giovedì 27 giugno 2019

Increible! De ojos vivos...

Gänswein, ¿otro traidor a la fe?


Gänswein: La religión, y el comportamiento sexual "no importarán" en el juicio final



Si uno era homosexual o no, "no importará" en el Juicio Final, afirmó el Arzobispo Georg Gänswein durante una charla en Karlsruhe, Alemania (4 de junio). Gänswein es el secretario privado de Benedicto XVI.



De acuerdo con CatholicNewsAgency.com, comparó la práctica de la homosexualidad ["uniones o parejas homosexuales"] con practicar la enfermería, diciendo que ambas condiciones (la orientación sexual y la ocupación) son "accidentales" a ser `un ser humano´ y que "no son esenciales" para la persona.




Explicó que todos los homosexuales, divorciados, ateos, etc. estarán frente al juicio de Dios [lo que también es cierto].



Entonces, según Gänswein, en ese Juicio, el "ser un ser humano" será lo decisivo, "no las circunstancias accidentales como la orientación sexual, la duración de una unión, la visión del mundo, etc." [lo que es un error].



Dado que todos los pecados son accidentales a la esencia de la persona y la religión es una cosmovisión ("Weltanschauung"), todos los pecados y todas las religiones serían, según Gänswein, irrelevantes en el Juicio Final.



¿Qué entenderá Ganswein por esencial en el Juicio Final?



Lo decisivo en un juicio son precisamente los actos del que va a ser juzgado, y ante el Juicio divino contarán pensamientos, palabras, obras y omisiones buenas y malas. Ser una enfermera es una profesión loable(menos si ayuda a practicar abortos, a colocar dispositivos abortivos, a ligar trompas, a practicar vasectomías, eutanasias...), y no se puede comparar  con una relación pecaminosa. Las relaciones sodomíticas, la fornicación, el adulterio, la masturbación y todos los pecados mortales en general, son condenables hasta el punto de que le priva a uno del Reino de los Cielos si muere sin haberse arrepentido. Ser enfermera no es en sí pecaminoso (menos si convierte su trabajo en actos reprobables) sino todo lo contrario, por eso, equiparar las relaciones homosexuales con la enfermería es de por sí tendencioso, extravagante y lleva a la confusión.



¿Por qué se dedican estos bergoglianos a diluir la gravedad del pecado mortal, en especial los sexuales, concretamente de sodomía? Lo mismo sucede con la cosmovisión, por la que Ganswein iguala el panteísmo, la idolatría y las religiones falsas con la fundada por Jesucristo, concluyendo que eso es algo sin importancia.



¿Está haciendo también apología del luteranismo quitando el valor de las obras o el peso del pecado para la salvación?



¿Es Ganswein otro agente infiltrado que controla a Benedicto?



¿Va ya a ser diaria la injuria a Dios y a nuestra fe lo que sale del Vaticano como un volcán infernal que no se cansa de vomitar blasfemias? 


el enlace a CNA en alemán del artículo:

https://de.catholicnewsagency.com/story/erzbischof-ganswein-christen-mussen-wieder-starker-und-mutiger-position-beziehen-4717


en.news/María F


Gamaliele... e Saulo... e STEFANO

VOLUME X CAPITOLO 645



DCXLV. Il processo a Stefano e la sua lapidazione. Le opposte vie di Saulo e di Gamaliele alla santità. 

    7 agosto 1944.
 
 1 L'aula del Sinedrio, uguale, e per disposizione e per persone, a come era nella notte tra il giovedì e il venerdì, durante il processo di Gesù. Il Sommo Sacerdote e gli altri sono sui loro scanni. Al centro, davanti al Sommo Sacerdote, nello spazio vuoto dove, durante il processo, era Gesù, è ora Stefano.
   Egli deve aver già parlato, confessando la sua fede e testimoniando sulla vera Natura del Cristo e sulla sua Chiesa, perché il tumulto è al colmo e nella sua violenza è in tutto simile a quello che si agitava contro il Cristo nella notte fatale del tradimento e deicidio. Pugni, maledizioni, bestemmie orrende sono lanciati contro il diacono Stefano che, sotto le percosse brutali, traballa e vacilla mentre con ferocia lo stiracchiano qua e là. Ma egli conserva la sua calma e dignità. Anzi più ancora. È non solo calmo e dignitoso, ma persino beato, quasi esta­tico.

   Senza curarsi degli sputi che gli rigano il volto, né del sangue che gli scende dal naso violentemente colpito, alza, ad un certo momento, il suo volto ispirato e il suo sguardo luminoso e sorridente per affissarsi su una visione nota a lui solo. Apre poi le braccia in croce, le alza e le tende verso l'alto, come per abbracciare ciò che vede, poscia cade in ginocchio esclamando: «Ecco, io vedo aperti i Cieli, ed il Figlio dell'Uomo, Gesù, il Cristo di Dio, che voi avete ucciso, stare alla destra di Dio».
   Allora il tumulto perde quel minimo che ancora conservava di umanità e di legalità e, con la furia di una muta di lupi, di sciacalli, di belve idrofobe, tutti si slanciano sul diacono, lo mordono, lo calpestano, lo afferrano, lo rialzano sollevandolo per i capelli, lo trascinano, facendolo cadere di nuovo, facendo ostacolo con la furia alla furia, perché, nella ressa, chi cerca di strascinare fuori il martire è ostacolato da chi lo tira in altra direzione per colpirlo, per calpestarlo di nuovo.



 2 Tra i furenti più furenti vi è un giovane basso e brutto, che chiamano Saulo. La ferocia del suo volto è indescrivibile.
   In un angolo della sala sta Gamaliele. Egli non ha mai preso parte alla zuffa, né mai ha rivolto parola a Stefano né ad alcun potente. Il suo disgusto per la scena ingiusta e feroce è palese. In un altro angolo, anche lui disgustato e non partecipante al processo e alla mischia, sta Nicodemo, che guarda Gamaliele, il cui volto è di una espressione più chiara di ogni parola. Ma, ad un tratto, e precisamente quando vede per la terza volta sollevare Stefano per i capelli, Gamaliele si ammanta nel suo amplissimo mantello e si dirige verso un'uscita opposta a quella verso cui è strascinato il diacono.

   L'atto non sfugge a Saulo, che grida: «Rabbi, te ne vai?».
   Gamaliele non risponde.
   Saulo, temendo che Gamaliele non abbia capito che la domanda era diretta a lui, ripete e specifica: «Rabbi Gamaliele, ti astrai da questo giudizio?».
   Gamaliele si volge tutto d'un pezzo e, con uno sguardo terribile tanto è disgustato, altero e glaciale, risponde soltanto: «Sì». Ma è un "sì" che vale più d'un lungo discorso.
   Saulo capisce tutto quanto c'è in quel "sì" e, abbandonando la muta feroce, corre verso Gamaliele. Lo raggiunge, lo ferma e gli dice: «Non vorrai dirmi, o rabbi, che tu disapprovi la nostra condanna».
   Gamaliele non lo guarda e non gli risponde.
   Saulo incalza: «Quell'uomo è doppiamente colpevole, per aver rinnegato la Legge, seguendo un samaritano posseduto da Belzebù, e per averlo fatto dopo esser stato tuo discepolo».

   
Gamaliele continua a non guardarlo e a tacere.
   Saulo allora chiede: «Ma sei tu forse, anche tu, seguace di quel malfattore detto Gesù?».
   Gamaliele ora parla e dice: «Non lo sono ancora. Ma, se Egli era Colui che diceva, e in verità molte cose stanno a dimostrare che lo era, io prego Dio che io lo divenga».
   «Orrore!», grida Saulo.
   «Nessun orrore. Ognuno ha un'intelligenza per adoperarla e una libertà per applicarla. Ognuno dunque l'usi secondo quella libertà che Dio ha dato ad ogni uomo e quella luce che ha messo nel cuore di ognuno. I giusti, prima o poi, li useranno, questi due doni di Dio, nel bene, ed i malvagi nel male».

   E se ne va, dirigendosi verso il cortile dove è il gazofilacio, e va ad appoggiarsi contro la stessa colonna contro la quale Gesù parlò alla povera vedovache dà al Tesoro del Tempio tutto quanto ha: due piccioli.


 3 È lì da poco quando lo raggiunge nuovamente Saulo e gli si pianta davanti. Il contrasto tra i due è fortissimo.
   Gamaliele alto, di nobile portamento, bello nei tratti fortemente semitici, dalla fronte alta, dai nerissimi occhi intelligenti, penetranti, lunghi e molto incassati sotto le sopracciglia folte e diritte, ai lati del naso pure diritto, lungo e sottile, che ricorda un poco quello di Gesù. Anche il colore della pelle, la bocca dalle labbra sottili, ricordano quelle di Cristo. Solo che Gamaliele ha la barba e i baffi, un tempo nerissimi, ora molto brizzolati e più lunghi.
   Saulo invece è basso, tarchiato, quasi rachitico, con gambe corte e grosse, un poco divaricate ai ginocchi, che si vedono bene perché si è levato il manto ed ha solo una veste a tunica corta e bigiognola. Ha le braccia corte e nerborute come le gambe, collo corto e tozzo, sorreggente una testa grossa, bruna, con capelli corti e ruvidi, orecchie piuttosto sporgenti, naso camuso, labbra tumide, zigomi alti e grossi, fronte convessa, occhi scuri, piuttosto bovini, per nulla dolci e miti, ma molto intelligenti sotto le ciglia molto arcuate, folte e arruffate. Le guance sono coperte da una barba ispida come i capelli e foltissima, però tenuta corta. Forse, per causa del collo così corto, pare lievemente gobbo o con spalle molto tonde.


  4 Per un poco tace, fissando Gamaliele. Poi gli dice qualcosa sottovoce.
   Gamaliele gli risponde, con voce ben netta e forte: «Non approvo la violenza. Per nessun motivo. Da me non avrai mai approvazione ad alcun disegno violento. L'ho detto anche pubblicamente, a tutto il Sinedrio, quando furono presi, per la seconda volta, Pietro e gli altri apostoli e furono portati davanti al Sinedrio perché li giudicasse. E ripeto le stesse cose: "Se è disegno e opera degli uomini, perirà da sé; se è da Dio, non potrà essere distrutta dagli uomini, ma anzi questi potranno esser colpiti da Dio". Ricordalo».
   «Sei protettore di questi bestemmiatori seguaci del Nazareno, tu, il più grande rabbi d'Israele?».
   «Sono protettore della giustizia. E questa insegna ad essere cauti e giusti nel giudicare. Te lo ripeto. Se è cosa che viene da Dio resisterà, se no cadrà da sé. Ma io non voglio macchiarmi le mani di un sangue che non so se meriti la morte».
   «Tu, tu, fariseo e dottore, parli così? Non temi l'Altissimo?».
   «Più di te. Ma penso. 
 5 E ricordo… Tu non eri che un piccolo, non ancora figlio della Legge, ed io insegnavo già in questo Tempio con il rabbi più saggio di questo tempo… e con altri, saggi ma non giusti. La nostra saggezza ebbe, tra queste mura, una lezione che ci fece pensare per tutto il resto della vita. Gli occhi del più saggio e giusto del tempo nostro si chiusero sul ricordo di quell'ora e la sua mente sullo studio di quelle verità, udite dalle labbra di un fanciullo che si rivelava agli uomini, specie se giusti. I miei occhi hanno continuato a vigilare e la mia mente a pensare, coordinando eventi e cose… Io ho avuto il privilegio di udire l'Altissimo parlare per mezzo della bocca di un fanciullo, che fu poi uomo giusto, sapiente, potente, santo, e che fu messo a morte proprio per queste sue qualità. Le sue parole di allora hanno poi avuto conferma dai fatti accaduti molti anni dopo, all'epoca detta da Daniele… Misero me che non compresi avanti! che attesi l'ultimo terribile segno per credere, per capire! Misero popolo d'Israele che non comprese allora e non comprende neppur ora! La profezia di Daniele, e quella d'altri profeti e della Parola di Dio, continuano e si compiranno per Israele cocciuto, cieco, sordo, ingiusto, che continua a perseguitare il Messia nei suoi servi!».
   «Maledizione! Tu bestemmi! Veramente non vi sarà più salvezza per il popolo di Dio se i rabbi d'Israele bestemmiano, rinnegano Javé, il Dio vero, per esaltare e credere in un falso Messia!».
   «Non io bestemmio. Ma tutti coloro che insultarono il Nazareno e continuano a fargli spregio, spregiando i suoi seguaci. Tu sì che lo bestemmi, poiché lo odi, in Lui e nei suoi. Ma hai detto giusto dicendo che non c'è più salvezza per Israele. Ma non perché vi sono israeliti che passano nel suo gregge, ma perché Israele ha colpito Lui, a morte».
   «Mi fai orrore! Tradisci la Legge, il Tempio!».
   «Denunciami allora al Sinedrio, perché io abbia la stessa sorte di colui che sta per essere lapidato. Sarà l'inizio e il compendio felice della tua missione. E io sarò perdonato, per questo mio sacrificio, di non aver riconosciuto e compreso il Dio che passava, Salvatore e Maestro, tra noi, suoi figli e suo popolo».


 6 Saulo, con un atto d'ira, va via sgarbatamente, tornando nel cortile prospiciente all'aula del Sinedrio, cortile nel quale dura il gridio della folla esasperata contro Stefano. Saulo raggiunge gli aguzzini in questo cortile, si unisce a loro, che lo attendevano, ed esce insieme agli altri dal Tempio e poi dalle mura della città. Insulti, dileggi, percosse continuano ad esser lanciati contro il diacono, che procede già spossato, ferito, barcollante, verso il luogo del supplizio.
   Fuori delle mura vi è uno spazio incolto e sassoso, assolutamente deserto. Là giunti, i carnefici si allargano in cerchio, lasciando solo, al centro, il condannato, con le vesti lacere e sanguinante in molte parti del corpo per le ferite già ricevute. Gliele strappano prima di allontanarsi. Stefano resta con una tunichetta cortissima. Tutti si levano le vesti lunghe, rimanendo con le sole tuniche, corte come quella di Saulo, al quale affidano le vesti, dato che egli non prende parte alla lapidazione, o perché scosso dalle parole di Gamaliele, o perché si sa incapace di colpire bene.


 7 I carnefici raccolgono i grossi ciottoli e le aguzze selci, che abbondano in quel luogo, e cominciano la lapidazione.
   Stefano riceve i primi colpi rimanendo in piedi e con un sorriso di perdono sulla bocca ferita, che, un istante prima dell'inizio della lapidazione, ha gridato a Saulo, intento a raccogliere le vesti dei lapidatori: «Amico mio, ti attendo sulla via di Cristo». Al che Saulo gli aveva risposto: «Porco! Ossesso!», unendo alle ingiurie un calcio vigoroso sugli stinchi del diacono, che solo per poco non cade, e per l'urto e per il dolore.
   Dopo diversi colpi di pietra, che lo colpiscono da ogni parte, Stefano cade in ginocchio puntellandosi sulle mani ferite e, certo ricordando un episodio lontano, mormora, toccandosi le tempie e la fronte ferita: «Come Egli m'aveva predetto! La corona… I rubini… O Signore mio, Maestro, Gesù, ricevi lo spirito mio!».
   Un'altra grandine di colpi sul capo già ferito lo fanno stramazzare del tutto al suolo, che si impregna del suo sangue. Mentre si abbandona tra i sassi, sempre sotto una grandine di altre pietre, mormora spirando: «Signore… Padre… perdonali… non tener loro rancore per questo loro peccato… Non sanno quello che…». La morte gli spezza la frase tra le labbra, un estremo sussulto lo fa come raggomitolare su sé stesso, e così resta. Morto.
   I carnefici gli si avvicinano, gli lanciano addosso un'altra scarica di sassate, lo seppelliscono quasi sotto di esse. Poi si rivestono e se ne vanno, tornando al Tempio per riferire, ebbri di zelo satanico, ciò che hanno fatto.

 8 Mentre parlano col Sommo Sacerdote e altri potenti, Saulo va in cerca di Gamaliele. Non lo trova subito. Torna, acceso d'odio verso i cristiani, dai sacerdoti, parla con loro, si fa dare una pergamena col sigillo del Tempio che lo autorizza a perseguitare i cristiani. Il sangue di Stefano deve averlo reso furente come un toro che veda il rosso, o un vino generoso dato ad un alcoolizzato.
   Sta per uscire dal Tempio quando vede, sotto il portico dei Pagani, Gamaliele. Va da lui. Forse vuole iniziare una disputa o una giustificazione. Ma Gamaliele traversa il cortile, entra in una sala, chiude la porta in faccia a Saulo che, offeso e furente, esce di corsa dal Tempio per perseguitare i cristiani.
           


 9 [Dice Gesù:]
   «Mi sono manifestato molte volte e a molti, anche nelle straordinarie manifestazioni. Ma non in tutti in ugual modo la mia manifestazione operò. Possiamo vedere come ad ogni mia manifestazione corrisponda una santificazione di coloro che possedevano la buona volontà richiesta agli uomini per avere Pace, Vita, Giustizia.
   Così, nei pastori la Grazia lavorò per i trent'anni del mio nascondimento e poi fiorì con spiga santa quando fu il tempo in cui i buoni si separarono dai malvagi per seguire il Figlio di Dio, che passava per le vie del mondo gettando il suo grido d'amore per chiamare a raccolta le pecore del Gregge eterno, sparpagliate e sperdute da Satana. Presenti tra le turbe che mi seguivano, messi miei, perché, coi loro semplici e convinti racconti, bandivano il Cristo dicendo: "È Lui. Noi lo riconosciamo. Sul suo primo vagito scesero le ninna-nanne degli angeli. E a noi, dagli angeli, fu detto che avranno pace gli uomini di buona volontà. Buona volontà è il desiderio del Bene e della Verità. Seguiamolo! Seguitelo! Avremo tutti la Pace promessa dal Signore".

   Umili, ignoranti, poveri, i miei primi messi tra gli uomini si scaglionarono come scolte lungo le vie del Re d'Israele, del Re del mondo. Occhi fedeli, bocche oneste, cuori amorosi, incensieri esalanti il profumo delle loro virtù per fare meno corrotta l'aria della Terra intorno alla mia divina Persona, che s'era incarnata per loro e per tutti gli uomini, e persino ai piedi della Croce li ho trovati, dopo averli benedetti col mio sguardo lungo la via sanguinosa del Golgota, unici, con pochissimi altri, che non maledicessero fra la plebe scatenata ma che amassero, credessero, sperassero ancora, e che mi guardassero con occhi di compassione, pensando alla notte lontana del mio Natale e piangendo sull'Innocente, il cui primo sonno fu su un legno penoso e l'ultimo su un legno ancor più doloroso. Questo perché la mia manifestazione a loro, anime rette, li aveva santificati.

   E così pure avvenne ai tre Savi d'Oriente, a Simeone ed Anna nel Tempio, ad Andrea e Giovanni al Giordano, e a Pietro, Giacomo e Giovanni al Tabor, a Maria di Magdala nell'alba pasquale, agli undici perdonati sull'Uliveto, e ancor prima a Betania, del loro smarrimento… No. Giovanni, il puro, non ebbe bisogno di perdono. Fu il fedele, l'eroe, l'amante sempre. L'amore purissimo che era in lui e la sua purezza di mente, di cuore, di carne, lo preservò da ogni debolezza.


 10Gamaliele, e con lui Hillele, non erano semplici come i pastori, santi come Simeone, sapienti come i tre Savi. In lui, e nel suo maestro e parente, era il viluppo delle liane farisaiche a soffocare la luce e la libera espansione della pianta della Fede. Ma nel loro essere farisei era purità d'intenzione. Credevano di essere nel giusto e desideravano di esserlo. Lo desideravano per istinto, perché erano dei giusti, e per intelletto, perché il loro spirito gridava malcontento: "Questo pane è mescolato a troppa cenere. Dateci il pane della vera Verità".

   Gamaliele però non era forte al punto di avere il coraggio di spezzare queste liane farisaiche. L'umanità sua lo teneva ancor troppo schiavo e, con essa, le considerazioni della stima umana, del pericolo personale, del benessere famigliare. Per tutte queste cose Gamaliele non aveva saputo comprendere "il Dio che passava tra il suo popolo", né usare "quell'intelligenza e quella libertà" che Dio ha dato ad ogni uomo perché le usi per il suo bene. Solo il segno atteso per tanti anni, il segno che lo aveva atterrato e torturato con rimorsi che non cessavano più, avrebbe suscitato in lui il riconoscimento del Cristo e la mutazione del suo antico pensiero, per cui, da rabbi dell'errore — avendo gli scribi, i farisei ed i dottori corrotta l'essenza e lo spirito della Legge, soffocandone la semplice e luminosa verità, venuta da Dio, sotto cumuli di precetti umani, sovente errati, ma sempre di utilità per loro — sarebbe divenuto, dopo lunga lotta tra il suo io antico e il suo io attuale, discepolo della Verità divina.

 11Non era, del resto, stato il solo nell'essere incerto nel decidere e forte nell'agire. Anche Giuseppe d'Arimatea, e più ancora Nicodemo, non seppero mettere subito sotto i piedi le consuetudini e le liane giudaiche e abbracciare palesemente la nuova Dottrina, tanto che usavano venire dal Cristo "in occulto" per timore dei giudei, oppure costumavano incontrarlo come per caso, e per lo più nelle loro case di campagna o in quella di Betania, da Lazzaro, perché la sapevano più sicura e più temuta dai nemici del Cristo, ai quali era ben nota la protezione di Roma per il figlio di Teofilo.
   Certamente, però, sempre molto più avanti nel Bene e più coraggiosi questi rispetto a Gamaliele, al punto da osare i gesti pietosi del Venerdì Santo. Meno avanti rabbi Gamaliele.


 12Ma osservate, voi che leggete, la potenza della sua retta intenzione. Per essa la sua giustizia, umanissima, si intinge di sovrumano. Quella di Saulo, invece, si sporca di demoniaco nell'ora che lo scatenarsi del male pone lui e il suo maestro Gamaliele davanti al bivio della scelta tra il Bene e il Male, tra il giusto e l'ingiusto.
   L'albero del Bene e del Male si drizza davanti ad ogni uomo per presentargli, col più invitante e appetitoso aspetto, i suoi frutti del Male, mentre tra le fronde, con ingannevole voce di usignolo, sibila il Serpente tentatore. Sta all'uomo, creatura dotata di ragione e di un'anima datagli da Dio, saper discernere e volere il frutto buono tra i molti che buoni non sono e che dànno lesione e morte allo spirito, e quello cogliere, anche se pungente e faticoso a cogliersi, amaro a gustarsi e meschino d'aspetto. La sua metamorfosi, per cui diviene tanto più liscio e morbido al tatto, dolce al gusto, bello all'occhio, avviene solo quando, per giustizia di spirito e ragione, si sa scegliere il frutto buono e ci si è nutriti del suo succo, amaro ma santo.

   Saulo tende le mani avide al frutto del Male, dell'odio, del­l'in­giu­stizia, del delitto, e le tenderà sinché non verrà folgorato, abbattuto, fatto cieco della vista umana perché acquisti la vista sovrumana e divenga non solo giusto, ma apostolo e confessore di Colui che prima odiava e perseguitava nei suoi servi.

   Gamaliele, spezzando le liane tenaci della sua umanità e dell'ebraismo, per il nascere e fiorire del lontano seme di luce e giustizia, non solo umana ma anche sovrumana, che la mia quarta epifania — o manifestazione, che forse vi è parola più chiara e comprensibile — gli aveva posto in cuore, nel suo cuore dalle rette intenzioni, seme che egli aveva custodito e difeso con onesta affezione ed eletta sete di vederlo nascere e fiorire, tende le mani al frutto del Bene. Il suo volere ed il mio Sangue ruppero la dura scorza di quel lontano seme, che egli aveva conservato nel cuore per decenni, in quel cuore di roccia che si fendette insieme al velo del Tempio e alla terra di Gerusalemme — e che gridò il suo supremo desiderio a Me, che più non potevo udirlo con udito umano ma che ben l'udivo col mio spirito divino — là, gettato a terra ai piedi della croce. E sotto il fuoco solare delle parole apostoliche e dei discepoli migliori e la pioggia del sangue di Stefano, primo martire, quel seme mette radici, fa pianta, fiorisce e fruttifica.

   La pianta novella del suo cristianesimo, nata là dove la tragedia del Venerdì Santo aveva abbattuto, sradicato, distrutto tutte le piante ed erbe antiche. La pianta del suo nuovo cristianesimo e della sua santità nuova è nata e s'erge davanti agli occhi miei.
   Perdonato da Me, benché colpevole per non avermi compreso avanti, per la sua giustizia che non volle partecipare alla mia condanna né a quella di Stefano, il suo desiderio di divenire mio seguace, figlio della Verità, della Luce, viene benedetto anche dal Padre e dallo Spirito Santificatore, e da desiderio diviene realtà, senza bisogno di una potente e violenta folgorazione quale fu necessaria per Saulo sulla via di Damasco, per il protervo che con nessun altro mezzo avrebbe potuto esser conquistato e condotto alla Giustizia, alla Carità, alla Luce, alla Verità, alla Vita eterna e gloriosa dei Cieli».  http://www.valtortamaria.com/operamaggiore/volume/10/dcxlv-il-processo-a-stefano-e-la-sua-lapidazione-le-opposte-vie-di-saulo-e-di-gamaliele-alla-santita
AMDG et DVM

MAGNIFICAT ANIMA MEA DOMINUM (3)




Spiegazione del primo versetto: 
"Magnificat anima mea Dominum"
Questo primo versetto non contiene che quattro parole, ma esse sono piene di molti grandi misteri. Soppesiamole accuratamente con santo timore, ossia, consideriamole attentamente con spirito d’umiltà, di rispetto e di pietà, per animarci a magnificare Dio con la Beata Vergine per le cose grandi e meravigliose che Egli ha operato in Lei, attraverso di Lei, per Lei ed anche per noi.

Ecco la prima parola: Magnificat. Che cosa vuol dire questa parola? Che cosa significa magnificare Dio? Si può forse magnificare Colui la cui gran­dezza e magnificenza sono immense, infinite ed incomprensibili? Niente af­fatto, ciò è impossibile, ed è impossibile a Dio stesso, il quale non può farsi più grande di quel che è. Noi non possiamo magnificare, ossia rendere Dio più grande in Se stesso, poiché le sue divine perfezioni, essendo infinite, non possono ricevere alcun accrescimento in se stesse; ma lo possiamo magnifi­care in noi
«Ogni anima santa - dice infatti sant’Agostino-, può concepire il Verbo Eterno in se stessa, attraverso la fede; essa può generarlo nelle altre anime attraverso la predicazione della Divina Parola; ed essa può magnifi­carlo amandolo veramente, affinché essa possa dire: L’anima mia magnifica il Signore»[1]. Magnificare il Signore - insegna ancora sant’Agostino -, è adorare, lodare, esaltare la sua immensa grandezza, la sua maestà suprema, le sue eccellenze e perfezioni infinite.

Possiamo magnificare Dio in molti modi. 

1) Attraverso i nostri pensieri, avendo una grandissima idea e una grandissima stima di Dio e di tutte le co­se di Dio, 

2) Attraverso i nostri affetti, amando Dio con tutto il nostro cuore e al di sopra di ogni cosa, 

3) Attraverso le nostre parole, parlando sempre di Dio e di tutte le cose che lo riguardano con profondissimo rispetto, adoran­done ed esaltando la sua potenza infinita, la sua saggezza incomprensibile, la sua bontà immensa e le sue altre perfezioni, 

4) Attraverso le nostre azioni, compiendole per la sola gloria di Dio, 

5) Praticando ciò che lo Spirito Santo ci insegna in queste parole: «Humilia te in omnibus, et coram Deo invenies gratiam; quoniam magna potentìa Dei solius, et ab humilibus onoratur: Quanto più sei grande, tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Si­gnore; perché grande è la potenza del Signore e dagli umili egli è glorificato»[2]

6) Sopportando volentieri le croci che Dio ci invia, per suo amore, poi­ché non vi è nulla che lo onori di più che le sofferenze, dal momento che il nostro Salvatore non ha trovato mezzo più eccellente per glorificare il Padre suo, che i tormenti e la morte in Croce. 
Infine, magnificare Dio è preferirlo ed esaltarlo al di sopra di tutte le cose, attraverso i nostri pensieri, i nostri af­fetti, le nostre parole, le nostre azioni, le nostre umiliazioni e le nostre morti­ficazioni.

Ma, ahimè! Noi facciamo spesso tutto il contrario poiché invece di esal­tarlo, lo abbassiamo; invece di preferirlo ad ogni cosa, preferiamo le creature al Creatore; invece di preferire la sua Volontà, i suoi interessi, la sua gloria e la sua soddisfazione alla nostra volontà, ai nostri interessi, al nostro onore e alle nostre soddisfazioni, facciamo tutto il contrario, preferendo Barabba a Gesù.

Non è forse quel che fanno tutti i giorni i peccatori? O cosa spaventosa! Dio ha elevato l’uomo al più alto trono della gloria e della grandezza grazie alla sua Incarnazione e l’uomo, ingrato e detestabile, abbassa ed umilia il suo Dio fino al più profondo del nulla. Sì, fino al più profondo del nulla poi­ché colui che pecca mortalmente preferisce un meschino interesse tempora­le, l' infame piacere di un momento e quel po’ di fumo di un onore passegge­ro al suo Dio e al suo Creatore; lo annienta persino, per quanto è possibile, secondo le parole di san Bernardo: «Deum, in quantum in se est, perimit: non volendo altro dio che se stesso e le sue passioni sregolate».

Non è così che agite Voi, o Vergine Santa! Voi, infatti, avete sempre magnificato Dio altissimamente e perfettissimamente, dal primo istante della vostra vita fino all’ultimo. Voi l’avete sempre magnificato eccellentìssima­mente, attraverso tutti i vostri pensieri, affetti, parole, azioni e attraverso la vostra profondissima umiltà, tutte le vostre sofferenze, la pratica in sommo grado di tutte le virtù e il santissimo uso che avete fatto di tutte le potenze della vostra anima e di tutti i vostri sensi interni ed esterni. Infine, Voi sola l’avete glorificato più degnamente e magnificato più grandemente di tutte le creature insieme.


Veniamo ora alla seconda parola del nostro Cantico, che è anima. 
Nota­te che la Beata Vergine non dice “Io magnifico”, ma “L’anima mia magnifi­ca il Signore”, per mostrare che Ella lo magnifica dal più intimo del suo Cuore e con tutta l’estensione delle sue potenze interiori. 
Ella non lo magni­fica così, solamente con la sua bocca e con la sua lingua, con le sue mani e i suoi piedi, ma Ella utilizza tutte le facoltà della sua anima, della sua intelli­genza, della sua memoria, della sua volontà e tutte le potenze della parte su­periore ed inferiore della sua anima, sfruttando tutte le forze interne ed e- steme per lodare, glorificare e magnificare il suo Dio. 
Ed Ella non lo magni­fica solamente a suo nome né per soddisfare gli obblighi infiniti che ha di far­lo, a motivo dei favori inconcepibili che ha ricevuto dalla sua Divina Bontà, ma Ella lo magnifica anche a nome di tutte le creature e per tutte le grazie che Egli ha prodigato a tutti gli uomini, essendosi fatto uomo per renderli dei e per salvarli tutti, se essi vogliono corrispondere ai disegni dell’amore inconcepibi­le che ha su di loro.


Ecco la terza parola: mea, “la mia anima”. Qual è quest’anima che la Beata Vergine chiama la sua anima?
Rispondo a ciò, in primo luogo, con le parole di un grande Autore[3] che dice che quest’anima della Beata Vergine è il Figlio suo Gesù, il quale è l’anima dell’anima sua.
In secondo luogo, rispondo che queste parole, anima mea, comprendono innanzitutto l’anima propria e naturale - che anima il corpo della Santa Vergi­ne; in secondo luogo, l’anima del Divino Bambino che Ella porta nelle sue viscere, la quale è unita così strettamente alla sua, che queste due anime fan­no, in certo qual modo, una sola anima, poiché il Bambino che è nelle sue viscere materne non è che una cosa sola con sua madre. 
In terzo luogo, que­ste parole, anima mea, contraddistinguono e comprendono tutte le anime create ad immagine e somiglianza di Dio, che sono state, sono e saranno in tutto l’universo. Se, infatti, san Paolo ci assicura che l’Eterno Padre ci ha donato ogni cosa donandoci suo Figlio: «Cum Illo omnia nobis donavit»[4][5][6][7][8], è fuori di dubbio che, donandoLo alla sua Divina Madre, le ha donato anche ogni cosa, ragion per cui tutte le anime le appartengono. E poiché Ella non lo ignora e sa che ha l’obbligo di far uso di tutto ciò che Dio le ha donato, per il suo onore e per la sua gloria, quando Ella pronuncia le parole: «L’anima mia magnifica il Signore», guardando a tutte le anime che sono state, sono e saranno, come anime che le appartengono, le abbraccia tutte per unirle all’anima del Figlio suo e alla sua e per servirsene per lodare, esaltare e magnificare Colui che è disceso dal Cielo e che si è incarnato nel suo seno verginale per operare la grande opera della loro Redenzione.

Eccoci all’ultima parola del primo versetto: Dominum.

Qual è questo Signore che la Beata Vergine magnifica? È Colui che è il Signore dei signori, e il Signore supremo ed universale del Cielo e della ter­ra. 
Questo Signore è l’Eterno Padre, questo Signore è il Figlio, questo Signore è lo Spirito Santo: tre Persone divine che non sono che un Dio e un Signore, e che non hanno che una stessa essenza, potenza, sapienza, bontà e maestà. 

La Santissima Vergine loda e magnifica l’Eterno Padre per averla associata con luì alla divina paternità, rendendola Madre dello stesso Figlio di cui Egli è il Padre. 
Ella magnifica il Figlio di Dio, per il fatto che ha volu­to sceglierla per sua Madre ed essere suo vero Figlio. 
Ella magnifica lo Spi­rito Santo, per aver voluto compiere in Lei la più grande delle sue opere, os­sia il mistero adorabile dell’Incarnazione. 

Ella magnifica il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo per le grazie infinite che hanno fatto e che intendono fare a tutto il genere umano.


Impariamo da qui che uno dei principali doveri che Dio ci richiede, e uno dei più grandi obblighi verso la Divina Maestà, è la riconoscenza dei benefici, per i quali dobbiamo ringraziarLo con tutto il nostro cuore e con un affetto particolarissimo. 


Abbiamo cura, dunque, di imitare in ciò la gloriosa Vergine, dicendo spesso con Lei: <<Magnificat anima mea Dominum>>, per ringraziare la Santissima Trinità, non solo di tutte le grazie che abbiamo ri­cevuto, ma anche di tutti i beni che Ella da sempre ha elargito a tutte le sue creature. 


E dicendo queste parole: «L’anima mia», ricordiamoci che l’Eterno Padre, donandoci suo Figlio, ci ha dato ogni cosa con Lui e, di conseguenza, che le anime sante di Gesù e della sua Divina Madre, e tutte le anime in ge­nerale ci appartengono. Ecco perché possiamo e dobbiamo servircene per la gloria di Colui che ce le ha donate, attraverso un gran desiderio di lodare e glorificare Dio con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra anima e con tutte le nostre forze, comprendendo in queste parole tutti i cuori e tutte le anime dell’universo, che sono nostre e che vogliamo unire insieme, formando un cuore e un’anima sola, per impiegarla a lodare il nostro Creatore e Salvatore.

San Giovanni Eudes
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[3] Serm. de Assumpt.
[4]Sir 3,20-21.
[5]«Magnificat anima mea Dominum: Filius meus, qui non jam dimidium animce
mece sed est tota anima mea, magnificat nunc, per passionem suam, Dominum
meum Deum, Patrem suum, Sponsum meum. Anima mea Filius meus, qui me in
corpore simul et anima vivam fecit»(VlGERIO, In suo Decachordo, chord. 7). Il
card. Marc Vigier, dell’Ordine dei Frati minori, morì a Roma nel 1516. Ecco il titolo­
completo dell’opera di questo pio servo di Maria: Decachordum christianum, Autore Marco Vigerio di Savona, S. Mariae Transtiberim cardin. Senogalliensi opus Julio li Pont. Max. dicatum; Fani, Hieron. Soncinus,1507.

[6] Rm8,32.


AMDG et DVM


mercoledì 26 giugno 2019

SANTI GIOVANNI E PAOLO (1)

Santi Giovanni e Paolo, martiri

Santi Giovanni e Paolo
Nome: Santi Giovanni e Paolo
Titolo: Martiri di Roma
Ricorrenza: 26 giugno



Questi santi fratelli nacquero da famiglia patrizia romana, ed alla comunanza del sangue unirono quella della fede che coronarono con un glorioso martirio. Eletti da Costantino a scudieri di sua figlia Costanza, disimpegnarono questo loro ufficio con onore e lode. Questo imperatore cristiano segnò il completo trionfo della Chiesa sull'idolatria, sostituendo l'emblema sacro della croce di Cristo alle effigi dei pagani.

Alla sua morte gli successe sul trono imperiale Giuliano l'apostata, il rinnegato persecutore di Cristo e della sua Chiesa. I nostri Santi, sdegnando di servire un monarca pagano, rinunciarono al loro onorevole ufficio, sprezzando gli onori che venivano loro tributati. Ciò saputo, l'imperatore, che allora si trovava in Oriente, scrisse a Terenziano. capitano delle guardie imperiali, intimandogli di catturare i due fratelli, ai quali lasciava dieci giorni di tempo per scegliere o di sacrificare a Giove, o di perire tra i più strazianti tormenti. 

Chiamati a giudizio, gli intrepidi giovani accolsero con gioia la notizia della dilazione e ne approfittarono per distribuire i loro beni ai poveri, sicuri di accrescere il numero di coloro che li avrebbero ricevuti negli eterni tabernacoli. Trascorso il tempo fu loro intimato di sacrificare a Giove.

- Siamo disposti a morire; — risposero ad una voce i due eroi — noi adoriamo l'unico vero Dio, Creatore del cielo e della terra. — L'imperatore vi comanda di ubbidire — soggiunse il tiranno. — Senti, Terenziano, — risposero risolutamente i due fratelli — se Giuliano è il tuo dio, affidati a lui e servilo fedelmente, quanto a noi non abbiamo altro Dio che Gesù Cristo.

A queste parole il crudele ministro condannò i due fratelli ai tormenti. Ma un pensiero gli corse alla mente. Che cosa dirà il popolo alla notizia di sì esecrabile sentenza? Il feroce tiranno esitò un istante, ma il suo animo perverso escogitò un nuovo mezzo di sacrificare le innocenti vittime.

— Li ucciderò segretamente — disse — e farò spargere la voce che i due fratelli sono stati esiliati.

Ciò detto, scortato dai suoi soldati, entrò nell'abitazione dei due invitti confessori della fede di Cristo, li fece decapitare e li seppellì in luogo sconosciuto. Ma un'azione sì empia non doveva rimanere nell'oblio. Gli spiriti immondi che vessavano i corpi di molti uscirono da essi gridando e promulgando ovunque la condanna ed il supplizio dei due gloriosi fratelli. 

Lo stesso figlio di Terenziano, posseduto dal demonio che lo agitava in modo spaventevole, portato dai Cristiani al sepolcro dei Martiri venne istantaneamente liberato. La notizia del prodigio si diffuse in un baleno per tutta Roma, e molti illuminati dalla grazia divina credettero in Gesù Cristo, e con stupore di tutti, lo stesso Terenziano, veduto il miracolo della strepitosa guarigione del figlio, lasciò gli dèi falsi e bugiardi convertendosi al Cristianesimo e facendo costruire una sontuosa basilica dedicata ai due martiri gloriosi.

PRATICA. - Impariamo la fermezza nella nostra fede ed il. coraggio nel difenderla anche con la vita. 

PREGHIERA. - Gloriosi fratelli Giovanni e Paolo, otteneteci da Dio la forza di confessare la nostra fede dinanzi agli uomini affinché, nell'estremo giorno, Gestì confessi noi pure presso il suo Divin Padre. 
MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma commemorazione dei santi Giovanni e Paolo, al cui nome è dedicata la basilica sul monte Celio lungo il clivo di Scauro nella proprietà del senatore Pammachio.


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NB - Adesso si può quasi affermare  o dire:   che in cielo ci sono  come tre Giovanni Paolo. Il nostro ultimo Papa defunto sarebbe esattamente Giovanni Paolo II che in cielo è detto terzo.  


AMDG et DVM

domenica 23 giugno 2019

MAGNIFICAT: Cantico del cuore e dell’amore della Vergine amabilis­sima

MAGNIFICAT (2)

Motivi per cui si può definire il Magnificat

come il Cantico del Cuore della Santissima Vergine



Io   definisco il Magnificat il sacro Cantico del Sacratissimo Cuore della Beata Vergine, per molte ragioni.

In primo luogo, perché è sgorgato da questo divin Cuore, prima di scio­gliersi sulla sua bocca.

In secondo luogo, perché la sua bocca non l’ha pronunciato che per la mozione ricevuta dal suo Cuore carneo, spirituale e divino. Il Cuore di carne di questa Divina Vergine, infatti, essendo ripieno di una gioia sensibile e straordinaria, ha spinto la sua santissima bocca a cantare questo Magnificat con un fervore ed un giubilo straordinari.

Essendo il suo Cuore spirituale tut­to rapito e trasportato in Dio, ha fatto uscire dalla sua santa bocca queste pa­role estatiche: «Et exultavit spiritus meus in Deo salutaris meo: Il mio spiri­to esulta in Dio, mio salvatore».
Il suo Cuore divino - ossia il suo Divino Bambino, che risiede nelle sue viscere benedette e dimora nel suo Cuore e che è l’anima della sua anima, lo spirito del suo spirito e il Cuore del suo Cuore - è il primo Autore di questo Cantico. È Lui che vi mette i pensieri e le verità che sono contenuti nello spirito della sua Divina Madre ed è Lui che pronuncia, con la sua bocca, gli oracoli di cui è ricolmo.

In terzo luogo, il Magnificat è il Cantico del Cuore della Madre d’amore, ossia il Cantico dello Spirito Santo, che è lo Spirito e il Cuore del Padre e del Figlio, e che è anche il Cuore e lo Spirito di questa Vergine Ma­dre, di cui Ella è talmente ricolma e posseduta, che la sua presenza e la sua voce riempiono san Zaccaria, sant’Elisabetta e il bambino che ella porta nel suo grembo, di questo stesso spirito.

Infine, è il Cantico del cuore e dell’amore di questa Vergine amabilis­sima, perché è il Divino Amore di cui Ella è tutta infiammata che le fa pro­nunciare tutte le parole di questo meraviglioso Cantico, le quali - secondo san Bernardino - sono tante fiamme d’amore, uscite dall’ardente Fornace del Divino Amore che brucia nel Sacro Cuore di questa Vergine incompa­rabile.

O Cantico d’amore, o Cantico Verginale del Cuore della Madre d’a­more, che avete la vostra prima origine nel Cuore stesso del Dio d’amore, che è Gesù e nel Cuore dell’amore personale ed increato, che è lo Spirito Santo, non spetta che alla degnissima bocca della Madre del Bell’Amore di cantarvi e di pronunciarvi. I serafini stessi se ne reputano indegni. Com’è, dunque, che i peccatori miserabili, tali quali siamo noi, osano proferire le Divine Parole che Maria ha composto e far passare attraverso le loro bocche immonde i misteri ineffabili che questo cantico contiene?
      Oh! Con quale ri­spetto e quale venerazione questo santissimo Cantico deve essere pronuncia­to e cantato! Oh! Quale deve essere la purezza della lingua e la santità della bocca che lo pronuncia! Oh! Quale fuoco e quali fiamme d’amore deve ac­cendere nei cuori degli ecclesiastici e delle persone religiose che lo recitano e lo cantano sì sovente!
Certamente bisognerebbe essere tutto cuore e tutto amore per cantare e pronunciare questo Cantico d’amore.

O Madre del Bell’Amore, fateci partecipi della santità, del fervore e dell’amore con il quale avete cantato in terra questo Cantico ammirabile, che canterete per sempre in Cielo con tutti gli angeli e tutti i santi, ed otteneteci dal vostro Figlio la grazia di essere nel numero di coloro che lo canteranno eternamente con Voi, per rendere grazie eterne all’adorabilissima Trinità per tutte le cose grandi che ha operato in Voi ed attraverso di Voi, e per le grazie innumerevoli che Ella ha elargito a tutto il genere umano per vostro mezzo.

san Giovanni Eudes

AVE MARIA PURISSIMA!