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martedì 25 gennaio 2022

Parliamo del MONTFORT



UN CARO SALUTO AGLI AMICI  DEL BLOG

CON SANTI AUGURI PER IL 2022 p.C.

*

CAPITOLO 12. IL MISSIONARIO

È deciso: men corro pel mondo!

Sono preso da umor vagabondo

Per salvare il mio povero prossimo [Cantiques: 2ème ed. pag. 353]

Finalmente poteva dar libero sfogo al santo umor vagabondo che gli urgeva

nell'anima da anni.

Missionario! La superficialità distratta della nostra vita di oggi ci ha fatto

perdere la nozione precisa di questo vocabolo. Per capirlo occorrerebbe una

ricostruzione storica: descrivere i tempi andati nei quali la macchina non aveva

ancora asservito l'uomo e l'uomo, dominando il mestiere, se ne staccava a

piacere per attendere alla cultura dello spirito e alla salvezza dell'anima.

Quando un missionario di tempra veramente apostolica entrava in una città o

in un villaggio, quasi tutta la vita civile prendeva un tono di riposo: le

occupazioni materiali si sospendevano o si riducevano al minimo, perché

ciascuno potesse attendere alle cose dell'anima in modo intensivo. E il

missionario non era solo il prete che parla, come oggi, per dieci o quindici

giorni mezz'ora la mattina e mezz'ora la sera dal pulpito della chiesa, più

qualche istruzione di categoria; era invece un prete o una schiera di preti che

prendeva in mano un paese o una città per restaurarvi la vita religiosa nel suo

triplice aspetto parrocchiale, familiare e individuale. Il lavoro durava a volte

mesi interi. Troviamo per esempio S. Giovanni Eudes che fa nella città di

Rennes una missione - per sei mesi consecutivi. I cristiani si mettevano a

disposizione del missionario: tante volte si partivano da casa la mattina per

tempo con un tozzo di pane e un po' di companatico e passavano l'intera

giornata con lui che predicava, confessava, insegnava cantici, organizzava

processioni spettacolose preparate con pazienti prove generali. 

Ci si spiega allora come alle volte invece della chiesa dovesse servire la piazza

o un prato alle adunanze della missione. Si comprende altresì come la missione

segnasse nella vita di un paese un avvenimento straordinario e come fosse

grave la fatica richiesta dal sacerdote che si dedicava a questo genere di lavoro

apostolico.

***

Luigi-Maria di Montfort scendeva nel campo missionario a 31 anni. L'avevano

preceduto in quel campo due intrepidi campioni, Michele Le Nobletz, del clero

secolare, e Giuliano Maunoir, gesuita; il loro nome risuonava ancora in

benedizione per le contrade della Bretagna.

Il Montfort riterrà il quadro generale di azione di questi due evangelizzatori, ma

vi infonderà uno spirito e una grandiosità tali, da dare un tono profondo ed

eroico di religiosità a quelle popolazioni e per la durata di secoli.

Al servizio delle missioni Luigi-Maria portava tutte le sue straordinarie capacità

di predicatore, di poeta, di artista, di santo. Ed ecco come si regolava quasi

sempre. Quindici giorni prima dell'apertura andava o mandava sul posto per

studiare l'ambiente e darvi una prima vigorosa. scaldata mobilitando preghiere

e parlando dell'importanza della missione.

Veramente a detta sua prima che si movesse lui c'era un altro che si metteva

in azione. «Quando mi accingo a dare una missione in qualche luogo il demonio

prende sempre le mosse innanzi a me». Il demonio servito da tanti accoliti in

carne ed ossa con tutto l'armamentario dei sette vizi capitali. «Ma quando

giungo io, continua il Montfort, sono sempre il più forte perché ho Maria e S.

Michele Arcangelo con me».

Giungeva nel paese al giorno fissato e quasi sempre in compagnia di altri

sacerdoti e religiosi, messisi volontariamente agli ordini di questo giovane

prete per la grande opera.

Lo accompagnava anche un robusto somaro carico delle armi del missionario:

qualche libro, foglietti a stampa di ricordi, e tutta una serie di stendardi vistosi,

da lui lavorati, e illustranti le verità della fede e i misteri del Rosario. Al primo

giungere della missione un Fratello coadiutore era mandato per le vie del paese

e per la campagna a battere un grosso tamburo e a cantare con tutta la forza

consentitagli dai polmoni, la strofetta:

All'erta, all'erta, all'erta!

La missione s'è aperta:

Tutti corriamo, amici,

Il Cielo a conquistar!

***

Come alloggio dei missionari il Montfort sceglieva una casa, quando offertagli

dalla carità e quando presa in affitto ed egli la chiamava «la Provvidenza».

Perché la Provvidenza doveva fornire il necessario non solo ai missionari, ma

anche a tutti i poveri del luogo durante la missione. Caratteristica questa delle

più commoventi dell'apostolato del nostro Santo e che metterà sotto gli occhi

attoniti del sudditi di Luigi XIV le più belle scene del ministero di Gesù.

Ascoltiamo un teste autorevole, il Sacerdote Des Bastières, uno dei più fedeli

compagni di fatica del Montfort.

«Tutte le missioni che ho avuto l'onore di fare con lui, e sono più di

quaranta, furono fatte a spese della Provvidenza, la quale lo ha sempre

rifornito con abbondanza di viveri, tanto che dopo averne ricavato il

necessario per sé e per i missionari, trovava ancora di che nutrire un

gran numero di poveri e vestirli. È vero che nei primi due o tre giorni

difettavamo di parecchie cose, ma non appena il Montfort aveva

dichiarato pubblicamente dal pulpito che lui e i missionari vivevano delle

elemosine dei fedeli e che essi davano gratuitamente le intenzioni di

tutte le loro Messe a quanti contribuivano al mantenimento, allora la

Provvidenza si dichiarava tanto apertamente in nostro favore che da ogni

parte ci arrivavano vettovaglie in modo sì abbondante che non solo

potevamo nutrirci noi, ma anche tutti i poveri della parrocchia e dei

dintorni. Spesso gli avanzi riempivano parecchie ceste, come avvenne nel

deserto, dopo la moltiplicazione dei pani. Ho visto talvolta avanzare fino

a cinquanta grossi pani dopo il pasto nostro e dei poveri i quali erano

sempre molto numerosi: ne ho contati fino a duecento al giorno in molte

parrocchie in cui ho fatto la missione». L'accenno alla moltiplicazione dei

pani fatto dal des Bastières dovette presentarglisi senza sforzo. «Due

cose, continua egli, mi hanno maggiormente colpito, sembrando mi

molto straordinarie: la prima che il Montfort ha fatto più di otto missioni,

nelle quali io l'ho accompagnato, in Parrocchie tanto povere, che i più

ricchi tra gli abitanti avevano appena un pezzo di pane per vivere.

Eppure erano questi i luoghi in cui la divina Provvidenza si manifestava

più liberale a nostro riguardo, poiché i missionari e i poveri erano trattati

meglio che altrove. La seconda cosa è che, essendo affidato d'ordinario a

me l'incarico di condurre i poveri al luogo in cui si dava loro da mangiare

e di servirli a tavola, mi è capitato cinque o sei volte di non aver neppure

un tozzo di pane da dar loro e non ve n'era neanche nella casa della

Provvidenza, alloggio dei missionari. Ne avvertii la prima volta il Montfort

ed egli non se ne mostrò affatto preoccupato: mi disse semplicemente di

condurli al posto solito, che la Provvidenza avrebbe provveduto ai loro

bisogni. Eseguii gli ordini senza sapere da dove ci potesse venire il pane. 

Sarebbe venuto dal Cielo? Tuttavia li feci sedere a tavola benché non

avessi nulla da mettervi sopra e mi trovavo tanto mortificato perché

c'erano quasi duecento persone presenti, venute apposta per aver il

piacere di vedere il pranzo di quei poveri ch'erano affamati. Nell'attesa

feci fare una piccola lettura, durante la quale mi recai nella casa della

Provvidenza e rimasi sbalordito nel trovarvi gran quantità di pani ed altre

provvigioni venute chissà da che parte. Le feci tosto portare ai nostri

poveri che ebbero quel giorno doppia razione.

Qualcosa di simile è capitato, per quel che so io, altre cinque o sei volte»

[GRANDET, o. c. pag. 286-289].

Aiutato tanto visibilmente dalla Provvidenza, «il più povero prete di Francia,

dice il Blain, faceva più elemosine del più ricco prebendato» (§ LXVII).

Privando a volte se stesso del necessario, come quando una buona signorina

gli mandò un sarto per prendere la misura e fargli una talare della quale aveva

proprio bisogno. Rispose: «Il mio corpo può fare a meno di una veste nuova,

ma i membri di Gesù Cristo non possono fare a meno di nutrimento». E fece

pregare quella caritatevole persona di mutar pensiero e di dargli il

corrispondente in denaro per i poveri [) Cfr. BESNARD, ms. c., I pagg. 162-

163].

Ma questo padre dei poveri non si contentava di far «distribuire ogni giorno la

minestra a tutti i poveri e provvederli dì abiti confezionati da alcune pie

persone durante il corso della missione» [GRANDET, o. c. pag. 356]. Ci teneva

a dare lui stesso a quei suoi prediletti segni di una stima e di una tenerezza

che giungeva «fino all'eccesso». «Non solamente, scrive il primo biografo, il

Grignion amava teneramente ed abbracciava i poveri come propri figli e fratelli,

ma li onorava e rispettava come signori e padroni. Quando ne incontrava

qualcuno per le strade, lo salutava, e parlandogli si teneva a capo scoperto.

Li baciava, lavava loro i piedi, li faceva sedere a tavola alla propria destra e

serviva loro quanto vi era di meglio. Beveva spesso nel loro bicchiere e

mangiava i loro rifiuti. Abbracciava quelli ch'erano i più schifosi e pieni di

ulceri. Quando non aveva poveri con sé, si alzava da tavola e diceva: «Vado a

cercare il buon Gesù». Non si stomacava mai per il puzzo né per la deformità

loro, e se talvolta essi si mostravano restii a mettersi a tavola in un posto più

onorevole del suo o degli altri missionari, presi dal timore di cagionar pena,

egli li incoraggiava a sedersi come fossero stati figli di casa.

Quando erano storpi e non potevano camminare, se li caricava sulle spalle»

[GRANDET, o. c. pag. 354]. E il primo biografo, a farci intendere come

realmente si trattasse di eccesso, coglie dalla penna del confessore del Santo,

il P. de Latour, un episodio che urta violentemente la nostra sensibilità e 

rappresenta un fuor di misura non solo per noi, ma, crediamo, anche per il

Montfort. «Trovò, scrive, un povero pieno di pidocchi e di ogni più ributtante

lordura, il quale non potendo sopportar più oltre il prurito di quegli insetti, si

era cavata la camicia e l'aveva buttata su di una siepe. Il Montfort ciò vedendo

andò subito a togliersi la sua propria camicia per darla a quel povero e si recò

prontamente a cercare quella di lui per indossarla così sporca com'era»

[GRANDET. o. c. pag. 457].

Fuor di misura, ripetiamo, anche per il Santo che, afferma il Besnard «egli si è

sempre attenuto alle leggi della decenza ecclesiastica» [BESNARD, ms. c. I,

16] e il Grandet, a sua volta, ci assicura che «non era mai sudicio» [GRANDET,

o. c. pag. 352].

Tutto per creare un'atmosfera infuocata di sacrificio e di carità, la più propria

alla fecondazione della divina semenza ch'egli andava spargendo, la parola del

Vangelo. 

Fa' o Madre che viviamo nella

grazia dello Spirito Santo