UN CARO SALUTO AGLI AMICI DEL BLOG
CON SANTI AUGURI PER IL 2022 p.C.
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CAPITOLO 12. IL MISSIONARIO
È deciso: men corro pel mondo!
Sono preso da umor vagabondo
Per salvare il mio povero prossimo [Cantiques: 2ème ed. pag. 353]
Finalmente poteva dar libero sfogo al santo umor vagabondo che gli urgeva
nell'anima da anni.
Missionario! La superficialità distratta della nostra vita di oggi ci ha fatto
perdere la nozione precisa di questo vocabolo. Per capirlo occorrerebbe una
ricostruzione storica: descrivere i tempi andati nei quali la macchina non aveva
ancora asservito l'uomo e l'uomo, dominando il mestiere, se ne staccava a
piacere per attendere alla cultura dello spirito e alla salvezza dell'anima.
Quando un missionario di tempra veramente apostolica entrava in una città o
in un villaggio, quasi tutta la vita civile prendeva un tono di riposo: le
occupazioni materiali si sospendevano o si riducevano al minimo, perché
ciascuno potesse attendere alle cose dell'anima in modo intensivo. E il
missionario non era solo il prete che parla, come oggi, per dieci o quindici
giorni mezz'ora la mattina e mezz'ora la sera dal pulpito della chiesa, più
qualche istruzione di categoria; era invece un prete o una schiera di preti che
prendeva in mano un paese o una città per restaurarvi la vita religiosa nel suo
triplice aspetto parrocchiale, familiare e individuale. Il lavoro durava a volte
mesi interi. Troviamo per esempio S. Giovanni Eudes che fa nella città di
Rennes una missione - per sei mesi consecutivi. I cristiani si mettevano a
disposizione del missionario: tante volte si partivano da casa la mattina per
tempo con un tozzo di pane e un po' di companatico e passavano l'intera
giornata con lui che predicava, confessava, insegnava cantici, organizzava
processioni spettacolose preparate con pazienti prove generali.
Ci si spiega allora come alle volte invece della chiesa dovesse servire la piazza
o un prato alle adunanze della missione. Si comprende altresì come la missione
segnasse nella vita di un paese un avvenimento straordinario e come fosse
grave la fatica richiesta dal sacerdote che si dedicava a questo genere di lavoro
apostolico.
***
Luigi-Maria di Montfort scendeva nel campo missionario a 31 anni. L'avevano
preceduto in quel campo due intrepidi campioni, Michele Le Nobletz, del clero
secolare, e Giuliano Maunoir, gesuita; il loro nome risuonava ancora in
benedizione per le contrade della Bretagna.
Il Montfort riterrà il quadro generale di azione di questi due evangelizzatori, ma
vi infonderà uno spirito e una grandiosità tali, da dare un tono profondo ed
eroico di religiosità a quelle popolazioni e per la durata di secoli.
Al servizio delle missioni Luigi-Maria portava tutte le sue straordinarie capacità
di predicatore, di poeta, di artista, di santo. Ed ecco come si regolava quasi
sempre. Quindici giorni prima dell'apertura andava o mandava sul posto per
studiare l'ambiente e darvi una prima vigorosa. scaldata mobilitando preghiere
e parlando dell'importanza della missione.
Veramente a detta sua prima che si movesse lui c'era un altro che si metteva
in azione. «Quando mi accingo a dare una missione in qualche luogo il demonio
prende sempre le mosse innanzi a me». Il demonio servito da tanti accoliti in
carne ed ossa con tutto l'armamentario dei sette vizi capitali. «Ma quando
giungo io, continua il Montfort, sono sempre il più forte perché ho Maria e S.
Michele Arcangelo con me».
Giungeva nel paese al giorno fissato e quasi sempre in compagnia di altri
sacerdoti e religiosi, messisi volontariamente agli ordini di questo giovane
prete per la grande opera.
Lo accompagnava anche un robusto somaro carico delle armi del missionario:
qualche libro, foglietti a stampa di ricordi, e tutta una serie di stendardi vistosi,
da lui lavorati, e illustranti le verità della fede e i misteri del Rosario. Al primo
giungere della missione un Fratello coadiutore era mandato per le vie del paese
e per la campagna a battere un grosso tamburo e a cantare con tutta la forza
consentitagli dai polmoni, la strofetta:
All'erta, all'erta, all'erta!
La missione s'è aperta:
Tutti corriamo, amici,
Il Cielo a conquistar!
***
Come alloggio dei missionari il Montfort sceglieva una casa, quando offertagli
dalla carità e quando presa in affitto ed egli la chiamava «la Provvidenza».
Perché la Provvidenza doveva fornire il necessario non solo ai missionari, ma
anche a tutti i poveri del luogo durante la missione. Caratteristica questa delle
più commoventi dell'apostolato del nostro Santo e che metterà sotto gli occhi
attoniti del sudditi di Luigi XIV le più belle scene del ministero di Gesù.
Ascoltiamo un teste autorevole, il Sacerdote Des Bastières, uno dei più fedeli
compagni di fatica del Montfort.
«Tutte le missioni che ho avuto l'onore di fare con lui, e sono più di
quaranta, furono fatte a spese della Provvidenza, la quale lo ha sempre
rifornito con abbondanza di viveri, tanto che dopo averne ricavato il
necessario per sé e per i missionari, trovava ancora di che nutrire un
gran numero di poveri e vestirli. È vero che nei primi due o tre giorni
difettavamo di parecchie cose, ma non appena il Montfort aveva
dichiarato pubblicamente dal pulpito che lui e i missionari vivevano delle
elemosine dei fedeli e che essi davano gratuitamente le intenzioni di
tutte le loro Messe a quanti contribuivano al mantenimento, allora la
Provvidenza si dichiarava tanto apertamente in nostro favore che da ogni
parte ci arrivavano vettovaglie in modo sì abbondante che non solo
potevamo nutrirci noi, ma anche tutti i poveri della parrocchia e dei
dintorni. Spesso gli avanzi riempivano parecchie ceste, come avvenne nel
deserto, dopo la moltiplicazione dei pani. Ho visto talvolta avanzare fino
a cinquanta grossi pani dopo il pasto nostro e dei poveri i quali erano
sempre molto numerosi: ne ho contati fino a duecento al giorno in molte
parrocchie in cui ho fatto la missione». L'accenno alla moltiplicazione dei
pani fatto dal des Bastières dovette presentarglisi senza sforzo. «Due
cose, continua egli, mi hanno maggiormente colpito, sembrando mi
molto straordinarie: la prima che il Montfort ha fatto più di otto missioni,
nelle quali io l'ho accompagnato, in Parrocchie tanto povere, che i più
ricchi tra gli abitanti avevano appena un pezzo di pane per vivere.
Eppure erano questi i luoghi in cui la divina Provvidenza si manifestava
più liberale a nostro riguardo, poiché i missionari e i poveri erano trattati
meglio che altrove. La seconda cosa è che, essendo affidato d'ordinario a
me l'incarico di condurre i poveri al luogo in cui si dava loro da mangiare
e di servirli a tavola, mi è capitato cinque o sei volte di non aver neppure
un tozzo di pane da dar loro e non ve n'era neanche nella casa della
Provvidenza, alloggio dei missionari. Ne avvertii la prima volta il Montfort
ed egli non se ne mostrò affatto preoccupato: mi disse semplicemente di
condurli al posto solito, che la Provvidenza avrebbe provveduto ai loro
bisogni. Eseguii gli ordini senza sapere da dove ci potesse venire il pane.
Sarebbe venuto dal Cielo? Tuttavia li feci sedere a tavola benché non
avessi nulla da mettervi sopra e mi trovavo tanto mortificato perché
c'erano quasi duecento persone presenti, venute apposta per aver il
piacere di vedere il pranzo di quei poveri ch'erano affamati. Nell'attesa
feci fare una piccola lettura, durante la quale mi recai nella casa della
Provvidenza e rimasi sbalordito nel trovarvi gran quantità di pani ed altre
provvigioni venute chissà da che parte. Le feci tosto portare ai nostri
poveri che ebbero quel giorno doppia razione.
Qualcosa di simile è capitato, per quel che so io, altre cinque o sei volte»
[GRANDET, o. c. pag. 286-289].
Aiutato tanto visibilmente dalla Provvidenza, «il più povero prete di Francia,
dice il Blain, faceva più elemosine del più ricco prebendato» (§ LXVII).
Privando a volte se stesso del necessario, come quando una buona signorina
gli mandò un sarto per prendere la misura e fargli una talare della quale aveva
proprio bisogno. Rispose: «Il mio corpo può fare a meno di una veste nuova,
ma i membri di Gesù Cristo non possono fare a meno di nutrimento». E fece
pregare quella caritatevole persona di mutar pensiero e di dargli il
corrispondente in denaro per i poveri [) Cfr. BESNARD, ms. c., I pagg. 162-
163].
Ma questo padre dei poveri non si contentava di far «distribuire ogni giorno la
minestra a tutti i poveri e provvederli dì abiti confezionati da alcune pie
persone durante il corso della missione» [GRANDET, o. c. pag. 356]. Ci teneva
a dare lui stesso a quei suoi prediletti segni di una stima e di una tenerezza
che giungeva «fino all'eccesso». «Non solamente, scrive il primo biografo, il
Grignion amava teneramente ed abbracciava i poveri come propri figli e fratelli,
ma li onorava e rispettava come signori e padroni. Quando ne incontrava
qualcuno per le strade, lo salutava, e parlandogli si teneva a capo scoperto.
Li baciava, lavava loro i piedi, li faceva sedere a tavola alla propria destra e
serviva loro quanto vi era di meglio. Beveva spesso nel loro bicchiere e
mangiava i loro rifiuti. Abbracciava quelli ch'erano i più schifosi e pieni di
ulceri. Quando non aveva poveri con sé, si alzava da tavola e diceva: «Vado a
cercare il buon Gesù». Non si stomacava mai per il puzzo né per la deformità
loro, e se talvolta essi si mostravano restii a mettersi a tavola in un posto più
onorevole del suo o degli altri missionari, presi dal timore di cagionar pena,
egli li incoraggiava a sedersi come fossero stati figli di casa.
Quando erano storpi e non potevano camminare, se li caricava sulle spalle»
[GRANDET, o. c. pag. 354]. E il primo biografo, a farci intendere come
realmente si trattasse di eccesso, coglie dalla penna del confessore del Santo,
il P. de Latour, un episodio che urta violentemente la nostra sensibilità e
rappresenta un fuor di misura non solo per noi, ma, crediamo, anche per il
Montfort. «Trovò, scrive, un povero pieno di pidocchi e di ogni più ributtante
lordura, il quale non potendo sopportar più oltre il prurito di quegli insetti, si
era cavata la camicia e l'aveva buttata su di una siepe. Il Montfort ciò vedendo
andò subito a togliersi la sua propria camicia per darla a quel povero e si recò
prontamente a cercare quella di lui per indossarla così sporca com'era»
[GRANDET. o. c. pag. 457].
Fuor di misura, ripetiamo, anche per il Santo che, afferma il Besnard «egli si è
sempre attenuto alle leggi della decenza ecclesiastica» [BESNARD, ms. c. I,
16] e il Grandet, a sua volta, ci assicura che «non era mai sudicio» [GRANDET,
o. c. pag. 352].
Tutto per creare un'atmosfera infuocata di sacrificio e di carità, la più propria
alla fecondazione della divina semenza ch'egli andava spargendo, la parola del
Vangelo.
Fa' o Madre che viviamo nella
grazia dello Spirito Santo
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