mercoledì 3 giugno 2015

Irlanda – la responsabilità di un’apostasia

Irlanda – la responsabilità di un’apostasia

matrimonio omosessuale
(di Roberto de Mattei) Nel suo capolavoroL’anima di ogni apostolato, dom Jean-Baptiste Chautard (1858-1935), abate trappista di Sept-Fons, enuncia questa massima: «A sacerdote santo corrisponde un popolo fervente; a sacerdote fervente un popolo pio; a sacerdote pio un popolo onesto; a sacerdote onesto un popolo empio» (L’anima di ogni apostolato, Edizioni Paoline, Roma 1967, p. 64) . Se è vero che c’è sempre un grado di vita spirituale in meno tra il clero e il popolo cattolico, dopo il voto di Dublino dello scorso del 22 maggio, si dovrebbe aggiungere: «A sacerdote empiocorrisponde popolo apostata».

L’Irlanda è infatti il primo paese in cui il riconoscimento legale dell’unione omosessuale è stato introdotto non dall’alto, ma dal basso, per via di referendum popolare; ma l’Irlanda è anche uno dei Paesi di più antica e radicata tradizione cattolica, dove è ancora relativamente forte l’influenza del clero su una parte della popolazione.
Non è una novità che il “sì” alle nozze gay fosse appoggiato da tutti i partiti, di destra, di centro e di sinistra; non stupisce che tutti i media abbiano sostenuto la campagna LGTB, né che vi sia stato un massiccio intervento finanziario straniero a favore di questa campagna; è scontato il fatto che, avendo votato il 60 % della popolazione, solo il 37,5 % dei cittadini abbiano espresso il loro sì e che il governo abbia mischiato abilmente le carte, introducendo nel gennaio 2015 una legge che consente l’adozione omosessuale, prima del riconoscimento dello pseudo-matrimonio gay. Ciò che desta il maggiore scandalo sono i silenzi, le omissioni e le complicità dei sacerdoti e vescovi irlandesi nel corso della campagna elettorale.
Un esempio basti per tutti. Prima delle elezioni, l’arcivescovo di Dublino Diamund Martin ha dichiarato che egli avrebbe votato contro il matrimonio omosessuale ma non avrebbe detto ai cattolici come votare (LifeSiteNews.com, 21 maggio). Dopo il voto ha dichiarato alla televisione nazionale irlandese che «non si può negare l’evidenza» e che la Chiesa in Irlanda «deve fare i conti con la realtà». Quanto è accaduto ha aggiunto mons. Martin, «non è soltanto l’esito di una campagna per il sì o per il no, ma attesta un fenomeno molto più profondo», per cui «è necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche» (www.corriere.it/esteri/. 15_maggio).
Questa posizione riflette, in generale e tranne poche eccezioni, quella del clero irlandese, che ha adottato la linea che in Italia auspica il segretario generale della CEI mons. Nunzio Galantino: evitare ad ogni costo polemiche e scontri: «non si tratta di fare a chi grida di più, i “pasdaran” delle due parti si escludono da sé» (“Corriere della Sera”, 24 maggio). Il che significa, accantoniamo la predicazione del Vangelo e dei valori della fede e della Tradizione cattolica, per cercare un punto di incontro e di compromesso con gli avversari.
Eppure il 19 marzo 2010, nella sua Lettera ai cattolici di Irlanda, Benedetto XVI aveva invitato il clero e il popolo irlandese a ritornare «agli ideali di santità, di carità e di sapienza trascendente», «che nel passato resero grande l’Europa e che ancora oggi possono rifondarla» (n. 3) e a «trarre ispirazione dalle ricchezze di una grande tradizione religiosa e culturale» (n. 12), che non è tramontata, anche se ad essa si è opposto «un rapidissimo cambiamento sociale, che spesso ha colpito con effetti avversi la tradizionale adesione del popolo all’insegnamento e ai valori cattolici» (n.4).
Nella Lettera ai cattolici di Irlanda, Benedetto XVI afferma che negli anni Sessanta, fu «determinante» «la tendenza da parte di sacerdoti e di religiosi, di adottare modi di pensiero e di giudizio delle realtà secolari senza sufficiente riferimento al Vangelo». Questa tendenza è la medesima che riscontriamo oggi. Essa è stata la causa di un processo di degradazione morale che dagli anni del Concilio Vaticano II ha travolto come una valanga costumi e istituzioni cattoliche. Se oggi gli irlandesi, pur restando in maggioranza cattolici, abbandonano la fede, la ragione non è solo la perdita di prestigio e di consensi della Chiesa in seguito agli scandali sugli abusi sessuali.
La vera causa è la resa culturale e morale al mondo da parte dei loro pastori, che accettano questa degradazione come un’evidenza sociologica, senza porsi il problema delle proprie responsabilità. In questo senso il loro comportamento è stato empio, privo di pietà, offensivo nei confronti della religione, anche se non formalmente eretico. Ma ogni cattolico che ha votato sì, e dunque la maggioranza dei cattolici irlandesi che si sono recati alle urne, si è macchiata di apostasia. L’apostasia di un popolo la cui costituzione si apre ancora con un’invocazione alla Santissima Trinità.
L’apostasia è un peccato più grave dell’empietà, perché comporta un esplicito rinnegamento della fede e della morale cattolica, ma la responsabilità più pesante per questo peccato pubblico risiede nei pastori che con il loro comportamento l’hanno incoraggiato o tollerato. Le conseguenze del referendum irlandese saranno ora devastanti. 
Quarantotto ore dopo il voto si sono riuniti a Roma, sotto la guida del cardinale Reinhard Marx, i principali esponenti delle conferenze episcopali tedesca, svizzera e francese per pianificare la loro azione in vista del prossimo Sinodo. Secondo il giornalista presente ai lavori, «matrimonio e divorzio», «sessualità come espressione dell’amore» sono i temi di cui si è discusso (“La Repubblica”, 26 maggio 2015).
La linea è quella tracciata dal cardinale Kasper: la secolarizzazione è un processo irreversibile al quale bisogna adattare la realtà pastorale. E per l’arcivescovo Bruno Forte, lo stesso che nello scorso Sinodo chiedeva «la codificazione dei diritti omosessuali», e che è stato confermato dal Papa segretario speciale del Sinodo sulla famiglia, «si tratta di un processo culturale di secolarizzazione spinta nel quale l’Europa è pienamente coinvolta» (“Corriere della sera”, 25 maggio 2015).
C’è una questione finale che non si può eludere: il silenzio sepolcrale sull’Irlanda di  FP. Durante la messa per l’apertura dell’Assemblea Caritas, il 12 maggio scorso, il Papa ha tuonato contro «i potenti della terra», ricordando loro che «Dio li chiamerà a giudizio un giorno, e si manifesterà se davvero hanno cercato di provvedere il cibo per Lui in ogni persona e se hanno operato perché l’ambiente non sia distrutto, ma possa produrre questo cibo».
Il 21 novembre 2014, commentando il brano del Vangelo in cui Gesù caccia i mercanti dal Tempio, il Papa lanciò il suo anatema, contro una Chiesa che pensa solo a fare affari e che fa «peccato di scandalo». Francesco inveisce spesso contro la corruzione, il traffico di armi e di schiavi, la vanità del potere e del denaro. Riferendosi l’11 giugno 2014 ai politici corrotti, a coloro che sfruttano il «lavoro schiavo», e ai «mercanti di morte», il Papa ammonì «che il timore di Dio faccia loro comprendere che un giorno tutto finisce e che dovranno rendere conto a Dio». Il «timore di Dio» apre il cuore degli uomini «alla bontà, alla misericordia, alle carezza» di Dio, ma «è anche un allarme di fronte alla pertinacia nel peccato».
Ma l’iscrizione nelle leggi del vizio contro natura, non è incomparabilmente più grave dei peccati che così frequentemente ricorda il Papa? Perché nei giorni precedenti al voto il Santo Padre non ha lanciato un appello vigoroso e accorato agli irlandesi ricordando loro che la violazione della legge divina e naturale è un peccato sociale di cui il popolo e i suoi pastori dovranno un giorno rendere conto a Dio? Con questo silenzio, non si è fatto anch’egli complice di questo scandalo? (Roberto de Mattei)

LA MARCA DE LA BESTIA

LA MARCA DE LA BESTIA

«El mundo es Mío…Yo lo he creado; las metas alcanzadas son sólo una paja,… Vuestro cerebro asemeja a un grano de vuestra arena que hay alrededor de los mares…verá entonces vuestra soberbia que está bien llevar “la marca en la frente o en la mano”» (Conchiglia, 2 de junio del 2000).
El dueño del hombre es Dios, que lo ha creado a su imagen y a su semejanza. El fin de toda la Creación es dar gloria a Dios. Y sólo el hombre es incapaz de ofrecer esta gloria a Dios. Su soberbia se lo impide.
El hombre no es libre para ser, no elige lo que es, sino quién va ser, qué va hacer con su vida. Su plan de vida.
Se nace hombre; no se nace animal o espíritu o Dios o una planta. No se elige nacer en una esencia determinada. No se es libre para ser, para venir a la existencia.
Se nace varón o hembra. Y nadie puede cambiar eso. Por eso, todo hombre depende absolutamente de Dios. La única cosa que el hombre no puede quitar de su vida es su creación. El hombre puede vivir alejado de Dios totalmente, con una vida en la cual Dios no aparezca por ninguna parte. Pero el hombre no puede quitar de su misma naturaleza humana el acto creador de Dios. Desde el primer instante de su ser, de su existencia humana, el hombre conoce lo que es, aunque no lo recuerde. Guardamos memoria, en nuestro ADN, de nuestro primer día de vida. De ese día en el cual Dios obró nuestra existencia humana. Nos unió a un cuerpo para que nuestra alma lo informara. Y esa unión del alma con su cuerpo queda grabada en nuestro ADN.
Cuando somos engendrados en el vientre de nuestra madre, no somos un conjunto de células que se unen para adquirir un destino, una forma, una vida. Somos una creación divina. Y eso es lo ningún hombre puede quitar de sí. Puede no recordarlo. Puede vivir sin profundizar en este misterio de la vida. Pero está ahí. Y la misma naturaleza humana se lo recuerda.
Dios ha creado al hombre como es, con su naturaleza humana. Y ningún hombre puede cambiar eso, pero sí puede introducir en esa naturaleza humana otro tipo de existencia, de vida, la cual puede anular la esencia humana.
El homosexual elige un proyecto de vida que suplanta la vida humana por otra cosa: quiere ser lo que no puede ser. Dios lo ha creado varón, pero no acepta la obra de Dios en él: no acepta ser varón para unirse a una mujer. Y quiere vivir su vida para ser mujer, para comportarse como una mujer.
El homosexual no es libre para ser mujer: no tiene derechos naturales para ejercer esa existencia humana. No los tiene inscritos en su naturaleza humana. Su esencia humana no le exige ser mujer, no está dispuesta para ser mujer. Dios lo creó varón, y varón será siempre.
Pero el homosexual es libre para optar por el pecado de homosexualidad, con el cual obra una vida que no es humana, que no es propia de su naturaleza humana, que es una aberración, una abominación. No es su vida; no es la vida de un varón. No es la vida a la cual Dios le puso en la existencia humana. Y si no se arrepiente de su pecado, entonces anula su esencia humana, no física, sino espiritualmente. Vive un contrasentido, un absurdo, que impide a su alma salvarse y redimir a su cuerpo. Comete el pecado de blasfemia contra el Espíritu Santo.
Toda alma es para un cuerpo. Así un alma masculina exige un cuerpo masculino. Y un alma femenina exige un cuerpo femenino.
Ser varón o hembra pertenece, no sólo al cuerpo, sino también al alma. No es una cuestión orgánica, sino vital, propia de la persona humana, de la existencia del hombre.
Un varón está llamado por Dios a ser hombre porque su alma ha sido creada para ser eso: varón. Su alma no puede elegir no ser varón. No puede elegir ser hembra. No puede elegir estar en un cuerpo de mujer. El alma no tiene esa libertad. No se es libre para ser, sino para hacer, para realizar una vida en la naturaleza humana.
Por eso, el pecado de orgullo es lo que manifiesta todo hombre que no acepta el ser que Dios le ha dado.
Lucifer no aceptó ser como Dios lo había creado: no quiso ser ángel de luz. Por su pecado de orgullo se convirtió en un demonio, se transformó en otra cosa, anuló su esencia angélica para vivir en una esencia que no es la suya. Por eso, Lucifer, que es espíritu puro, combate en el hombre lo que Dios ha hecho. Y su sólo propósito es anular la humanidad que Dios ha creado. Anular la obra de la creación del hombre, creación divina. Porque su pecado de orgullo le lleva a ser como Dios, a actuar como Dios, a realizar las mismas obras de Dios.
Lucifer tiene que crear su humanidad. Y ser el dueño de esa humanidad. Y la crea sólo para anular la humanidad que Dios ha creado. La crea para anular el dominio que Dios tiene sobre toda la Creación.
Lucifer tiene que crear su universo. Y lo hace anulando la Creación de Dios.
Por eso, el demonio no descansa en este trabajo. Lleva siglos y siglos intentando esto, y por muchas maneras, por muchos caminos. El hombre no conoce las obras del demonio desde el momento en que pecó. Y no sabe medir qué puede o no puede el demonio. ¿Hasta dónde llega su poder en la Creación Divina? ¿Qué cosas ha creado el demonio, ha puesto en esa Creación de Dios, para estorbarla, anularla y así combatirla?
El demonio quiere quitar al hombre de la Creación Divina. Por eso, tiene que inventarse una plaga.
«…e hizo que todos, pequeños y grandes, ricos y pobres, libres y siervos, se les imprimiese una marca en la mano derecha y en la frente, y que nadie pudiese comprar o vender sino el que tuviera esa marca, el nombre de la Bestia o el número de su nombre» (Ap 13, 18-17).
La marca de la Bestia «traerá consigo la muerte – la muerte del alma y la muerte por una terrible enfermedad» (29 de julio de 2013).
Esa marca es un virus que mata dos cosas: el cuerpo y el alma.
Por tanto, no es sólo un virus: no es una enfermedad natural. Es algo inventado por los hombres para matar el cuerpo. Y, al mismo tiempo, mata el alma. Se produce la muerte espiritual, es decir, la condenación. Ese virus lleva a la persona al infierno: le es imposible salvarse. Vive condenada. En otras palabras, aceptando esa marca el hombre comete el pecado de blasfemia contra el Espíritu Santo, el cual no tienen perdón.
Y habrá muchos hombres, que en sus soberbias, vean como bueno la marca de la bestia. ¿Qué es la mente del hombre? Un grano de arena. Nada. El hombre nunca comprende la verdad de las cosas. Siempre es complicado para aceptar la verdad.
«Los Potentes del mundo son todos corruptos…Están acumulando provisiones de cada género. ¡Están a punto de imponerles la marca de la bestia!» (Conchiglia, 22 de agosto del 2005).
Toda alma tiene que ser «valiente para rechazar su venenosa marca» (2 de junio del 2012). La venenosa marca de los grandes del mundo. Esa marca es un veneno. Y un veneno mortal.
«Una vez implantado va a envenenar, no sólo su mente y su alma, sino su cuerpo también. Porque ésta causará una plaga ideada para eliminar a gran parte de la población mundial» (1 de junio del 2012).
Se quiere liquidar a la humanidad que Dios ha creado. Esa humanidad no les sirve a los grandes del mundo. Ellos están en su proyecto de vida, totalmente satánico.
Sólo las almas que están en gracia, que luchan por no ponerse la marca, pero que forzadamente se les imprime, se salvan: «De esas almas inocentes se salvarán quienes estén en estado de gracia en el momento de ser forzados a aceptar el chip» (1 de junio del 2012). No cometen pecado, porque con su voluntad eligen no querer el chip. Pero son obligadas. Y cuando el hombre hace una cosa obligado, sin posibilidad física de hacer otra cosa, no peca nunca.
Pero las almas que no están gracia, pero se resisten al chip, entonces podrán salvarse, pero será muy difícil: «Satán usará el poder de la posesión en aquellas almas que lleven la Marca y será muy difícil salvarlas» (20 de julio del 2012). Difícil, porque en ellos estará la posesión del demonio que les impedirá el arrepentimiento.
Las almas que reciban el chip en gracia, quedarán poseídas por el demonio, pero podrán salvarse: la puerta del arrepentimiento estará abierta. No será una posesión perfecta. Y podrán liberarse de esa posesión con un exorcismo que un sacerdote les haga.
La marca de la Bestia trae consigo una posesión demoniaca: Satán usará el poder de la posesión. No es una obsesión demoniaca. No es una presencia del demonio en el cuerpo del hombre. Es poseer la mente y el cuerpo de la persona.
«No acepten la marca porque si lo hacen estarán bajo su influencia hipnótica» (15 de noviembre del 2010).
Esta posesión es una influencia hipnótica del demonio en el cuerpo y en el alma de la persona. Mediante esa hipnosis, la persona se halla maniatada totalmente por el demonio; y sólo puede pensar lo que el demonio le pone en la mente, y sólo puede obrar lo que el demonio quiere que obre.
En esa posesión demoniaca, la persona no es libre para elegir, porque ha abierto al demonio su voluntad humana: se la ha dado completamente. La persona sólo tiene un dueño: el demonio. Y obra con la voluntad de su dueño. No puede obrar con su propia voluntad humana. No es libre para elegir un camino fuera del demonio. Sólo puede vivir aquello que el demonio quiere.
Es una posesión en la mente y en la voluntad de la persona humana. Y es perfecta. El hombre no puede arrepentirse de haberse dado al demonio. No encuentra una idea de arrepentimiento. No encuentra un deseo de arrepentimiento. Es la cima del pecado de orgullo en el hombre lo que se obra en esa posesión.
Para que se dé esta marca, es necesario presentarla en forma de una idea religiosa:
«De repente, a todos se les pedirá que acepten la “marca de la lealtad”, la “marca de fidelidad”. Un mundo unido, en el cual todos los hombres tendrán que participar. Ésta controlará su dinero, su acceso al alimento y su forma de vivir» (1 de junio del 2012).
La marca de la Bestia es la marca de la lealtad, de la fidelidad. Es la marca de una idea filosófica, que viene por la implantación de un gobierno mundial. Hay que ser fielesleales a ese gobierno. Hay que obedecer la mentalidad dominante. Hay que seguir la masa, la idea de la masa, el lenguaje de la masa. Esa idea lleva a dar el control de la vida a ese gobierno. Que los grandes del mundo sean los dueños de la vida de cada hombre.
«La mayoría de la población mundial pertenece a la masonería, que la ha devuelto esclava como los fueron los esclavos de Egipto… Lo que veo es una población que alejándose de las leyes de Dios, es esclava por las leyes humanas entrelazadas por los señores del Poder. Digo -con razón- entrelazadas… más bien enredadas… ya que las leyes humanas son retorcidas y equivocadas… Lo que veo es completa desolación… una manada enorme de hombres que siguen a otros hombres, que yerran sin pensar y meditar sobre la misma condición de esclavos. Lo que veo es una población obtusa, que harta y saciada de sus palabras… está llena de conceptos vacíos e inmoralidad… y vacía de Dios. Lo que veo es una población que habiendo dado escucha y consentimiento a los malos maestros, por ellos es sometida… y maltratada… y apaleada… y matada en el cuerpo… en la mente y en el espíritu. Lo que veo es un gallinero… gallinas estúpidas… que tragan cualquier cosa digan o hagan los señores del Poder; y pollos… que son saciados aquel tanto que basta… para ser eliminados al momento oportuno» (Conchiglia, 25 de octubre del 2008).
Cuando el hombre ha perdido la fe, entonces el hombre es manejado por el mismo hombre. Se vuelve un veleta del pensamiento humano, un juego de los grandes del mundo. Y ese hombre sabe que están jugando con él, pero se somete a ese juego, queda atrapado en ese juego. Y vive para el dueño que lo somete.
«Lo que veo es una población que bajo el látigo del poder masónico todavía construye hoy ladrillos de paja, estiércol y barro, para construir los castillos de los patrones, para construir sus riquezas desmedidas, para construir la muerte por las armas atómicas y químicas, por el aborto y por todo lo que es mal» (Ib).
Y este hombre sin fe no puede levantar su cabeza ante ese dueño. No puede rebelarse ante el mal.
«Lo que veo es una población que si levanta la cabeza para rebelarse a sus patrones, sedientos de dinero y de poder, en vez de ser escuchados por ellos, son vueltos aun más esclavos, y también son privados de los necesario para existir» (Ib).
Vive en un círculo vicioso, que no sabe romper porque ha perdido la fe.
«Uno sobre mil y uno sobre diez mil apenas logrará huir del sistema de control que han preparado desde hace tiempo en previsión de la rebelión de los pueblos» (Ib).
Los grandes de la tierra quieren tenerlo todo bajo sus pies. Quieren liquidar la raza humana. Y ella misma, los mismos hombres quieren ir al matadero. Se han hecho ovejas dóciles a los potentes del mundo.
En esa humanidad ya no vive la verdad, ya no se ama la verdad, ya no se lucha por la verdad. Porque no saben lo que es la verdad.
«Todavía son esclavos de un sistema que aún quieren perfeccionar más, imponiéndoles de hecho un sistema de control cada vez más sofisticado, para que no puedan huir, ni siquiera al más mínimo control. Les han robado y todavía más les robarán la libertad, para llegar a robarles la vida, y sobre todo el alma» (Conchiglia, 29 de diciembre del 2011).
Si no se conoce lo que es la verdad, no se tiene libertad. La verdad es lo que hace libre al hombre. Vivir la verdad, obrarla es dar al hombre el camino de la verdadera libertad. Pero vivir sujetos al error, a la mentira, al lenguaje humano, es esclavizarse para morir esclavos.
Ese chip aniquilará el ADN del hombre, en su cuerpo, lo transformará, y el alma estará viviendo en un cuerpo que no pertenece a la esencia humana. Ese chip es un virus que destroza el ADN, lo envenena,  y el cuerpo pierde su esencia. El alma vive en un cuerpo que ha sido destrozado completamente. Y, por eso, no puede salvarse en ese cuerpo. El alma humana está en cuerpo que ha sido adulterado en su esencia. Y eso supone la condenación del alma. Por eso, aceptar el chip es condenarse. Es aceptar no ser más un hombre de la naturaleza humana que Dios ha creado. Sino aceptar ser un hombre de lo que el demonio ha creado, ha metido,  en el cuerpo. Un cuerpo transformado en un ser demoniaco. De esta manera, Lucifer pone en el hombre creado por Dios su mismo pecado de orgullo, que transforma su esencia angélica en una esencia demoniaca. Dios tuvo que irse de Lucifer en su pecado, de su naturaleza angélica. Tuvo que echarlo fuera. Así hará con los hombres que acepten la marca de la bestia.
«Esa marca, la marca de la bestia, será su caída. No es lo que parece. Al aceptar, serán removidos lejos, muy lejos» (15 de noviembre del 2010).
Dios se retira de la naturaleza humana, al igual que se retiró de la naturaleza angélica de Lucifer.
Por eso, esa posesión del demonio es perfecta, es el culmen del pecado de orgullo en el hombre.
Lucifer buscó separarse de Dios en la esencia. Pero no podía borrar lo que Dios había puesto en su creación. Sólo podía inventarse, con su entendimiento angélico, una forma de vida para ser como Dios, para vivir como Dios, para pensar como Dios.
Para eso, el chip. Es el paso del demonio para ir a la creación demoníaca del hombre.
Todos los experimentos que se han ido realizando con el semen y el óvulo es sólo esto: que el demonio pueda crear al hombre, una nueva humanidad, a través del mismo hombre.
Es renovar el pecado de Adán en el Paraíso, pero ahora por medio de la ciencia y de la técnica. Es decir, por medio de la inteligencia humana.
Con Adán, el demonio creó una humanidad para él. Pero se le acabó su obra. Jesús puso un camino al hombre para poder salvarse: el camino de la gracia.
Ahora, con la inteligencia humana, el demonio está creando hombres sin almas en los tubos de ensayos. Una nueva humanidad, controlada en todo por el demonio, que nace de las manos del mismo hombre.
Todo lo que el hombre crea en una probeta lleva el sello del demonio, lleva una posesión demoniaca.
Pero es necesaria consolidarla: darle la fuerza de lo religioso. Apoyarla con una iglesia universal en que se facilite –en un gobierno mundial- lo que ya se viene haciendo en muchas partes del mundo. Y con esa fuerza de lo espiritual, acabar con la humanidad que Dios ha creado, con un chip, con un virus, para así tener –en la tierra- sólo la humanidad que el demonio ha creado.
Es la obra de Lucifer. Es una batalla espiritual contra Dios. Por eso, los tiempos son apocalípticos.
Los días están contados. Hay que huir, no sólo de la Iglesia, sino del mundo. El mundo se ha vuelto loco. El hombre se cree Dios y no puede salir de ese pensamiento. En muchas mentes humanas trabaja ya la posesión del demonio. Y lo que queda por ver es la perfección de esa posesión.

Rosario in Latino, di Benedetto XVI - Misteri Gloriosi

Che fine ha fatto la lingua liturgica dell'Occidente

Che fine ha fatto la lingua liturgica dell'Occidente?




Vi riporto senza commento (ma ce ne sarebbero di commenti da fare....) l'articolo del prof. Lang sulla lingua liturgica della Chiesa d'Occidente, che l'autore "osa" inserire nella categoria di "lingua sacra" (mi immagino appena l'orrore dei liturgisti di scuola contemporanea per questa blasfèmia degna di condanna a morte....). Recuperando comunque ovvie e naturali categorie antropologiche, sociologiche oltre che teologiche, il prof. Lang ci offre in condensato una lode del latino liturgico e delle sue virtù (che nessun Concilio ha mai pensato neanche lontanamente di debellare.... ma tant'è siamo arrivati dove siamo arrivati). 
Speriamo che anche questo semplice, ma incisivo articolo, possa essere un'ennesima goccia che scava la roccia (o meglio il cranio più duro della roccia dei liturgisti difensori strenui della "Sacra e immutabile Tradizione degli ultimi 40 anni"). Interessantissimo il modo con cui il padre Lang smonta, senza nominarle, alcuni dei pretestuosi e sempre ripetuti argomenti contro la reintroduzione del latino nella liturgia. In particolare fa capire, senza dirlo, che dopo anni e anni di memorizzazione dei testi nelle diverse lingue vernacole, non siamo nella condizione del pre-Concilio. 
Tutti i frequentatori della Messa domenicale sanno benissimo il Gloria, il Credo, il Santo e tutte le risposte e perfino le preghiere eucaristiche nella propria lingua. Non dovrebbero perciò aver alcun problema nel comprendere cosa "si dice" in latino! Tanto più che con un semplice foglietto possono seguire agevolmente, anche se di lingue madri diverse, la stessa liturgia cattolicamente latina.... E così un po' di commento preventivo ce l'ho messo!
Un grazie a Zenit che ci dà l'opportunità di leggere questo bell'articolo.



LA LINGUA DELLA CELEBRAZIONE LITURGICA
-----------
di Padre Uwe Michael Lang. Officiale della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e Consultore dell’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice.

La lingua non è soltanto uno strumento che serve per comunicare fatti, e deve farlo nel modo più semplice ed efficiente, ma è anche il mezzo per esprimere la nostra mens in un modo che coinvolga tutta la persona. Di conseguenza, la lingua è anche il mezzo in cui si esprimono i pensieri e le esperienze religiosi.

La lingua adoperata nel culto divino, ovvero la “lingua sacra” non si spinge fino alla glossolalia (cf 1Cor 14) o al mistico silenzio, escludendo completamente la comunicazione umana, o almeno tentando di farlo. 

Tuttavia, si riduce l’elemento della comprensibilità a favore di altri elementi, in particolare quello espressivo. Christine Mohrmann, la grande storica del latino dei cristiani, afferma che la lingua sacra è un modo specifico di “organizzare” l’esperienza religiosa. Infatti, la Mohrmann sostiene che ogni forma di credere nella realtà soprannaturale, nell’esistenza di un essere trascendente, conduce necessariamente all’adozione di una forma di lingua sacra nel culto, mentre un laicismo radicale porta a respingere ogni forma di essa. 

In tal senso, il Cardinale Albert Malcolm Ranjith ha ricordato in un’intervista: «L’uso di una lingua sacra è tradizione in tutto il mondo. Nell’Induismo la lingua di preghiera è il sanscrito, che non è più in uso. Nel Buddismo si usa il Pali, lingua che oggi solo i monaci buddisti studiano. Nell’Islam si impiega l’arabo del Corano. L’uso di una lingua sacra ci aiuta a vivere la sensazione dell’al-di-là» (La Repubblica, 31 luglio 2008, p. 42).

L’uso di una lingua sacra nella celebrazione liturgica fa parte di ciò che san Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae chiama la solemnitas. Il Dottore Angelico insegna: «Ciò che si trova nei sacramenti per istituzione umana non è necessario alla validità del sacramento, ma conferisce una certa solennità, utile nei sacramenti a eccitare la devozione e il rispetto in coloro che li ricevono» (Summa Theologiae III, 64, 2; cf. 83, 4).

La lingua sacra, essendo il mezzo di espressione non solo degli individui, ma di una comunità che segue le sue tradizioni, è conservatrice: mantiene le forme linguistiche arcaiche con tenacia. Inoltre, vengono introdotti in essa elementi esterni, in quanto associazioni ad un’antica tradizione religiosa. Un caso paradigmatico è il vocabolario biblico ebraico nel latino usato dai cristiani (amen, alleluia, osanna ecc.), come ha osservato già sant’Agostino (cf. De doctrina christiana II, 34-35 [11,16]).

Lungo la storia, si è adoperata un’ampia varietà di lingue nel culto cristiano: il greco nella tradizione bizantina; le diverse lingue delle tradizioni orientali, come il siriaco, l’armeno, il georgiano, il copto e l’etiopico; il paleoslavo; il latino del rito romano e degli altri riti occidentali. In tutte queste lingue si trovano forme di stile che le separano dalla lingua “ordinaria” ovvero popolare. Spesso questo distacco è conseguenza degli sviluppi linguistici nel linguaggio comune, che poi non sono stati adottati nella lingua liturgica a causa del suo carattere sacro. Tuttavia, nel caso del latino come lingua della liturgia romana, un certo distacco è esistito sin dall’inizio: i romani non parlavano nello stile del Canone o delle orazioni della Messa. Appena il greco è stato sostituito dal latino nella liturgia romana, è stato creato come mezzo di culto un linguaggio fortemente stilizzato, che un cristiano medio della Roma della tarda antichità avrebbe capito non senza difficoltà. Inoltre, lo sviluppo della latinitas cristiana può avere reso la liturgia più accessibile alla gente di Roma o Milano, ma non necessariamente a coloro la cui lingua madre era il gotico, il celtico, l’iberico o il punico. Comunque, grazie al prestigio della Chiesa di Roma e la forza unificatrice del papato, il latino divenne l’unica lingua liturgica e così uno dei fondamenti della cultura in Occidente.

La distanza fra il latino liturgico e la lingua del popolo divenne maggiore con lo sviluppo delle culture e delle lingue nazionali in Europa, per non menzionare i territori di missione. Questa situazione non favoriva la partecipazione dei fedeli nella liturgia e perciò il Concilio Vaticano II volle estendere l’uso del vernacolo, già introdotto in una certa misura nei decenni precedenti, nella celebrazione dei sacramenti (Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, art. 36, n. 2). Allo stesso tempo, il Concilio ha sottolineato che «l’uso della lingua latina […] sia conservato nei riti latini» (ibid., art. 36, n. 1; cf. anche art. 54). Comunque, i Padri conciliari non immaginavano che la lingua sacra della Chiesa occidentale sarebbe stata totalmente sostituita dal vernacolo. 

La frammentazione linguistica del culto cattolico si è spinta così oltre, che molti fedeli oggi possono a stento recitare un Pater noster insieme agli altri, come si può notare nelle riunioni internazionali a Roma e altrove. In un’epoca contrassegnata da grande mobilità e globalizzazione, una lingua liturgica comune potrebbe servire come vincolo di unità fra popoli e culture, a parte il fatto che la liturgia latina è un tesoro spirituale unico che ha alimentato la vita della Chiesa per molti secoli. 

Senz’altro il latino contribuisce al carattere sacro e stabile «che attrae molti all’antico uso», come scrive il Santo Padre Benedetto XVI nella sua Lettera ai Vescovi, in occasione della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum (7 luglio 2007). Con l’uso più ampio della lingua latina, scelta del tutto legittima, ma poco usata, «nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità» (ibid.).

Infine, è necessario preservare il carattere sacro della lingua liturgica nella traduzione vernacolare, come fa notare con esemplare chiarezza l’Istruzione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti sulla traduzione dei libri liturgici Liturgiam authenticam del 2001. Un frutto notevole di questa istruzione è la nuova traduzione inglese del Missale Romanum che verrà introdotta in molti paesi anglofoni nel corso di quest’anno.




Testo preso da: Che fine ha fatto la lingua liturgica dell'Occidente? http://www.cantualeantonianum.com/2011/02/che-fine-ha-fatto-la-lingua-liturgica.html#ixzz3bydaVyHk
http://www.cantualeantonianum.com 










martedì 2 giugno 2015

Chi è Duda


Chi è Duda

Benedetta Frigerio su Tempi. Stralcio l'ultima parte dell'articolo che ci presenta una confortante alternativa al "caso" Irlanda. 
Ricordo che la Conferenza Episcopale Polacca è tra quelle che sono sono distinte per una posizione di audace e chiara fermezza nelle vicende sinodali.

La stampa internazionale lo dipinge come un conservatore bigotto e nazionalista, ma in Polonia ha convinto molto per le sue ricette chiare e patriottiche
Il neo-presidente Duda a Czestochowa
[...] Di Duda, qui in Italia, si sottolineano molto le sue posizioni sui temi etici. Cosa si è detto in Polonia a questo proposito? 
È stato criticato dagli anticlericali di sinistra ma non ha fatto un passo indietro né sulla sua azione politica ispirata alla fede, né sulla fecondazione assistita a cui si è detto contrario, né tanto meno sulla sua opposizione alle unioni fra persone dello stesso sesso. Ma la sua chiarezza anziché fargli perdere consensi, gli ha fatto guadagnare stima. Anche perché la Chiesa polacca non è debole come quella degli altri paesi europei: ci sono ancora vocazioni religiose e la mentalità laicista e secolarizzata non è così diffusa. I vescovi poi, così come i laici, non si sono ritirati dalla vita del paese, anzi sono sempre intervenuti ribadendo l’attualità del magistero cattolico. In questo senso, siamo molto distanti dall’Irlanda.

Sono queste le radici di Duda?

Sì, sono quelle cristiane della Polonia. Ecco perché le prime tre cose che ha fatto appena eletto sono state queste: la visita alla Madonna Nera di Czestochowa a Jasna Gora per ringraziarla della vittoria e affidarle il suo mandato; la visita alla tomba di Witold Pilecki, l’eroe polacco che si fece catturare e portare ad Auschwitz per organizzare un movimento di resistenza e che fu condannato a morte alla fine della guerra; la visita alla tomba di Lech Kaczynski, il capo di Stato morto nel 2010 nell’incidente aereo di Smolensk, con cui cominciò la sua carriera politica.
Nel primo caso ha ribadito la fede del suo paese, nel secondo la sua storia. Che significato ha la terza visita?

Ribadire la volontà di riprendere la politica di Lech Kaczynski, che si interruppe bruscamente senza essere portata avanti da nessuno. Duda, a differenza degli uomini eletti successivamente all’incidente del 2010, ha intenzione di mettere in pratica gli insegnamenti del suo maestro, muovendosi nell’alveo del patriottismo e tenendo conto delle peculiarità del paese, della sua tradizione e delle radici cristiane della Polonia che ritiene indispensabili per la ripresa del paese.