sabato 3 marzo 2018

Radice di tutti i mali


Capitolo 7 
L'avarizia 

L'avarizia (1) È la radice di tutti i mali [Prima Lettera a Timoteo 6,10] e nutre come maligni ramoscelli le rimanenti passioni e non permette che inaridiscano quelle fiorite da essa (2). 

Chi vuole recidere le passioni ne estirpi la radice; se infatti poti per bene i rami e l'avarizia permane, non ti gioverà a nulla, perché essi, nonostante siano stati recisi, subito fioriscono. 

Il ricco monaco È come una nave troppo carica che viene sommersa dall'impeto di un fortunale: come infatti una nave che imbarca acqua È messa alla prova da ogni onda, così il ricco È sommerso dalle preoccupazioni. 

Il monaco che nulla possiede È invece un agile viaggiatore e trova dimora ovunque. 

Egli È come l'aquila che vola in alto e scende giù a cercare cibo quando vi È costretta.

È superiore ad ogni prova, se la ride del presente e si leva in alto allontanandosi dalle cose terrene e accompagnandosi a quelle celesti: infatti ha ali leggere mai appesantite dalle preoccupazioni. 

Sopraggiunge l'oppressione ed egli lascia il luogo senza dolore; la morte arriva e quegli se ne va con animo sereno: infatti l'anima non È stata legata da vincolo terreno di sorta. 

Chi invece molto possiede soggiace alle preoccupazioni e, come il cane, È legato alla catena, e, se viene costretto ad andarsene, si porta dietro, come un grave peso e un'inutile afflizione, i ricordi delle sue ricchezze, È punto dalla tristezza e, quando ci pensa, soffre molto, ha perso le ricchezze e si tormenta nello scoramento. 

E se arriva la morte abbandona miseramente i suoi averi, rende l'anima, mentre l'occhio non tralascia gli affari; a malincuore viene trascinato via come uno schiavo fuggiasco, si separa dal corpo e non si separa dai suoi interessi (3): poiché la passione lo trattiene più di ciò che lo trascina via. 

Capitolo 8 

Il mare non si riempie mai del tutto pur ricevendo la gran massa d'acqua dei fiumi, allo stesso modo il desiderio di ricchezze dell'avaro non È mai sazio, egli le raddoppia e subito desidera quadruplicarle e non cessa mai questo raddoppio, finché la morte non mette fine a tale interminabile premura (1). 

Il monaco assennato baderà alle necessità del corpo e sopperirà con pane e acqua allo stomaco indigente, non adulerà (2) i ricchi per il piacere del ventre, né asservirà la sua libera mente a molti padroni: infatti le mani sono sempre sufficienti a servire il corpo e soddisfare le necessità naturali. 

Il monaco che non possiede nulla È un pugile che non può essere colpito in pieno e un corridore veloce che raggiunge rapidamente il premio dell'invito celeste (3). 

Il monaco ricco gioisce per i molti proventi, mentre quello che non ha nulla gode per i premi che gli vengono dalle cose ben riuscite. 

Il monaco avaro lavora duramente mentre quello che non possiede nulla usa il tempo per la preghiera e la lettura. 

Il monaco avaro riempie d'oro i penetrali (4), mentre quello che nulla possiede tesoreggia in cielo. 

Che sia maledetto colui che foggia l'idolo e lo nasconde, simile a colui che È affetto da avarizia: l'uno infatti si prostra di fronte al falso e all'inutile, l'altro porta in sé l'immagine (5) della ricchezza, come un simulacro

AMDG et DVM

Padre Pio vva ' vvisato...


15 Nolite tangere christos meos et in prophetis meis nolite malignari
16 et vocavit famem super terram omne firmamentum panis contrivit
(Psalm 104, 15-16)

15 «Non toccate i miei consacrati,
non fate alcun male ai miei profeti»

16 Chiamò la fame sopra quella terra
e distrusse ogni riserva di pane
(Salmo 104, 15-16)

"Padre Pio assicurò che questa profezia del Salmo 104 tornerebbe a realizzarsi per colpa degli uomini che si ribellano a Dio"

Le due ali della grande aquila, e il fiume di acque


Sant'Omero (Teramo), 6 maggio 1989. 
Primo sabato del mese.

Le due ali della grande aquila.


«Figli miei prediletti, oggi mi venerate in maniera speciale, nel primo sabato di questo mese di
maggio, che viene da voi particolarmente a Me dedicato.

Vi riunite in Cenacoli di fraternità e di preghiera con la vostra Mamma Celeste.

Quanto conforto date al mio profondo dolore; quanta gioia recate al mio Cuore Immacolato!

Perché, per mezzo di voi che mi avete risposto, ormai la devozione verso di Me sta rifiorendo
in tutta la Chiesa.

Così Io posso esercitare, in questi vostri tempi, il grande potere che dalla Santissima Trinità
mi è stato dato, per rendere inoffensivo l'attacco che il mio avversario, il Dragone rosso, ha
scatenato contro di Me, vomitando dalla sua bocca un fiume di acque per sommergermi.

Il fiume di acque è formato dall'insieme di tutte le nuove dottrine teologiche, che hanno
cercato di oscurare la figura della vostra Mamma Celeste, di negare i miei privilegi, di
ridimensionarne la devozione, di mettere in ridicolo tutti i miei devoti.

A causa di questi attacchi del Dragone, in questi anni, la pietà verso di Me è andata
diminuendo presso tanti fedeli e, in alcuni luoghi, è addirittura scomparsa.

Ma alla vostra Mamma Celeste sono venute in soccorso le due ali della grande aquila.
La grande aquila è la Parola di Dio, soprattutto la Parola contenuta nel Vangelo di mio figlio
Gesù.

Fra i quattro Vangeli, l'aquila indica quello di San Giovanni, perché esso vola più in alto di tutti,
entra nel cuore stesso della Santissima Trinità, affermando, con forza, la divinità, l'eternità e
la consustanzialità del Verbo e la divinità di Gesù Cristo.

Le due ali dell'aquila sono la parola di Dio accolta, amata e custodita con la fede e la parola di
Dio vissuta con la Grazia e la carità.

Le due ali della fede e della carità - cioè della Parola di Dio da Me accolta e vissuta - mi hanno
consentito di volare al di sopra del fiume di acque di tutti gli attacchi mossi contro di Me,
perché hanno manifestato al mondo la mia vera grandezza.

Poi mi sono cercata il mio rifugio nel deserto.

Il deserto, in cui ho posto la mia abituale dimora, è formato dal cuore e dall'anima di tutti
quei figli che mi accolgono, mi ascoltano, si affidano completamente a Me, si consacrano al mio
Cuore Immacolato.

Nel deserto in cui mi trovo, oggi Io opero i miei più grandi prodigi. Li opero nel cuore e
nell'anima, cioè nella vita, di tutti i miei più piccoli bambini.

Così li conduco a seguirmi sulla strada della fede e della carità, facendo ad essi accogliere,
amare e custodire la Parola di Dio ed aiutandoli a viverla ogni giorno con coerenza e con
coraggio.

Nel silenzio e nel nascondimento, cioè nel deserto in cui mi trovo, opero fortemente perché i
figli a Me consacrati credano oggi al Vangelo, si lascino guidare solo dalla Sapienza del
Vangelo, siano sempre Vangelo vissuto.

Ecco il compito che Io ho preparato alla schiera, che mi sono formata in ogni parte del mondo,
con il mio Movimento Sacerdotale Mariano: lasciarsi trasportare con Me sulle due ali della
grande aquila, cioè della fede e della carità, accogliendo con amore, in questi vostri tempi, e
vivendo la sola Parola di Dio.

I grandi prodigi che Io oggi compio, nel deserto in cui mi trovo, sono quelli di trasformare
completamente la vita dei miei piccoli figli, perché diventino coraggiosi testimoni di fede e
luminosi esempi di santità.

In questa maniera, nel silenzio e nel nascondimento, ogni giorno preparo la mia grande vittoria

"Oh... Mamma del Cielo,
aiutami a superare ogni difficoltà
con la speranza e la certezza
che presto tutto cambierà
in grande gioia e immensa felicità"
Amen.
AMDG et DVM

Ciao Svezia, e in bocca al lupo per i mondiali!

Ecco perché non abbiamo meritato i mondiali di calcio


Sapete quando ho capito che la Svezia ci avrebbe fatti fuori? Prima ancora che la partita incominciasse, quando San Siro ha fischiato l’inno nazionale svedese.
Possiedo doti di preveggenza? No, mi sono semplicemente detto: un popolo che si comporta così non merita di partecipare ai mondiali, la massima competizione calcistica. Un popolo che si comporta così merita di essere retrocesso nella più infima delle serie inferiori e costretto a meditare sulla propria mancanza di educazione e di rispetto degli altri.
Fischiare l’inno degli avversari è vergognoso, ed è da pusillanimi. Soltanto una persona meschina e vile può abbassarsi a tanto. E purtroppo San Siro è recidivo, perché ricordo che i fischi arrivarono, anni fa, anche durante l’inno della Germania e della Francia.
Dunque, in queste ore, mentre tutti si chiedono perché non ci siamo qualificati e cercano di trovare alibi o colpevoli, la vera domanda è un’altra: ma noi meritavamo di qualificarci? E lo meritavamo, prima ancora che sul piano del gioco, dal punto di vista morale?
La riposta è no. Chi si rende colpevole di un comportamento odioso come fischiare l’inno degli avversari non può essere ammesso ai mondiali.
Qualcuno dirà: ma questo è moralismo. Secondo me, no. Secondo me si tratta di guardarci in faccia e dirci la verità, per quanto possa essere sgradevole. Moralmente, un comportamento come quello di San Siro ci pone fuori dal consesso delle nazioni civili.
Direte: ma Buffon e compagni hanno applaudito, dimostrando di non condividere i fischi del pubblico. Benissimo, e sono contento che il capitano e gli altri si siano comportati così, ma la Nazionale, quando scende in campo, non rappresenta soltanto se stessa: rappresenta la nazione intera. E noi ci siamo squalificati non solo e non tanto come squadra di calcio nazionale, ma proprio come nazione. C’è una differenza tra il non qualificarsi e lo squalificarsi. Noi purtroppo ci siamo squalificati, e credo meritatamente.
A proposito di inno e di simboli ci sarebbe tanto da aggiungere. Avete notato che, allo stadio, il nostro non riusciamo mai a cantarlo tutti insieme? C’è sempre qualcuno che va troppo velocemente, per cui l’inno, che di per sé non è una bellezza (ma questo è un altro argomento) diventa a un certo punto una cacofonia. E avete notato che ci sono sempre bandiere nazionali esposte  al contrario, con il rosso al posto del verde e viceversa? Ma dico: un popolo così, che non riesce a cantare il proprio inno all’unisono, e che non ha ancora imparato l’ordine giusto dei colori nella bandiera nazionale, merita di andare ai  mondiali?
Se fischiamo l’inno altrui forse è proprio perché noi, in realtà, non riusciamo a capire che cosa sia un inno, che cosa rappresenti, quale sia la sua sacralità. Per noi è solo una canzonetta introduttiva da urlare a squarciagola, ognuno a modo suo. E questa è inciviltà, punto e basta.
La nostra mancata qualificazione ai  mondiali di calcio potrà diventare un’occasione di riflessione salutare solo se ci interrogheremo prima di tutto sul nostro stato di salute morale. Le questioni tecniche vengono dopo. Ma chi si occupa più della morale?
Trascurare l’oggettivo valore e l’oggettivo significato morale delle azioni equivale a consegnarsi alla barbarie. Occorre allora esercitare il giudizio e dare le definizioni adeguate. Ci sono le virtù e ci sono i vizi. C’è la costumatezza e c’è il malcostume. C’è l’integrità e c’è la depravazione. C’è il coraggio e c’è la codardia. C’è l’onestà e c’è la corruzione. C’è la lealtà e c’è la falsità. C’è la dignità e c’è l’indegnità. C’è la fierezza e c’è la viltà. Ma solo a pronunciarle ci accorgiamo che queste parole ci introducono in un mondo che non è più il nostro. Un mondo dal quale la valutazione morale è stata estromessa, con tutte le conseguenze che ogni giorno, se ne fossimo capaci, potremmo vedere attorno a noi e in noi.
Nelle scuole calcio, ai bambini, non bisognerebbe chiedere se vogliono fare il portiere o l’attaccante, il difensore o il centrocampista. La prima domanda dovrebbe essere: ma tu chi vuoi essere? Una persona brava o una persona spregevole? Uno che rispetta l’altro o uno che lo vuole superare con ogni mezzo? Uno leale o uno sleale?
Ed ora, chiedendo scusa a tutti gli svedesi per quanto è successo a San Siro, ecco, nella traduzione italiana, le prime strofe dell’inno della Svezia:
«Tu antico, tu libero, tu montuoso Nord / Tu silenzioso, tu bello pieno di felicità! / Io ti saluto, nazione più amichevole del mondo, / Il tuo sole, il tuo cielo, i tuoi prati verdi / Il tuo sole, il tuo cielo, i tuoi prati verdi».
Ciao Svezia, e in bocca al lupo per i mondiali!
Aldo Maria Valli