martedì 3 ottobre 2017

Tutta la somma della cristiana sapienza, o dilettissimi, consiste non nella facondia del dire, non nell'accortezza del disputare, non nella bramosia della lode e della gloria, ma nella vera e volontaria umiltà, che il Signore Gesù Cristo e scelse ed insegnò con ogni forza dal seno della Madre fino al supplizio della Croce. (san Leone Papa)



Lettura 4

Teresa del Bambino Gesù, nacque ad Alençon, in Francia, da onorati genitori, ragguardevoli per singolare e costante pietà verso Dio. Fin dalla prima età prevenuta dal divino Spirito, bramava di farsi religiosa. E seriamente promise, ch'ella non avrebbe negato a Dio niente di ciò ch'egli stesso le fosse sembrato domandare: promessa che cercò di osservare fedelmente fino alla morte. All'età di cinque anni, perduta la madre, si affidò interamente alla provvidenza di Dio sotto la vigilante custodia del padre amantissimo, e delle sorelle maggiori; alla cui scuola, Teresa esultò come un gigante nel percorrere la via della perfezione. A nove anni viene affidata in educazione alle monache Benedettine di Lisieux, dove fu vista distinguersi nella scienza delle cose divine. A dieci anni, la tormentò lungamente una misteriosa e grave malattia, da cui fu miracolosamente liberata coll'aiuto, come narra ella stessa, della beatissima Vergine, che le apparve sorridente, e che si studiò d'invocare con una novena sotto il titolo di nostra Signora della Vittoria. Allora, ripiena d'angelico fervore, cercò di prepararsi con somma diligenza al sacro convito in cui si riceve Cristo.



Lettura 5

Come gustò il pane eucaristico, parve che attingesse una fame insaziabile di questo cibo celeste; onde, come ispirata, pregava Gesù, che le cambiasse in amarezza ogni mondana consolazione. Perciò accesa di amore verso il tenerissimo Cristo Signore e verso la Chiesa, nulla ebbe più a cuore, che di entrare nell'ordine delle Carmelitane  Scalze, affinché coll'annegazione di sé, e co' suoi sacrifici potesse venire in aiuto dei sacerdoti, dei missionari e di tutta la Chiesa, e guadagnare a Gesù Cristo innumerevoli anime: cosa che, già prossima a morire, promise di fare presso Dio. Per mancanza di età, incontrò molte difficoltà nell'abbracciare la vita religiosa, ma superatele con incredibile fortezza d'animo, all'età di quindici anni, entrò felicemente nel Convento di Lisieux. Là Dio dispose ammirabili ascensioni nel cuore di Teresa, che, imitata la vita nascosta della Vergine Maria, come orto irrigato, germogliò fiori di ogni virtù, e specialmente di esimia carità verso Dio e verso il prossimo.



Lettura 6

Per piacere sempre più all'Altissimo, avendo letto nelle Sacre Scritture quel monito: «Chi è piccolo venga a me» Prov. 9,4, volle essere piccola di spirito, onde si abbandonò per sempre con figliale fiducia a Dio, come a Padre amantissimo. Ella insegnò agli altri questa via dell'infanzia spirituale, secondo la dottrina del Vangelo, specialmente alle novizie, che per obbedienza aveva accettato a formare all'amore delle virtù religiose, e così ripiena di zelo apostolico, mostrò al mondo, gonfio di superbia e amante delle vanità, la via della semplicità evangelica. Ma lo Sposo Gesù l'accese del desiderio di soffrire internamente così nell'anima come nel corpo. Inoltre osservando che la carità di Dio era affatto trascurata, presa da grandissimo dolore, due anni prima di morire, si offrì vittima all'amore di Dio misericordioso. Allora, come racconta ella medesima, fu ferita dalla fiamma del fuoco celeste: onde, consunta dalla carità, rapita in estasi, ripetendo ferventissimamente: Dio mio, ti amo; nel ventiquattresimo anno di età, il 30 Settembre del 1897 se ne volò allo Sposo. E quello che aveva promesso morendo, che avrebbe mandato sulla terra una pioggia perenne di rose, ricevuta in cielo, lo adempì realmente con innumerevoli miracoli e lo adempie continuamente. Il Sommo Pontefice Pio XI dopo averla ascritta fra i Beali e, dopo due anni, nella ricorrenza del gran giubileo, annoveratala fra le Sante, la stabilì e dichiarò speciale Patrona di tutte le Missioni.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


*

Lettura 7

Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 18:1-4
In quell'occasione: S'accostarono a Gesù i discepoli e gli dissero: Chi è, secondo te, il più grande nel regno dei cieli? Eccetera.



Omelia di san Leone Papa
Sermone 37, sulla festa dell'Epifania 7, cap. 3,4
Tutta la somma della cristiana sapienza, o dilettissimi, consiste non nella facondia del dire, non nell'accortezza del disputare, non nella bramosia della lode e della gloria, ma nella vera e volontaria umiltà, che il Signore Gesù Cristo e scelse ed insegnò con ogni forza dal seno della Madre fino al supplizio della Croce. Infatti allorquando i suoi discepoli, come dice l'Evangelista, disputavano chi di loro sarebbe il più grande nel regno dei cieli, egli chiamato un bambino, lo pose in mezzo a loro, e disse: «In verità vi dico, che se non vi cambierete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Chi dunque si farà umile come questo piccino, lui sarà il più grande nel regno dei cieli» Matth. 18,1. Cristo ama l'infanzia, ch'egli per il primo prese e coll'anima e col corpo. Cristo ama l'infanzia, maestra dell'umiltà, regola dell'innocenza, modello della mitezza. Cristo ama l'infanzia, a cui indirizza costumi dei più grandi, a cui riduce l'età dei vecchi; e spinge al suo esempio quelli che sublima al regno eterno.



Lettura 8

Affinché poi riusciamo a conoscere pienamente come si possa apprendere sì mirabile cambiamento e con quale mutazione noi si debba ritornare all'età infantile, ci istruisca il beato Paolo con dire: «Non vogliate diventare bambini nell'intelligenza, ma siate bambini nella malizia» 1Cor. 14,20. Non dunque ai giuochi e alle cose imperfette della prima infanzia dobbiamo noi tornare, ma prendere da essa qualche cosa che convenga anche agli anni maturi, in guisa che il passaggio del turbamento sia veloce, e pronto il ritorno alla pace: nessun ricordo ci sia dell'offesa, nessuna cupidigia di dignità; ci sia l'amore della carità fraterna, l'eguaglianza naturale. Infatti è gran cosa non sapere di nuocere e non conoscere malignità: poiché fare e rendere ingiuria, è la sapienza di questo mondo; ma non rendere ad alcuno male per male, è l'infanzia della cristiana bontà d'animo.



Lettura 9

A questa rassomiglianza dei piccini vi invita, o dilettissimi, il mistero della festa odierna; e questo modello di umiltà vi insinua il bambino Salvatore adorato dai Magi: il quale, per mostrare qual gloria prepara al suoi imitatori, consacrò col martirio i bambini del tempo della sua nascita; cosicché generati a Betlemme, dove nacque Cristo, colla comunanza dell'età andasse congiunta anche quella della passione. Si ami dunque l'umiltà, e si eviti dai fedeli ogni superbia. L'uno a sé preferisca l'altro e nessuno cerchi quel ch'è suo, sibbene quello dell'altro; cosicché abbondano in tutto l'affetto della benevolenza, in nessuno si trovi il veleno dell'invidia: poiché «chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» Matth. 23,12, secondo che attesta lo stesso Signore nostro Gesù Cristo, che col Padre e collo Spirito Santo vive e regna Dio per i secoli dei secoli. Così sia.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Orazione 
V. O Signore, esaudisci la mia preghiera.
R. E il mio grido giunga fino a Te. 
Preghiamo
Signore, che hai detto: Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli: dacci, te ne preghiamo, di seguire nell'umiltà e semplicità di cuore le orme della Vergine santa Teresa in tal maniera, che conseguiamo le eterne ricompense: 
Tu che sei Dio, e vivi e regni con Dio Padre in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen

lunedì 2 ottobre 2017

O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio!


TERRIBILI CASTIGHI

Il nome di veniale, dato al peccato di cui parliamo, è nome improprio, che non ne designa la natura, perchè si può attribuire anche al mortale, il quale è pur remissibile, capace di venia cioè di perdono, se l'uomo si pente, ne domanda perdono a Dio e lo confessa al sacerdote. Del resto anche la colpa veniale non ottiene remissione che con la penitenza o con qualche atto soddisfatorio. Se tu pecchi, per quanto leggermente, e non ti penti, Dio ti punirà o in questa vita o nell'altra, e ti farà scontare severamente la colpa commessa.
Anzi talvolta la Giustizia divina ha castigato in questo mondo certe colpe veniali, con un rigore che ci riempie di spavento e ci dimostra quanto essa odia il peccato, anche leggero. Nella Sacra Scrittura possiamo trovare non pochi esempi.

L'infelice moglie di Lot fu colpita di morte istantanea e cambiata in una statua di sale per una curiosità. Udiva il crepitar delle fiamme, le grida disperate dei cittadini; e si voltò per osservare quel terribile spettacolo.

Mosè ed Aronne furono esclusi dalla terra promessa per una mancanza di confidenza, quando percossero due volte la rupe per ottenere l'acqua tra le infuocate arene del deserto. Quanto non sono imperscrutabili i giudizi divini! Dio perdonò al capo del sacerdozio levitico il grave peccato di aver assecondato Israele, nel fabbricarsi il vitello d'oro, e non perdonò quella leggera diffidenza! E notiamo la gravezza del castigo. I due fratelli avevano strappato il loro popolo dalla schiavitù dei Faraoni, l'avevano condotto per il deserto, attraverso a mille stenti, difendendolo dai nemici. Avevano speso tutta la loro vita nel beneficarlo. nobilitarlo della lunga schiavitù ed elevarlo a vera nazione. Non rimaneva più che introdurlo nella terra promessa, luogo sospirato da tanto tempo e riposo beato di lunghe fatiche. Quanto tranquilli sarebbero allora discesi nella tomba benedetti dalla tribù! Ma no: essi hanno commesso un peccato veniale, e per questo peccato non toccheranno la meta ardentemente bramata. 

Vedranno da lungi quella terra fortunata, contempleranno le fertili valli baciate dalle onde del Giordano, le colline popolate di vigneti, le pianure biondeggianti di messi mature; ma non vi porranno piede. Altri coglierà il frutto delle loro fatiche, altro gusterà la gioia di porre fine al pellegrinaggio d'Israele ed intonare il cantico finale di ringraziamento all'Eterno, che nutri il suo popolo con la dolce manna e lo salvò da mille pericoli. Mosè ed Aronne moriranno senza compiere la loro missione, in castigo della loro diffidenza.

Infelice Davide! Nel colmo di sua potenza dimenticò per un istante che Dio dal campo lo aveva sollevato al trono e gli aveva cambiato l'umile bastoncello nello scettro. Fece il censimento del suo popolo e si compiacque vanamente di quel numero sterminato di sudditi, attribuendo quasi a sè quella gloria che era di Dio. Subito l'ira divina scese su di lui e domandò una severa espiazione, proponendogli tre orribili flagelli: la peste, la fame e la guerra. « Venga la pestilenza, esclamò l'umile monarca pentito, e così correrò anch'io il pericolo comune di essere infetto e punito personalmente della mia colpa ». Ed il contagio invase il popolo, e ben sessantamila perirono.

L'Arca santa veniva portata processionalmente, con gran pompa, dalla casa di Aminadab a Gerusalemme. Davide, seguito da trentamila guerrieri, il fiore dell'esercito d'Israele, nelle loro brillanti armature, le faceva corteggio, al suono delle cetre e dei timpani, tra il fumo degli incensi ed il lieto canto dei salmi. Ad un tratto i buoi recalcitrando, fanno dondolare l'Arca; ed Oza stende la mano per fermarla. Non l'avesse mai fatto! All'istante cade al suolo morto, quasi colpito dal fulmine. Egli era semplice Levita e non poteva toccare l'Arca. Quella morte improvvisa gettò lo spavento in tutti. 
Davide concepì un'idea così grande della maestà divina, che non osò più ospitare l'Arca nel suo palazzo, e la fece condurre nella casa di Obededon.
Profeta, disse un dì il Signore a Semeia, va', distruggi l'altare profano che Geroboamo edificò agli idoli ed annunziagli terribili castighi. Ma bada di non mangiare, né di bere cosa alcuna in quel luogo maledetto e di non ritornare per la via per cui sei venuto. Veloce il servo di Dio vola alla reggia, parla con voce franca all'empio monarca e con un cenno atterra l'altare. 
Legate il temerario, esclamò furibondo Geroboamo; e stese la mano verso le guardie. Ma quella, mano resta paralizzata; ed allora il superbo dovè umiliarsi ed implorare la sanità dal profeta. L'uomo di Dio pregò e gliela ottenne. 
Compiuta la sua missione, Semeia, rifiutando i doni del re, se ne ritornava per una via diversa da quella per cui era venuto. Quand'ecco incontra un altro profeta, il quale, per mettere alla prova la sua obbedienza, lo invita con calde istanze a rifocillarsi. Resiste egli, ma poi si lascia vincere. Poco dopo un leone, strumento dell'ira divina, lo sbranò per punire quella trasgressione agli ordini ricevuti.

Ascendeva Eliseo, già vecchio cadente, la bella collina di Bethel, popolata di verdi foreste; ed una turba di monelli si prese a burlarlo, dicendo: « Vieni su, o vecchione, vieni su, o calvo ». Il servo di Dio fu afflitto da quella mancanza di rispetto alle sue calvizie, e maledisse gli insolenti nel nome del Signore. Subito uscirono dalla selva due orsi feroci, che si scagliarono su quei tristi, sbranandone quarantadue.

Più terribile fu ancora la punizione toccata ai Betsamiti. Migliaia e migliaia di essi restarono fulminati per aver guardato con curiosità ed irriverenza nell'Arca santa.

Maria, sorella di Mosè, per una mormorazione contro il fratello fu punita di lebbra. 
Anania e Safra dissero una bugia a S. Pietro e furono colpiti di morte istantanea.

Dinanzi a queste terribili punizioni vengono spontanee le parole della Scrittura: Quis non timebit te, o Rex gentium? (Ier. X, 7) Quis novit potestatem irae tuae, et prae timore tuo iram dinumerare?(LXXXIX, 11, Ps.). Notiamo che in tutti questi fatti scritturali, i santi Padri vedono per lo più solamente una colpa veniale, per difetto dì materia, o per difetto di cognizione, o per difetto di volontà o per altre circostanze attenuanti.
Soggiungiamo poi a nostro conforto che certamente Dio punì con rigorosa pena temporale tali mancanze per usare misericordia nella vita futura.

Ora se Dio castiga con la morte, che è la massima pena temporale, il peccato veniale, dobbiamo concludere che essa non è cosa da nulla, come talvolta ci pensiamo, ma un male grandissimo da evitare a qualunque costo.

Mentre Dio suole spesso flagellare con tanto rigore il peccato veniale, spesso premia anche con preziosi favori le piccole corrispondenze alla grazia, per invitarci ad essere fedeli nel poco. 
Fu rivelato a S. Gregorio Magno, che il Signore gli donò la somma tiara pontificia, per un'elemosina fatta ad uno sconosciuta Euge, serve borse et fidelis, quia super pauca fuisti fidelis super multa te constituam (Matth. XXV, 23). Orsù, servo buono e fedele, perchè nel poco sei stato fedele, ti farò padrone del molto.

Un giovane gesuita, in tempo di vacanza, stava per andare a diporto, quando un Padre lo pregò di fermarsi a servirgli la Santa Messa. Acconsentì egli di buon grado, e rinunciò alla passeggiata. Dopo alcuni anni andò missionario tra gli infedeli, e colse la palma del martirio. Venne rivelato ad un confratello, che il fortunato giovane era stato da Dio favorito della grazia insigne di versare il sangue per la fede, per quel piccolo sacrifizio fatto in quel dì, a richiesta del sacerdote. O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei: quam incomprehensibilia sunt judicia eius et investigabiles viae eius (ad Romanos XI, 33)! O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio! Quanto incomprensibili sono i suoi giudizi ed imperscrutabili le sue vie!

AMDG et BVM

SAN FRANCESCO E GLI ANGELI


San Francesco d’Assisi e gli AngeliSan Francesco nacque un Umbria ad Assisi nell'ottobre 1182, primo figlio del commerciante di stoffe Pietro di Bernardone e di Giovanna Pica. Visse fino a 25 anni un'esistenza alquanto apparentemente superficiale. E’ probabile che verso i 18 anni abbia partecipato a varie scorrerie militari contro i castelli feudali. Nel 1202 nella guerra tra Assisi e Perugia fu fatto prigioniero, e dopo un anno circa di una dura prigionia però mai disperata per il figlio di Pietro B., grazie al riscatto pagato dal padre, potè ritornare a casa ammalato. 
Guarito dalla malattia ma affamato di gloria, si unì ad un nuovo esercito che si recava in Puglia; ma nella vicina Spoleto fu immobilizzato da un'altro -diciamo così- tipo di  malattia: da un'idea che divenne ricerca, e così dovette rientrare di nuovo in Assisi dove, una sera, sentì nascere nel  cuore una grande compassione per i poveri ed i lebbrosi. 

Si recò in pellegrinaggio a Roma e sotto il porticato di S. Pietro cambiò per un momento il suo ricco abbigliamento con quello logoro di un mendicante. 

Ritornato ad Assisi si recava spesso in grotte e luoghi solitari, e durante una di quelle escursioni entrò nella chiesetta diroccata di san Damiano e pregando dinanzi al Crocifisso sentì dire: ”Francesco, va' e ripara la mia Chiesa che, come vedi, va in rovina”. Allora Francesco offrì al rettore della Chiesa del denaro per riparare la piccola chiesa. Ma questi non accettò, allora Francesco rimase presso la Chiesetta di san Damiano per ripararla personalmente. 

Intanto il papà Pietro di Bernardone non riuscendo a convincere il figlio ad abbandonare San Damiano e tornare a vivere una vita "normale", lo citò/denunziò al Vescovo Guido, per obbligarlo a rinunciare a tutti i suoi averi. Però dinanzi al Vescovo e cittadini, Francesco si tolse tutte le vesti colorate e le restituì al padre con tutti i soldi che aveva dicendo : "Volentieri, carissimo: ti lascio tutto, borsa e vestiti. Oramai potrò avanzare nudo verso il Signore dicendo con tutta sincerità non più: padre mio Pietro Bernardone, ma Padre Nostro che sei nei cieli". Al colmo dell'emozione il Vescovo lo accolse nelle braccia tra le pieghe del suo mantello. Parecchi singhiozzavano. 


Rivestito di un rozzo mantello, scarto dell’ortolano del vescovo, Francesco visse  la sua regola impostata sulla fraternità universale che si estendeva a tutta la natura, improntata sulla povertà assoluta. Nella mente del “poverello di Assisi” la povertà e la fraternità erano la base affinché tutti coloro che la seguivano dovevano essere e sentirsi dei “minori” cioè religiosi che avevano scelto di mettersi al servizio dei più poveri vedendo in essi Gesù e così collocarsi all’ultimo grado della scala sociale, vivendo in questo mondo come pellegrini e forestieri. Nacquero così i Frati minori detti da Francesco Francescani che percorsero le contrade d’Italia e non solo, infiammando le popolazioni d’amore verso il Cristo, povero, umile e casto. 

Le scritti francescani più volte accennano alla devozione di S. Francesco verso gli spiriti angelici. Il suo primo biografo, Fra Tommaso da Celano scrive al riguardo: "Venerava amorosamente gli angeli, i quali combattono con noi, e con noi camminano fra le ombre di morte.
Diceva che essi devono essere venerati dovunque come compagni e non meno invocati come custodi. Insegnava non doversi offendere il loro sguardo e non osare davanti ad essi fare ciò che non si farebbe davanti agli uomini. Poiché nel coro si canta in cospetto degli angeli, voleva che quanti potevano, andassero in coro, e vi salmeggiassero devotamente”. 

Nella prima biografia del Santo viene sottolineato il ricordo di S. Maria degli Angeli, la Porziuncola, luogo prediletto di S. Francesco, perché “luogo favorito di grazie più abbondanti e da frequenti visite di spiriti angelici” (1 Celano 106: 503; Spec. 83: 786).

In due anni di vita eremitica Francesco terminò di restaurare ben tre chiese, ma amò in modo speciale la Chiesetta/cappella benedettina di S. Maria degli Angeli, che egli scelse per residenza “a causa della sua venerazione per gli Angeli e del suo speciale amore per la Madre di Cristo”. (Leg. M. 3,8: 1048). 

Le fonti francescane definiscono questo luogo “colmo di una grazia più copiosa” perché in esso gli spiriti celesti “irradiano la loro luce” e fanno “risuonare degli inni” durante le notti (Spec. 84: 1782).
Un brano della Regola non bollata, secondo il modello dell’invocazione orante ricorda i tre arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele insieme ai cori angelici: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Principati, e Potestà, Virtù, Angeli e Arcangeli (Rnb 23:67). 
Il ricordo degli angeli viene riportato nel “Sacrum Commencuim” sulle labbra della Povertà quando nel suo fervore ai gruppi di frati sotto la guida di Francesco ricorda la promessa riservata ai vergini, di essere un giorno “come angeli di Dio in cielo” e manifesta l’esultanza degli spiriti beati per i minori a cui si deve il rifiorire della purezza in tanti che li seguiranno a restauro delle “rovine della città celeste” (Scom 68:2027).
In questo racconto medioevale vi è l’idea teologica dell’occupazione dei troni celesti, lasciati liberi dagli angeli iniqui o diavoli e riservati ai santi specialmente a quelli che sono vissuti in verginità come gli spiriti celesti. 
Nelle biografie del Poverello è ricordata la visione di fra Pacifico che vede il fondatore dell’Ordine in estasi assiso su un trono “più splendido e glorioso” di tutti gli altri troni, mentre la voce soprannaturale dichiara che quel trono è stato riservato a S. Francesco per la sua umiltà, mentre era destinato all’angelo Lucifero che lo perse a causa dell'empietà, iniquità e orgoglio. Per questo S. Francesco venne chiamato dai suoi seguaci ed estimatori il “Serafico Padre”. ( 2 Cel. 122:707, Leg M 6, 6: 111; Leg P 23: 1570; Spec 60:1750). 

Sempre nelle biografie francescane è riportato l’episodio del suono melodico di cetra, toccata da un angelo che provocò al Poverello una profonda serenità e gioia (2 Cel 126: 710; Leg P 24: 1571).
Una particolare devozione aveva il nostro mistico per l’arcangelo Michele; il Celano così scrive al riguardo: ”Il beato Michele diceva spesso doversi onorare ancora più, giacché ha l’ufficio di condurre le anime a Dio. Perciò in onore di S. Michele, tra l’Assunzione e la sua festa, digiunava con gran devozione per quaranta giorni. Egli diceva:”Ognuno dovrebbe offrire a Dio una lode o altro special tributo in on ore di si gran Principe”.


A tal riguardo nell’antifona dell’Ufficio della Passione viene esplicitamente menzionato S. Michele Arcangelo  "con tutte le virtù dei cieli” (Uff.: 281). Per questa sua particolare devozione a S. Michele, San Francesco si recò in pellegrinaggio sul Monte Gargano alla grotta dell’Arcangelo forse nell’anno 1216 o nel 1222 oppure in entrambi gli anni! Secondo la biografia Francesco essendo molto umile non volle entrare nella sacra grotta perché si sentiva indegno e si fermò a pregare vicino all’ingresso. Prima di andar via, volle incidere sulla parete rocciosa un suo autografo come era di norma fare allora da parte dei pellegrini. Sulla roccia del santuario angelico non scrisse il suo nome, ma il segno del Tau, segno che rappresenta la croce e che il Santo poneva in calce alle sue lettere.
Addirittura, una volta, guarì un uomo che aveva perduto l’uso della gamba, toccandogliela con un bastoncino a forma di Tau. Per Francesco questa lettera dell’alfabeto greco era un segno della salvezza secondo la celebre visione del profeta Ezechiele (9, 3-7) nella quale uno spirito celeste sotto forma di uno scriba vestito di lino risparmia dalla morte soltanto coloro che con essa erano segnati. Indubbiamente la grotta di S. Michele costituisce un luogo sacro per eccellenza dove i fedeli possono avere il perdono di tutti i loro peccati.

Oggi nella Basilica dell’Arcangelo l’antica pietra sulla quale Francesco lasciò il suo segno non c’è più. Nel saccheggio del 1799 i soldati francesi l’asportarono con l’antica porticina d’argento che aveva in rilievo l’effige del Santo, al posto della pietra originaria ve ne è un’altra con la stessa croce come segno di salvezza. 

Francesco morì la sera del 3 ottobre 1226, due anni dopo aver ricevuto il grande miracolo delle stimmate proprio quando pregava e digiunava in  onore di S. Michele. E’ san Bonaventura che ci parla di tale quaresima in onore del principe delle schiere celesti: ”Due anni prima che rendesse lo spirito a Dio, dopo molte fatiche, la Provvidenza trasse in disparte il beato Francesco e lo condusse sul monte eccelso, chiamato la Verna.
Qui aveva iniziato a digiunare la quaresima in onore di S. Michele Arcangelo”. 
Riguardo poi a come sia avvenuta questa straordinaria stimmatizzazione ci rifacciamo sempre a S. Bonaventura che così la descrive: ”Nel settembre del 1224, in  un luogo del monte Alvernia, stando Francesco in  orazione, si sollevò in Dio coll’ardore serafico dei suoi desideri e si trasformò con gli affetti di una tenera compassione nel Signore crocifisso. Stando così, ei vide un Serafino alato con sei ali risplendenti in forma di crocifisso, che discendendo dalla sublimità del cielo, veniva con rapidissimo volo ad una certa altezza dell’aria a lui vicino.

Comparve allora tra le sue ali, la figura di un uomo crocifisso che aveva le mani e i piedi distesi e confitti in croce. Due ali  aveva sopra la testa, due erano spiegate al volo e due coprivano tutto il corpo. Alla vista di un tale oggetto restò Francesco sorpreso da straordinario stupore, e tutta la sua anima era penetrata da gaudio, misto a tristezza e dolore. 
Un eccessivo piacere gli recava la presenza di Gesù crocifisso, che a lui si faceva vedere sotto la figura di un Serafino, in  maniera sì prodigiosa e familiare. Il doloroso spettacolo però della crocifissione gli riempiva il cuore di compassione e si sentiva l’anima coll’infermità dei patimenti comparsa sotto la figura di un  Serafino e non potendo comprendere il mistero di quella visione, il Signore gli dichiarò internamente, che la visione presentata ai suoi occhi gli faceva conoscere, che dovevasi trasformare in una perfetta somiglianza di Gesù crocifisso, non per mezzo di martirio della carne, ma per via d’un incendio amoroso dell’anima. [Insomma un super-martire che soffrì il martirio del cuore per tutta una vita. Ecco il motivo della gloria del più gran Santo, il Serafico per eccellenza, il Santo dei Santi.] 

Dopo un secreto colloquio disparve la visione lasciando nell’anima di san Francesco un ardore serafico, e nel suo corpo impressa la figura del Crocifisso. 
Incominciarono subito a comparire nelle mani e nei piedi i segni dei chiodi, tali appunto, quali veduti aveva nell’immagine dell’Uomo Crocifisso. Le sue mani e i suoi piedi si videro traforati nel mezzo dai chiodi, le cui teste rotonde e nere apparivano nella palma delle mani e nella parte superiore dei piedi. Le punte alquanto sortivano dalla parte opposta, o rivoltavano e sorpassavano il resto della carne, d’onde uscivano. Aveva ancora nel lato destro una piaga simile alla ferita d’una lancia, la quale sovente gettava sangue, che gli bagnava la tonaca.

La quale stimmatizzazione combattuta acremente, fu ritenuta ed approvata dalla Chiesa, talchè Benedetto XI, nel 1304, isituì la festa della medesima, indi estesa a tutta quanta la Chiesa; festa che Papa Leone XIII indulgenziava generosamente pei Terziari Francescani coll’assoluzione e benedizione generale; e per tutti i Cristiani colla devozione delle Cinque Domeniche. 

Or qui non faremo questione chi fosse quel Serafino. Molti poggiati su l’opinione probabile di San Bonaventura espressa nel commento dell’Apocalissi 'fuisse autem Seraphis B. Michaelem Archangelum probabile admodum est', opinano che fosse S. Michele. [Leggendo Maria Valtorta si abbraccia come la certezza che fosse lo stesso Gesù]
Riguardo poi alla notizia della morte essa fu portata dallo stesso Francesco al Vescovo di Assisi che proprio in quel tempo si era recato sul Gargano in pellegrinaggio alla grotta di S. Michele. Al ritorno mentre il Vescovo sostava a Benevento, in  sogno Francesco gli apparve nella notte della sua morte e gli disse:”Ecco, Padre, lascio il mondo e vado a Cristo. Al mattino alzatosi il Vescovo narrò ai suoi compagni la visione, e  chiamato il notaio fece annotare il giorno dell’apparizione. Divenuto molto triste piangeva, per aver perduto il Padre eccellente. Giunto nella sua diocesi, raccontò l’accaduto e rese al Signore inesauribili grazie per i suoi doni”.
Don Marcello Stanzione
AMDG et BVM

Angelo di Dio. "Ha dato ordine ai suoi Angeli per te" Sal 90,11.



Sermone di san Bernardo Abate
Sul Salmo Qui habitat.

"Ha dato ordine ai suoi Angeli per te" Sal 90,11
Meravigliosa degnazione, e tenerezza di carità veramente grande! 
Difatti: Chi? a chi? per chi? che cosa ha ordinato? Consideriamolo attentamente, fratelli, e fissiamocelo bene in mente questo ordine sì importante. 
Chi ha dato l'ordine? di chi sono gli Angeli? a chi obbediscono essi? la volontà di chi eseguiscono? «Egli ha dato ordine ai suoi Angeli per te, che ti custodiscano in tutte le tue vie» Sal 90,11. Né indugiano, anzi ti portano nelle loro mani. 

La sovrana Maestà dunque ha ordinato agli Angeli, e ai suoi Angeli. Cioè a quegli spiriti sublimi, altrettanto beati che vicini a lui e uniti e veramente famigliari, ha dato ordine per te. Chi sei tu? «Cos'è l'uomo che tu ti ricordi di lui? o il figlio dell'uomo da farne conto?» Sal 8,5; 143,4. Come se «l'uomo non fosse putredine, e il figlio dell'uomo un verme!» Gb 25,6. Ma qual ordine pensi ch'egli abbia dato per te? Che ti custodiscano.


Quanto rispetto ti deve imprimere questa parola, quanta devozione ispirare, quanta confidenza infondere ! Rispetto per la sua presenza, devozione per la benevolenza, confidenza per la custodia. Cammina con cautela, perché gli Angeli, secondo ch'è stato loro ordinato, ti accompagnano in tutte le tue vie. In qualsiasi dimora, in qualsiasi angolo, porta rispetto al tuo Angelo. Tu non osare in sua presenza ciò che non oseresti davanti a me. Dubiti forse della sua presenza, perché non lo vedi? Che (faresti) se lo udissi? che se lo toccassi? che se lo sentissi? Bada che non soltanto colla vista si comprova la presenza delle cose.



Pertanto, fratelli, amiamo in Dio con tenero affetto i suoi Angeli, coi quali dobbiamo essere un giorno suoi coeredi, e che intanto il Padre ha posto accanto a noi come guide e protettori. Di che temere con tali custodi? Essi non possono essere né superati né sedotti, e meno ancora possono sedurci, essi che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti: di che paventiamo? Basta che li seguiamo, siamo attaccati ad essi, e allora saremo sotto la protezione del Dio del cielo. Ogni volta dunque che ti senti stretto da violenta tentazione e minacciato da grave tribolazione, invoca il tuo custode, la tua guida, il tuo aiuto nella necessità e nella tribolazione; gridagli forte e digli; «Signore salvaci, siamo perduti» Mt 8,25.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.




Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 18:1-10
In quell'occasione: S'accostarono a Gesù i discepoli, e gli dissero: Chi, secondo te, è il più grande nel regno dei cieli? Eccetera.

Omelia di sant'Ilario Vescovo
Comm. su Matteo, can. 18 dopo il principio



Il Signore ci insegna che solo riprendendo la natura di bambini entreremo nel regno dei cieli: cioè, distruggendo colla semplicità del bambino i vizi dei corpi e delle anime nostre. 


Egli poi chiama bambini tutti quelli che credono per la fede alla sua parola. I pargoli infatti obbediscono al padre, amano la madre, non sanno desiderare male al prossimo, non si curano delle ricchezze; non insolentiscono, non odiano, non mentono, credono a ciò che si dice, e quello che odono lo credono vero. 

Quindi bisogna ritornare alla semplicità dei pargoli; perché in questo stato, portiamo in noi l'immagine dell'umiltà del Signore.



«Guai al mondo per gli scandali» Mt18,7. L'umiliazione della passione è scandalo per il mondo. Ecco quel che sopratutto trattiene gli uomini nell'ignoranza, il non voler riconoscere sotto la ignominia della croce il Signore dell'eterna gloria. 


E che di più pericoloso per il mondo, che il non aver ricevuto Cristo? E perciò ha detto esser necessario che vi siano degli scandali; perché, per realizzare il mistero che ci deve rendere la vita eterna, l'umiliazione della croce deve essere completa in lui.


«Guardatevi dal disprezzare alcuno di questi piccini che credono in me» Mt 18,10. A quelli principalmente che veramente hanno creduto nel Signore, egli ha imposto il vincolo strettissimo del mutuo amore. Gli Angeli dei piccini infatti vedono Dio ogni giorno: «perché il Figlio dell’uomo è venuto a salvare ciò che era perduto» Mt 18,11. Così il Figlio dell'uomo salva, gli Angeli vedono Dio, e gli Angeli dei piccini presiedono alle preghiere dei fedeli. 


Che gli Angeli presiedano è dottrina certissima. Gli Angeli dunque offrono ogni giorno a Dio le preghiere dei piccini salvati da Cristo. Perciò è pericoloso disprezzare colui, i cui desideri e domande sono rapportate a Dio eterno e invisibile mediante l'ambito ministero degli Angeli, che formano la sua corte.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


http://divinumofficium.com/cgi-bin/horas/officium.pl -1910 -


AVE MARIA PURISSIMA!

Oh, Madre mia! Come ero felice a quella età! - Un paniere, un sogno, una lettera -

Nel calendario tridentino la sua festa è il 3 ottobre
"Bimba piccina dalla testa bionda, dove credi che sia Dio?"

37 - Un giorno Leonia, pensando di essere troppo grande per giocare con la bambola, venne da noi due con un paniere pieno di vestiti e di pezzetti belli di stoffa per farne altri; su queste ricchezze stava distesa la bambola. «Prendete, sorelline, scegliete, vi do tutto». Celina allungò la mano e prese un pacchetto di gale che le piacevano. Io riflettei un attimo, poi anch'io allungai la mano e dissi: «Io scelgo tutto!», e presi il paniere senza tanti complimenti; quelli che assistevano alla scenetta trovarono la cosa molto giusta, e la stessa Celina non si sognò di protestare (bisogna dire che i giocattoli non le mancavano, il suo padrino la colmava di regali, e Luisa trovava il modo di procurarle tutto quello che desiderava). Questo minimo tratto della mia infanzia è il riassunto di tutta la vita mia; più tardi, quando la perfezione mi apparve, capii che, per diventare una santa, bisognava soffrir molto, cercar sempre il più perfetto e dimenticar se stessi; capii che ci sono molti gradi nella perfezione, e che ciascun'anima è libera di rispondere agli inviti di Nostro Signore, di far poco o molto per lui, insomma di scegliere tra i sacrifici che egli chiede. Allora, come ai giorni della mia prima infanzia, esclamai: «Dio mio, scelgo tutto. Non voglio essere una santa a metà, non ho paura di soffrire per Voi, temo una cosa sola, cioè di conservare la mia volontà: prendetela, perché scelgo tutto quello che Voi volete...».

38 - Bisogna che mi fermi, non devo ancora parlarle della mia giovinezza, bensì del furicchio di quattro anni. Mi ricordo di un sogno che mi capitò verso quell'età e che si incise profondamente nella mia immaginazione. Una notte sognai che uscivo per andare a spasso, in giardino, sola. Giunta agli scalmi che bisognava salire per arrivarvi, mi fermai spaventata. Davanti a me, vicino alla pergola c'era un barile di calce, e su questo barile due orribdi diavolini ballavano con agilità sorprendente nonostante i ferri da stiro che avevano ai piedi; a un tratto lanciarono verso di me i loro sguardi fiammeggianti, poi, nello stesso momento, parvero assai più spaventati di me, si precipitarono giù dal barile, e andarono a nascondersi nella lavanderia ch'era di faccia. Vedendoli così poco coraggiosi volli vedere cos'andavano a fare, e mi avvicinai alla finestra. I diavolini erano li, correvano sulle tavole e non sapevano come fare per fuggire il mio sguardo; a momenti si avvicinavano alla finestra, guardavano inquieti se ero ancor li, e, vedendomi, ricominciavano a correre come disperati. Certo, questo sogno non ha nulla di straordinario, eppure io credo che il Signore mi abbia permesso di ricordarmene per provarmi che un'anima in stato di grazia non ha nulla da temere dai demoni i quali sono vigliacchi, capaci di fuggire davanti allo sguardo di una bambina.

39 - Ecco un altro passo di una lettera di Mamma. Già quella povera Madre presentiva la fine del suo esilìo: «Le due piccole non mi preoccupano, sono tanto care tutte due, sono nature scelte, certamente saranno buone. Maria e tu potrete educarle perfettamente. Celina non commette mai la minima colpa volontaria. La piccina sarà buona anche lei, non direbbe una bugia per tutto l'oro del mondo, e ha spirito come non ne ho visto a nessuna di voi. L’altro giorno era dal pizzicagnolo, con Celina e Luisa, parlava delle sue "pratiche" e discuteva a voce alta con Celina; la padrona ha detto a Luisa: "Ma che vuol dire, quando gioca in giardino, non si sente parlar che di 'pratiche'? La signora Gaucherin allunga la testa dalla finestra per cercar di capire quel che vuol dire questa discussione sulle pratiche...". Cara piccina! Forma la nostra gioia, sarà buona, già si vede il germe; non parla che di Dio, non mancherebbe alle sue preghiere per niente al mondo. Vorrei che tu la vedessi recitare una favoletta, non ho visto mai cosa tanto gentile, trova da sé l'espressione e il tono, ma soprattutto quando dice: "Bimba piccina dalla testa bionda, dove credi che sia Dio?", quando è a: "Lassù nel Cielo blu" volge in alto lo sguardo con una espressione di angelo. Non ci stanchiamo di farglielo dire, tanto è bello, c'è nello sguardo di lei un che di celeste che rapisce...».
LAUS DEO
et MARIAE