sabato 29 gennaio 2022

CON MOLTA...

 Pazienza

Ritratto dell’uomo apostolico


di Cornelio A Lapide


 40. I. Paolo fu di una pazienza ammirabile, adamantina e amplissima. La

pose nella sua anima, quasi come base di vita apostolica. A questo

riguardo, egli, dipingendo il perfetto uomo apostolico, scrive (2 Corinti 6,

4-10): «Diportiamoci in ogni cosa come ministri di Dio, con molta

pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie. Sotto le

battiture, nelle prigionie, nelle sedizioni, nelle fatiche: nelle vigilie, nei

digiuni, con purezza, con scienza, con longanimità, con soavità, con

Spirito Santo, con carità non simulata, con la parola della verità, con la

virtù di Dio, con le armi della giustizia a destra e a sinistra; in mezzo alla

gloria e all’ignominia, alla cattiva e alla buona fama; siamo trattati come

seduttori e siam veraci; come ignoti, e siam ben conosciuti; come

moribondi, ed ecco viviamo; siamo stimati castigati, ma non siam messi a

morte; siam creduti tristi, e siam sempre allegri; poveri, ma ne arricchiamo

tanti; possessori di niente, e invece possediamo ogni cosa».

San Girolamo (67) scriveva pertanto: «Il soldato di Cristo avanza

attraverso alla buona ed alla cattiva fama, a destra e a sinistra; non si

insuperbisce per la lode, né si avvilisce per il biasimo; non si gonfia per le

ricchezze, non si abbatte per la povertà; disprezza le cose liete e le tristi; il

sole non lo brucia di giorno, né la luna di notte».

Sull’esempio di Paolo si diportò sant’Atanasio, che per quarantasei anni

andò ramingo per tutto il mondo, e sostenne con invitta forza d’animo le

persecuzioni degli ariani. A lui perciò giustamente dà lode san Gregorio

Nazianzeno (68): «Atanasio fu diamante ai percotitori, calamita ai

diffidenti».


 41. II. Paolo esercitò dappertutto e per tutta la vita questa pazienza, ed

esercitandola, l’aumentò immensamente. Perciò san G. Crisostomo (69) lo

antepone al santo Giobbe, «che è un mirabile atleta, il quale potrebbe

guardare faccia a faccia Paolo stesso, per la sua pazienza ed innocenza di

vita, per il testimonio di Dio, dopo quella fortissima lotta col diavolo, per

la vittoria che seguì alla lotta; ma Paolo, non per pochi mesi, ma per

moltissimi anni persevera nella lotta e si segnala assai di più, non perché si

raschi con un coccio il marcio della carne, ma perché incorre

frequentemente nella bocca di questo spirituale leone, e combatte contro

tentazioni innumerevoli, rimanendo più paziente di una pietra. Paolo, non

da tre o quattro amici, ma da tutti gli infedeli, e dai falsi fratelli dovette

sostenere obbrobrii; sputacchiato e maledetto da tutti».

E poco appresso continua: «Ma i vermi e le ferite causavano al santo

Giobbe crudeli e intollerabili dolori: io lo riconosco. Se però consideri che

san Paolo sopportò per lunghi anni le battiture, e, con la fame continua

anche la nudità, le catene, la prigionia, le insidie e i pericoli che gli

venivano dai domestici e dagli estranei, dai tiranni ed infine da tutto il

mondo; se poi aggiungi a ciò quello che certamente era per lui più

doloroso, ossia le pene per coloro che defezionavano, le sollecitudini per le

varie Chiese, le scottature che provava per ciascheduno degli scandalizzati;

allora potrai comprendere come quest’anima soffrendo tali cose fosse più

dura di ogni pietra, e superasse la resistenza dell’acciaio e del diamante».


Tre gradi di pazienza.


42. III. Tre sono i gradi di pazienza. Il primo è soffrire pazientemente; il

secondo, volentieri; il terzo, con gioia, gloriandosi delle sofferenze,

desiderando passioni e persecuzioni. In tutti e tre questi gradi, Paolo fu

eccellente: si gloriava difatti delle tribolazioni (Cfr. Romani 5, 3);

ringraziava, in esse, Iddio.

San Francesco Saverio, anche tra le più acerrime persecuzioni e

tribolazioni, ridondava di tante consolazioni divine, e, non potendosi più

contenere, esclamava: «Basta, o Signore; basta». Quando si trattava di

fatiche e di persecuzioni, le richiedeva dicendo: «Di più, o Signore; di più.

Non liberarmi da questa croce, se non per darmene una più pesante». Così

si legge nella sua Vita e negli Atti della sua canonizzazione.

Questa condotta l’aveva imparata ed attinta da san Paolo e da Giacomo,

che scrive: «Abbiate, o fratelli, come argomento di vera gioia le varie

tentazioni nelle quali urterete, sapendo che la prova della vostra fede

produce la pazienza. La pazienza poi ha l’opera perfetta» (Giacomo l, 2

s.). Paolo esulta tra le catene: «Io, dice, prigioniero di Cristo... » (Efesini

3, l); si gloria di più di questo titolo che se fosse coronato di diadema, dice

il Crisostomo.

Vedasi ciò che ho detto nel commento di questo passo. Anche san Pietro:

«Godete, dice, di partecipare ai patimenti di Cristo, perché cosi potete

rallegrarvi ed esultare, quando si manifesterà la gloria di lui» (l Pietro 4,

13)


Caratteristica dell’Apostolo: ogni genere di pazienza


43. IV. Paolo, mentre viene eletto da Dio Apostolo, viene pure costituito

capo di sofferenze, e di pazienza, affinché comprendessimo che il

distintivo dell’Apostolo è ogni genere di pazienza: «Egli è uno strumento

da me eletto a portare il mio nome davanti ai Gentili» (Atti 9, 15). E ne

aggiunge subito il motivo: «Io gli mostrerò quanto dovrà patire per il mio

nome» (Atti 9, 16). Vedasi quanto ho detto commentando questo passo.

Pertanto Paolo (l Corinti 4, 11.13) scrive: «Anche in questo momento noi

soffriamo la fame e la sete, e siamo ignudi, e presi a schiaffi, e non

abbiamo ove posarci; e ci affanniamo a lavorare con le nostre mani;

maledetti benediciamo, perseguitati sopportiamo, bestemmiati

supplichiamo». E: «I segni del mio apostolato, dice, sono stati manifestati

a voi con ogni sorta di pazienza, con miracoli e prodigi e virtù» (2 Corinti

12, 12).

Enumera ad una ad una le sue lotte, e si gloria di esse come di altrettanti

trofei: «Mi sono trovato in moltissimi travagli, dice, spessissimo nelle

carceri, oltre ogni limite nelle battiture, e spesso mi son trovato nei pericoli

di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre

volte sono stato battuto con le Verghe; una volta sono stato lapidato; tre

volte ho fatto naufragio; ho passato una notte e un giorno nel profondo del

mare. Spesso in viaggio, tra i pericoli dei fiumi, pericoli dei malfattori,

pericoli da parte, dei miei connazionali, pericoli dai Gentili, pericoli nelle

città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli dai falsi fratelli. Nella

fatica, nella miseria, in molte vigilie, nella fame, nella sete, in molti

digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a quello che mi vien dal di fuori,

ho anche l’affanno quotidiano, la cura di tutte le Chiese» ecc. (2 Corinti

11, 23.28).


44. V. Paolo, con ammirevole pazienza, sopportò i suoi rivali, gli invidiosi,

i detrattori, i calunniatori (Cfr. 2 Corinti, cap. 10 e 11). «Alcuni per picca,

dice, annunziano Cristo senza sincerità, credendo di aggiungere affanni

alle mie catene. Ma che me ne importa? O che sia per pretesto o con lealtà,

purché in ogni modo sia predicato Cristo, e ne godo e ne godrò, ecc.

Secondo quanto aspetto e quanto spero, non avrò da arrossire di nessuna

cosa, ma con tutta franchezza, come sempre, Cristo sarà glorificato nella

mia persona, sia con la vita, sia con la morte» (Filippesi l, 17.20). E: «Noi

siam tribolati in ogni maniera, ma non avviliti d’animo; siamo angustiati,

ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattuti, ma non

finiti» (2 Corinti 4, 8 s.). Giustamente san Gregorio (70) scrisse: “La

pazienza è un martirio nascosto nell’anima».


45. VI. Paolo sostenne e superò eroicamente molte infermità ed angustie

corporali, e spirituali, gravi e continue tentazioni della carne (71):

«Affinché la grandezza delle rivelazioni, dice, non mi facesse insuperbire,

m’è stato dato lo stimolo della mia carne, un angelo di Satana che mi

schiaffeggi. Tre volte ne pregai il Signore, perché si allontanasse da me.

Ed Egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia, perché la potenza si fa meglio

sentire nella debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie

infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angustie

per Cristo, perché quando son debole, allora sono potente» (2 Corinti 12,

7-10).


<< ...tribolati in ogni maniera, ma non avviliti d’animo; siamo angustiati, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattuti, ma non finiti >> (2 Corinti 4, 8 s.)


AMDG et DVM

MISTICO DI MARIA

SAN LUIGI MARIA GRIGNION DE MONTFORT


 

Questo santo è tutto da scoprire. Ha vissuto

solo quarantatrè anni, Louis-Marie de Montfort, ma è stato “un atleta

della predicazione”, un “Apostolo di Maria”, “Colui che amava tanto i

poveri”.

 Nacque in Bretagna, Francia nordoccidentale,

il 31 Gennaio 1673, a Montfort-la-Cane (oggi Montfort-sur-Meu).

Secondo di diciotto figli di Jean-Baptiste Grignion, avvocato, e Jeanne

Robert de la Vizeule, fin da bambino mostrò una forte disposizione alla

preghiera e alla contemplazione. Lo zio materno Alain, testimonierà che

da piccolo era “molto portato all’apostolato”.

Nel 1684, a 11 anni, Luigi Maria si iscrive al collegio dei Gesuiti di

Rennes, il paese d’origine della madre. Soggiorna in casa dello zio.

Sino al 1692, per otto anni, studia con profitto seguito da ottimi

insegnanti, come padre Camus e padre Gilbert.

Conduce una vita austera, conservando intatta la sua innocenza.

Per interessamento della pia signorina Montigny, si trasferisce a Parigi

nell’autunno del 1692 ed entra nel seminario di Saint-Sulpicio.

Completa gli studi di teologia ed il 5 Giugno 1700, a 27 anni, viene

ordinato sacerdote.

 Incontra a Parigi Marie-Louise Trichet con la

quale fonda la Congregazione delle Figlie della Sapienza nel 1703. Ma il

suo desiderio era di dedicarsi alle missioni estere.

Diceva : “Che facciamo noi qui mentre ci sono tante anime che periscono

nel Giappone e nelle Indie per mancanza di predicatori e di catechisti?”.

 Pieno di fervore, si reca a Roma. Il 6 Giugno

del 1706 viene ricevuto in udienza dal Santo Padre Clemente XI

(papa Albani). 

 Il pontefice in quel tempo era estremamente

preoccupato per la particolare situazione francese : giansenismo,

gallicanesimo, quietismo, turbavano la Chiesa. Il papa, amorevolmente,

lo esorta e lo convince ad esercitare il suo zelo nella stessa Francia,

che ne aveva bisogno, mettendosi a disposizione dei vescovi.

 Gli conferisce il titolo di Missionario Apostolico e gli

dona un Crocifisso. Confortato dalla parola e dalla benedizione del Vicario

di Cristo, Luigi Maria rientra in Francia. Trova, però, difficoltà ed ostilità

da parte del vescovo di Poitiers. Si dirige altrove : veniva considerato un

prete stravagante ed originale, ma egli continuava, tenace e risoluto.

Si ritira per un certo tempo nei pressi di Montfort, in un antico

lebbrosario, Saint-Lazare con altri due compagni.

La gente accorre, arriva e Luigi Maria fa recitare il Rosario, fa cantare

lodi, e predicare la parola di Dio. Diceva : “L’Ave Maria ben detta è segno

di predestinazione. E’ una verità che io sono disposto a sottoscrivere con il

mio sangue”.

 Il vescovo di Saint-Malo, mons.Vincenzo Francesco

Desmarets, giansenista, gli proibisce ogni ministero. Passa da un paese

all’altro, da una diocesi all’altra, e arriva, finalmente alla diocesi de La

Rochelle ove trascorre gli ultimi cinque anni della sua vita.

Qui, il vescovo, Etienne de Champflour, lo accoglie benevolmente.

Organizza un gran numero di missioni, diffondendo e introducendo

dovunque la recita del Rosario tra il popolo. Istituisce confraternite e

scuole. La povera gente lo cerca come predicatore e confessore.

“Egli tuonava, dal pulpito, contro tutti i vizi, ma era dolce e fermo insieme

nel tribunale della penitenza ; aveva un dono singolare per toccare i cuori

sia nel Confessionale che dalla cattedra. I grandi peccatori si rivolgevano

più a lui, per confessarsi, che a qualunque altro missionario”.

 Anima di grande fervore mariano. “La Santa Vergine lo

aveva scelto per prima, come uno dei suoi più grandi favoriti ed aveva

stampato nella sua giovane anima quella tenerezza così singolare che egli

ha sempre avuto per Lei e che l’ha reso uno dei più grandi devoti alla

Madre di Dio che la Chiesa abbia avuto”.

 Ci si può rendere conto di questa grande

devozione di san Luigi Maria di Montfort, leggendo il suo libro

scoperto e stampato dopo 130 anni dalla sua morte, nel 1842 :

“Trattato della vera devozione alla Santa Vergine”.

Morì, il nostro santo, il 28 Aprile 1716, a Saint-Laurent-sur-Sèvre : aveva

quarantatrè anni.

 Prima di rendere l’anima, teneva stretto, in una

mano il Crocifisso datogli da Clemente XI, nell’altra una statuetta della

Madonna, dicendo : “Sono tra Gesù e Maria. Sono giunto al termine : è

finita, non peccherò più”.

La Vandea, regione francese dove San Luigi Maria di Montfort trasfuse

tutte le sue energie, passò alla Storia come la terra che seppe reagire alla

furia distruttrice giacobina della Rivoluzione Francese, difendendo “Trono

ed Altare”. Ancora dopo ottanta anni, nel 1793, la fede predicata e

trasmessa da S.Luigi Maria, restava solida e radicata nell’animo del

popolo della Vandea che aveva subito il martirio.

 Papa Leone XIII lo proclama beato il 22 Gennaio

1888, Pio XII lo eleva agli altari il 20 Luglio 1947, Giovanni Paolo II trae

il motto del suo pontificato “Totus Tuus” proprio dai suoi scritti e lo

indica nella “Redemptoris Mater” come testimone e guida della spiritualità

mariana.

Gianni Mangano

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https://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/wp-content/uploads/2017/12/S-LUIGI-GRIGNON-DI-MONTFORT-P-Buondonno.pdf

AVE MARIA PURISSIMA!

martedì 25 gennaio 2022

Dopo i precursori dell’Anticristo verrà l’Anticristo stesso.




 

25 gennaio 1944

   Dice Gesù:
   «Daniele è colui che ha la medesima nota di Giovanni, e Giovanni è colui che raccoglie e amplifica la nota iniziale di Daniele. Ecco perché, piccolo Giovanni, a te piace tanto.
   Come pesce in limpida peschiera, tu sei felice quando ti muovi nell’atmosfera del tuo Cristo, il quale avrà il suo supremo trionfo nell’ora in cui Satana, il suo figlio e i suoi cortigiani, saranno per sempre resi impotenti. E in Daniele vi è quest’atmosfera. Se Isaia è il pre-evangelista che parla del mio avvento[97] nel mondo per la salute del mondo, Daniele è il pre-apostolo, il pre-Giovanni che annuncia le glorie del mio eterno trionfo di Re della Gerusalemme imperitura.
   Ora vedi come nelle quattro bestie descritte da Daniele siano anticipati i segni dei ministri diabolici dell’Apocalisse. I commentatori si sono affannati a dare un significato storico-umano a quei quattro mostri. Ma occorre spingere lo sguardo molto più avanti, e molto più in alto. Sollevatevi, quando meditate i libri santi, dalla Terra, staccatevi dal momento presente, spingete lo sguardo nel futuro e nel soprannaturale. Lì è la chiave del mistero.
   Le quattro bestie: i quattro errori che precederanno la fine. I quattro errori che saranno quattro orrori per l’umanità e che partoriranno l’Orrore finale.
   L’uomo era un semidio per la Grazia e per la Fede. Come aquila e come leone sapeva affrontare e vincere i pericoli del senso e sollevare se stesso a spaziare nel clima di Dio, là dove l’anima si congiunge in nozze soprannaturali col suo Signore in continui e rapidi congiungimenti di ardori, da cui scende sulla Terra ogni volta rinnovellata nella forza, nella gioia, nella carità che effonde sui fratelli e poi slancia nuovamente, ancor più impetuosamente, verso Dio, poiché ogni congiungimento è aumento di perfezione che si compie quando il congiungimento diviene eterno nel mio Paradiso.
   L’ateismo strappò all’uomo le sue ali d’aquila e il suo cuore da semidio e lo fece animale camminante sul fango e portante sul fango, verso il fango, il suo pesante cuore tutto carne e sangue. Un pondo pesante più del piombo porta l’uomo nel suo “io” privo delle spirituali penne dello spirito, un pondo che lo curva, lo stende, lo sprofonda nel fango.
   L’uomo era un semidio per la Carità vivente in lui. Amando Dio e la sua Legge, che è legge di Carità, egli possedeva Dio, e con Dio la Pace, che è un principale attributo di Dio, e con la pace tanto bene universale e singolo.
   L’uomo respinse la Legge di Dio per assumere molte altre dottrine. Ma nessuna era ed è da Dio e perciò in nessuna è Carità vera. Onde l’uomo, che aveva abbracciato l’ateismo divenendo da aquila e leone semplice uomo, per un sortilegio infernale partorì se stesso divenuto orso, feroce divoratore dei suoi simili.
   Ma orrore chiama orrore. Per scala ascendente. Sempre più grande l’orrore perché nei maledetti connubi con Satana l’uomo, che il Cristo aveva riportato alla sua natura di semidio, genera mostri sempre più mostri. E sono i figli del suo errare che si vende a Satana per averne terrestre aiuto.
   Dall’uomo semidio venne l’uomo, dall’uomo l’orso, dall’orso il nuovo mostro feroce e falso come il leopardo, dotato da Satana di ali multiple per essere più veloce nel nuocere. Vi ho detto[98] che Satana è lo scimmiottatore di Dio. Anche esso dunque volle dare alla “sua” creatura, ormai sua creatura, all’umanità senza Fede e senza Dio, dare delle ali. Non di aquila, [ma] di vampiro perché fosse incubo dell’umanità stessa e fosse rapido nel suo correre ad abbattersi sulle parti di sé, vittime di sé, per suggerne il sangue.
   Io, mistico pellicano, mi sono aperto il cuore per darvi il mio sangue. Satana fa dell’uomo, al quale Io ho dato il mio sangue, il vampiro che sugge parti di se stesso e si dà morte con tormento.
   Non pare una leggenda di incubo? È invece la vostra realtà. Non è un mostro mitico. Siete voi che con fame diabolica divorate parte di voi stessi, svenandovi, mutilandovi per poi generare le nuove parti mentre divorate le già formate, con una continuità che ha in sé qualcosa di maniaco, ma di un maniaco diabolico.
   La potenza voluta, spinta, imposta sino al delitto, è la terza bestia. Dato che è potenza umana, ossia vendutasi a Satana pur di esser sempre più potente, contro ogni legge divina e morale, essa genera il suo mostro che ha nome Rivoluzione e che, come è della sua natura, porta nelle protuberanze della sua mostruosità tutti i più biechi orrori delle rivoluzioni, naufragio sociale del Bene e della Fede. Onestà, rispetto, moralità, religione, libertà, bontà, muoiono quando questo mostro alita su una nazione il suo fiato d’inferno, e come pestifera emanazione esso si spande oltre i confini contagiando di sé popoli e popoli, sinché contagerà il mondo intero preparando sui brandelli delle vittime, da lei uccise e sbranate, sulle rovine delle nazioni ridotte a macerie, la culla per il mostro finale: l’Anticristo.
   Ve l’ho detto[99] che esso sarà il figlio della lussuria dell’uomo, nato dal connubio della stessa con la Bestia. Ve l’ho detto. Non muto nel mio dire. Ciò che dico è vero. Lo conosco senza bisogno di leggerlo, lo ricordo senza bisogno di rileggerlo. È scritto nella mia mente di Dio davanti alla quale scorrono incessantemente, e l’uno sopra l’altro, senza che l’uno impedisca la visione dell’altro, tutti gli eventi dell’uomo nel tempo.
   Esso Anticristo, perfezione dell’Orrore come Io fui perfezione della Perfezione, con le sue infinite armi, simboleggiate nelle dieci corna, nelle mascelle dentate di ferro, nei piedi feroci e infine nel piccolo corno, simbolo dell’estremo livore di cui Satana doterà il suo figlio per intossicare l’umanità mentre con la bocca di menzogna la sedurrà facendosi adorare per dio, tormenterà a dismisura coloro che, piccolo gregge fedele, mi resteranno seguaci. D’ora in ora il piccolo corno crescerà per nuocere, crescerà l’intelligenza satanica per far dire alla bocca le più turbatrici menzogne, crescerà in potenza come Io crescevo in sapienza e grazia, armato di occhi per leggere il pensiero degli uomini santi e ucciderli per esso pensiero.
   Oh! i miei santi dell’ultimo tempo! Se eroico fu il vivere dei primi fra le persecuzioni del paganesimo, tre volte, sette volte, sette volte sette volte eroico sarà il vivere dei miei ultimi santi. Solo i nutriti con la midolla della Fede potranno aver cuor di leone per affrontare quei tormenti e occhi e penne d’aquila per affissare Me-Sole e volare a Me-Verità, mentre le tenebre li soverchieranno da ogni parte e la Menzogna cercherà persuaderli ad adorarla e credere in essa.


   Dopo i precursori dell’Anticristo verrà l’Anticristo stesso. Il periodo anticristiano, simboleggiato dalla Bestia armata di dieci corna – i dieci servi, che si credono re, di Satana, dei quali tre (nota bene) saranno strappati e gettati nel nulla, ossia nel baratro dove non è Dio e perciò dove è il Nulla, l’opposto di Dio che è Tutto – culminerà nella nascita e crescita, fino alla sua potenza massima, dell’undecimo corno, ragione della caduta di tre precursori, e sede del vero Anticristo, il quale bestemmierà Dio come nessun figlio d’uomo mai fece, calpesterà i santi di Dio e torturerà la Chiesa del Cristo; crederà, poiché è figlio [del connubio] della superbia demoniaca con la lussuria umana, “di poter fare grandi cose, di mutare i tempi e le leggi” e per tre anni e mezzo sarà l’Orrore regnante sul mondo.
   Poi il Padre dirà: “Basta” davanti al gran coro che, per il “rumore delle grandi parole” dei santi, si farà in Cielo; e la Bestia malvagia sarà uccisa e gettata nel pozzo d’abisso e con essa tutte le bestie minori per rimanervi con Satana, loro generatore, per l’eternità.
   Io sarò chiamato allora dal Padre per “giudicare i vivi ed i morti” secondo [quanto] è detto nel Simbolo della Fede. E i “vivi”, coloro che hanno serbato vita in loro per aver serbato viva la Grazia e la Fede, erediteranno “il regno, la potenza e la magnificenza di Dio”. I morti dello spirito avranno la Morte eterna secondo che la loro volontà ha scelto di avere.
   E non vi sarà più Terra e più uomo carnale. Ma solo vi saranno “figli di Dio”, creature affrancate da ogni dolore, e non vi sarà più peccato, e non vi saranno più tenebre, e non vi sarà più timore. Ma solo gioia, gioia, gioia immensa, eterna, inconcepibile agli uomini. Gioia di vedere Dio, di possederlo, di comprenderne il pensiero e l’amore.
   Venite, o uomini, alla Fonte della vita. Io ve ne apro la sorgente. Attingetene, fortificatevi in lei per essere intrepidi nelle prove e per giungere ad immergervi completamente in essa, in Me, sorgente di beatitudine, nel bel Paradiso che il Padre mio ha creato per voi e nel quale il triplice Amore del Dio Uno e la Purezza della Madre “nostra” vi attendono, e con essi coloro che per esser stati fedeli hanno già conseguito la Vita.»


   Dice poi Gesù a me­:
   «Quando Io ti vedo così attenta alle mie lezioni, mi sembri una scolara diligente e affezionata del suo maestro che per essa è lo “scibile” intiero. Quando invece da te scopri delle parti nuove, fai delle osservazioni (e questo nelle visioni), mi fai pensare ad un bambino buono che il suo padre tiene per la manina conducendolo davanti a ciò che vuole che il bambino veda per crescere nell’intelligenza, ma che nel contempo non interviene, per dare al suo piccolo la gioia di scoprire qualche cosa di nuovo e di sentirsi crescere nel concetto di sé.
   Per fare questo, tu devi essere sempre sgombra di sollecitudini umane. Sempre più sgombra. Devi essere sempre più sicura per camminare disinvolta per i sentieri della contemplazione e sempre più tranquilla e fiduciosa in Me che ti tengo per mano.
   Un papà non se ne fa accorgere, ma con mille arti amorose fa tanto finché la sua creatura vede quella data cosa che egli vuole che il bambino veda. Oh! Io sono il più amoroso dei padri e il più paziente dei maestri per i miei piccoli, e quando posso tenerne uno per mano, docile e attento, Io sono felice. Felice d’esser Maestro e Padre.
   È tanto difficile che le mie creature mi mettano con fiducia la mano nella mia mano per essere condotte, istruite da Me, e per dirmi: “Ti amo sopra tutte le cose e con tutta me stessa!”. A quelle poche che sono così tutte “mie”, senza riserve, Io apro i tesori delle rivelazioni e delle contemplazioni e mi do senza riserva.
   Però, Maria, siccome vi eleggo al ruolo di divulgatrici della mia Divinità, nelle sue diverse manifestazioni, presso coloro che hanno bisogno d’esser risvegliati e condotti ad intravvedere Dio, ricorda di essere scrupolosa al sommo nel ripetere quanto vedi. Anche una inezia ha un valore e non è tua, ma mia. Perciò non ti è lecito trattenerla. Sarebbe disonesto ed egoista. Ricordati che sei la cisterna[100] dell’acqua divina, alla quale essa acqua si versa perché tutti ne vengano ad attingere.
   Per i dettati sei giunta alla fedeltà più fedele. Nelle contemplazioni osservi molto, ma nella fretta di scrivere, e per le tue speciali condizioni di salute e di ambiente, ti avviene di omettere qualche particolare. Non lo devi fare. Mettili in calce, ma ségnali tutti. Non è un rimprovero, è un dolce consiglio del tuo Maestro.
   Giorni or sono mi hai detto: “Che gli uomini ti amino un poco di più, attraverso a me, giustifica e ripaga tutta la mia fatica e la mia vita; fosse anche un solo uomo che torna a Te per mezzo della tua ‘violetta nascosta’,[101] essa sarebbe felice”.
   Più sarai attenta ed esatta e più sarà numeroso il numero di coloro che vengono a Me, e più grande la tua felicità spirituale presente e la tua felicità eterna futura.
   Va’ in pace. Il tuo Signore è con te.»
   [Segue, in data 25 e 26 gennaio, il capitolo 36 dell’opera L’EVANGELO]


http://www.valtortamaria.com/operaminore/quaderno/2/manoscritto/14/25-gennaio-1944


AVE MARIA PURISSIMA!


Parliamo del MONTFORT



UN CARO SALUTO AGLI AMICI  DEL BLOG

CON SANTI AUGURI PER IL 2022 p.C.

*

CAPITOLO 12. IL MISSIONARIO

È deciso: men corro pel mondo!

Sono preso da umor vagabondo

Per salvare il mio povero prossimo [Cantiques: 2ème ed. pag. 353]

Finalmente poteva dar libero sfogo al santo umor vagabondo che gli urgeva

nell'anima da anni.

Missionario! La superficialità distratta della nostra vita di oggi ci ha fatto

perdere la nozione precisa di questo vocabolo. Per capirlo occorrerebbe una

ricostruzione storica: descrivere i tempi andati nei quali la macchina non aveva

ancora asservito l'uomo e l'uomo, dominando il mestiere, se ne staccava a

piacere per attendere alla cultura dello spirito e alla salvezza dell'anima.

Quando un missionario di tempra veramente apostolica entrava in una città o

in un villaggio, quasi tutta la vita civile prendeva un tono di riposo: le

occupazioni materiali si sospendevano o si riducevano al minimo, perché

ciascuno potesse attendere alle cose dell'anima in modo intensivo. E il

missionario non era solo il prete che parla, come oggi, per dieci o quindici

giorni mezz'ora la mattina e mezz'ora la sera dal pulpito della chiesa, più

qualche istruzione di categoria; era invece un prete o una schiera di preti che

prendeva in mano un paese o una città per restaurarvi la vita religiosa nel suo

triplice aspetto parrocchiale, familiare e individuale. Il lavoro durava a volte

mesi interi. Troviamo per esempio S. Giovanni Eudes che fa nella città di

Rennes una missione - per sei mesi consecutivi. I cristiani si mettevano a

disposizione del missionario: tante volte si partivano da casa la mattina per

tempo con un tozzo di pane e un po' di companatico e passavano l'intera

giornata con lui che predicava, confessava, insegnava cantici, organizzava

processioni spettacolose preparate con pazienti prove generali. 

Ci si spiega allora come alle volte invece della chiesa dovesse servire la piazza

o un prato alle adunanze della missione. Si comprende altresì come la missione

segnasse nella vita di un paese un avvenimento straordinario e come fosse

grave la fatica richiesta dal sacerdote che si dedicava a questo genere di lavoro

apostolico.

***

Luigi-Maria di Montfort scendeva nel campo missionario a 31 anni. L'avevano

preceduto in quel campo due intrepidi campioni, Michele Le Nobletz, del clero

secolare, e Giuliano Maunoir, gesuita; il loro nome risuonava ancora in

benedizione per le contrade della Bretagna.

Il Montfort riterrà il quadro generale di azione di questi due evangelizzatori, ma

vi infonderà uno spirito e una grandiosità tali, da dare un tono profondo ed

eroico di religiosità a quelle popolazioni e per la durata di secoli.

Al servizio delle missioni Luigi-Maria portava tutte le sue straordinarie capacità

di predicatore, di poeta, di artista, di santo. Ed ecco come si regolava quasi

sempre. Quindici giorni prima dell'apertura andava o mandava sul posto per

studiare l'ambiente e darvi una prima vigorosa. scaldata mobilitando preghiere

e parlando dell'importanza della missione.

Veramente a detta sua prima che si movesse lui c'era un altro che si metteva

in azione. «Quando mi accingo a dare una missione in qualche luogo il demonio

prende sempre le mosse innanzi a me». Il demonio servito da tanti accoliti in

carne ed ossa con tutto l'armamentario dei sette vizi capitali. «Ma quando

giungo io, continua il Montfort, sono sempre il più forte perché ho Maria e S.

Michele Arcangelo con me».

Giungeva nel paese al giorno fissato e quasi sempre in compagnia di altri

sacerdoti e religiosi, messisi volontariamente agli ordini di questo giovane

prete per la grande opera.

Lo accompagnava anche un robusto somaro carico delle armi del missionario:

qualche libro, foglietti a stampa di ricordi, e tutta una serie di stendardi vistosi,

da lui lavorati, e illustranti le verità della fede e i misteri del Rosario. Al primo

giungere della missione un Fratello coadiutore era mandato per le vie del paese

e per la campagna a battere un grosso tamburo e a cantare con tutta la forza

consentitagli dai polmoni, la strofetta:

All'erta, all'erta, all'erta!

La missione s'è aperta:

Tutti corriamo, amici,

Il Cielo a conquistar!

***

Come alloggio dei missionari il Montfort sceglieva una casa, quando offertagli

dalla carità e quando presa in affitto ed egli la chiamava «la Provvidenza».

Perché la Provvidenza doveva fornire il necessario non solo ai missionari, ma

anche a tutti i poveri del luogo durante la missione. Caratteristica questa delle

più commoventi dell'apostolato del nostro Santo e che metterà sotto gli occhi

attoniti del sudditi di Luigi XIV le più belle scene del ministero di Gesù.

Ascoltiamo un teste autorevole, il Sacerdote Des Bastières, uno dei più fedeli

compagni di fatica del Montfort.

«Tutte le missioni che ho avuto l'onore di fare con lui, e sono più di

quaranta, furono fatte a spese della Provvidenza, la quale lo ha sempre

rifornito con abbondanza di viveri, tanto che dopo averne ricavato il

necessario per sé e per i missionari, trovava ancora di che nutrire un

gran numero di poveri e vestirli. È vero che nei primi due o tre giorni

difettavamo di parecchie cose, ma non appena il Montfort aveva

dichiarato pubblicamente dal pulpito che lui e i missionari vivevano delle

elemosine dei fedeli e che essi davano gratuitamente le intenzioni di

tutte le loro Messe a quanti contribuivano al mantenimento, allora la

Provvidenza si dichiarava tanto apertamente in nostro favore che da ogni

parte ci arrivavano vettovaglie in modo sì abbondante che non solo

potevamo nutrirci noi, ma anche tutti i poveri della parrocchia e dei

dintorni. Spesso gli avanzi riempivano parecchie ceste, come avvenne nel

deserto, dopo la moltiplicazione dei pani. Ho visto talvolta avanzare fino

a cinquanta grossi pani dopo il pasto nostro e dei poveri i quali erano

sempre molto numerosi: ne ho contati fino a duecento al giorno in molte

parrocchie in cui ho fatto la missione». L'accenno alla moltiplicazione dei

pani fatto dal des Bastières dovette presentarglisi senza sforzo. «Due

cose, continua egli, mi hanno maggiormente colpito, sembrando mi

molto straordinarie: la prima che il Montfort ha fatto più di otto missioni,

nelle quali io l'ho accompagnato, in Parrocchie tanto povere, che i più

ricchi tra gli abitanti avevano appena un pezzo di pane per vivere.

Eppure erano questi i luoghi in cui la divina Provvidenza si manifestava

più liberale a nostro riguardo, poiché i missionari e i poveri erano trattati

meglio che altrove. La seconda cosa è che, essendo affidato d'ordinario a

me l'incarico di condurre i poveri al luogo in cui si dava loro da mangiare

e di servirli a tavola, mi è capitato cinque o sei volte di non aver neppure

un tozzo di pane da dar loro e non ve n'era neanche nella casa della

Provvidenza, alloggio dei missionari. Ne avvertii la prima volta il Montfort

ed egli non se ne mostrò affatto preoccupato: mi disse semplicemente di

condurli al posto solito, che la Provvidenza avrebbe provveduto ai loro

bisogni. Eseguii gli ordini senza sapere da dove ci potesse venire il pane. 

Sarebbe venuto dal Cielo? Tuttavia li feci sedere a tavola benché non

avessi nulla da mettervi sopra e mi trovavo tanto mortificato perché

c'erano quasi duecento persone presenti, venute apposta per aver il

piacere di vedere il pranzo di quei poveri ch'erano affamati. Nell'attesa

feci fare una piccola lettura, durante la quale mi recai nella casa della

Provvidenza e rimasi sbalordito nel trovarvi gran quantità di pani ed altre

provvigioni venute chissà da che parte. Le feci tosto portare ai nostri

poveri che ebbero quel giorno doppia razione.

Qualcosa di simile è capitato, per quel che so io, altre cinque o sei volte»

[GRANDET, o. c. pag. 286-289].

Aiutato tanto visibilmente dalla Provvidenza, «il più povero prete di Francia,

dice il Blain, faceva più elemosine del più ricco prebendato» (§ LXVII).

Privando a volte se stesso del necessario, come quando una buona signorina

gli mandò un sarto per prendere la misura e fargli una talare della quale aveva

proprio bisogno. Rispose: «Il mio corpo può fare a meno di una veste nuova,

ma i membri di Gesù Cristo non possono fare a meno di nutrimento». E fece

pregare quella caritatevole persona di mutar pensiero e di dargli il

corrispondente in denaro per i poveri [) Cfr. BESNARD, ms. c., I pagg. 162-

163].

Ma questo padre dei poveri non si contentava di far «distribuire ogni giorno la

minestra a tutti i poveri e provvederli dì abiti confezionati da alcune pie

persone durante il corso della missione» [GRANDET, o. c. pag. 356]. Ci teneva

a dare lui stesso a quei suoi prediletti segni di una stima e di una tenerezza

che giungeva «fino all'eccesso». «Non solamente, scrive il primo biografo, il

Grignion amava teneramente ed abbracciava i poveri come propri figli e fratelli,

ma li onorava e rispettava come signori e padroni. Quando ne incontrava

qualcuno per le strade, lo salutava, e parlandogli si teneva a capo scoperto.

Li baciava, lavava loro i piedi, li faceva sedere a tavola alla propria destra e

serviva loro quanto vi era di meglio. Beveva spesso nel loro bicchiere e

mangiava i loro rifiuti. Abbracciava quelli ch'erano i più schifosi e pieni di

ulceri. Quando non aveva poveri con sé, si alzava da tavola e diceva: «Vado a

cercare il buon Gesù». Non si stomacava mai per il puzzo né per la deformità

loro, e se talvolta essi si mostravano restii a mettersi a tavola in un posto più

onorevole del suo o degli altri missionari, presi dal timore di cagionar pena,

egli li incoraggiava a sedersi come fossero stati figli di casa.

Quando erano storpi e non potevano camminare, se li caricava sulle spalle»

[GRANDET, o. c. pag. 354]. E il primo biografo, a farci intendere come

realmente si trattasse di eccesso, coglie dalla penna del confessore del Santo,

il P. de Latour, un episodio che urta violentemente la nostra sensibilità e 

rappresenta un fuor di misura non solo per noi, ma, crediamo, anche per il

Montfort. «Trovò, scrive, un povero pieno di pidocchi e di ogni più ributtante

lordura, il quale non potendo sopportar più oltre il prurito di quegli insetti, si

era cavata la camicia e l'aveva buttata su di una siepe. Il Montfort ciò vedendo

andò subito a togliersi la sua propria camicia per darla a quel povero e si recò

prontamente a cercare quella di lui per indossarla così sporca com'era»

[GRANDET. o. c. pag. 457].

Fuor di misura, ripetiamo, anche per il Santo che, afferma il Besnard «egli si è

sempre attenuto alle leggi della decenza ecclesiastica» [BESNARD, ms. c. I,

16] e il Grandet, a sua volta, ci assicura che «non era mai sudicio» [GRANDET,

o. c. pag. 352].

Tutto per creare un'atmosfera infuocata di sacrificio e di carità, la più propria

alla fecondazione della divina semenza ch'egli andava spargendo, la parola del

Vangelo. 

Fa' o Madre che viviamo nella

grazia dello Spirito Santo

sabato 25 dicembre 2021

Lezione di Natale

 

QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 215



25 dicembre 1943

   Nuovo dettato di Maria. Dice Maria:


   «La beatitudine dell’estasi natalizia è venuta meco come essenza di fiore chiusa nel vivo vaso del cuore per tutta la vita. Indescrivibile gioia. Umana e sovrumana. Perfetta.
   Quando il venir di ogni sera mi martellava nel cuore il doloroso memento: “Un giorno meno di attesa, un giorno più di vicinanza al Calvario”, e l’anima mia ne usciva ricoperta di pena come se un flutto di strazio l’avesse ricoperta, anticipata onda della marea che m’avrebbe inghiottita sul Golgota, io curvavo il mio spirito sul ricordo di quella beatitudine che era rimasto vivo nel cuore, così come uno si curva su una gola montana a riudire l’eco di un canto d’amore ed a vedere in lontananza la casa della sua gioia.


   È stata la mia forza nella vita. E lo è stata soprattutto nel­l’ora della mia morte mistica ai piedi della Croce. Per non giungere a dire a Dio - che ci puniva, io e il mio dolce Figlio, per i peccati di tutto un mondo - che troppo atroce era il castigo e che la sua mano di Giustiziere era troppo severa, io, attraverso il velo del più amaro pianto che donna abbia versato, ho dovuto affissare quel ricordo luminoso, beatifico, santo, il quale si alzava in quell’ora come visione di conforto dall’interno del cuore per dirmi quanto Dio m’avesse amata, si alzava per venirmi incontro non attendendo, poiché era gioia santa, che io lo cercassi, perché tutto quanto è santo è infuso da amore, e l’amore dà la sua vita anche alle cose che par che vita non hanno.


   Maria, occorre fare così quando Dio ci colpisce.
   Ricordare quando Dio ci ha dato la gioia, per poter dire anche fra lo strazio: “Grazie, mio Dio. Tu sei buono con me”.
   Non rifiutare il conforto del ricordo di un passato dono di Dio che sorge per confortarci nell’ora in cui il dolore ci piega, come steli percossi da una bufera, verso la disperazione, per non disperare della bontà di Dio.
   Procurare che le nostre gioie siano gioie di Dio, ossia non darci delle gioie umane, da noi volute e facilmente contrarie, come tutto quanto è frutto del nostro operare avulso da Dio, alla sua divina Legge e Volontà, ma attendere solo da Dio la gioia.
   Serbare il ricordo di esse anche a gioia passata, perché il ricordo che sprona al bene ed a benedire Iddio è ricordo non condannabile ma anzi consigliato e benedetto.
   Infondere della luce di quell’ora le tenebre dell’ora presente per farle sempre tanto luminose che ci bastino a vedere il santo Volto di Dio anche nella più buia notte.
   Temperare l’amaro del calice di quella goduta dolcezza per poterne sopportare il sapore e giungere a berlo sino all’ultima stilla.
   Sentire, poiché lo si è conservato come il più prezioso ricordo, la sensazione della carezza di Dio mentre le spine ci stringono la fronte.


   Ecco le sette beatitudini contrapposte alle sette spade. Te le dono per mia lezione di Natale (metti questa data) e, con te, le dono a tutti i miei prediletti.
   La mia carezza per benedizione a tutti.»


   Dice l’Eterno Spirito:


   «Io sono l’Amore. Non ho (o non uso)[734] voce mia propria perché la mia Voce è in tutto il creato ed oltre il creato. Come etere Io dilago per tutto quanto è, come fuoco accendo, come sangue circolo.
  

  Io sono in ogni parola del Cristo e fiorisco sulle labbra della Vergine. Io purifico e faccio luminosa la bocca dei profeti e dei santi. Io sono Colui che le cose ispirò prima che fossero, perché è il mio potere quello che come palpito dette moto al pensiero creativo dell’Eterno.
   Per il Cristo tutte le cose sono state fatte,[735] ma tutte le cose sono state fatte da Me-Amore, perché sono Io che con la mia segreta forza mossi il Creatore ad operare il prodigio.
  

       Io ero quando nulla era ed Io sarò quando rimarrà unicamente il Cielo.[736]


     Io sono l’ispiratore della creazione dell’uomo al quale fu donato il mondo[737] per sua delizia, il mondo in cui, dagli oceani alle stelle, dalle vette alpine agli steli, è il mio sigillo.
   

    Io sarò che porrò sulle labbra dell’ultimo uomo la suprema invocazione:[738] “Vieni, Signore Gesù!”.


   Io sono Quello che a placare il Padre infusi l’idea dell’Incarnazione e scesi, fuoco creatore, a farmi germe nelle viscere immacolate di Maria, e risalii fatto Carne sulla Croce e dalla Croce al Cielo per stringere in anello d’amore la nuova alleanza fra Dio e l’uomo, come in amplesso d’amore avevo stretto il Padre e il Figlio generando la Trinità.


   Io sono Colui che senza parole parla, ovunque ed in ogni dottrina che in Dio abbia origine, Colui che senza tocco apre occhi e orecchi ad udire il soprannaturale, Colui che senza comando vi trae dalla morte della vita alla Vita nella Vita che non conosce limite.


   Il Padre è su voi, il Figlio in voi, ma Io, Spirito, sono nel vostro spirito e vi santifico colla mia presenza.
   Cercatemi ovunque è amore, fede e sapienza. Datemi il vostro amore. La fusione dell’amore con l’Amore crea il Cristo in voi e vi riporta in seno al Padre.
   Ho parlato oggi che è l’avvento dell’Amore sulla Terra, la più alta mia manifestazione, quella da cui provengono redenzione e infusione pentecostale alla Terra.
   Il mio Fuoco dimori in voi e vi accenda, ricreandovi a Dio, in Dio e per Iddio, Signore eterno a cui, in Cielo e in Terra, ogni lode va data.»


   Nel ringraziamento della Comunione, mentre ad alta voce pregavo per tutti noi e intorno al mio letto erano Anna e Paola[739] (Marta era andata un momento verso la cucina) l’estasi mi ha presa. Ho visto Maria prendere il Bambino dal suo grembo, stringerselo sul cuore, baciarlo e ninnarlo.
   E questo sarebbe poco male. Il male è che ho visto Paola alzare gli occhi dal suo messale (perché, per quanto io leggessi e perciò avessi gli occhi bassi, pure vedevo il libro, la Vergine e gli astanti insieme) e guardarmi fisso, e vidi Marta accorrere e venirmi vicina a guardare anche lei.
   Cercando di dominarmi sono andata in fondo alla preghiera di Pio XII al Cuore immacolato di Maria e alle altre orazioni. Ma ebbi la sensazione di essere prossima a naufragare del tutto nella dolcezza beata dell’estasi, e pregavo Dio e Maria che mi aiutassero ad andare avanti e mi occultassero dagli altri in quel mio stato.
   Dopo venne gente, si fece colazione (latte e caffè) ecc. ecc.
   Finalmente, oltre un’ora dopo, chiesi a Paola: “Perché mi guardavi?”.
   E lei: “Perché ti ho vista cambiare nella voce e nel volto. La voce ti rideva e piangeva insieme e il viso ti si era trasformato”.
   E Marta: “Io ho sentito fin dalla cucina cambiare talmente tono che sono corsa credendo si sentisse male e l’ho vista tutta diversa”.
   “Diversa come?”.
   “Come fossi fuori di te”.
   Non ho negato, perché ancora le lacrime del “gioioso pianto”, come dice Maria, mi montavano dal cuore e sentivo la luce interna trasparire dal mio viso.


   Oh! Padre!... Dopo sono rimasta accesa e trasfigurata, abbellita per tutto il giorno.
   Mi pareva, nel prosieguo della visione che mi estasiava, vedere Maria alzarsi dal luogo dove sempre l’ho vista in questi giorni, in fondo al mio letto dal lato destro, e venire tenendo in braccio il Bambino vicino al mio capezzale. Vedevo distintamente la mossa di appoggiare la mano sinistra al suolo per far leva al corpo e il passo lievemente ondeggiante come è di solito quello di chi calza dei sandali. Quando fu presso a me, vidi il divino Piccino dormire placido e bello, appoggiato sul braccio destro e sul petto di Maria.
   Mi cadevano le lacrime... Poi Maria mi passò il braccio sinistro intorno alle spalle attirandomi a sé, di modo che io ero sotto il suo velo e sentivo la spalla sottile e il petto gentile contro il mio capo e il mio cuore, e sapevo che dall’altro lato era il mio Gesù ugualmente appoggiato alla Mamma.
   Sono stata molto così. Ma tuttora la vedo qui, al mio capezzale col Bambino in braccio. Come è bella, mite, pura, cara! E come è placido il riposo del Bambino! Un respiro di uccellino...
   Come è bello stare così! Che è il soffrire se ci dà queste gioie? Le ho voluto dire la gioia che dentro e fuori mi colma e mi abbella, perché è troppo bella perché la tenga per me sola.
   Io son felice. Unica cosa per cui sono tentata a fare un po’ di broncino alla Mamma e a Gesù è di aver permesso agli altri di vedere il mio trasfiguramento. Mah! Pazienza!...


[734] (o non uso) è stato inserito dalla scrittrice tra le righe autografe
.
[735] Per il Cristo tutte le cose sono state fatte, come è proclamato in Giovanni 1, 3Colossesi 1, 16Ebrei 1, 2.

[736] il Cielo dovrebbe qui significare non il regno dei Cieli ma la realtà oltremondana, che comprende il Paradiso e l’Inferno, i due (dei
 quattro regni dell’aldilà: Limbo, Purgatorio, Inferno, Paradiso) che, anche secondo gli scritti valtortiani, resteranno alla fine dei tempi.
[737] al quale fu donato il mondo, come si narra in Genesi 1, 26-30.

[738] la suprema invocazione, riportata in Apocalisse 22, 20.

[739] Anna e Paola, moglie e figlia di Giuseppe Belfanti (nota all’11 agosto). Marta è Marta Diciotti (nota al 3 giugno).





AMDG et DVM