venerdì 21 giugno 2013

Storia della Vergine della Rivelazione. 3. «SONO LA VERGINE DELLA RIVELAZIONE»


3. «SONO LA VERGINE DELLA RIVELAZIONE»

A un tratto la Bella Signora incomincia a parlare, dando inizio a una lunga rivelazione. Si presenta immediatamente: «Sono colei che sono nella Trinità divina... Sono la Vergine della Rivelazione... Tu mi perseguiti, ora basta! Entra nell'ovile santo, corte celeste in terra. Il giuramento di Dio è e rimane immutabile: i nove venerdì del Sacro Cuore che tu facesti, amorevolmente spinto dalla tua fedele sposa, prima di iniziare la via dell'errore, ti hanno salvato!»

Bruno ricorda che la voce della Bella Signora era «così melodiosa, sembrava una musica che entrava dentro gli orecchi; la sua bellezza nemmeno si può spiegare, la luce, smagliante, qualcosa di straordinario, come se il sole fosse entrato dentro la grotta».

La conversazione è lunga; dura un'ora e venti minuti circa. 
Gli argomenti toccati dalla Madonna sono molteplici. 
Alcuni riguardano direttamente e personalmente il veggente. 
Altri riguardano la Chiesa intera, con un particolare riferimento ai sacerdoti. 

Poi c'è un messaggio da consegnare personalmente al papa.



A un certo punto la Madonna muove un braccio, il sinistro, e punta l'indice verso il basso..., indicando qualcosa ai suoi piedi... Bruno segue con l'occhio il gesto e vede per terra un drappo nero, una veste talare da prete e accanto una croce spezzata. «Ecco», spiega la Vergine, «questo è il segno che la Chiesa soffrirà, sarà perseguitata, spezzata; questo è il segno che i miei figli si spoglieranno... Tu, sii forte nella fede!...». La celeste visione non nasconde al veggente che lo attendono giorni di persecuzione e di prove dolorose, ma che lei lo avrebbe difeso con la sua materna protezione. 

Poi Bruno viene invitato a pregare molto e a far pregare, recitare il rosario quotidiano. E specifica in particolare tre intenzioni: la conversione dei peccatori, degli increduli e per l'unità dei cristiani

E gli rivela il valore delle Ave Maria ripetute nel rosario: «Le Ave Maria che voi dite con fede e con amore sono tante frecce d'oro che raggiungono il Cuore di Gesù». Gli fa una bellissima promessa: «Io convertirò i più ostinati con prodigi che opererò con questa terra di peccato». 

E per quanto riguarda uno dei suoi celesti privilegi che il veggente combatteva e che ancora non era stato definito solennemente dal Magistero della Chiesa (lo sarà tre anni dopo: il messaggio personale al papa riguardava forse questa proclamazione?...), la Vergine, con semplicità e chiarezza, gli toglie ogni dubbio: «Il mio corpo non poteva marcire e non marcì. Mio Figlio e gli angeli mi vennero a prendere al momento del mio trapasso». Con queste parole, Maria si presentava anche come Assunta in Cielo in anima e corpo. 



Ma occorreva dare al veggente la certezza che quella esperienza che stava vivendo e che tanto avrebbe inciso nella sua vita non era una allucinazione o un incantesimo, e tanto meno un inganno di Satana. Per questo gli dice: «Desidero darti una sicura prova della divina realtà che stai vivendo perché tu possa escludere ogni altra motivazione del tuo incontro, compresa quella del nemico infernale, come molti ti vorranno far credere. E questo è il segno: dovrai andare per le chiese e per le vie. Per le chiese al primo sacerdote che incontrerai e per le strade a ogni sacerdote che incontrerai, tu dirai: "Padre, devo parlarle!". Se costui ti risponderà: "Ave Maria, figliolo, cosa vuoi?", pregalo di fermarsi, perché è quello da me scelto. A lui manifesterai ciò che il cuore ti dirà e ubbidiscilo; ti indicherà infatti un altro sacerdote con queste parole: «Quello fa per il caso tuo"»


Continuando, la Madonna lo esorta a essere «prudente, ché la scienza rinnegherà Dio», quindi gli detta un messaggio segreto da consegnare personalmente alla «Santità del Padre, supremo pastore della cristianità», accompagnato però da un altro sacerdote che gli dirà: «Bruno, io mi sento legato a te»


«Poi la Madonna», riferisce il veggente, «mi parla di ciò che sta avvenendo nel mondo, di quello che succederà nell'avvenire, come va la Chiesa, come va la fede e che gli uomini non crederanno più... Tante cose che si stanno avverando adesso... Ma molte cose si dovranno avverare...». E la celeste Signora lo conforta: «Alcuni a cui tu narrerai questa visione non ti crederanno, ma non lasciarti deprimere»


Al termine dell'incontro, la Madonna fa un inchino e dice a Bruno: «Sono Colei che sono nella Trinità divina. Sono la Vergine della Rivelazione. Ecco, prima di andare via io ti dico queste parole: la Rivelazione è la Parola di Dio, questa Rivelazione parla di me. Ecco perché ho dato questo titolo: Vergine della Rivelazione». Poi fa alcuni passi, si gira ed entra dentro la parete della grotta. Termina allora quella grande luce e si vede la Vergine che si allontana lentamente. 

La direzione presa, andando via, è verso la basilica di S. Pietro. Carlo è il primo a riaversi e grida: «Papà, si vede ancora il manto verde, il vestito verde!», ed entrando di corsa nella grotta: «Io la vado a prendere!». Si trova invece a sbattere contro la roccia e comincia a piangere, perché ha urtato le mani contro di essa. 

Poi tutti riprendono i sensi. 

Per qualche attimo rimangono sbalorditi e silenziosi. 


«Povero papà», ha scritto tempo dopo Isola nel suo quaderno di ricordi; «quando la Madonna se ne è andata, era pallido e noi stavamo attorno a lui a chiedergli: "Ma chi era quella Bella Signora? Che ha detto?". Egli ci ha risposto: "La Madonna! Dopo vi dirò tutto"». 




Ancora sotto shock, Bruno molto saggiamente domanda separatamente ai bambini, cominciando da Isola: «Tu, cosa hai visto?». La risposta corrisponde esattamente a ciò che ha visto lui. La stessa cosa risponde Carlo. Il più piccolo, Gianfranco, non conoscendo ancora il nome dei colori, dice soltanto che la Signora aveva un libro in mano per fare i compiti e... masticava la gomma americana... Da questa espressione, Bruno si rende conto che lui solo aveva inteso ciò che la Madonna aveva detto, e che i bambini avevano avvertito soltanto il movimento delle labbra. 

Allora dice loro: «Beh, facciamo una cosa: puliamo dentro la grotta perché quello che abbiamo visto è qualcosa di grande... Però non lo so. Adesso stiamo zitti e puliamo dentro la grotta». E' sempre lui che racconta: «Si prendono tutte quelle porcherie e si gettano dentro i cespugli di spine... ed ecco che la palla, andata nella scarpata verso la strada dove si ferma l'autobus 223, improvvisamente riappare dove noi avevamo pulito, dove c'erano tutte quelle porcherie di peccato. La palla è lì, per terra. 




Io la prendo, la metto sopra quel taccuino dove io avevo scritto i primi appunti, ma non ero riuscito a terminare ogni cosa. «All'improvviso, tutta quella terra che noi abbiamo pulito, tutta quella polvere che abbiamo innalzato, profumava. Che profumo! Tutta la grotta... Toccavi le pareti: profumo; toccavi per terra: profumo; ti allontanavi: profumo. Insomma, ogni cosa lì profumava. Io mi asciugavo gli occhi dalle lacrime che mi scendevano e i bambini contenti, gridavano: "Abbiamo visto la Bella Signora!"». «Beh!... come già vi ho detto, stiamo zitti, per ora non diciamo nulla!», ricorda il papà ai bambini. 

Poi si siede su un masso fuori dalla grotta e mette per iscritto frettolosamente quanto gli è accaduto, fissa le sue prime impressioni a caldo, ma terminerà a casa il lavoro completo. 

Ai bambini che lo stanno guardando dice: «Vedete, papà vi ha sempre detto che 

dentro quel tabernacolo cattolico non c'era Gesù, che era una bugia, 

un'invenzione dei preti; adesso vi faccio vedere dove sta. Andiamo giù!». Tutti 

si rimettono i vestiti tolti per il caldo e per giocare e si dirigono verso l'abbazia 

dei padri trappisti. Ma prima di lasciare la grotta, Bruno toglie di tasca il suo 

temperino e con quello incide sulla parete esterna queste parole: «In questa 

grotta, il 12 aprile 1947, la Vergine della Rivelazione è apparsa al protestante 

Bruno Cornacchiola e ai suoi figli».




AVE 

GIGLIO BIANCO DELLA TRINITA'

È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.



NON PIANGE PIU' NESSUNO


Editoriale di Radicati nella fede, foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la messa tradizionale)
anno VI - GIUGNO 2013 n. 6

- impaginazione e neretti sono nostri -



Se non ci sono più preti non piange quasi più nessuno. È questa la triste constatazione che ci tocca fare.

Assistiamo alla più grande crisi sacerdotale della storia della Chiesa, intere terre in Europa sono ormai senza sacerdote e tutto tace. Non sentirete nemmeno un vescovo gridare all'allarme, piangere con i suoi fedeli, domandare a tutti una grande preghiera per le vocazioni sacerdotali; intimare un digiuno e una grande supplica perché il Signore abbia pietà del suo popolo.

Sentirete, questo sì, vescovi e responsabili di curia descrivere i numeri di questo calo vertiginoso di presenza dei preti nella Chiesa, li sentirete elencare i dati pacatamente, troppo pacatamente, in modo distaccato, come se fosse una situazione da accettare così com'è, anzi la chance per una nuova Chiesa più di popolo.

Nella nostra terra italiana, terra di antica cristianità, assisteremo in questi prossimi anni alla scomparsa delle parrocchie, allo stravolgimento, impensabile fino a qualche anno fa, della struttura più semplice del Cattolicesimo, di quella trama di comunità parrocchiali dove la vita cristiana era naturale per tutti... ma l'assoluta maggioranza dei cattolici impegnati farà finta di niente, perché i pastori hanno già fatto così.


È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.
Si fa finta di niente, perché bisogna che la favola della primavera del Concilio continui. Ci si sottrae a qualsiasi verifica storica, si nega l'evidenza di una crisi senza precedenti.

E si prepara un futuro che ci sembra poco cattolico.

Sì, perché si parla di “ristrutturare” l'assetto delle comunità cristiane, di fare spazio ai laici (come se in questi anni non ne avessero avuto a sufficienza), si inventa un nuovo genere di fedeli cristiani che diventeranno gli addetti delle parrocchie, che di fatto sostituiranno i preti. 
Fedeli laici “clericalizzati”, un nuovo genere di preti che terranno le chiese... e nell'attesa di una qualche messa predicheranno loro, come cristiani adulti, il Verbo di verità...

 ...ma nessuno piange, nessuno prega gridando a Dio.

Forse non gridano perché da anni qualcuno ha preparato questo terremoto nella Chiesa.

Hanno svilito il sacerdozio cattolico, trasformando i preti da uomini di Dio ad operatori sociali delle comunità. 
Hanno ridotto loro il breviario e la preghiera, gli hanno imposto un abito secolare per essere come tutti, gli hanno detto di aggiornarsi perché il mondo andava avanti... e gli hanno detto di non esagerare la propria importanza, ma di condividere il proprio compito con i fedeli, con tutti.

E come colpo di grazia gli hanno dato una messa che è diventata la prova generale del cataclisma nella Chiesa: non più preghiera profonda, non più adorazione di Dio presente, non più unione intima al sacrificio propiziatorio di Cristo in Croce, ma cena santa della comunità. Tutta incentrata sull'uomo e non su Dio, tutta un parlare estenuante per fare catechesi e comunità. Una messa che è tutto un andirivieni di laici sull'altare, prova generale di quell'andirivieni di signori e signore che saranno le nostre ex parrocchie senza prete.

E con la messa “mondana”, hanno inculcato la dottrina del sacerdozio universale dei fedeli... stravolgendone il significato. I battezzati sono un popolo sacerdotale in quanto devono offrire se stessi in sacrificio, in unione con Cristo crocifisso, offrire tutta la loro vita con Gesù. 
I fedeli devono santificarsi: questo è il sacerdozio universale dei battezzati. 
Ma i fedeli non partecipano al sacerdozio ordinato che è di altra natura, che conforma a Cristo sacerdote. 
E’ attraverso il sacramento dell’Ordine che Cristo si rende presente nella grazia dei sacramenti. Se non ci fossero più preti sarebbero finite sia la Chiesa che la grazia dei sacramenti.

Martin Lutero e il Protestantesimo fecero proprio così: distrussero il sacerdozio cattolico dicendo che tutti sono sacerdoti: sottolineando appunto il sacerdozio universale, il laicato. 

Nella pratica della ristrutturazione delle parrocchie forse si finirà così: diverso sarebbe stato affrontare questa crisi con nel cuore e nella mente un'alta stima del sacramento dell'ordine, sapendo che il prete è uno dei doni più grandi per la Chiesa e per il popolo tutto; ma così non è: si affronterà questa crisi dopo anni di protestantizzazione e di relativizzazione del compito dei preti. 

Si affronterà questa crisi dopo anni di confusione totale nella vita del clero; dopo anni di disabitudine alla messa quotidiana e alla dottrina cattolica: così i fedeli faranno senza il prete, anzi già fanno senza. E quando un prete arriverà, non sapranno più che farsene, abituati a credere che il Signore li salva senza di loro e i loro sacramenti.

A noi sembra ingiusto far finta di niente.

Per questo chiediamo ai nostri fedeli di pregare con forza perché il Signore torni a concedere, come un tempo, tanti sacerdoti alla sua Chiesa.

Cari fedeli, in questo mese di giugno, che è il mese delle sacre ordinazioni, abbiamo il coraggio di chiedere, anche con le lacrime, questa grazia al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.

E teniamo come dono preziosissimo la Messa di sempre, la Messa della tradizione, che sola saprà dare nuovi preti alla Chiesa di Dio.

Andate...Predicate...Battezzate...

giovedì 20 giugno 2013

La vera partecipazione col cuore, con la mente, col corpo alla Santa Messa



La partecipazione attiva dei fedeli
alla Santa Messa








Per quem maiestátem tuam láudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes, ac beáta Séraphim, sócia exsultatióne concélebrant. Cum quíbus et nostras voces, ut admítti iúbeas deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:
Sanctus, Sanctus, Sanctus




Questa espressione del titolo è intesa generalmente come un apporto del Concilio Vaticano II e, in particolare, della cosiddetta riforma liturgica che ne è seguita. In questi quarant’anni sono migliaia gli interventi che hanno sottolineato come questa supposta novità sarebbe stata introdotta nella liturgia cattolica per incrementare la consapevolezza dei fedeli a riguardo della celebrazione liturgica. Autorevoli commentatori, chierici e laici, hanno presentato questa supposizione come uno degli elementi portanti della nuova Messa di Paolo VI, da cui sarebbe scaturito, logicamente, anche l’uso del volgare in tutta la liturgia.
I fedeli, diversamente da come accadeva “una volta”, oggi devono partecipare alla celebrazione della liturgia: è stato questo il ritornello ripetuto con tutti gli arrangiamenti possibili.
In realtà, come si sono accorti in molti in questi anni, si tratta di una vera e propria bufala. Una manipolazione del linguaggio che non esitiamo ad accostare ad una vera e propria truffa. Il guaio è che i truffatori sono tutti chierici, spesso di alto profilo, e i truffati sono i fedeli cattolici. E questo è uno dei tasselli che compone il variegato mosaico della crisi attuale della Chiesa cattolica.

Anche a voler trascurare, per il momento, i documenti del Magistero di prima del Concilio, basta riflettere seriamente con l’aiuto del semplice buon senso per rendersi conto che non è sostenibile che per duemila anni i fedeli cattolici non abbiano partecipato attivamente alle celebrazioni liturgiche, e massimamente alla celebrazione della Santa Messa.
Chiunque abbia un minimo di sale in zucca comprende senza il minimo sforzo che non è possibile che i nostri nonni si recassero in chiesa senza predisporsi mentalmente e spiritualmente ad assistere alla celebrazione dei Santi Misteri e senza partecipare per tutta la durata della celebrazione col cuore, con la mente e col corpo. Se così non fosse ne deriverebbe che per duemila anni la Chiesa sarebbe esistita solo in maniera manchevole e inefficace, per non dire fittizia; e i Martiri e i Santi sarebbero sorti “così per caso” senza alcun apporto da parte della Chiesa e della sua liturgia.

Sembra così elementare! Eppure ancora oggi ascoltiamo e leggiamo gli stessi ritornelli.

La prima considerazione che occorre fare è relativa all’uso dei termini.
In chiave moderna, quando si parla di partecipazione attiva, la mente corre subito all’azione, al fare, al concorrere a fare, al contribuire a fare. È la maledizione del mondo moderno: noi esistiamo non per essere, ma per fare. Così che se non facciamo qualcosa significa che non siamo.
La trasposizione pratico-sociale del “dover fare” è l’imperativo del “produrre”, oggi un uomo che non produce è un parassita, non è un uomo. E per produzione si intende strettissimamente la realizzazione di cose, di cose “utili”.

È questo il paradigma della concezione moderna. E quando i modernisti cattolici incominciarono ad usare l’espressione “partecipazione attiva dei fedeli”, è questo paradigma che avevano in mente, ed è a questo che hanno mirato per quarant’anni. I fedeli dovevano partecipare alla celebrazione liturgica intervenendo attivamente, di persona. Così hanno stravolto la liturgia, andando perfino oltre a quanto indicato, pure ad libitum, nello stesso Messale moderno.
E quando fu evidente a tutti che una tale “partecipazione attiva” era praticamente impossibile, perché non era possibile che tutti i fedeli presenti “facessero” qualcosa di persona, si ripiegò sulla “dimensione comunitaria”: era l’assemblea a dover fare. In pratica un trucco per nascondere che i fedeli, di fatto, non hanno niente da fare nella celebrazione, che è compito del celebrante, il solo preposto, il solo appositamente “ordinato”, il solo preventivamente e specificamente “unto”, di fatto  l’“alter Christus”, colui che presta la sua persona a Cristo, l’unico vero celebrante.

Tuttavia, “la partecipazione attiva dei fedeli”, lo dicevamo prima, è cosa vecchia come la Chiesa, per forza di cose. Bisogna allora cercare di capire che cosa debba intendersi con questa espressione, prescindendo dall’influenza del linguaggio moderno e attenendosi al senso della Chiesa e della sua divina liturgia e al significato dell’essere fedeli cattolici.

Partecipazione col cuore

In questa ottica, la partecipazione attiva del fedele è data innanzi tutto dalla consapevolezza che egli partecipa alla liturgia della Chiesa, che è la liturgia scaturita dagli insegnamenti di Cristo e attuata poi dagli Apostoli. Una liturgia che non è la sua, perché è primariamente la “divina liturgia” che si celebra in terra come in cielo per rendere grazie a Dio Onnipotente per mezzo del Suo Divino Figlio e secondo i Suoi insegnamenti.
Il primo elemento della partecipazione attiva del fedele è dunque costituito dalla sua disposizione interiore, dal suo volgersi all’altare conscio della sua piccolezza e della sua distanza, timoroso per i suoi peccati e speranzoso nella misericordia e nella grazia divina.
Il fedele si sforza per disporsi ricettivamente nei confronti della grazia santificante che scaturisce dalla riattualizzazione del Santo Sacrificio che si compie sull’altare per la salvezza sua e di tutti i presenti e gli assenti, dei vivi e dei morti. Si sforza per offrirsi con cuore contrito e con animo pieno di speranza alla grazia divina, e prega il Signore di renderlo degno della sua misericordia.
In questo lavoro interiore vi è molta più attività che in tutto il lavoro manuale e intellettivo da lui svolto nella sua vita ordinaria. Un’attività che egli svolge principalmente nei confronti di se stesso, perché nulla potrebbe offrire a Dio che non fosse purificato e mosso dalla buona e retta volontà.
In altre parole, si tratta della partecipazione attiva col suo cuore, con la sua essenza intima. Una partecipazione che non si mostra agli occhi altrui, una partecipazione così personale che solo ogni fedele per conto suo può attuare. Una partecipazione che è un rapporto diretto tra lui e Iddio, realizzato a mezzo della Santa Messa, un rapporto tra la sua anima e l’Onnisciente suo Signore: «mio Signore e mio Dio!».

Partecipazione con la mente

Una tale disposizione interiore presuppone una sorta di allenamento, un lavoro preventivo che il fedele fa ogni giorno con le sue preghiere e con la mente sempre rivolta al Signore, pur in mezzo al travaglio della sua vita quotidiana.
E questo introduce l’altra componente della partecipazione attiva del fedele. La sua mente sempre rivolta al Signore, a cui offre tutte le sue tribolazioni e tutte le sue sofferenze, a cui rivolge una continua supplica perché l’aiuti e l’assista nell’ora presente. E vengono alla mente del fedele tutti i suoi bisogni materiali e spirituali, quelli della sua famiglia, dei suoi amici, dei malati e degli afflitti, e tutti insieme li elabora, li considera e li presenta al Signore perché nella sua infinita misericordia allevii le sofferenze materiali e i tormenti spirituali che dobbiamo affrontare nel nostro breve viaggio in questa valle di lacrime. E alza gli occhi al cielo, posa lo sguardo sul Crocifisso, guarda la croce… e lì inchiodato il corpo di Gesù, … e con la mente va alle indicibili sofferenze da Lui patite fino al patibolo, e riflette… sulla incredibile azione del Figlio di Dio, incarnatosi per poi offrirsi, Agnello sacrificale, in riscatto dei peccati del mondo. Ad offrirsi per me, per aiutarmi a salire al Cielo. E riflette sul significato della S. Messa, nella quale tutto questo si riattualizza… ora, adesso, in questa chiesa, col Sacrificio dell’altare, per il tramite del sacerdote. Tutto si riattualizza per me, per me che sono qui adesso, per me che sono indegno, per me peccatore. Deo gratias… ripete la sua mente.

Partecipazione col corpo

Un tale atteggiamento mentale presuppone un dominio della volontà, una disposizione di rinuncia di sé, il bisogno di sentirsi tutto proteso verso Dio, financo col proprio corpo, dimentico di tutti, incurante della presenza degli altri, quasi col corpo che sente, e pensa, e prega insieme al cuore e alla mente. 
E questo costituisce l’altra componente della partecipazione attiva del fedele. Questa volta anche visibile. Il corpo che si conforma alla mente e al cuore. Tutto del corpo. L’abbigliamento, il movimento, la postura, i gesti, la voce. Tutto per conformare la propria presenza nella casa di Dio all’azione liturgica che si sta compiendo in essa.
E le sue mani si raccolgono in preghiera, e le sue ginocchia si piegano, e il suo capo e i suoi occhi si chinano al cospetto della Maestà Divina simboleggiata dalla croce raggiante sull’altare, e con voce chiara confessa: «mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa» … e dal cuore sale alle labbra l’invocazione: «Kyrie, eleison, Christe, eleison, Kyrie, eleison» «Signore, abbi pietà di me». E segue il sacerdote che all’altare compie il Rito, considerando e rispondendo, con la voce e con i gesti, confermando il suo assenso alle preghiere che l’“alter Christus” rivolge al Padre: «Amen». 
E con lui rende Gloria all’Altissimo, al Padre: «…Domine Deus, Rex celestis, Deus Pater omnipotens…», e al Figlio: «…Iesu Christe, Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris…», e allo Spirito Santo: «… cum Sancto Spiritu, in gloria Dei Patris.»
E con lui giura la sua fede: «Credo in unum Deum … et in unum Dominum Iesum Christum … et in Spiritum Sanctum … et in unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam … in unum baptisma … et resurrectionem mortuorum, et vitam aeternam.»
E partecipa all’offerta del Sacrificio: «Suscipiat Dominus sacrificium…»
E si prepara per la parte più importante della celebrazione: «Sursum corda!», esorta il sacerdote… e egli tutto proteso in alto, col cuore, con la mente, col corpo… «Habemus ad Dominum!», risponde.
E quando il sacerdote si concentra nella recita silenziosa del Canone, sprofonda in religioso silenzio e si raccoglie e si concentra, … il Signore sta per rendersi presente … nessun suono, nessuno sguardo, nessuna distrazione. … E il Signore si rende presente… e il fedele in cuor suo prega Iddio misericordioso perché gli conceda la sua grazia santificante: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore».
E invoca il Signore presente nelle Sacre Specie: «Agnus Dei … Agnus Dei … Agnus Dei».
«Ecce Agnus Dei», dice il celebrante, e lui cade in ginocchio davanti all’Ostia Consacrata: «Domine, non sum dignus» ripete per tre volte col cuore, con la mente e con le labbra, e si percuote il petto: «Domine, non sum dignus»… e professa la sua fede nel Redentore: «sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea».
E si accosta tremebondo allo spazio sacro, da dove, separato, l’“Alter Christus” porge ai fedeli il Corpo di Cristo, … si raccoglie in ginocchio per assumere la Specie salvifica frutto del Sacrificio dell’altare, pregando il Signore Gesù perché gli permetta di entrare in comunione con Lui, così da pregustare in terra la futura Comunione in Cielo… Non una parola… le labbra dischiuse al pari del cuore… lasciando che Gesù Sacramentato si poggi sulla sua lingua come un sigillo e si lasci manducare. Si ritira, chino e genuflettendo, per andarsi a raccogliere discosto… non c’è più neanche il mondo… solo il Figlio di Dio dentro di me, indegno peccatore: «Anima Christi, sanctífica me… Corpus Christi, salva me».

Tutto questo da sempre, da quando gli Apostoli adempirono per la prima volta al comandamento del Signore Gesù: «Haec quotiescúmque fecéritis, in mei memóriam faciétis» … «Ogni qualvolta farete questo, lo farete in memoria di me».

La partecipazione è individuale

Questa la partecipazione attiva dei fedeli. 
Che si coniuga sempre con la più elementare delle realtà: il fedele che deve attuarla.
Non un fedele immaginario, un tipo supposto possibile, un irreale frutto di qualche retorica declamatoria. Ma un fedele in carne ed ossa, un fedele che nella sua individualità è semplicemente irripetibile, un fedele che è ciò che è per i doni che Dio gli ha concessi e per i limiti che gli sono propri. Un fedele che sente, che pensa e che prega come solo lui sa fare e come solo lui può fare. Un fedele che è lui stesso e non un altro.
E questo fedele ha una sua personale sensibilità, un suo personale modo di rivolgersi a Dio, una sua specifica possibilità di comportamento, che sfuggono all’omologazione. Egli pensa come sa fare, riflette come sa fare, prega come sa fare, si muove come sa fare, pur nel quadro normativo complessivo della Ecclesia orante che innalza a Dio preci, inni e cantici spirituali. Una comunità di fedeli che non sarà mai un gregge di pecore, né un battaglione in parata, ma un insieme di singoli uomini e di singole donne che tendono ad essere una sola cosa per Cristo, con Cristo, in Cristo. Singoli uomini e donne che tali continueranno a rimanere e come tali si presenteranno, si comporteranno, vivranno il Rito liturgico, parteciperanno attivamente ad esso.
Da qui, brevemente, i tanti modi di partecipare e di pregare, dal concorso nel coro all’orazione personale, dall’uso del messalino all’uso del rosario, dalla partecipazione al canto all’ascolto del canto, dal silenzio del Canone al silenzio per tutta la Messa, dalla genuflessione saltuaria alla genuflessione continua, e potremmo elencare tanti modi per quanti fedeli ci sono. Il tutto in perfetta coerenza ed aderenza con lo svolgimento e il ritmo della celebrazione così come richiesto, raccomandato e prescritto dalla Santa Madre Chiesa. Una partecipazione che a certuni potrà apparire scollata dalla celebrazione stessa, ma che nella realtà vera è una sorta di naturale espressione della varietà delle opere e dei doni di Dio, resa più evidente, quasi un compendio, nell’uomo.

Qualche documento

È questo che ha sempre raccomandato la Chiesa, con esortazioni diverse, con istruzioni diverse, soprattutto con la catechesi; e quando è andata aumentando la tiepidezza dei fedeli, i Papi hanno ricordato, ammonito, prescritto, e i parroci hanno stimolato, perfino sostenendo la devozione popolare e personale, perché nel corso della S. Messa tutto fosse rivolto alla Gloria dell’Altissimo.
Difetti, manchevolezze, trascuratezze, superficialità non sono mancate, perché è degli uomini che stiamo parlando e non dei Santi del Paradiso, e gli uomini, anche pii, eccellono nella debolezza piuttosto che nella fortezza.
È questo che la Santa Chiesa ha raccomandato e prescritto anche ultimamente, e di queste istruzioni diamo di seguito alcuni esempi.



San Pio X, Tra le sollecitudini, 22 novembre 1903


Nulla adunque deve occorrere nel tempio che turbi od anche solo diminuisca la pietà e la devozione dei fedeli, nulla che dia ragionevole motivo di disgusto o di scandalo, nulla soprattutto che direttamente offenda il decoro e la santità delle sacre funzioni e però sia indegno della Casa di Orazione e della maestà di Dio. (Premessa)
[…]
Essendo, infatti, Nostro vivissimo desiderio che il vero spirito cristiano rifiorisca per ogni modo e si mantenga nei fedeli tutti, è necessario provvedere prima di ogni altra cosa alla santità e dignità del tempio, dove appunto i fedeli si radunano per attingere tale spirito dalla sua prima ed indispensabile fonte, che è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa. (Premessa)
[…]
In particolare si procuri di restituire il canto gregoriano nell’uso del popolo, affinché i fedeli prendano di nuovo parte più attiva all’officiatura ecclesiastica, come anticamente solevasi. (n° 3)



S S Pio XI, Bolla Divini cultus, 20 dicembre 1928


IX. Affinché i fedeli partecipino più attivamente al culto divino, il canto gregoriano — per quanto spetta al popolo — sia restituito all’uso del popolo. Infatti, occorre assolutamente che i fedeli non assistano alle funzioni sacre come estranei o muti spettatori ma, veramente compresi della bellezza della liturgia, partecipino alle sacre cerimonie — anche alle solenni processioni dove intervengono il clero e le pie associazioni — in modo da alternare, secondo le dovute norme, la loro voce a quelle del sacerdote e della scuola. 



S. S. Pio XII, Lettera enciclica Mediator Dei, 20 novembre 1947


È necessario dunque, Venerabili Fratelli, che tutti i fedeli considerino loro principale dovere e somma dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico non con un’assistenza passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore da porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote, come dice l’Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, offrendo con Lui e per Lui, santificandosi con Lui». [e questo] esige da tutti i cristiani di riprodurre in sé, per quanto è in potere dell’uomo, lo stesso stato d’animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il Sacrificio di sé: l’umile sottomissione dello spirito, cioè, l’adorazione, l’onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; richiede, inoltre, di riprodurre in se stessi le condizioni della vittima: l’abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce con Cristo, in modo da poter dire con San Paolo: «sono confitto con Cristo in Croce». (Parte Seconda)
[…] 
Sono, dunque, degni di lode coloro i quali, allo scopo di rendere più agevole e fruttuosa al popolo cristiano la partecipazione al Sacrificio Eucaristico, si sforzano di porre opportunamente tra le mani del popolo il «Messale Romano», di modo che i fedeli, uniti insieme col sacerdote, preghino con lui con le sue stesse parole e con gli stessi sentimenti della Chiesa; e quelli che mirano a fare della Liturgia, anche esternamente, una azione sacra, alla quale comunichino di fatto tutti gli astanti. Ciò può avvenire in vari modi: quando, cioè, tutto il popolo, secondo le norme rituali, o risponde disciplinatamente alle parole del sacerdote, o esegue canti corrispondenti alle varie parti del Sacrificio, o fa l’una e l’altra cosa: o infine, quando, nella Messa solenne, risponde alternativamente alle preghiere dei ministri di Gesù Cristo e insieme si associa al canto liturgico. […] Non pochi fedeli, difatti, sono incapaci di usare il «Messale Romano» anche se è scritto in lingua volgare; né tutti sono idonei a comprendere rettamente, come conviene, i riti e le cerimonie liturgiche. L’ingegno, il carattere e l’indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti possono ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o da azioni sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni delle anime non sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei singoli. Chi, dunque, potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti cristiani non possono partecipare al Sacrificio Eucaristico e goderne i benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per la loro natura. (Parte Seconda, 3)



Istruzione sulla Musica Sacra 
e la 
Sacra Liturgia
Sacra Congregazione dei Riti, 3 settembre 1958


14 - a) Nelle Messe in canto si deve usare unicamente la lingua latina, non soltanto dal sacerdote celebrante e dai ministri, ma anche dalla «Schola cantorum» o dai fedeli.

14 - b) Nelle Messe lette il sacerdote celebrante, il suo ministro e i fedeli che insieme al sacerdote celebrante partecipano direttamente all’azione liturgica, e cioè che dicono a voce alta quelle parti della Messa che loro spettano (cfr. n. 31) devono usare unicamente la lingua latina.

16 - b) 
La «schola» e il popolo, quando rispondono secondo le rubriche al sacerdote e ai ministri che cantano, devono usare anch’essi unicamente le stesse melodie gregoriane.
 

22 - La Messa richiede, per sua natura, che tutti i presenti vi partecipino nel modo proprio a ciascuno.


22 - a) Questa partecipazione deve essere in primo luogo interna, attuata cioè con devota attenzione della mente e con affetti del cuore, attraverso la quale i fedeli «strettissimamente si uniscano al Sommo Sacerdote... e con Lui e per Lui offrano [il Sacrificio] e con Lui si donino». 


22 - b) La partecipazione però dei presenti diventa più piena se all’attenzione interna si aggiunge una partecipazione esterna, manifestata cioè con atti esterni, come sono la posizione del corpo (genuflettendo, stando in piedi, sedendo), i gesti rituali, soprattutto però le risposte, le preghiere e il canto.
 […] Tale armonica partecipazione hanno di mira i documenti pontifici quando parlano di «attiva partecipazione», di cui l’esempio principale è offerto dal sacerdote celebrante e dai suoi ministri, i quali servono all’altare con la dovuta pietà interna e con l’esatta osservanza delle rubriche e cerimonie.
 

22 - c) Finalmente la partecipazione attiva diventa perfetta, quando vi si aggiunge anche la partecipazione sacramentale, per la quale cioè «i fedeli presenti partecipano non solo con affetto spirituale, ma anche con la sacramentale Comunione, affinché su di essi scendano più copiosi i frutti di questo santissimo Sacrificio».


23 - Occorre però ordinare i vari modi con i quali i fedeli possano partecipare attivamente al sacrosanto Sacrificio della Messa, in maniera che venga rimosso il pericolo di ogni abuso e si possa raggiungere il fine principale della stessa partecipazione, il più pieno culto cioè di Dio e l’edificazione dei fedeli.




24 - La forma più nobile della celebrazione eucaristica la si ha nella Messa solenne, nella quale la congiunta solennità delle cerimonie, dei ministri e della Musica sacra rende manifesta la magnificenza dei divini misteri e conduce la mente dei presenti alla pia contemplazione degli stessi misteri. Ci si dovrà preoccupare perciò che i fedeli abbiano una adeguata stima di questa forma di celebrazione, partecipandovi in modo opportuno, come viene in appresso indicato.


25 - a) […] Si deve cercare con ogni cura che tutti i fedeli, di ogni parte del mondo, possano dare cantando queste risposte liturgiche (Amen; Et cum spiritu tuo; Gloria tibi, Domine; Habemus ad Dominum; Dignum et iustum est; Sed libera nos a malo; Deo gratias.).


25 - b) […] Si deve cercare inoltre di far sì che in tutte le parti del mondo i fedeli imparino queste più facili melodie gregoriane: Kyrie, eleison; Sanctus-Benedictus, e Agnus Dei secondo il numero XVI del Graduale Romano; il Gloria in excelsis Deo con Ite, Missa est-Deo gratias, secondo il numero XV; il Credo poi secondo il num. I o III. In questo modo si potrà ottenere quel risultato tanto desiderabile, che i fedeli in tutto il mondo possano manifestare, nell’attiva partecipazione al sacrosanto Sacrificio della Messa, la loro fede comune anche con uno stesso festoso concerto.


26 – […] È desiderabile che nelle domeniche e giorni festivi la Messa parrocchiale o quella principale siano in canto.

Tutto ciò poi che è stato detto intorno alla partecipazione dei fedeli nella Messa solenne vale anche pienamente per la Messa cantata.




28 - Si deve cercare accuratamente di far sì che i fedeli assistano anche alla Messa letta «non come estranei o muti spettatori», ma con quella partecipazione che è richiesta da un tanto mistero e che reca frutti copiosissimi.


29 - Il primo modo col quale i fedeli possono partecipare alla Messa letta si ha quando ciascuno, di propria industria, vi partecipa sia internamente, facendo attenzione cioè alle principali parti della Messa, sia esternamente, secondo le diverse approvate consuetudini delle varie regioni.
 Sono degni soprattutto di lode coloro che, usando un piccolo messale adatto alla propria capacità, pregano insieme al sacerdote con le stesse parole della Chiesa. Dato però che non tutti sono egualmente preparati a comprendere adeguatamente i riti e le formule liturgiche, e atteso inoltre che le necessità spirituali non sono per tutti le stesse, né restano sempre in ciascuno le medesime, per questi fedeli vi è un’altra forma di partecipazione, più adatta e più facile, quella cioè «di meditare piamente i misteri di Cristo o di fare altri pii esercizi e dire altre preghiere, che, sebbene differiscono per la forma dai sacri riti, nella loro natura però si accordano con essi».
 

30 - Il secondo modo di partecipazione si ha quando i fedeli partecipano al Sacrificio eucaristico con preghiere e canti in comune. 
31 - Il terzo e più completo modo di partecipazione si ottiene finalmente quando i fedeli rispondono liturgicamente al sacerdote celebrante quasi «dialogando» con lui, e recitando a voce chiara le parti loro proprie.
 
32 - Nelle Messe lette tutto il Pater noster, dato che è una preghiera adatta e usata fin dall’antichità come preparazione alla Comunione, può essere recitato dai fedeli insieme al sacerdote, ma solo in lingua latina, e coll’aggiunta da parte di tutti dell’Amen, esclusa ogni recitazione in lingua volgare.


33 -  Nelle Messe lette i fedeli possono cantare canti popolari religiosi, a condizione però che questi siano strettamente intonati alle singole parti della Messa (cfr. n. 14 b).


34 -  Il sacerdote celebrante, soprattutto se la chiesa è grande e il popolo numeroso, tutto ciò che secondo le rubriche deve essere pronunziato a chiara voce, lo pronunzi con tale voce che tutti i fedeli possano opportunamente e comodamente seguire la sacra azione.
  
93 - b) I laici invece prestano una partecipazione liturgica attiva, e ciò per il carattere battesimale, in forza del quale anche nel sacrosanto Sacrificio della Messa offrono a Dio Padre, col sacerdote, nel modo loro proprio, la vittima divina.
96 -  La partecipazione attiva dei fedeli, specialmente alla santa Messa e ad alcune azioni liturgiche più complesse, si potrà ottenere più facilmente, se vi intervenga un qualche «commentatore», il quale, al momento opportuno e con poche parole, interpreti gli stessi riti o le preghiere o le letture, sia del sacerdote celebrante che dei sacri ministri, e diriga la partecipazione esterna dei fedeli, cioè le loro risposte, le preghiere e i canti. 







"Questio" del reale contenuto del “terzo segreto” di Fatima


Ecco il terzo segreto di Fatima

Pubblichiamo un piccolo articolo scritto
da Orlando Fedeli
sul sito brasiliano dell'Associazione “Montfort”
sulla vessata questio del reale contenuto del “terzo segreto” di Fatima
Ricordiamo che 
- abbiamo pubblicato l'articolo di A. Socci che risponde alle proteste del Card. Bertone (vedi)
- abbiamo segnalato il libro di A. Socci, Il quarto segreto di Fatima (vedi)
- abbiamo pubblicato il testo di una conferenza del dott. Solideo Paolini, con la quale ha presentato il suo libro: Fatima, non disprezzate le profezie (vedi)
- abbiamo trattato la questione del “terzo segreto” in (vedi


Il Cardinale Pacelli l’ha letto...
E ne ha detto qualche cosa


Dal sito dell'Associazione Culturale Montfort

Nel 1936, poco prima del suo viaggio negli Stati Uniti d’America, il Segretario di Stato di Pio XI, il Cardinale Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, disse al Conte Enrico Pietro Galleazzi: 
Supponga, mio caro amico, che il comunismo sia soltanto il più visibile degli organi di sovversione contro la Chiesa e contro la tradizione della rivelazione divina, allora noi andremo a vedere l’invasione di tutto quanto è spirituale, la filosofia, la scienza, il diritto, l’insegnamento, l’arte, i giornali, la letteratura, il teatro e la religione.  Sono esterefatto per le confidenze fatte dalla Vergine alla piccola Lucia di Fatima. Questo insistere da parte della Madonna sui pericoli che minacciano la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio per l’alterazione della Fede, nella sua liturgia, nella sua teologia e della sua anima”. (...).
Sento intorno a me gl’innovatori che vogliono smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, respingere i suoi ornamenti, infliggerle il rimorso per il suo passato storico”.
Così, mio caro amico, sono convinto che la Chiesa di Pietro deve difendere il suo passato; altrimenti si scaverà la fossa”. 
"...un giorno verrà che il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, che la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato. Essa sarà tentata a credere che l’uomo è diventato Dio, che suo Figlio è soltanto un simbolo, una filosofia come tante altre, e nelle chiese i cristiani invano cercheranno la fiamma rossa che indica che Dio gli aspetta”.  
(Mgr. Georges Roche et Père Philippe St.Germain, Pie XII devant l’histoire, Laffont, Paris, 1972, pp 52-53 ; 
également  Abbé Daniel Le Roux, Pierre m’aimes-tu ?, Fideliter, Brout Vernet, 1986 p.1 ;  encore 
Padre Dominique Bourmaud, Cien Años de Modernismo, Fundación San Pio X, Buenos Aires, 2006, p.312, apud Mgr. Bernard Fellay, Supérieur Général de la FSSPX, lettre du 22 juin 2001 à la lettre du Cardinal Castrillon Hoyos du 7 mai 2001, in Communicantes, août 2001,  - in francese, in italiano)
Che precise profezie!
Sicuramente, però, il Cardinale Pacelli non era un profeta!.

Lui affermava che era rimasto impressionato da quello che la Madonna aveva detto “insistentemente” a Lucia — una delle veggenti di Fatima ­ su “il suicidio per l’alterazione della Fede, nella Sua liturgia, la Sua teologia e la Sua anima”.
Ma, ci chiediamo: come ha conosciuto il Cardinale Pacelli queste predizioni della Madona di Fatima alla veggente Lucia.
Da quanto ne sappiamo, neppure un libro racconta che la Madonna abbia detto tali cose a Lucia.
E allora, il Cardinale Pacelli, futuro Pio XII, da dove ha appreso queste predizioni?
Sicuramente solo dall’autentico testo del Terzo Segreto di Fatima, che Suor Lucia scrisse; segreto al quale il Cardinale Segretario di Stato possibilmente aveva avuto accesso, senza che il testo fosse ancora pubblicato. (Il Vaticano ha pubblicato soltanto la descrizione della visione riportata nel terzo segreto).


Nel Terzo Segreto di Fatima, la Madonna avrebbe anticipatamente accusato il Concilio Vaticano II e la Nuova Messa di Paolo VI come suicide.
È proprio per questo che i Papi non hanno mai voluto pubblicare il Terzo Segreto di Fatima: questo segreto condanna il Concilio Vaticano II e la Nuova Messa di Paolo VI.


Orlando Fedeli


São Paulo, 24 Maggio 2007, festa di Maria Ausiliatrice.

Cor Mariae Immaculatum
intercede pro nobis!


Donne abortiste e complici ossia quanti le aiutarono: medici, amici, infermieri, parenti o chiunque altro che pur sapendo dell’aborto non disse loro: ‘Non farlo!’


7)  Il Signore mi disse : “Ti rendi conto che qui non c’è riposo neppure per un secondo? Ti mostrerò adesso un altro luogo che questa generazione perversa e malvagia si sta preparando. Vi indicherò chi soffre di più e quanti percorrono la via dell’inferno”.

Vidi allora tre forni più grandi del primo e Satana gridando: “Che avvenga il giudizio! Ho troppo lavorato per dar loro il benvenuto nel mio regno, ho inventato nuovi castighi e tormenti. Vengano qui quanti avrebbero potuto salvarsi e non vollero, vengano a me quanti mi servirono in terra”.

E vidi alcune donne che trascinate con catene portavano pesi come fossero mule ed erano colpite ferocemente e tormentate. Aprivano loro il ventre, le lasciavano gridare, le squartavano e fustigavano con corde come ferro, insultandole mostravano loro quei figli che avevano assassinato e li legavano strettamente al seno. Esse ne ascoltavano il pianto e le grida: ‘Perché mi uccidesti mamma!!!’. A queste grida del bambino i loro seni si spaccavano e cominciavano a sanguinare come anche gli orecchi, e tutto quello era orribile. 

E domandai ancora al Signore: “O Signore Gesù chi sono quelle donne e perché soffrono tanto?”

Mi rispose: “Sono tutte quelle che uccidono i loro figli nell’aborto, soffrono perché fecero del loro ventre tombe, quando il ventre è per dar vita. Il peccato dell’aborto è molto difficile che mio Padre lo perdoni. Non basta confessarlo se non c’è un vero pentimento. Bisogna fare molta preghiera e penitenza chiedendo misericordia a DIO Padre, come anche al figlio che assassinarono. Le sue grida e pianti staranno di fronte al trono di DIO  e il suo sangue griderà dalla terra al cielo”
E aggiunse : “ Prega, prega per esse, perché alcune sono in vita e possono pentirsi. Davvero molte vanno per la via dell’inferno”.
        Vidi al loro fianco uomini e donne che soffrivano uguali tormenti. E chiesi chi fossero e perché patissero le stesse torture. Il Signore mi disse : “Essi sono tutti complici dell’aborto ossia quanti le aiutarono. Qui possono venire medici, amici, infermieri, parenti o chiunque altro che pur sapendo dell’aborto non disse loro: ‘Non farlo!’”.

A porta ìnferi,  libera nos, Domine!