofferto per noi; e di corrispondere veramente a tutto ciò tramite il pentimento, la penitenza, la riforma della vita e della morale e la costruzione del Suo Regno, la Chiesa.
Ne segue che, dato che la vocazione di San Francesco è la nostra, anche noi dobbiamo aprire i nostri cuori per accettare il sigillo del Regno, tramite il nostro vivo pentimento, tramite le nostre rigide penitenze, tramite un’autentica riforma della nostra vita e della nostra morale, e tramite una generosa offerta di noi stessi per l’opera di costruzione del Regno di Dio, la Chiesa Cattolica.
E se ciò deve essere fatto, dobbiamo in tutta umiltà riconoscere gli ostacoli che si ergono di fronte a noi oggi: che le Costituzioni della nostra comunità aggiustano attualmente la semplicità evangelica alle convenienze moderne e ad ogni forma di egoismo personale; che i nostri programmi di formazione permettono e incentivano il dissenso, l’eresia, l’immoralità e ogni sorta di vizio, invece di richiedere e imporre in modo estremamente rigido una riforma della morale e degli ideali in ciascuno di noi, un rigoroso programma di penitenza per ciascuno di noi e per la comunità, ed opere di carità che siano consone ed armoniose con essi, coscienti del fatto che il progresso autentico non è dato da questo mondo, ma da quella stessa conversione e penitenza a cui il Vangelo e San Francesco ci chiamano.
Se il nostro Serafico Padre ci parlasse oggi, individualmente e come comunità, non c’è dubbio che griderebbe con tutte le sue forze: << Penitenza! Penitenza! Penitenza! Sii un esempio di penitenza nella tua comunità, nella Chiesa e nel mondo! Io venni chiamato a questo, per essere un araldo di penitenza per il mondo, e ciò è quel che desidero, con ardente anelo, da tutti voi, miei figli e mie figlie!
Penitenza! Penitenza! Penitenza! Tornate alla fede; tornate alla giusta morale! Tornate alle tradizioni spirituali e corporali del mio Ordine! Seguite le mie orme e quelle dei vostri Santi fratelli e delle vostre Sante sorelle che vi hanno preceduto! Mettete da parte il mondo e le persone mondane, siate sobri, cambiate i vostri cuori e tornate a me e al mio esempio!
Non vi lasciate ingannare! Avete vagabondato a lungo in una terra deserta, pieni di fame per cose che non potranno mai soddisfarvi! Pentitevi e date una svolta radicale alle vostre vite, tornate alla terra in cui scorrono fiumi di latte e miele! Alla terra della fede, della penitenza, della mortificazione, e del Vangelo vivente! Non lasciatevi sedurre, perché l’amore del denaro è la radice di tutti i mali, e voi vi siete saziati abbondantemente di essa! Allontanatela di tra di voi insieme a tutti i suoi desideri!
Siate di nuovo miei figli e mie figlie! Non scendete a compromessi con il mondo, con la carne e con il diavolo! >>
FRATRES:
DUM TEMPUS HABEMUS OPEREMUR BONUM
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