"UN JUEGO DE AMOR"
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
lunedì 14 maggio 2018
Testo fondamentale del Montfort per capire i NOSTRI tempi malvagi
Vero Volto di Maria Santissima
Nostra Signora di Guadalupe
1. Maria e gli ultimi tempi
[49] Per mezzo di Maria ebbe inizio la salvezza del mondo, ancora per mezzo di Maria deve
avere il suo compimento. Nella prima venuta di Gesù Cristo, Maria quasi non compare, perché
gli uomini, ancora poco istruiti e illuminati sulla persona di suo Figlio, non si allontanassero
dalla verità, attaccandosi troppo sensibilmente e grossolanamente a lei. Così sarebbe
certamente accaduto - se ella fosse stata conosciuta - a causa dell'incanto meraviglioso che
Dio le aveva conferito anche nell'aspetto esteriore. Ciò è così vero che san Dionigi
l'areopagita osserva che quando la vide, l'avrebbe presa per una dea a motivo delle segrete
attrattive e dell'incomparabile bellezza che aveva, se la fede, nella quale era ben fermo, non
gli avesse insegnato il contrario. Ma nella seconda venuta di Gesù Cristo, Maria deve essere
conosciuta e rivelata dallo Spirito Santo, per far conoscere, amare e servire Gesù Cristo per
mezzo di lei. Non esistono più, infatti, i motivi che determinarono lo Spirito Santo a
nascondere la sua sposa mentre elle viveva quaggiù e a manifestarla ben poco dopo la
predicazione del Vangelo.
[50] In questi ultimi tempi, Dio vuole dunque rivelare e manifestare Maria, capolavoro delle
sue mani
1) Perché ella quaggiù volle rimanere nascosta e si pose al di sotto della polvere con umiltà
profonda, avendo ottenuto da Dio e dai suoi Apostoli ed Evangelisti di passare inosservata.
2) Perché ella è il capolavoro delle sue mani, sia quaggiù nell'ordine della grazia che in cielo
nell'ordine della gloria, e Dio vuole riceverne gloria e lode in terra dai viventi.
3) Perché è l'aurora che precede e annuncia il sole di giustizia Gesù Cristo, e quindi dev'essere
conosciuta e svelata, se si vuole che lo sia Gesù Cristo.
4) Perché, essendo la strada per la quale Gesù Cristo è venuto a noi la prima volta, è pure la
strada che egli seguirà nella sua seconda venuta, anche se in modo diverso.
5) Perché è il mezzo sicuro e la strada diritta e immacolata per andare a Gesù Cristo e trovarlo
perfettamente. Per mezzo di lei, dunque, devono trovarlo le anime sante che devono
risplendere in santità. Chi trova Maria, trova la vita, cioè Gesù Cristo, via, verità e vita. Ora
non si può trovare Maria senza cercarla, né cercarla senza conoscerla; poiché non si cerca, né
si desidera un oggetto sconosciuto. Bisogna dunque che Maria sia conosciuta più che mai, per
la maggior conoscenza e gloria della Santissima Trinità.
6) Maria deve risplendere più che mai in questi ultimi tempi in misericordia, in forza e in
grazia. In misericordia per ricondurre ed accogliere amorevolmente i poveri peccatori e i
traviati che si convertiranno e ritorneranno alla Chiesa cattolica. In forza, contro i nemici di
Dio, gl'idolatri, gli scismatici, i maomettani, gli ebrei e gli empi induriti che si ribelleranno in
modo terribile per sedurre e far cadere, con promesse e minacce, tutti quelli che saranno loro
contrari. E infine deve risplendere in grazia, per animare e sostenere i prodi soldati e fedeli
servi di Gesù Cristo che combatteranno per i suoi interessi.
7) Da ultimo, dev'essere «terribile come schiere a vessilli spiegati» di fronte al diavolo e ai
suoi seguaci, soprattutto in questi ultimi tempi, perché il diavolo, ben «sapendo che gli resta
poco tempo», e più poco che mai, per trarre a rovina le anime, raddoppia ogni giorno i suoi
sforzi e i suoi attacchi. Susciterà infatti, quanto prima, crudeli persecuzioni e tenderà terribili
insidie ai servi fedeli e ai veri figli di Maria, che egli vince più difficilmente degli altri.
2 Maria e l'ultima lotta
[51] Soprattutto a queste ultime e crudeli persecuzioni del diavolo, che andranno crescendo
tutti i giorni fino al regno dell'Anticristo, deve riferirsi la prima e celebre profezia e
maledizione pronunciata da Dio nel paradiso terrestre contro il serpente. È bene spiegarla qui,
a gloria della Vergine santissima, a conforto dei suoi figli e a confusione del diavolo. «Io
porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e
tu le insidierai il calcagno.>>
AMDG et DVM
domenica 13 maggio 2018
ANDATE E PREDICATE IN TUTTO IL MONDO AD OGNI CREATURA IL VANGELO
L'odierno Vangelo dice:
Marc 16:14-20
In quel tempo: Gesú apparve agli undici, mentre erano a mensa, e rinfacciò ad essi la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano prestato fede a quelli che lo avevano visto resuscitato. E disse loro: "Andate per tutto il mondo: predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo: chi poi non crederà, sarà condannato. Ed ecco i miracoli che accompagneranno coloro che hanno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, maneggeranno serpenti, e se avran bevuto qualcosa di mortifero non farà loro male: imporranno le mani ai malati e questi guariranno." E il Signore Gesú, dopo aver parlato con essi, fu assunto in cielo e si assise alla destra di Dio. Essi se ne andarono a predicare per ogni dove, mentre il Signore li assisteva e confermava la loro parola con i miracoli che la seguivano.
*
Peccato che nelle nostre parrocchie non ho mai udito un commento al Vangelo dell'Ascensione che fosse simile al seguente di San Gregorio papa.
Egli insegna:
<<... Dopo aver ripresa la loro durezza, sentiamo ciò ch'egli comanda: «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» Marc. 16,15.
Forse che, fratelli miei, il santo Vangelo doveva predicarsi alle cose insensate, o agli animali privi di ragione, e perciò si dice ai discepoli: «Predicate ad ogni creatura»?
Ma col nome di «ogni creatura» qui si indica l'uomo.
L'uomo infatti ha qualche cosa di ogni creatura. Perché l'essere gli è comune colle pietre, la vita cogli alberi, la sensibilità cogli animali, l'intelligenza cogli Angeli.
Se dunque l'uomo ha qualche cosa di comune con ogni creatura, si può dire, in qualche modo, che l'uomo è ogni creatura.
Perciò il Vangelo è predicato ad ogni creatura, quando si predica all'uomo solo>>
VIENI, SPIRITO SANTO, VIENI....
AMDG et DVM
sabato 12 maggio 2018
Cosa ci vuol dire la Festa dell’Ascensione del Signore?
CELEBRAZIONE EUCARISTICA
E INSEDIAMENTO SULLA CATHEDRA ROMANA
DEL VESCOVO DI ROMA
BENEDETTO XVI
E INSEDIAMENTO SULLA CATHEDRA ROMANA
DEL VESCOVO DI ROMA
BENEDETTO XVI
OMELIA DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
Basilica di San Giovanni in Laterano
Sabato, 7 maggio 2005
Sabato, 7 maggio 2005
Questo giorno, nel quale posso per la prima volta insediarmi sulla Cattedra del Vescovo di Roma quale successore di Pietro, è il giorno in cui in Italia la Chiesa celebra la Festa dell’Ascensione del Signore.
Al centro di questo giorno, troviamo Cristo. E solo grazie a Lui, grazie al mistero del suo ascendere, riusciamo a comprendere il significato della Cattedra, che è a sua volta il simbolo della potestà e della responsabilità del Vescovo.
Cosa ci vuol dire allora la Festa dell’Ascensione del Signore?
Non vuol dirci che il Signore se ne è andato in qualche luogo lontano dagli uomini e dal mondo. L’Ascensione di Cristo non è un viaggio nello spazio verso gli astri più remoti; perché, in fondo, anche gli astri sono fatti di elementi fisici come la terra. L’Ascensione di Cristo significa che Egli non appartiene più al mondo della corruzione e della morte che condiziona la nostra vita. Significa che Egli appartiene completamente a Dio. Egli – il Figlio Eterno – ha condotto il nostro essere umano al cospetto di Dio, ha portato con sé la carne e il sangue in una forma trasfigurata. L’uomo trova spazio in Dio; attraverso Cristo, l’essere umano è stato portato fin dentro la vita stessa di Dio. E poiché Dio abbraccia e sostiene l’intero cosmo, l’Ascensione del Signore significa che Cristo non si è allontanato da noi, ma che adesso, grazie al Suo essere con il Padre, è vicino ad ognuno di noi, per sempre. Ognuno di noi può darGli del tu; ognuno può chiamarLo. Il Signore si trova sempre a portata di voce. Possiamo allontanarci da Lui interiormente. Possiamo vivere voltandoGli le spalle. Ma Egli ci aspetta sempre, ed è sempre vicino a noi.
Dalle letture della liturgia odierna impariamo anche qualcosa in più sulla concretezza con cui il Signore realizza questo Suo essere vicino a noi.
Il Signore promette ai discepoli il Suo Spirito Santo. La prima lettura ci dice che lo Spirito Santo sarà "forza" per i discepoli; il Vangelo aggiunge che sarà guida alla Verità tutt’intera. Gesù ha detto tutto ai Suoi discepoli, essendo Egli stesso la Parola vivente di Dio, e Dio non può dare più di sé stesso. In Gesù, Dio ci ha donato tutto sé stesso - cioè - ci ha donato tutto. Oltre a questo, o accanto a questo, non può esserci nessun’altra rivelazione in grado di comunicare maggiormente o di completare, in qualche modo, la Rivelazione di Cristo. In Lui, nel Figlio, ci è stato detto tutto, ci è stato donato tutto. Ma la nostra capacità di comprendere è limitata; perciò la missione dello Spirito è di introdurre la Chiesa in modo sempre nuovo, di generazione in generazione, nella grandezza del mistero di Cristo. Lo Spirito non pone nulla di diverso e di nuovo accanto a Cristo; non c’è nessuna rivelazione pneumatica accanto a quella di Cristo - come alcuni credono - nessun secondo livello di Rivelazione. No: "prenderà del mio", dice Cristo nel Vangelo (Gv 16, 14). E come Cristo dice soltanto ciò che sente e riceve dal Padre, così lo Spirito Santo è interprete di Cristo. "Prenderà del mio". Non ci conduce in altri luoghi, lontani da Cristo, ma ci conduce sempre più dentro la luce di Cristo. Per questo, la Rivelazione cristiana è, allo stesso tempo, sempre antica e sempre nuova. Per questo, tutto ci è sempre e già donato. Allo stesso tempo, ogni generazione, nell’inesauribile incontro col Signore - incontro mediato dallo Spirito Santo - impara sempre qualcosa di nuovo.
Così, lo Spirito Santo è la forza attraverso la quale Cristo ci fa sperimentare la sua vicinanza. Ma la prima lettura dice anche una seconda parola: mi sarete testimoni. Il Cristo risorto ha bisogno di testimoni che Lo hanno incontrato, di uomini che Lo hanno conosciuto intimamente attraverso la forza dello Spirito Santo. Uomini che avendo, per così dire, toccato con mano, possono testimoniarLo. È così che la Chiesa, la famiglia di Cristo, è cresciuta da "Gerusalemme… fino agli estremi confini della terra", come dice la lettura. Attraverso i testimoni è stata costruita la Chiesa – a cominciare da Pietro e da Paolo, e dai Dodici, fino a tutti gli uomini e le donne che, ricolmi di Cristo, nel corso dei secoli hanno riacceso e riaccenderanno in modo sempre nuovo la fiamma della fede. Ogni cristiano, a suo modo, può e deve essere testimone del Signore risorto. Quando leggiamo i nomi dei santi possiamo vedere quante volte siano stati – e continuino ad essere – anzitutto degli uomini semplici, uomini da cui emanava - ed emana - una luce splendente capace di condurre a Cristo.
Ma questa sinfonia di testimonianze è dotata anche di una struttura ben definita: ai successori degli Apostoli, e cioè ai Vescovi, spetta la pubblica responsabilità di far sì che la rete di queste testimonianze permanga nel tempo. Nel sacramento dell’ordinazione episcopale vengono loro conferite la potestà e la grazia necessarie per questo servizio. In questa rete di testimoni, al Successore di Pietro compete uno speciale compito. Fu Pietro che espresse per primo, a nome degli apostoli, la professione di fede: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16, 16). Questo è il compito di tutti i Successori di Pietro: essere la guida nella professione di fede in Cristo, il Figlio del Dio vivente. La Cattedra di Roma è anzitutto Cattedra di questo credo. Dall’alto di questa Cattedra il Vescovo di Roma è tenuto costantemente a ripetere: Dominus Iesus – "Gesù è il Signore", come Paolo scrisse nelle sue lettere ai Romani (10, 9) e ai Corinzi (1 Cor 12, 3). Ai Corinzi, con particolare enfasi, disse: "Anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra… per noi c’è un solo Dio, il Padre…; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui" (1 Cor 8, 5). La Cattedra di Pietro obbliga coloro che ne sono i titolari a dire - come già fece Pietro in un momento di crisi dei discepoli - quando tanti volevano andarsene: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio" (Gv 6, 68ss).
Colui che siede sulla Cattedra di Pietro deve ricordare le parole che il Signore disse a Simon Pietro nell’ora dell’Ultima Cena: "….e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli…." (Lc 22, 32). Colui che è il titolare del ministero petrino deve avere la consapevolezza di essere un uomo fragile e debole - come sono fragili e deboli le sue proprie forze - costantemente bisognoso di purificazione e di conversione. Ma egli può anche avere la consapevolezza che dal Signore gli viene la forza per confermare i suoi fratelli nella fede e tenerli uniti nella confessione del Cristo crocifisso e risorto. Nella prima lettera di san Paolo ai Corinzi, troviamo il più antico racconto della risurrezione che abbiamo. Paolo lo ha fedelmente ripreso dai testimoni. Tale racconto dapprima parla della morte del Signore per i nostri peccati, della sua sepoltura, della sua risurrezione, avvenuta il terzo giorno, e poi dice: "Cristo apparve a Cefa e quindi ai Dodici…" (1 Cor 15, 4), Così, ancora una volta, viene riassunto il significato del mandato conferito a Pietro fino alla fine dei tempi: essere testimone del Cristo risorto.
Il Vescovo di Roma siede sulla sua Cattedra per dare testimonianza di Cristo. Così la Cattedra è il simbolo della potestas docendi, quella potestà di insegnamento che è parte essenziale del mandato di legare e di sciogliere conferito dal Signore a Pietro e, dopo di lui, ai Dodici. Nella Chiesa, la Sacra Scrittura, la cui comprensione cresce sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e il ministero dell’interpretazione autentica, conferito agli apostoli, appartengono l’una all’altro in modo indissolubile. Dove la Sacra Scrittura viene staccata dalla voce vivente della Chiesa, cade in preda alle dispute degli esperti. Certamente, tutto ciò che essi hanno da dirci è importante e prezioso; il lavoro dei sapienti ci è di notevole aiuto per poter comprendere quel processo vivente con cui è cresciuta la Scrittura e capire così la sua ricchezza storica. Ma la scienza da sola non può fornirci una interpretazione definitiva e vincolante; non è in grado di darci, nell’interpretazione, quella certezza con cui possiamo vivere e per cui possiamo anche morire. Per questo occorre un mandato più grande, che non può scaturire dalle sole capacità umane. Per questo occorre la voce della Chiesa viva, di quella Chiesa affidata a Pietro e al collegio degli apostoli fino alla fine dei tempi.
Questa potestà di insegnamento spaventa tanti uomini dentro e fuori della Chiesa. Si chiedono se essa non minacci la libertà di coscienza, se non sia una presunzione contrapposta alla libertà di pensiero. Non è così. Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire.
La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo.
Lo fece Papa Giovanni Paolo II, quando, davanti a tutti i tentativi, apparentemente benevoli verso l’uomo, di fronte alle errate interpretazioni della libertà, sottolineò in modo inequivocabile l’inviolabilità dell’essere umano, l’inviolabilità della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. La libertà di uccidere non è una vera libertà, ma è una tirannia che riduce l’essere umano in schiavitù. Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode.
La Cattedra è - diciamolo ancora una volta - simbolo della potestà di insegnamento, che è una potestà di obbedienza e di servizio, affinché la Parola di Dio - la sua verità! - possa risplendere tra di noi, indicandoci la strada. Ma, parlando della Cattedra del Vescovo di Roma, come non ricordare le parole che Sant’Ignazio d’Antiochia scrisse ai Romani? Pietro, provenendo da Antiochia, sua prima sede, si diresse a Roma, sua sede definitiva. Una sede resa definitiva attraverso il martirio con cui legò per sempre la sua successione a Roma. Ignazio, da parte sua, restando Vescovo di Antiochia, era diretto verso il martirio che avrebbe dovuto subire in Roma. Nella sua lettera ai Romani si riferisce alla Chiesa di Roma come a "Colei che presiede nell’amore", espressione assai significativa. Non sappiamo con certezza che cosa Ignazio avesse davvero in mente usando queste parole. Ma per l’antica Chiesa, la parola amore, agape, accennava al mistero dell’Eucaristia.
In questo Mistero l’amore di Cristo si fa sempre tangibile in mezzo a noi. Qui, Egli si dona sempre di nuovo. Qui, Egli si fa trafiggere il cuore sempre di nuovo; qui, Egli mantiene la Sua promessa, la promessa che, dalla Croce, avrebbe attirato tutto a sé. Nell’Eucaristia, noi stessi impariamo l’amore di Cristo.
E’ stato grazie a questo centro e cuore, grazie all’Eucaristia, che i santi hanno vissuto, portando l’amore di Dio nel mondo in modi e in forme sempre nuove. Grazie all’Eucaristia la Chiesa rinasce sempre di nuovo! La Chiesa non è altro che quella rete - la comunità eucaristica! - in cui tutti noi, ricevendo il medesimo Signore, diventiamo un solo corpo e abbracciamo tutto il mondo. Presiedere nella dottrina e presiedere nell’amore, alla fine, devono essere una cosa sola: tutta la dottrina della Chiesa, alla fine, conduce all’amore. E l’Eucaristia, quale amore presente di Gesù Cristo, è il criterio di ogni dottrina. Dall’amore dipendono tutta la Legge e i Profeti, dice il Signore (Mt 22, 40). L’amore è il compimento della legge, scriveva San Paolo ai Romani (13, 10).
Cari Romani, adesso sono il vostro Vescovo. Grazie per la vostra generosità, grazie per la vostra simpatia, grazie per la vostra pazienza! In quanto cattolici, in qualche modo, tutti siamo anche romani. Con le parole del salmo 87, un inno di lode a Sion, madre di tutti i popoli, cantava Israele e canta la Chiesa: "Si dirà di Sion: L’uno e l’altro è nato in essa…" (v. 5). Ugualmente, anche noi potremmo dire: in quanto cattolici, in qualche modo, siamo tutti nati a Roma. Così voglio cercare, con tutto il cuore, di essere il vostro Vescovo, il Vescovo di Roma. E tutti noi vogliamo cercare di essere sempre più cattolici – sempre più fratelli e sorelle nella grande famiglia di Dio, quella famiglia in cui non esistono stranieri. Infine, vorrei ringraziare di cuore il Vicario per la Diocesi di Roma, il Cardinale Camillo Ruini, e anche i Vescovi ausiliari e tutti i suoi collaboratori. Ringrazio di cuore i parroci, il clero di Roma e tutti coloro che, come fedeli, offrono il loro contributo per costruire qui la casa vivente di Dio. Amen.
Copyright © Libreria Editrice Vaticana
12 numeri=un discorso, dalla vita di sant'Antonio abate, opera di sant'Atanasio
Ascensione di Gesù
Opera di Benvenuto Tisi, detto Garofalo (1510-1520)
16. Un giorno, mentre [Antonio] usciva, tutti i monaci gli si fecero incontro e lo pregarono di tenere un discorso. Ed egli così parlò loro in lingua egiziana:
«Le Scritture sono sufficienti all’insegnamento;
ma è bene che noi a vicenda ci esortiamo nella fede e ci incitiamo con i discorsi. Voi, come figli,
riferite a me, come a un padre, le cose che sapete. E io, essendo più anziano di voi, vi riferirò quello
che so e che ho sperimentato.
Sia questa la comune aspirazione di tutti: non retrocediamo dopo aver
cominciato, non scoraggiamoci nelle fatiche, non diciamo mai “abbiamo praticato per molto tempo
l’ascesi”. Piuttosto accresciamo lo zelo come se incominciassimo ogni giorno. Di fronte ai secoli
futuri la vita umana è brevissima; tutto il nostro tempo è nulla rispetto alla vita eterna. In questo
modo ogni cosa si vende al giusto prezzo e lo scambio avviene sempre con cose di ugual valore; ma
la promessa della vita eterna si compra a basso prezzo. Infatti sta scritto: “Gli anni della nostra vita
sono settanta, ottanta per i più robusti; ma quasi tutti sono fatica, dolore” (Sal 89,10). Se
perseveriamo per tutti gli ottanta anni oppure per cento nella pratica ascetica, non regneremo
soltanto per cento anni ma regneremo nei secoli dei secoli. Se lotteremo sulla terra, non avremo
eredità sulla terra ma la promessa nei cieli. Quando deporremo il corpo corruttibile, ne riceveremo
uno incorruttibile» (1Cor 15,42).
17. «Perciò, o figli, non ci scoraggiamo, non crediamo di durare a lungo o di fare qualcosa di
grande: “Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà
essere rivelata in noi” (Rm 8,18).
Né guardando l’universo dobbiamo credere di aver rinunciato a grandi cose; tutta la terra, paragonata a tutto il cielo, è piccolissima. Se noi fossimo padroni di tutta la terra e rinunciassimo ad essa, nulla di quello a cui abbiamo rinunciato sarebbe degno del regno dei cieli.
Come uno disprezza una dracma di bronzo per guadagnare cento dracme d’oro, così chi è
padrone di tutta la terra e rinuncia ad essa, perde poco ma fa un guadagno cento volte maggiore. Se
tutta la terra non è degna del regno dei cieli, chi perde poche arure, non perde quasi niente; se poi
lascia la casa e molto oro, non deve vantarsi né scoraggiarsi. Dobbiamo anche tener presente che se
non lasciamo le nostre cose in nome della virtù, le lasceremo in seguito quando moriremo e spesso
a persone alle quali non vorremmo lasciarle, come ricorda l’Ecclesiaste (Qo 4,8). Perché, dunque,
non lasciarle in nome della virtù per ereditare il regno dei cieli? Per questo nessuno di noi si lasci
prendere dalla cupidigia di possedere.
Che guadagno c’è a possedere cose che non possiamo
portarci con noi? Perché non ci preoccupiamo di acquistare cose che possiamo portar via con noi
come la prudenza, la giustizia, il coraggio, l’intelletto, la carità, l’amore verso i poveri, la fede in
Cristo, la mansuetudine, l’ospitalità? Se acquisteremo queste cose, le troveremo là dove ci
accoglieranno come ospiti nella terra dei miti».
18. «Per queste ragioni ciascuno di voi si convinca di non perdersi d’animo, specialmente se pensa
di essere il servo del Signore e di doverlo servire. Come un servo non osi dire: “Siccome ieri ho
lavorato, oggi non lavoro”, né calcolando il tempo trascorso, si riposerà nei giorni successivi. Ma
ogni giorno, come è scritto nel vangelo (Lc 17,7-10), mostri lo stesso zelo per piacere al Signore e
non essere in pericolo. Così noi, ogni giorno, dobbiamo perseverare nella pratica ascetica sapendo
che se anche per un solo giorno la trascureremo, il Signore non ci perdonerà a causa del tempo
passato ma, per la nostra negligenza, si mostrerà contrariato nei nostri confronti. Così è scritto in
Ezechiele (Ez 18,24-26); così anche Giuda per una sola notte perdette la fatica del tempo trascorso»
(Gv 13,30).
19. «Dedichiamoci, o figli, alla pratica ascetica e non siamo negligenti. Abbiamo in questo il
Signore come aiuto perché “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Per non
essere negligenti, ci conviene meditare sulle parole dell’Apostolo: “Ogni giorno io affronto la morte
(1Cor 15,31). Se vivremo, come se dovessimo morire ogni giorno, non peccheremo. Il che significa
che quando ogni giorno ci alziamo, non dobbiamo credere che vivremo fino alla sera e quando
andiamo a letto non dobbiamo credere di alzarci. La nostra vita, per natura, è incerta e ogni giorno
viene misurata dalla Provvidenza. Se ci disporremo così e se così ogni giorno vivremo, non
peccheremo, né saremo presi dalla cupidigia di qualcosa. Con nessuno ci adireremo, non
accumuleremo tesori sulla terra, ma ogni giorno, aspettando la morte, non possederemo niente e a
tutti perdoneremo qualsiasi cosa. Non avremo concupiscenza di donna, né saremo dominati da
piaceri osceni che anzi avverseremo come cose caduche, sempre lottando e avendo davanti agli
occhi il giorno del giudizio. Infatti il timore grandissimo e il pericolo dei tormenti dissolvono
sempre le lusinghe del piacere e rinsaldano l’anima che vacilla».
20. «Dunque, cominciamo e, presa la strada della virtù, protendiamoci sempre di più per
raggiungere la meta (Fil 3,13). Nessuno si volga indietro, come la moglie di Lot (Gn 19,26),
soprattutto perché il Signore ha detto: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge
indietro, è adatto per il regno dei cieli” (Lc 9,62). Guardare indietro altro non vuoi dire che
cambiare idea e pensare di nuovo alle cose del mondo. Sentendo parlare della virtù, non abbiate
paura, né dovete temere il nome. Non è infatti lontana da noi, né si trova fuori di noi; l’opera è in
noi stessi ed è facile realizzarla solo se noi vogliamo. I greci viaggiano, attraverso il mare, per
apprendere le lettere; noi non abbiamo bisogno di muoverci per il regno dei cieli, né di attraversare
il mare per la virtù. Il Signore ci ha già detto: “Il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,21). La
virtù perciò ha bisogno soltanto della nostra volontà, dal momento che è in noi e da noi trae la sua
origine. Infatti quella parte dell’anima che per natura è intelligente, è virtù e conserva la sua natura
quando rimane così come è stata creata, cioè buona e retta. Per questo Giosuè, figlio di Nun,
ammaestrando il popolo diceva: “Rivolgete il cuore verso il Signore, Dio d’Israele” (Gs 24,23) e
Giovanni Battista: “Raddrizzate i suoi sentieri” (Mt 3,3). Quando l’anima è retta, la sua razionalità è
come fu creata; se invece l’anima declina e svia dalla sua natura, allora si dice che l’anima è
corrotta. Non si tratta di cosa difficile: se noi rimaniamo come siamo stati creati, saremo virtuosi, se
invece ci abbandoniamo al male, saremo giudicati come cattivi. Se dovessimo uscire fuori di noi per
conquistare la virtù, le difficoltà non mancherebbero. Ma poiché essa è in noi, guardiamoci dai
cattivi pensieri e custodiamo l’anima che il Signore ci ha dato come in deposito affinché, rimanendo
essa nello stato in cui l’ha foggiata, egli riconosca in noi la sua opera».
21. «Il nostro impegno sia quello di non essere schiavi dell’ira, di non essere posseduti dalla
concupiscenza. Infatti è scritto: “L’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio” (Gc
1,20) e: “La concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato,
produce la morte” (Gc 1,15). Scelto questo metodo di vita, dobbiamo vivere molto sobriamente. È
scritto infatti: “Con ogni cura vigila sui cuore” (Pro 4,23).
Abbiamo dei nemici terribili e astuti, i malvagi demoni e noi dobbiamo combattere, come dice
l’Apostolo: “non contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potestà,
contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni
celesti” (Ef 6,12). Grande è il loro numero nell’aria che è intorno a noi ed essi non sono lontani da
noi, e inoltre molte sono le loro varietà. Sulle loro proprietà e varietà si potrebbero dire molte cose;
ma è un discorso che riserviamo a persone più grandi di noi. A noi ora interessa conoscere le astuzie
che essi mettono in pratica contro di noi».
22. «Innanzitutto dobbiamo sapere che quelli che noi chiamiamo demoni non furono creati tali: Dio
non ha fatto nulla di male. Anch’essi sono stati creati buoni, ma si staccarono dalla sapienza celeste,
caddero poi sulla terra e ingannarono i pagani con le loro immagini. Sono invidiosi di noi cristiani e
cercano con ogni mezzo di impedire la nostra ascesa verso il cielo da dove essi sono precipitati.
Necessita quindi la continua preghiera, occorre la pratica ascetica perché chi riceve attraverso lo
Spirito Santo la grazia di distinguere gli spiriti possa conoscere le cose che riguardano i demoni:
quali sono meno malvagi, quali più malvagi, quali le loro consuetudini e attività, come possono
essere respinti e cacciati via. Molti sono infatti i loro inganni e molti anche i loro movimenti per
tendere insidie. Perciò il santo Apostolo e quelli che con lui conoscevano i demoni dicevano: “Non
ignoriamo le macchinazioni” (2Cor 2,11). E noi che ne abbiamo fatto esperienza, dobbiamo a
vicenda ammonirci. Io che poi ne ho fatta una certa esperienza, parlo a voi come a dei figli».
23. «Costoro, quando vedono che tutti i cristiani e soprattutto i monaci sono zelanti e
progrediscono, in primo luogo tentano l’aggressione e pongono agguati lungo la strada (Sal 139,6).
Perciò noi non dobbiamo lasciarci spaventare dalle loro suggestioni: con le preghiere, con i digiuni,
con la fede nel Signore, essi subito cadono. Ma anche caduti, essi non si arrendono; subito si
avvicinano nuovamente con astuzia e con inganno. Infatti non potendo apertamente ingannare il
cuore con il piacere osceno, cercano altri mezzi, tentano di far paura con vane immagini,
assumendo forme di donne, di belve, di rettili, di grandi corpi, di schiere di soldati. Ma neppure
queste immagini si devono temere. Esse sono il nulla e quindi presto si dileguano, soprattutto se noi
ci fortifichiamo con la fede e il segno di croce. I demoni sono audaci e molto impudenti: se sono
sconfitti in un modo, aggrediscono ancora in un altro modo. Simulano di essere esperti di vaticinio
e di predire il futuro, si mostrano molto alti per raggiungere i tetti, si estendono in larghezza per
sedurre con questi aspetti coloro che essi non sono riusciti a ingannare con i pensieri. Se poi trovano
un’anima salda nella fede e nella speranza della conversione, allora fanno venire il loro capo».
24. «Essi appaiono come il Signore rivelò il diavolo a Giobbe dicendo: “I suoi occhi sono come le
palpebre dell’aurora. Dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco. Dalle sue narici
esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco. Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli
escono fiamme” (Gb 41,10-13). Il capo dei demoni, mostrandosi in questo modo, atterrisce, come
ho detto prima. Quello scaltro si vanta pronunciando grosse parole, come il Signore dimostrò a
Giobbe: “Stima il ferro come paglia, il bronzo come legno tarlato. Fa ribollire come pentola il
gorgo, fa del mare come un vaso da unguenti. Dietro a sé produce una bianca scia e l’abisso appare
canuto” (Gb 41,19.23-24); e ancora per mezzo del profeta: “Il nemico aveva detto: Inseguirò,
raggiungerò” (Es 15,9) e poi: “La mia mano, come in un nido, ha scovato la ricchezza dei popoli.
Come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra” (Is 10,14).
Di simili cose si vantano e promettono di farle con lo scopo di sedurre quanti adorano Dio. Ma
occorre che noi che abbiamo fede non temiamo le apparizioni del diavolo, né prestiamo fede alle
sue voci. Egli infatti mente e non dice alcuna cosa vera. Mentre egli dice tante e tante cose con
audacia, viene trascinato dal Salvatore come un serpente all’amo, come un animale che riceve la
cavezza alle narici; come un fuggiasco ha il naso legato a un anello, ha le labbra trafitte da uno
spiedo (Gb 40,24-26). È legato dal Signore come un passero perché sia schernito da noi (Gb 40,29).
Sia il diavolo che i demoni che sono con lui sono stati posti come scorpioni e serpenti per essere
calpestati da noi cristiani (Lc 10,19). Infatti chi ha minacciato di essiccare il mare e di impadronirsi
del mondo, ecco che ora non può impedire la vostra pratica ascetica, né me che parlo contro di lui.
Non ascoltiamo le cose che dice, egli mente, non temiamo le sue apparizioni perché anch’esse sono
false. Non è luce vera quella che appare in loro; portano soltanto un anticipo e un’immagine del
fuoco preparato per loro. Con le fiamme con le quali bruceranno, essi cercano di intimorire gli
uomini. In realtà appaiono ma subito scompaiono, non danneggiano nessuno dei fedeli, portano essi
stessi un’immagine del fuoco dal quale saranno accolti. Neppure per questo devono essere temuti.
Tutti i loro tentativi per la grazia di Cristo sono resi vani».
25. «Sono astuti e pronti a trasformarsi in tutte le immagini e le forme. Spesso simulano anche di
cantare i salmi e, senza essere visti, recitano le parole delle Scritture. Molte volte, mentre noi
leggiamo, essi ripetono subito come un’eco le cose che noi leggiamo; mentre dormiamo, ci incitano
a pregare e fanno questo di continuo, impedendoci quasi di dormire. Altre volte, dopo aver assunto
le sembianze di monaci, parlano come uomini devoti per ingannarci con un aspetto simile al nostro
e poi trascinano dove vogliono coloro che hanno sedotto. Ma essi non devono essere ascoltati
neppure se spingono a pregare, neppure se esortano a non mangiare, neppure quando fingono di
accusarci e di rimproverarci per dei peccati di cui, come noi, sono a conoscenza. Non si comportano
così in nome della fede o della verità, ma per portare alla disperazione le persone semplici e rendere
inutile la pratica ascetica. Vogliono generare nausea negli uomini per la vita monastica, come se
fosse troppo gravosa e scomoda e cercano di essere di ostacolo a coloro che la praticano».
26. «Perciò il profeta mandato dal Signore compiangeva questi miseri dicendo: “Guai a chi fa bere i
suoi vicini versando veleno per ubriacarli e scoprire le loro nudità” (Ab 2,15). Infatti simili pensieri
e macchinazioni allontanano dalla strada che porta alla virtù. Il Signore stesso, sebbene i demoni
dicessero la verità (infatti essi dicevano: “Tu sei il Figlio di Dio” [Lc 4,41]), tappava loro la bocca,
li costringeva al silenzio perché essi non seminassero con la verità la loro malizia e perché noi
prendessimo la consuetudine di non prestare loro attenzione anche se quelli davano la parvenza di
dire la verità. Sarebbe infatti vergognoso che noi che abbiamo le Sacre Scritture e che dal Salvatore
abbiamo ricevuto la libertà, ci lasciassimo istruire dal diavolo, da colui che violò l’ordine per lui
stabilito e passò da un pensiero all’altro. Perciò il Signore gli impedì di parlare quando egli si mise
a recitare i brani delle Scritture, con queste parole: “Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre
in bocca la mia alleanza?” (Sal 49,16). Fanno tutte queste cose, ciarlano, rumoreggiano, simulano,
per ingannare i semplici. Fanno strepito, ridono scioccamente, sibilano; se nessuno presta loro
attenzione, piangono e si lamentano come se fossero sconfitti».
27. «Perciò il Signore, in quanto Dio, chiudeva la bocca ai demoni. E noi, istruiti dai santi,
dobbiamo imitarli, emulare il loro coraggio. Vedendo queste cose, essi dicevano: “Porrò un freno
alla mia bocca mentre l’empio mi sta dinanzi. Sono rimasto quieto in silenzio” (Sal 38,2-3); e
ancora: “Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca; sono come un uomo
che non sente” (Sal 37,14-15). Noi non dobbiamo ascoltarli perché ci sono estranei, né dobbiamo
obbedire loro quando ci invitano alla pratica ascetica che ci siamo proposta e non lasciamoci
sedurre da coloro che agiscono con inganno. Non dobbiamo temerli neppure se sembra che ci
aggrediscano, né se ci minacciano di morte. Sono dei deboli e perciò si limitano alle sole minacce».
28. «Fin qui ho parlato brevemente di queste cose, ma ora non esiterò a parlarne più diffusamente.
Così ne avrete un fermo ricordo. All’arrivo del Signore, il nemico cadde e le sue forze si fiaccarono.
Per questo, come tiranno, nulla potendo, pur essendo caduto non sta fermo, ma minaccia sia pure
con le sole parole. Ognuno di voi rifletta su questo e così potrà disprezzare i demoni. Se come noi
avessero avuto dei corpi, avrebbero potuto dire: “Non riusciamo a trovare gli uomini che si sono
nascosti, ma possiamo far del male a quelli che troviamo”. E noi potremmo evitarli nascondendoci e
sbarrando le porte. Ma le cose non stanno così. Infatti anche con le porte chiuse possono entrare
perché sia essi che il loro capo si trovano in tutta l’aria e sono pronti ad arrecare mali e danni, come
dice il Salvatore: “Egli è stato omicida fin da principio” (Gv 8,44). Ma noi continuiamo a vivere e
la nostra condotta di vita è contro di lui ed è evidente che i demoni nulla possono. Infatti né il luogo
vieta loro di operare il male, né scorgono in noi degli amici da risparmiare, né amano il bene per
correggerci. In realtà sono dei malvagi e non si curano di altro che di danneggiare coloro, che
amano Dio e la virtù. Non potendo far nulla, si limitano alle minacce. Se potessero fare qualche
cosa, farebbero subito del male e in questo la loro volontà è disponibile, soprattutto contro di noi.
Ecco perché ci siamo riuniti per parlare contro di loro; essi sanno che sono fiaccati dal nostro
progredire nel bene. Se avessero qualche potere, non permetterebbero di vivere a nessuno di noi
cristiani: “Per il peccatore la pietà è un abominio” (Sir 1,22). Siccome nulla possono, danneggiano
se stessi perché non hanno il potere di realizzare le loro minacce. Inoltre, per non temerli, pensiamo
anche a questo: se avessero potere, non verrebbero in massa, né con visioni, né poi preparerebbero
insidie dopo aver assunto varie sembianze. Inoltre sarebbe sufficiente che uno solo venisse e facesse
ciò che vuole e può. Chi può, infatti, non cerca di uccidere con le visioni, né atterrisce con la
moltitudine, ma si serve della propria forza, subito e a suo piacimento. Ma i demoni, che nulla
possono, giocano come se fossero sulla scena e, cambiando aspetto, spaventano i bambini con
tumulti e fantasmi. Essendo dunque dei deboli, devono essere disprezzati. Il vero angelo inviato dal
Signore contro gli assiri non ebbe bisogno di folle, né di assumere immagini, né di strepiti, né di
suoni. Usò in silenzio la sua forza e uccise subito centottantacinquemila uomini (2Re 19,35). Invece
i demoni, non avendo forza, cercano di far paura con le immagini».
AMDG et DVM
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