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sabato 12 maggio 2018

12 numeri=un discorso, dalla vita di sant'Antonio abate, opera di sant'Atanasio


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Ascensione di Gesù 
Opera di Benvenuto Tisi, detto Garofalo (1510-1520)



16. Un giorno, mentre [Antonio] usciva, tutti i monaci gli si fecero incontro e lo pregarono di tenere un discorso. Ed egli così parlò loro in lingua egiziana: 

«Le Scritture sono sufficienti all’insegnamento;
ma è bene che noi a vicenda ci esortiamo nella fede e ci incitiamo con i discorsi. Voi, come figli,
riferite a me, come a un padre, le cose che sapete. E io, essendo più anziano di voi, vi riferirò quello
che so e che ho sperimentato. 
Sia questa la comune aspirazione di tutti: non retrocediamo dopo aver
cominciato, non scoraggiamoci nelle fatiche, non diciamo mai “abbiamo praticato per molto tempo
l’ascesi”. Piuttosto accresciamo lo zelo come se incominciassimo ogni giorno. Di fronte ai secoli
futuri la vita umana è brevissima; tutto il nostro tempo è nulla rispetto alla vita eterna. In questo
modo ogni cosa si vende al giusto prezzo e lo scambio avviene sempre con cose di ugual valore; ma
la promessa della vita eterna si compra a basso prezzo. Infatti sta scritto: “Gli anni della nostra vita
sono settanta, ottanta per i più robusti; ma quasi tutti sono fatica, dolore” (Sal 89,10). Se
perseveriamo per tutti gli ottanta anni oppure per cento nella pratica ascetica, non regneremo 
soltanto per cento anni ma regneremo nei secoli dei secoli. Se lotteremo sulla terra, non avremo
eredità sulla terra ma la promessa nei cieli. Quando deporremo il corpo corruttibile, ne riceveremo
uno incorruttibile» (1Cor 15,42).
17. «Perciò, o figli, non ci scoraggiamo, non crediamo di durare a lungo o di fare qualcosa di
grande: “Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà
essere rivelata in noi” (Rm 8,18). 
Né guardando l’universo dobbiamo credere di aver rinunciato a grandi cose; tutta la terra, paragonata a tutto il cielo, è piccolissima. Se noi fossimo padroni di tutta la terra e rinunciassimo ad essa, nulla di quello a cui abbiamo rinunciato sarebbe degno del regno dei cieli. 

Come uno disprezza una dracma di bronzo per guadagnare cento dracme d’oro, così chi è
padrone di tutta la terra e rinuncia ad essa, perde poco ma fa un guadagno cento volte maggiore. Se
tutta la terra non è degna del regno dei cieli, chi perde poche arure, non perde quasi niente; se poi
lascia la casa e molto oro, non deve vantarsi né scoraggiarsi. Dobbiamo anche tener presente che se
non lasciamo le nostre cose in nome della virtù, le lasceremo in seguito quando moriremo e spesso
a persone alle quali non vorremmo lasciarle, come ricorda l’Ecclesiaste (Qo 4,8). Perché, dunque,
non lasciarle in nome della virtù per ereditare il regno dei cieli? Per questo nessuno di noi si lasci
prendere dalla cupidigia di possedere. 

Che guadagno c’è a possedere cose che non possiamo
portarci con noi? Perché non ci preoccupiamo di acquistare cose che possiamo portar via con noi
come la prudenza, la giustizia, il coraggio, l’intelletto, la carità, l’amore verso i poveri, la fede in
Cristo, la mansuetudine, l’ospitalità? Se acquisteremo queste cose, le troveremo là dove ci
accoglieranno come ospiti nella terra dei miti».

18. «Per queste ragioni ciascuno di voi si convinca di non perdersi d’animo, specialmente se pensa
di essere il servo del Signore e di doverlo servire. Come un servo non osi dire: “Siccome ieri ho
lavorato, oggi non lavoro”, né calcolando il tempo trascorso, si riposerà nei giorni successivi. Ma
ogni giorno, come è scritto nel vangelo (Lc 17,7-10), mostri lo stesso zelo per piacere al Signore e
non essere in pericolo. Così noi, ogni giorno, dobbiamo perseverare nella pratica ascetica sapendo
che se anche per un solo giorno la trascureremo, il Signore non ci perdonerà a causa del tempo
passato ma, per la nostra negligenza, si mostrerà contrariato nei nostri confronti. Così è scritto in
Ezechiele (Ez 18,24-26); così anche Giuda per una sola notte perdette la fatica del tempo trascorso»
(Gv 13,30).

19. «Dedichiamoci, o figli, alla pratica ascetica e non siamo negligenti. Abbiamo in questo il
Signore come aiuto perché “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Per non
essere negligenti, ci conviene meditare sulle parole dell’Apostolo: “Ogni giorno io affronto la morte
(1Cor 15,31). Se vivremo, come se dovessimo morire ogni giorno, non peccheremo. Il che significa
che quando ogni giorno ci alziamo, non dobbiamo credere che vivremo fino alla sera e quando
andiamo a letto non dobbiamo credere di alzarci. La nostra vita, per natura, è incerta e ogni giorno
viene misurata dalla Provvidenza. Se ci disporremo così e se così ogni giorno vivremo, non
peccheremo, né saremo presi dalla cupidigia di qualcosa. Con nessuno ci adireremo, non
accumuleremo tesori sulla terra, ma ogni giorno, aspettando la morte, non possederemo niente e a
tutti perdoneremo qualsiasi cosa. Non avremo concupiscenza di donna, né saremo dominati da
piaceri osceni che anzi avverseremo come cose caduche, sempre lottando e avendo davanti agli
occhi il giorno del giudizio. Infatti il timore grandissimo e il pericolo dei tormenti dissolvono
sempre le lusinghe del piacere e rinsaldano l’anima che vacilla».

20. «Dunque, cominciamo e, presa la strada della virtù, protendiamoci sempre di più per
raggiungere la meta (Fil 3,13). Nessuno si volga indietro, come la moglie di Lot (Gn 19,26), 
soprattutto perché il Signore ha detto: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge
indietro, è adatto per il regno dei cieli” (Lc 9,62). Guardare indietro altro non vuoi dire che
cambiare idea e pensare di nuovo alle cose del mondo. Sentendo parlare della virtù, non abbiate
paura, né dovete temere il nome. Non è infatti lontana da noi, né si trova fuori di noi; l’opera è in
noi stessi ed è facile realizzarla solo se noi vogliamo. I greci viaggiano, attraverso il mare, per
apprendere le lettere; noi non abbiamo bisogno di muoverci per il regno dei cieli, né di attraversare
il mare per la virtù. Il Signore ci ha già detto: “Il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,21). La
virtù perciò ha bisogno soltanto della nostra volontà, dal momento che è in noi e da noi trae la sua
origine. Infatti quella parte dell’anima che per natura è intelligente, è virtù e conserva la sua natura
quando rimane così come è stata creata, cioè buona e retta. Per questo Giosuè, figlio di Nun,
ammaestrando il popolo diceva: “Rivolgete il cuore verso il Signore, Dio d’Israele” (Gs 24,23) e
Giovanni Battista: “Raddrizzate i suoi sentieri” (Mt 3,3). Quando l’anima è retta, la sua razionalità è
come fu creata; se invece l’anima declina e svia dalla sua natura, allora si dice che l’anima è
corrotta. Non si tratta di cosa difficile: se noi rimaniamo come siamo stati creati, saremo virtuosi, se
invece ci abbandoniamo al male, saremo giudicati come cattivi. Se dovessimo uscire fuori di noi per
conquistare la virtù, le difficoltà non mancherebbero. Ma poiché essa è in noi, guardiamoci dai
cattivi pensieri e custodiamo l’anima che il Signore ci ha dato come in deposito affinché, rimanendo
essa nello stato in cui l’ha foggiata, egli riconosca in noi la sua opera».

21. «Il nostro impegno sia quello di non essere schiavi dell’ira, di non essere posseduti dalla
concupiscenza. Infatti è scritto: “L’ira dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio” (Gc
1,20) e: “La concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato,
produce la morte” (Gc 1,15). Scelto questo metodo di vita, dobbiamo vivere molto sobriamente. È
scritto infatti: “Con ogni cura vigila sui cuore” (Pro 4,23).
Abbiamo dei nemici terribili e astuti, i malvagi demoni e noi dobbiamo combattere, come dice
l’Apostolo: “non contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i principati e le potestà,
contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni
celesti” (Ef 6,12). Grande è il loro numero nell’aria che è intorno a noi ed essi non sono lontani da
noi, e inoltre molte sono le loro varietà. Sulle loro proprietà e varietà si potrebbero dire molte cose;
ma è un discorso che riserviamo a persone più grandi di noi. A noi ora interessa conoscere le astuzie
che essi mettono in pratica contro di noi».

22. «Innanzitutto dobbiamo sapere che quelli che noi chiamiamo demoni non furono creati tali: Dio
non ha fatto nulla di male. Anch’essi sono stati creati buoni, ma si staccarono dalla sapienza celeste,
caddero poi sulla terra e ingannarono i pagani con le loro immagini. Sono invidiosi di noi cristiani e
cercano con ogni mezzo di impedire la nostra ascesa verso il cielo da dove essi sono precipitati.
Necessita quindi la continua preghiera, occorre la pratica ascetica perché chi riceve attraverso lo
Spirito Santo la grazia di distinguere gli spiriti possa conoscere le cose che riguardano i demoni:
quali sono meno malvagi, quali più malvagi, quali le loro consuetudini e attività, come possono
essere respinti e cacciati via. Molti sono infatti i loro inganni e molti anche i loro movimenti per
tendere insidie. Perciò il santo Apostolo e quelli che con lui conoscevano i demoni dicevano: “Non
ignoriamo le macchinazioni” (2Cor 2,11). E noi che ne abbiamo fatto esperienza, dobbiamo a
vicenda ammonirci. Io che poi ne ho fatta una certa esperienza, parlo a voi come a dei figli».

23. «Costoro, quando vedono che tutti i cristiani e soprattutto i monaci sono zelanti e
progrediscono, in primo luogo tentano l’aggressione e pongono agguati lungo la strada (Sal 139,6).
Perciò noi non dobbiamo lasciarci spaventare dalle loro suggestioni: con le preghiere, con i digiuni,
con la fede nel Signore, essi subito cadono. Ma anche caduti, essi non si arrendono; subito si
avvicinano nuovamente con astuzia e con inganno. Infatti non potendo apertamente ingannare il 
cuore con il piacere osceno, cercano altri mezzi, tentano di far paura con vane immagini,
assumendo forme di donne, di belve, di rettili, di grandi corpi, di schiere di soldati. Ma neppure
queste immagini si devono temere. Esse sono il nulla e quindi presto si dileguano, soprattutto se noi
ci fortifichiamo con la fede e il segno di croce. I demoni sono audaci e molto impudenti: se sono
sconfitti in un modo, aggrediscono ancora in un altro modo. Simulano di essere esperti di vaticinio
e di predire il futuro, si mostrano molto alti per raggiungere i tetti, si estendono in larghezza per
sedurre con questi aspetti coloro che essi non sono riusciti a ingannare con i pensieri. Se poi trovano
un’anima salda nella fede e nella speranza della conversione, allora fanno venire il loro capo».

24. «Essi appaiono come il Signore rivelò il diavolo a Giobbe dicendo: “I suoi occhi sono come le
palpebre dell’aurora. Dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco. Dalle sue narici
esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco. Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli
escono fiamme” (Gb 41,10-13). Il capo dei demoni, mostrandosi in questo modo, atterrisce, come
ho detto prima. Quello scaltro si vanta pronunciando grosse parole, come il Signore dimostrò a
Giobbe: “Stima il ferro come paglia, il bronzo come legno tarlato. Fa ribollire come pentola il
gorgo, fa del mare come un vaso da unguenti. Dietro a sé produce una bianca scia e l’abisso appare
canuto” (Gb 41,19.23-24); e ancora per mezzo del profeta: “Il nemico aveva detto: Inseguirò,
raggiungerò” (Es 15,9) e poi: “La mia mano, come in un nido, ha scovato la ricchezza dei popoli.
Come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra” (Is 10,14).
Di simili cose si vantano e promettono di farle con lo scopo di sedurre quanti adorano Dio. Ma
occorre che noi che abbiamo fede non temiamo le apparizioni del diavolo, né prestiamo fede alle
sue voci. Egli infatti mente e non dice alcuna cosa vera. Mentre egli dice tante e tante cose con
audacia, viene trascinato dal Salvatore come un serpente all’amo, come un animale che riceve la
cavezza alle narici; come un fuggiasco ha il naso legato a un anello, ha le labbra trafitte da uno
spiedo (Gb 40,24-26). È legato dal Signore come un passero perché sia schernito da noi (Gb 40,29).
Sia il diavolo che i demoni che sono con lui sono stati posti come scorpioni e serpenti per essere
calpestati da noi cristiani (Lc 10,19). Infatti chi ha minacciato di essiccare il mare e di impadronirsi
del mondo, ecco che ora non può impedire la vostra pratica ascetica, né me che parlo contro di lui.
Non ascoltiamo le cose che dice, egli mente, non temiamo le sue apparizioni perché anch’esse sono
false. Non è luce vera quella che appare in loro; portano soltanto un anticipo e un’immagine del
fuoco preparato per loro. Con le fiamme con le quali bruceranno, essi cercano di intimorire gli
uomini. In realtà appaiono ma subito scompaiono, non danneggiano nessuno dei fedeli, portano essi
stessi un’immagine del fuoco dal quale saranno accolti. Neppure per questo devono essere temuti.
Tutti i loro tentativi per la grazia di Cristo sono resi vani».

25. «Sono astuti e pronti a trasformarsi in tutte le immagini e le forme. Spesso simulano anche di
cantare i salmi e, senza essere visti, recitano le parole delle Scritture. Molte volte, mentre noi
leggiamo, essi ripetono subito come un’eco le cose che noi leggiamo; mentre dormiamo, ci incitano
a pregare e fanno questo di continuo, impedendoci quasi di dormire. Altre volte, dopo aver assunto
le sembianze di monaci, parlano come uomini devoti per ingannarci con un aspetto simile al nostro
e poi trascinano dove vogliono coloro che hanno sedotto. Ma essi non devono essere ascoltati
neppure se spingono a pregare, neppure se esortano a non mangiare, neppure quando fingono di
accusarci e di rimproverarci per dei peccati di cui, come noi, sono a conoscenza. Non si comportano
così in nome della fede o della verità, ma per portare alla disperazione le persone semplici e rendere
inutile la pratica ascetica. Vogliono generare nausea negli uomini per la vita monastica, come se
fosse troppo gravosa e scomoda e cercano di essere di ostacolo a coloro che la praticano».

26. «Perciò il profeta mandato dal Signore compiangeva questi miseri dicendo: “Guai a chi fa bere i
suoi vicini versando veleno per ubriacarli e scoprire le loro nudità” (Ab 2,15). Infatti simili pensieri 
e macchinazioni allontanano dalla strada che porta alla virtù. Il Signore stesso, sebbene i demoni
dicessero la verità (infatti essi dicevano: “Tu sei il Figlio di Dio” [Lc 4,41]), tappava loro la bocca,
li costringeva al silenzio perché essi non seminassero con la verità la loro malizia e perché noi
prendessimo la consuetudine di non prestare loro attenzione anche se quelli davano la parvenza di
dire la verità. Sarebbe infatti vergognoso che noi che abbiamo le Sacre Scritture e che dal Salvatore
abbiamo ricevuto la libertà, ci lasciassimo istruire dal diavolo, da colui che violò l’ordine per lui
stabilito e passò da un pensiero all’altro. Perciò il Signore gli impedì di parlare quando egli si mise
a recitare i brani delle Scritture, con queste parole: “Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre
in bocca la mia alleanza?” (Sal 49,16). Fanno tutte queste cose, ciarlano, rumoreggiano, simulano,
per ingannare i semplici. Fanno strepito, ridono scioccamente, sibilano; se nessuno presta loro
attenzione, piangono e si lamentano come se fossero sconfitti».

27. «Perciò il Signore, in quanto Dio, chiudeva la bocca ai demoni. E noi, istruiti dai santi,
dobbiamo imitarli, emulare il loro coraggio. Vedendo queste cose, essi dicevano: “Porrò un freno
alla mia bocca mentre l’empio mi sta dinanzi. Sono rimasto quieto in silenzio” (Sal 38,2-3); e
ancora: “Io, come un sordo, non ascolto e come un muto non apro la bocca; sono come un uomo
che non sente” (Sal 37,14-15). Noi non dobbiamo ascoltarli perché ci sono estranei, né dobbiamo
obbedire loro quando ci invitano alla pratica ascetica che ci siamo proposta e non lasciamoci
sedurre da coloro che agiscono con inganno. Non dobbiamo temerli neppure se sembra che ci
aggrediscano, né se ci minacciano di morte. Sono dei deboli e perciò si limitano alle sole minacce».

28. «Fin qui ho parlato brevemente di queste cose, ma ora non esiterò a parlarne più diffusamente.
Così ne avrete un fermo ricordo. All’arrivo del Signore, il nemico cadde e le sue forze si fiaccarono.
Per questo, come tiranno, nulla potendo, pur essendo caduto non sta fermo, ma minaccia sia pure
con le sole parole. Ognuno di voi rifletta su questo e così potrà disprezzare i demoni. Se come noi
avessero avuto dei corpi, avrebbero potuto dire: “Non riusciamo a trovare gli uomini che si sono
nascosti, ma possiamo far del male a quelli che troviamo”. E noi potremmo evitarli nascondendoci e
sbarrando le porte. Ma le cose non stanno così. Infatti anche con le porte chiuse possono entrare
perché sia essi che il loro capo si trovano in tutta l’aria e sono pronti ad arrecare mali e danni, come
dice il Salvatore: “Egli è stato omicida fin da principio” (Gv 8,44). Ma noi continuiamo a vivere e
la nostra condotta di vita è contro di lui ed è evidente che i demoni nulla possono. Infatti né il luogo
vieta loro di operare il male, né scorgono in noi degli amici da risparmiare, né amano il bene per
correggerci. In realtà sono dei malvagi e non si curano di altro che di danneggiare coloro, che
amano Dio e la virtù. Non potendo far nulla, si limitano alle minacce. Se potessero fare qualche
cosa, farebbero subito del male e in questo la loro volontà è disponibile, soprattutto contro di noi.
Ecco perché ci siamo riuniti per parlare contro di loro; essi sanno che sono fiaccati dal nostro
progredire nel bene. Se avessero qualche potere, non permetterebbero di vivere a nessuno di noi
cristiani: “Per il peccatore la pietà è un abominio” (Sir 1,22). Siccome nulla possono, danneggiano
se stessi perché non hanno il potere di realizzare le loro minacce. Inoltre, per non temerli, pensiamo
anche a questo: se avessero potere, non verrebbero in massa, né con visioni, né poi preparerebbero
insidie dopo aver assunto varie sembianze. Inoltre sarebbe sufficiente che uno solo venisse e facesse
ciò che vuole e può. Chi può, infatti, non cerca di uccidere con le visioni, né atterrisce con la
moltitudine, ma si serve della propria forza, subito e a suo piacimento. Ma i demoni, che nulla
possono, giocano come se fossero sulla scena e, cambiando aspetto, spaventano i bambini con
tumulti e fantasmi. Essendo dunque dei deboli, devono essere disprezzati. Il vero angelo inviato dal
Signore contro gli assiri non ebbe bisogno di folle, né di assumere immagini, né di strepiti, né di
suoni. Usò in silenzio la sua forza e uccise subito centottantacinquemila uomini (2Re 19,35). Invece
i demoni, non avendo forza, cercano di far paura con le immagini». 

AMDG et DVM

mercoledì 17 gennaio 2018

Sant'Antonio, abate


Papa Benedetto XVI
parlò -il 20.6.2007- di san Antonio abate  quando trattò la figura del grande Padre della Chiesa Sant'Atanasio che ne scrisse la vita. Ecco le parole del Papa:

<<....
Atanasio è, infine, anche autore di testi meditativi sui Salmi, poi molto diffusi, e soprattutto di un’opera che costituisce il best seller dell’antica letteratura cristiana: la Vita di Antonio, cioè la biografia di sant’Antonio abate, scritta poco dopo la morte di questo Santo, proprio mentre il Vescovo di Alessandria, esiliato, viveva con i monaci del deserto egiziano. 

Atanasio fu amico del grande eremita, al punto da ricevere una delle due pelli di pecora lasciate da Antonio come sua eredità, insieme al mantello che lo stesso Vescovo di Alessandria gli aveva donato. 

Divenuta presto popolarissima, tradotta quasi subito in latino per due volte e poi in diverse lingue orientali, la biografia esemplare di questa figura cara alla tradizione cristiana contribuì molto alla diffusione del monachesimo, in Oriente e in Occidente. 
Non a caso la lettura di questo testo, a Treviri, è al centro di un emozionante racconto della conversione di due funzionari imperiali, che Agostino colloca nelle Confessioni (VIII,6,15) come premessa della sua stessa conversione.

Del resto, lo stesso Atanasio mostra di avere chiara coscienza dell’influsso che poteva avere sul popolo cristiano la figura esemplare di Antonio. 

Scrive infatti nella conclusione di quest’opera: 

«Che fosse dappertutto conosciuto, da tutti ammirato e desiderato, anche da quelli che non l’avevano visto, è un segno della sua virtù e della sua anima amica di Dio. Infatti non per gli scritti né per una sapienza profana né per qualche capacità è conosciuto Antonio, ma solo per la sua pietà verso Dio. E nessuno potrebbe negare che questo sia un dono di Dio. 

Come infatti si sarebbe sentito parlare in Spagna e in Gallia, a Roma e in Africa di quest’uomo, che viveva ritirato tra i monti, se non l’avesse fatto conoscere dappertutto Dio stesso, come egli fa con quanti gli appartengono, e come aveva annunciato ad Antonio fin dal principio? 

E anche se questi agiscono nel segreto e vogliono restare nascosti, il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quanti sentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nel percorrere il cammino della virtù» (93,5-6).



Sì, fratelli e sorelle! Abbiamo tanti motivi di gratitudine verso sant’Atanasio. La sua vita, come quella di Antonio e di innumerevoli altri Santi, ci mostra che «chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino» (Deus caritas est, 42).>>

AMDG et DVM

sabato 14 novembre 2015

"Chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino"


BENEDETTO XVI
   UDIENZA GENERALE  
Aula Paolo VI
Mercoledì, 20 giugno 2007
Sant’Atanasio di Alessandria

Cari fratelli e sorelle,
continuando la nostra rivisitazione dei grandi Maestri della Chiesa antica, vogliamo rivolgere oggi la nostra attenzione a sant’Atanasio di Alessandria. Questo autentico protagonista della tradizione cristiana, già pochi anni dopo la morte, venne celebrato come "la colonna della Chiesa" dal grande teologo e Vescovo di Costantinopoli Gregorio Nazianzeno (Discorsi 21,26), e sempre è stato considerato come un modello di ortodossia, tanto in Oriente quanto in Occidente. Non a caso, dunque, Gian Lorenzo Bernini ne collocò la statua tra quelle dei quattro santi Dottori della Chiesa orientale e occidentale – insieme ad Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Agostino –, che nella meravigliosa abside della Basilica vaticana circondano la Cattedra di san Pietro.

Atanasio è stato senza dubbio uno dei Padri della Chiesa antica più importanti e venerati. Ma soprattutto questo grande santo è l’appassionato teologo dell’incarnazione del Logos, il Verbo di Dio, che – come dice il prologo del quarto Vangelo – "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). Proprio per questo motivo Atanasio fu anche il più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, ridotto ad una creatura "media" tra Dio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi. Nato probabilmente ad Alessandria, in Egitto, verso l’anno 300, Atanasio ricevette una buona educazione prima di divenire diacono e segretario del Vescovo della metropoli egiziana, Alessandro. Stretto collaboratore del suo Vescovo, il giovane ecclesiastico prese parte con lui al Concilio di Nicea, il primo a carattere ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino nel maggio del 325 per assicurare l’unità della Chiesa. I Padri niceni poterono così affrontare varie questioni, e principalmente il grave problema originato qualche anno prima dalla predicazione del presbitero alessandrino Ario.

Questi, con la sua teoria, minacciava l’autentica fede in Cristo, dichiarando che il logos non era vero Dio, ma un Dio creato, un essere "medio" tra Dio e l’uomo e così il vero Dio rimaneva sempre inaccessibile a noi. I Vescovi riuniti a Nicea risposero mettendo a punto e fissando il "Simbolo di fede" che, completato più tardi dal primo Concilio di Costantinopoli, è rimasto nella tradizione delle diverse confessioni cristiane e nella liturgia come il Credo niceno-costantinopolitano. In questo testo fondamentale – che esprime la fede della Chiesa indivisa, e che recitiamo anche oggi, ogni domenica, nella Celebrazione eucaristica – figura il termine greco homooúsios, in latino consubstantialis: esso vuole indicare che il Figlio, il logos, è "della stessa sostanza" del Padre, è Dio da Dio, è la sua sostanza, e così viene messa in luce la piena divinità del Figlio, che era negata dagli ariani.

Morto il Vescovo Alessandro, Atanasio divenne, nel 328, suo successore come Vescovo di Alessandria, e subito si dimostrò deciso a respingere ogni compromesso nei confronti delle teorie ariane condannate dal Concilio niceno. 
La sua intransigenza, tenace e a volte molto dura, anche se necessaria, contro quanti si erano opposti alla sua elezione episcopale e soprattutto contro gli avversari del Simbolo niceno, gli attirò l’implacabile ostilità degli ariani e dei filoariani. Nonostante l’inequivocabile esito del Concilio, che aveva con chiarezza affermato che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, poco dopo queste idee sbagliate tornarono a prevalere – in questa situazione persino Ario fu riabilitato –, e vennero sostenute per motivi politici dallo stesso imperatore Costantino e poi da suo figlio Costanzo II. Egli, peraltro, che non si interessava tanto della verità teologica quanto dell’unità dell’Impero e dei suoi problemi politici; voleva politicizzare la fede, rendendola più accessibile – secondo il suo parere – a tutti i suoi sudditi nell’Impero.

La crisi ariana, che si credeva risolta a Nicea, continuò così per decenni, con vicende difficili e divisioni dolorose nella Chiesa. E per ben cinque volte – durante un trentennio, tra il 336 e il 366 – Atanasio fu costretto ad abbandonare la sua città, passando diciassette anni in esilio e soffrendo per la fede. Ma durante le sue forzate assenze da Alessandria, il Vescovo ebbe modo di sostenere e diffondere in Occidente, prima a Treviri e poi a Roma, la fede nicena e anche gli ideali del monachesimo, abbracciati in Egitto dal grande eremita Antonio con una scelta di vita alla quale Atanasio fu sempre vicino. 
Sant’Antonio, con la sua forza spirituale, era la persona più importante nel sostenere la fede di sant’Atanasio. Reinsediato definitivamente nella sua sede, il Vescovo di Alessandria poté dedicarsi alla pacificazione religiosa e alla riorganizzazione delle comunità cristiane. Morì il 2 maggio del 373, giorno in cui celebriamo la sua memoria liturgica.

L’opera dottrinale più famosa del santo Vescovo alessandrino è il trattato Sull’incarnazione del Verbo, il Logos divino che si è fatto carne divenendo come noi per la nostra salvezza. Dice in quest’opera Atanasio, con un’affermazione divenuta giustamente celebre, che il Verbo di Dio "si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio; egli si è reso visibile nel corpo perché noi avessimo un’idea del Padre invisibile, ed egli stesso ha sopportato la violenza degli uomini perché noi ereditassimo l’incorruttibilità" (54,3). Con la sua resurrezione, infatti, il Signore ha fatto sparire la morte come se fosse "paglia nel fuoco" (8,4). L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica di sant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, e tramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenuto realmente "Dio con noi".

Tra le altre opere di questo grande Padre della Chiesa – che in gran parte rimangono legate alle vicende della crisi ariana – ricordiamo poi le quattro lettere che egli indirizzò all’amico Serapione, Vescovo di Thmuis, sulla divinità dello Spirito Santo, che viene affermata con nettezza, e una trentina di lettere "festali", indirizzate all’inizio di ogni anno alle Chiese e ai monasteri dell’Egitto per indicare la data della festa di Pasqua, ma soprattutto per assicurare i legami tra i fedeli, rafforzandone la fede e preparandoli a tale grande solennità.

Atanasio è, infine, anche autore di testi meditativi sui Salmi, poi molto diffusi, e soprattutto di un’opera che costituisce il best seller dell’antica letteratura cristiana: la Vita di Antonio, cioè la biografia di sant’Antonio abate, scritta poco dopo la morte di questo santo, proprio mentre il Vescovo di Alessandria, esiliato, viveva con i monaci del deserto egiziano. Atanasio fu amico del grande eremita, al punto da ricevere una delle due pelli di pecora lasciate da Antonio come sua eredità, insieme al mantello che lo stesso Vescovo di Alessandria gli aveva donato. 
Divenuta presto popolarissima, tradotta quasi subito in latino per due volte e poi in diverse lingue orientali, la biografia esemplare di questa figura cara alla tradizione cristiana contribuì molto alla diffusione del monachesimo, in Oriente e in Occidente. 
Non a caso la lettura di questo testo, a Treviri, è al centro di un emozionante racconto della conversione di due funzionari imperiali, che Agostino colloca nelle Confessioni (VIII,6,15) come premessa della sua stessa conversione.

Del resto, lo stesso Atanasio mostra di avere chiara coscienza dell’influsso che poteva avere sul popolo cristiano la figura esemplare di Antonio. 
Scrive infatti nella conclusione di quest’opera: "Che fosse dappertutto conosciuto, da tutti ammirato e desiderato, anche da quelli che non l’avevano visto, è un segno della sua virtù e della sua anima amica di Dio. Infatti non per gli scritti né per una sapienza profana né per qualche capacità è conosciuto Antonio, ma solo per la sua pietà verso Dio. E nessuno potrebbe negare che questo sia un dono di Dio. Come infatti si sarebbe sentito parlare in Spagna e in Gallia, a Roma e in Africa di quest’uomo, che viveva ritirato tra i monti, se non l’avesse fatto conoscere dappertutto Dio stesso, come egli fa con quanti gli appartengono, e come aveva annunciato ad Antonio fin dal principio? E anche se questi agiscono nel segreto e vogliono restare nascosti, il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quanti sentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nel percorrere il cammino della virtù" (Vita di Antonio 93,5-6).

Sì, fratelli e sorelle! Abbiamo tanti motivi di gratitudine verso sant’Atanasio. La sua vita, come quella di Antonio e di innumerevoli altri santi, ci mostra che "chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino" (Deus caritas est, 42).

SALUTI…
Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto in particolare i Cappellani del Sovrano Militare Ordine di Malta, i Soci del Motoclub di Castellazzo Bormida e gli alunni della Scuola Elementare di Alberobello. Vi ringrazio tutti, cari amici, per la vostra visita ed invoco su di voi e sulle vostre Comunità copiosi doni celesti per una sempre più solida testimonianza cristiana.
Saluto, inoltre, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani celebreremo la memoria liturgica di san Luigi Gonzaga, mirabile esempio di austerità e purezza evangelica. Invocatelo, cari giovani, perché vi aiuti a costruire un’intima amicizia con Gesù che vi renda capaci di affrontare con serietà la vostra vita. Questo giovane santo sia per voi, cari malati, sostegno nel trasformare le sofferenze e le prove quotidiane in privilegiate occasioni per cooperare alla salvezza delle anime e renda voi, cari sposi novelli, testimoni di un amore casto e generoso.
APPELLO
Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite perché non venga meno nella pubblica opinione l’attenzione verso quanti sono stati costretti a fuggire dai loro Paesi a seguito di reali pericoli di vita.  Accogliere i rifugiati e dar loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse. Per i cristiani è, inoltre, un modo concreto di manifestare l’amore evangelico. Auspico di cuore che a questi nostri fratelli e sorelle duramente provati dalla sofferenza siano garantiti l’asilo e il riconoscimento dei loro diritti, e invito i responsabili delle Nazioni ad offrire protezione a quanti si trovano in così delicate situazioni di bisogno.  

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sabato 17 gennaio 2015

La vocazione di sant'Antonio, Abate



Dalla «Vita di sant'Antonio» scritta da sant'Atanasio, vescovo
(Capp. 2-4; PG 26,842-846)
La vocazione di sant'Antonio, Abate


    Dopo la morte dei genitori, lasciato solo con la sorella ancor molto piccola, Antonio, all'età di diciotto o vent'anni, si prese cura della casa e della sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un giorno, mentre si recava, com'era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica, andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini, di cui si parla negli Atti degli Apostoli, che, venduti i loro beni, ne portarono il ricavato ai piedi degli apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri. Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in cielo.
    Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli» (Mt 19,21).
    Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia - possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni - perché non fossero motivo di affanno per sé e per la sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì ai poveri la forte somma di denaro. Partecipando un'altra volta all'assemblea liturgica, sentì le parole che il Signore dice nel vangelo: «Non vi angustiate per il domani» (Mt 6,34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli era ancora rimasto. Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso.
    Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi» (2Ts 3,10). Con una parte del denaro guadagnato comperava il pane per sé, mentre il resto lo donava ai poveri.
    Trascorreva molto tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare continuamente (cfr. 1Ts 5,17). Era così attento alla lettura, che non gli sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell'animo ogni cosa al punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e gli uomini giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un fratello.

RESPONSORIO         Cfr. Mt 19,21; Lc 14,33
R. Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi e dallo ai poveri; * vieni e seguimi, e avrai un tesoro nel cielo.
V. Dice il Signore: Chi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo,
R. vieni e seguimi, e avrai un tesoro nel cielo.

ORAZIONE

    O Dio, che hai ispirato a sant'Antonio abate di ritirarsi nel deserto, per servirti in un modello sublime di vita cristiana, concedi anche a noi per sua intercessione di superare i nostri egoismi per amare te sopra ogni cosa. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Benediciamo il Signore.
R. Rendiamo grazie a Dio.