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mercoledì 2 novembre 2016

Lutero: qualche spunto di realtà (PER ADULTI MATURI)

  Lutero: qualche spunto di realtà


Nel 1510 Martino Lutero, allora monaco agostiniano, si recò a Roma per portare una lettera di protesta in merito a una diatriba interna al suo Ordine. La volgata protestante vorrebbe che, di fronte al desolante spettacolo di decadenza ("una cloaca", dirà lui in riferimento sia all'Urbe che alla Chiesa), il monaco di Wittemberg fosse rimasto scioccato. Il ché avrebbe innescato in lui prima il rigetto, poi il dubbio e infine la ribellione. Dunque, una reazione forse esagerata ma tutto sommato giustificata.

 
Un'attenta lettura delle fonti originali ci fa vedere, invece, uno spirito irrequieto e già incline alla ribellione. Forse è il caso di gettare uno sguardo su alcuni di questi documenti, che altro non sono che le stesse opere (Werke) di Martino Lutero, nelle due edizioni ufficiali: quella di Wittemberg (1551) e quella di Weimar (1883). Conviene anche rilevare che gli autori citati — Emme, Brentanno, De Wette e Bruckhardt — sono tutti protestanti.

1. La "vocazione" religiosa di Lutero


L'ingresso di Martino Lutero nell'Ordine agostiniano non fu dovuto tanto ad una vocazione religiosa quanto al fatto che era latitante e voleva sfuggire alle autorità. Quando era studente di Diritto all'Università di Erfurt, Lutero si batté a duello con un compagno, Gerome Bluntz, uccidendolo. Per sfuggire alla giustizia, egli entrò allora nel monastero degli Eremiti di S. Agostino (1). Lo stesso Lutero ammise il vero motivo del suo ingresso in monastero: "Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che tutto l'Ordine Agostiniano mi proteggeva" (2).

Purtroppo, nel monastero non imparò a diventare buono. Egli stesso confessava in un sermone del 1529: "Io sono stato un monaco che voleva essere sinceramente pio. Al contrario, però, sono sprofondato ancor di più nel vizio. Sono stato un grande furfante ed un omicida" (3). La sua vita spirituale era in rovinoso declino. Nel 1516, Lutero scrisse: "Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo" (4). Ancora nel 1516 egli dichiarava: "Confesso che la mia vita è sempre più prossima all'inferno. Giorno dopo giorno divento più abietto" (5).

Nel convento, Lutero era soggetto a frequenti crisi di nervi, ad allucinazioni deliranti, in preda anche a segni di possessione. Nel guardare il crocifisso egli spesso era assalito da convulsioni e cadeva a terra (6). Quando celebrava la Messa, era preso dal terrore: "Arrivato all'Offertorio ero così spaventato che volevo fuggire. Mormoravo ‘Ho paura! Ho paura!'" (7).

Agitato, nervoso, continuamente in crisi, tentato dal diavolo (che, secondo lui, gli appariva in forma di un enorme cane nero col quale condivideva perfino il letto) roso dai rimorsi, Lutero cominciò a formarsi l'idea che fosse predestinato alla dannazione eterna, e questo gli faceva odiare Dio: "Quando penso al mio destino dimentico la carità verso Cristo. Per me, Dio non è che uno scellerato. L'idea della predestinazione cancella in me il Laudate, è un blasphemate che mi viene allo spirito" (8).

Lutero, insomma, si immaginava già nell'inferno: "Io soffrivo le torture dell'inferno, ne ero divorato. Mi assaliva perfino la tentazione di bestemmiare contro Dio, quel Dio rozzo, iniquo. Io avrei mille volte preferito che non ci fosse Dio!" (9).

2. L'apostasia di Lutero. La dottrina della giustificazione


Lutero non faceva nulla per lottare contro i suoi difetti. I suoi confratelli agostiniani lo descrivevano come "nervoso, di umore molto sgradevole, arrogante, ribelle, sempre pronto a discutere e ad insultare". Egli stesso dirà di sé: "Io mi lasciavo prendere dalla collera e dall'invidia" (10).

Eccitato da cattive letture, orgoglioso al punto di non accettare nessuna autorità, Lutero cominciò a contestare diversi punti della dottrina cattolica fino a rigettarli quasi completamente.

Lutero difendeva le sue rivoluzionarie idee in modo arrogante, ritenendosi "l'uomo della Provvidenza, chiamato per illuminare la Chiesa con un grande bagliore". "Chi non crede con la mia fede è destinato all'inferno — proclamava —  La mia dottrina e la dottrina di Dio sono la stessa cosa. Il mio giudizio è il giudizio di Dio" (11).

In un'altra lettera ecco cosa dice di se stesso: "Non vi sembra un uomo stravagante questo Lutero? Quanto a me, penso che egli sia Dio" (12). Sulle sue dottrine egli asseriva ancora: "Sono certo che i miei dogmi vengono dal cielo. Io vincerò, il Papato crollerà nonostante le porte dell'inferno!" (13).

Fu in queste lamentevoli condizioni spirituali che, verso la fine del 1518, successe ciò che Lutero stesso ha chiamato «das Turmerlebnis», l'avvenimento della Torre, vero punto di partenza del protestantesimo. In cosa è consistito questo «Turmerlebnis»? Lutero stava, molto prosaicamente, seduto al WC nella torre che serviva di bagno del monastero, quando improvvisamente ebbe un'"illuminazione" che lo fece "pensare in un'altro modo":

"Le parole giustizia e giustizia di Dio — scrive Lutero  — si ripercuotevano nel fondo della mia coscienza come un fulmine che distrugge tutto. Io ero paralizzato e pensavo: Si Dio è giusto, egli punisce. E, siccome continuavo a pensare a ciò, sono improvvisamente venute al mio spirito le parole di Habacuc: Il giusto vive della fede. E ancora: La giustificazione di Dio si manifesta senza l'azione della legge. A partire da questo punto, io ho cominciato a pensare in altro modo" (14).

Questo "altro modo" era la dottrina della giustificazione per la sola fede, indipendente dalle opere, la pietra angolare del protestantesimo.

Secondo Lutero, i meriti sovrabbondanti di Nostro Signore Gesù Cristo assicurano agli uomini la salvezza eterna. All'uomo, quindi, basta credere per salvarsi: "Il Vangelo non ci dice cosa dobbiamo fare, esso non esige niente da noi. (...) [Il Vangelo dice semplicemente] credi e sarai salvato"(15)

Di conseguenza, su questa terra possiamo anche condurre una vita di peccato senza rimorsi di coscienza né timore della giustizia di Dio, poiché basta avere fede che siamo già salvati: "Anche se ho fatto del male, non importa. Cristo ha sofferto per me. A questo si riduce il cristianesimo. Dobbiamo sentire che non abbiamo peccato, anche quando abbiamo peccato. I nostri peccati aderiscono a Cristo, che è il salvatore del peccato"(16).

Lutero anzi sosteneva che, per rafforzare la nostra fede, dobbiamo peccare sempre di più. Così rimarrà chiaro che è Cristo che ci salva e non noi. Quest'idea Lutero la sintetizzava nella sua nota formula: esto peccator et pecca fortiter. In una lettera all'intimo amico Melantone del 1° agosto 1521, Lutero afferma: "Sii peccatore e pecca fortemente ma con ancora più fermezza credi e rallegrati in Cristo. (...) Durante la vita presente dobbiamo peccare" (17).

Scrivendo a un'altro seguace, Lutero diceva ugualmente: "Devi bere con più abbondanza, giocare, divertirti e anche fare qualche peccato. (...) In caso il diavolo ti dica: Non bere! Tu devi rispondere: in nome di Gesù Cristo, berrò di più! (...) Tutto il decalogo deve svanirsi dagli occhi e dall'anima" (18).

A un'altro amico, egli scrisse ancora: "Dio ti obbliga solo a credere. In tutte le altre cose ti lascia libero e signore di fare quello che vuoi, senza pericolo alcuno di coscienza. Egli non se ne cura, quando anche lasciassi tua moglie, abbandonassi il tuo padrone e non fossi fedele ad alcun vincolo" (19).

Ovviamente, le conseguenze dell'applicazione di queste dottrine non potevano essere altro che il dilagare del peccato e del vizio. Lutero stesso lo ammette. Per quanto riguardava i suoi seguaci protestanti, egli scriveva: "Sono sette volte peggiori di una volta. Dopo la predicazione della nostra dottrina, gli uomini si sono dati al furto, alla menzogna, all'impostura, alla crapula, all'ubriachezza e a ogni genere di vizi. Abbiamo espulso il demonio — il papato — e ne sono venuti sette peggiori" (20).

3. Un uomo pieno di vizi


Il primo a piombare nel vizio è stato proprio lui. Il 13 giugno 1521, scrisse a Melantone: "Io mi trovo qui insensato e indurito, sprofondato nell'ozio, pregando poco e senza più gemere per la Chiesa di Dio, perché nelle mie carni indomite ardo di grandi fiamme. Insomma, io che dovrei avere il fervore dello spirito, ho il fervore della carne, della libidine, della pigrizia, dell'ozio e della sonnolenza" (21).

In un'altro scritto, Lutero è altrettanto chiaro: "Sono un uomo esposto e coinvolto nella vita di società, nella crapula, nelle passioni carnali, nella negligenza ed in altre molestie" (22).

Lutero rapì dal convento una monaca cistercense, Caterina Bora, e la prese per amante. Nel 1525, "per chiudere le cattive lingue", secondo quanto dichiarava, l'ha sposata, nonostante tutte e due avessero fatto voto di castità. Lutero aveva una chiara nozione della riprovevole azione che aveva compiuto. Egli scrisse al riguardo: "Con il mio matrimonio sono diventato così spregevole che gli angeli rideranno di me e i demoni piangeranno" (23).

Ma Caterina non fu l'unica donna nella sua vita. Egli aveva la brutta abitudine di avere rapporti carnali con monache apostate, che egli stesso adescava dai conventi. Su di lui scrive il suo seguace Melantone: "Lutero è un uomo estremamente perverso. Le suore che egli ha tirato fuori dal convento lo hanno sedotto con grande astuzia ed hanno finito col prenderlo. Egli ha con loro frequenti rapporti carnali" (24).

Lutero non faceva segreto della sua immoralità. In una lettera all'amico Spalatino leggiamo infatti: "Io sono palesemente un'uomo depravato. Ho tanto a che fare con le donne, che da un po' di tempo sono diventato un donnaiolo. (...) Ho avuto tre mogli allo stesso tempo, e le ho amate così ardentemente che ne ho perse due, andate a vivere con altri uomini" (25).

Lutero aveva anche il vizio dell'ubriachezza e della gola. "Nel bere birra — affermava — non c'è nessuno che si possa paragonare a me". E in una lettera a Caterina, diceva: "Sto mangiando come un boemio e bevendo come un tedesco. Lodato sia Dio!" (26). Verso la fine della vita, l'ubriachezza lo dominava totalmente: "Spendo le mie giornate nell'ozio e nell'ubriachezza" (27).

4. Bestemmiatore


Ma forse in nessun altro campo si è manifestato tanto il cattivo spirito di Lutero quanto nella sua tendenza a bestemmiare, specie contro la Chiesa ed il Papato. Seguono alcuni esempi, tutti tratti dalle sue lettere e sermoni:

"Certamente Dio è grande e potente, buono e misericordioso, ma è anche stupido. È un tiranno" (28).
"Cristo ha commesso l'adulterio una prima volta con la donna della fontana di cui ci parla Giovanni. Non si mormorava intorno a lui: Che ha fatto dunque con essa? Poi ha avuto rapporti sessuali con Maria Maddalena, quindi con la donna adultera. Così Cristo, tanto pio, ha dovuto anche lui fornicare prima di morire" (29).

Lutero fa di Dio il vero responsabile del tradimento di Giuda e della rivolta di Adamo. "Lutero — commenta lo storico protestante Funck Brentano — arriva a dichiarare che Giuda, tradendo Cristo, agì per imperiosa decisione dell'Onnipotente. La sua volontà [di Giuda] era diretta da Dio; Dio lo muoveva con la sua onnipotenza. Lo stesso Adamo, nel paradiso terrestre fu costretto ad agire come agì. Egli fu messo da Dio in una situazione tale che gli era impossibile non cadere" (30).

"Tutte le case chiuse, tutti gli omicidi, le morti, i furti e gli adulteri sono meno riprovevoli che l'abominazione della Messa papista" (31).

Non meraviglia che, mosso da tali idee, Lutero scrivesse a Melantone a proposito delle sanguinose persecuzioni di Enrico VIII contro i cattolici inglesi: "È permesso abbandonarsi alla collera, quando si sa che specie di traditori, ladri e assassini sono i papi, i loro cardinali, i loro legati. Piacesse a Dio che vari re di Inghilterra si impegnassero a farli scomparire" (32).

"Perché non acchiappiamo papa, cardinali e tutta la cricca della Sodoma romana e ci laviamo le mani con il loro sangue?" (33).

"La corte di Roma è governata per un vero Anticristo, di cui ci parla S. Paolo. (...) Credo di poter dimostrare che, nei giorni nostri, il Papa è peggio dei turchi" (34).

"Così come Mosè ha distrutto il vitello d'oro, così dobbiamo fare noi con il papato, fino a ridurlo in ceneri. (...) Vorrei abolire tutti i conventi, vorrei farli sparire, raderli al suolo (...) affinché di essi non rimanga sulla terra neanche la memoria" (35).

Nella risposta alla bolla di scomunica, Lutero scrisse con arroganza: "Io e tutti i servi di Gesù Cristo riteniamo ormai il trono pontificio occupato da Satana, come la sede dell'Anticristo, noi ci rifiutiamo di ubbidire" (36).

Lutero è morto in mezzo a orribili bestemmie contro il Papato, contro la Chiesa e contro i santi. Sentendo arrivare la fine, ha dettato una "preghiera" che finiva così: "Muoio odiando il Papa. (...) Vivo, io ero la tua peste, morto sarò la tua morte, o Papa!"
di Julio Loredo
per: http://www.atfp.it/2004/94-dicembre-2004/459-lutero-la-realta-dei-fatti.html
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Note
1. Dietrich Emme, Martin Luther, Seine Jugend und Studienzeit 1483-1505. Eine dokumentarische Darstellung, (Bonn, 1983).
2. In Dietrich Emme, Warum ging Luther ins Kloster? In Theologishes, 1984, pp. 6188-6192.
3. Id. Ibid. Emme cita il documento originale: Wa W, 29, 50, 18.
4. W.M.L. de Wette, Luther, M., Briefe, Sendshreiben und Bedenken vollstandig Gesammelt, Berlino, 1825-1828,  I, p. 41.
5. Id., ibid., I, 323.
6. Franz Funck Brentanno, Luther, Parigi, Grasset, 1934, pp. 29-39.
7. Martin Luther,  Werke, ed. Weimar, 1883, I, 487. Tischrede del 5 maggio 1532.
8. Brentanno, op. cit., p. 53.
9. Id., ibid., p. 32.
10. Id., ibid.
11. D. Martin Luther, Werke, ed. di Weimar, 1883, X, 2, Abt. 107.
12. Martin Luther, Werke, ed. di Wittemberg, 1551, t. IV, p. 378.
13. D. Martin Luther, Werke, Weimar, X, 2, Abt. 184.
14. Brentanno, op. cit., pp. 65-73.
15. D. Martin Luther, Werke, Weimar, XXV, 329.
16. Id. Ibid., XXV, 331.
17. De Wette, op. cit., II, p. 37.
18. De Wette, op. cit., ibid.
19. Werke, ed. Weimar, XII, p. 131.
20. Werke, ed Weimar, XXVIII, p. 763.
21. De Wette, op. cit., II, p. 22.
22. De Wette, op. cit., I, 232.
23. De Wette, op. cit., III, 2,3.
24. De Wette, op. cit., III, 3.
25. De Wette, op. cit., III, 9.
26. In Carl August Burkardt, Dr. Martin Luther, Briefwechsel, Leipzig, 1886, p. 357.
27. De Wette,op. cit., II, 6.
28. Martin Luther,  Tischreden, No. 953, Werke, ed. Weimar, I, 487.
29. Martin Luther, Tischreden, No. 1472, Werke, ed Weimar, XI, 107.
30. Brentanno, op. cit., p. 246.
31. Martin Luther, Werke, ed. Weimar,  XV, 773-774.
32. Brentanno, op. cit., p. 354.
33. Id., ibid., p. 104.
34. Id., ibid., p. 63.
35. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, VIII, 624.
36. Citato Brentanno, op. cit., p. 100

mercoledì 13 gennaio 2016

MARTIN LUTERO l'eretico...



[PDF]le trame di bergoglio - Conchiglia - MOVIMENTO D'AMORE ...

www.conchiglia.us/XV-A_TMDC/VATICANO/15.299_PAPA_Em_BENE...
28 feb 2015 - Benedetto XVI si è staccato dal Vaticano-Sinagoga, come richiesto da Gesù ..... 


lunedì 21 settembre 2015

La vigna e il cinghiale


La vigna e il cinghiale

"Perché hai abbattuto la sua cinta […]? 
La devasta il cinghiale del bosco" (Sal 80 [79], 13-14).

Quando papa Leone X, nel 1520, applicò la metafora salmica al rivoluzionario di Wittenberg, la cinta della vigna diletta era ancora saldamente in piedi. Certo, buona parte del Popolo di Dio – clero, religiosi e laici – aveva bisogno di un’urgente riforma, che alcuni illuminati vescovi e fondatori avevano già avviato; ma la devastazione provocata dal cinghiale fu allora efficacemente arginata da un Concilio ecumenico e dalle eroiche imprese apostoliche di nuovi ordini religiosi, come i Gesuiti e i Cappuccini, che riconquistarono alla Chiesa Cattolica ampie regioni d’Europa. D’altronde il ribelle, che morirà suicida dopo l’ennesima crapula, aveva avuto successo unicamente per ragioni politiche, grazie all’appoggio di principi altrettanto ribelli all’autorità costituita dell’Imperatore romano-germanico. L’Europa si spaccò in due e fu sconvolta da quasi un secolo e mezzo di guerre spaventose; ma la Chiesa Cattolica rimase cattolica.

Il diavolo, non soddisfatto di questa vittoria dimezzata, continuò il suo lavorio demolitore cercando di infiltrarsi nella vigna stessa. Visto che rivoluzioni francesi, liberali e comuniste non erano riuscite ad abbatterne la cinta, bisognava che qualcuno lo facesse dall’interno. Le ideologie dell’Ottocento erano state bollate dal beato Pio IX, l’eresia modernista condannata da san Pio X, i germogli del neo-modernismo recisi dal venerabile Pio XII… Ci voleva qualcuno che – scientemente o meno – aprisse la porta al nemico e lo facesse salire in cattedra, magari sotto le spoglie di periti invitati ad un nuovo Concilio, i quali ne prendessero surrettiziamente il controllo e riuscissero ad ipnotizzare più di duemila vescovi perché firmassero i documenti da loro elaborati. Leone XIII aveva ben visto, in visione, nugoli di demòni scendere in picchiata sulla basilica di San Pietro; la grande euforia di cinquant’anni fa non poteva quindi presagire nulla di buono.

Così fu abbattuta la cinta, e subito svariati animali selvatici cominciarono a scorrazzare indisturbati, calpestando la vigna e riempiendola dei loro escrementi. Lucifero sguinzagliò i suoi agenti più arditi nel cuore stesso del santuario, dove un papa tentennante e angosciato era drogato dai suoi più stretti collaboratori e sostituito da un sosia in molte apparizioni pubbliche. Il successore, avendo subito voluto veder chiaro nell’infiltrazione massonica della Sede Apostolica, fu stroncato col veleno dopo appena trentatré giorni di regno. Poi un gigante slavo e un angelo transalpino tentarono di salvare il salvabile – o forse anche ciò che non era salvabile – aprendo così un varco al ripristino della vera Chiesa. Ma non era ancora arrivato… il cinghiale. Non più il prete forzato e nevrotico di cinquecento anni orsono, ma qualcuno che riuscisse ad occupare la sede più alta, così da poter ridurre ogni cosa in poltiglia con qualche zampata ben assestata.

Un colpo da maestro… A questo punto, nulla resiste più alla serie di fendenti inferti a destra e a manca con una furia apparentemente insensata, ma in realtà calcolata con diabolica freddezza. Ad ogni sobbalzo dell’animale, oltre le devastanti conseguenze a medio e lungo termine, si verifica uno scatenamento di demòni, specie di quello dell’impurità. Ciò contro cui si accanisce di preferenza, non a caso, è l’unione santa dell’uomo e della donna come fondamento della famiglia: approvazione dell’omosessualità, ammissione della separazione e del divorzio, incondizionata indulgenza per l’aborto… e ora addirittura l’abolizione di fatto del matrimonio indissolubile. Ormai anche agli atei conviene sposarsi in chiesa, visto che questo è ammesso e che lo scioglimento è più facile del divorzio civile, è più veloce e – soprattutto – non costa nulla. I produttori di telenovelas sono già pronti a sfruttare il nuovo filone narrativo; anche i buoni cattolici potranno ormai identificarsi con i loro personaggi.

Ma tutto questo era stato previsto e annunciato dal Cielo. Nel lontano 1610 la Madonna così istruiva Mariana de Jesús, giovane religiosa di Quito: «Ora ti faccio sapere che dalla fine del secolo XIX e da poco dopo la metà del secolo XX, in quella che oggi è la Colonia e che un giorno sarà la Repubblica dell’Ecuador [attualizzando: in ogni parte del mondo], esploderanno le passioni e vi sarà una totale corruzione dei costumi, perché Satana regnerà quasi completamente per mezzo delle sètte massoniche [che allora non esistevano ancora]. Essi si concentreranno principalmente sui bambini per mantenere questa corruzione generale. Guai ai bambini di quei tempi! Il sacramento del Matrimonio, che simboleggia l’unione di Cristo con la sua Chiesa, sarà attaccato e profondamente profanato. La Massoneria, che sarà allora al potere, approverà leggi inique con lo scopo di liberarsi di questo sacramento, rendendo facile per ciascuno vivere nel peccato e incoraggiando la procreazione di figli illegittimi, nati senza la benedizione della Chiesa».

La Vergine proseguiva profetizzando la deviazione e corruzione del clero, quasi a voler indicare la causa della decadenza collettiva nel venir meno del baluardo opposto da Dio all’opera devastatrice portata avanti dai servitori del demonio. Nel 1634 Gesù stesso le mostrò come l’orrendo e pestifero cinghiale della Massoneria entrava nella meravigliosa e fiorente vigna della Chiesa, lasciandola annientata e in completa rovina: «Lo spirito di impurità, che saturerà l’atmosfera in quei tempi, come un oceano ripugnante inonderà le strade, le piazze e i luoghi pubblici con un’incredibile libertà. Attraverso l’acquisizione del controllo su tutte le classi sociali, la setta massonica sarà così astuta da penetrare nel cuore delle famiglie per corrompere persino i bambini e il diavolo si glorierà di nutrirsi con perfidia della squisita delicatezza del cuore dei bambini». Anche il Signore additava poi la degradazione di sacerdoti e religiosi e i terribili castighi che ne sarebbero seguiti; ma di questo ci occuperemo, a Dio piacendo, in un prossimo articolo.

Che dire? Fiat voluntas tua…! Se tutto questo è necessario, Padre santo, per la rinascita della Chiesa dai Tuoi figli fedeli, che non possono più sopportare quest’ignobile farsa e sono pronti, a un Tuo minimo cenno, a dissociarsene pubblicamente, da’ loro la forza di resistere mantenendosi fedeli alla Tua Parola. Tu stai passandoli al vaglio per separarli dai traditori, da quel Giuda che hai misteriosamente ammesso fra gli apostoli di Tuo Figlio con un compito necessario al trionfo del Tuo Regno. Ti prego, custodiscili dal maligno – non perché potrebbe ancora ingannarli, ma perché non si scoraggino e non cedano all’amarezza, alla ribellione, all’arroganza… Non permettere che siano tentati di superbia, ma conservali semplici e miti, puri di cuore e di costumi, invincibili agnelli in mezzo a lupi feroci che tuttavia nulla possono contro i Tuoi piccoli, purché questi si mantengano stretti sotto il manto della Tua Sposa immacolata, loro Madre e Maestra infallibile, perfezione vivente della Tua santa Chiesa.

AMDG et BVM

sabato 16 novembre 2013

SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN GERMANIA OMELIE E DISCORSI 23 SETTEMBRE 2011


VIAGGIO APOSTOLICO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI IN GERMANIA omelie e discorsi 23 settembre 2011



VISITA ALLA CATTEDRALE DI SANTA MARIA DI ERFURT
Illustri Signore e Signori!
Prendendo la parola, vorrei innanzitutto ringraziare per quest’occasione di incontrarvi. La mia particolare gratitudine va al Presidente Schneider, che mi ha dato il benvenuto e mi ha ricevuto in mezzo a voi con le sue cortesi parole.
Vorrei ringraziare, allo stesso tempo, per questo dono speciale, che il nostro incontro possa svolgersi in questo luogo storico.
Per me, come Vescovo di Roma, è un momento emozionante incontrare qui, nell’antico convento agostiniano di Erfurt, rappresentanti del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania.

Qui Lutero ha studiato teologia. Qui è stato ordinato sacerdote nel 1507. Contro il desiderio del padre, egli non continuò gli studi di giurisprudenza, ma studiò teologia e si incamminò verso il sacerdozio nell’Ordine di sant’Agostino. In questo cammino non gli interessava questo o quello. Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino.
“Come posso avere un Dio misericordioso?”: questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore. Per lui la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio.
“Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente. Chi, infatti, si preoccupa oggi di questo, anche tra i cristiani?
Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani, oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù. Egli sa, appunto, che tutti siamo soltanto carne. Se oggi si crede ancora in un al di là e in un giudizio di Dio, allora quasi tutti presupponiamo in pratica che Dio debba essere generoso e, alla fine, nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze. Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze? Non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità? La fame e la povertà potrebbero devastare a tal punto intere parti del mondo se in noi l’amore di Dio e, a partire da Lui, l’amore per il prossimo, per le creature di Dio, gli uomini, fosse più vivo?

Le domande in questo senso potrebbero continuare. No, il male non è un’inezia. Esso non potrebbe essere così potente se noi mettessimo Dio veramente al centro della nostra vita. La domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? – questa scottante domanda di Martin Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda. Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero.

E poi è importante: Dio, l’unico Dio, il Creatore del cielo e della terra, è qualcosa di diverso
da un’ipotesi filosofica sull’origine del cosmo. Questo Dio ha un volto e ci ha parlato. Nell’uomo Gesù Cristo è diventato uno di noi – insieme vero Dio e vero uomo. Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita.

Ora forse voi direte: Va bene, ma cosa ha a che fare tutto questo con la nostra situazione ecumenica? Tutto ciò è forse soltanto un tentativo di eludere con tante parole i problemi urgenti, nei quali aspettiamo progressi pratici, risultati concreti? A questo riguardo rispondo: la cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito. È stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni: che ci siamo resi conto di questa comunione e, nel pregare e cantare insieme, nell’impegno comune per l’ethos cristiano di fronte al mondo, nella comune testimonianza del Dio di Gesù Cristo in questo mondo, riconosciamo tale comunione come il nostro fondamento imperituro.

Il pericolo di perderla, purtroppo, non è irreale. Vorrei qui far notare due aspetti. Negli ultimi tempi, la geografia del cristianesimo è profondamente cambiata e sta cambiando ulteriormente.

Davanti ad una forma nuova di cristianesimo, che si diffonde con un immenso dinamismo missionario, a volte preoccupante nelle sue forme, le Chiese confessionali storiche restano spesso perplesse. È un cristianesimo di scarsa densità istituzionale, con poco bagaglio razionale e ancora meno bagaglio dogmatico e anche con poca stabilità. Questo fenomeno mondiale ci pone tutti davanti alla domanda: che cosa ha da dire a noi di positivo e di negativo questa nuova forma di cristianesimo? In ogni caso, ci mette nuovamente di fronte alla domanda su che cosa sia ciò che resta sempre valido e che cosa possa o debba essere cambiato, di fronte alla questione circa la nostra scelta fondamentale nella fede.

Più profonda e nel nostro Paese più scottante è la seconda sfida per l’intera cristianità; di essa vorrei parlare: si tratta del contesto del mondo secolarizzato, nel quale dobbiamo vivere e testimoniare oggi la nostra fede. L’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante, la storia della sua rivelazione, di cui ci parla la Scrittura, sembra collocata in un passato che si allontana sempre di più. Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Questo è un compito ecumenico centrale. In questo dovremmo aiutarci a vicenda: a credere in modo più profondo e più vivo. Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo. Come i martiri dell’epoca nazista ci hanno condotti gli uni verso gli altri e hanno suscitato la prima grande apertura ecumenica, così anche oggi la fede, vissuta a partire dell’intimo di se stessi, in un mondo secolarizzato, è la forza ecumenica più forte che ci ricongiunge, guidandoci verso l’unità nell’unico Signore.
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INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI
DEL CONSIGLIO DELLA “CHIESA EVANGELICA IN GERMANIA”

DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Sala del Capitolo dell’ex-Convento degli Agostiniani di Erfurt
Venerdì, 23 settembre 2011

   
Illustri Signore e Signori!
Prendendo la parola, vorrei innanzitutto ringraziare di cuore per questa opportunità d’incontrarci qui. La mia particolare gratitudine va a Lei, caro Fratello Presidente Schneider, che mi ha dato il benvenuto e che con le sue parole mi ha accolto in mezzo a voi. Lei ha aperto il suo cuore, ha espresso apertamente la fede veramente comune, il desiderio di unità. E noi siamo anche lieti, poiché ritengo che questa assemblea, i nostri incontri, vengano celebrati anche come la festa della comunione nella fede. Vorrei inoltre ringraziare tutti per il vostro dono di poter conversare insieme come cristiani qui, in questo luogo storico.
Per me, come Vescovo di Roma, è un momento di profonda emozione incontrarvi qui, nell’antico convento agostiniano di Erfurt. Abbiamo appena sentito che qui Lutero ha studiato teologia. Qui è stato ordinato sacerdote. Contro il desiderio del padre, egli non continuò gli studi di giurisprudenza, ma studiò teologia e si incamminò verso il sacerdozio nell’Ordine di sant’Agostino. E in questo cammino non gli interessava questo o quello. Ciò che non gli dava pace era la questione su Dio, che fu la passione profonda e la molla della sua vita e dell’intero suo cammino. “Come posso avere un Dio misericordioso?”: questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore. Per Lutero la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso, e questo, poi, era una lotta riguardo a Dio e con Dio.
“Come posso avere un Dio misericordioso?”. Che questa domanda sia stata la forza motrice di tutto il suo cammino mi colpisce sempre nuovamente nel cuore. Chi, infatti, si oggi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio? La maggior parte della gente, anche dei cristiani,  oggi dà per scontato che Dio, in ultima analisi, non si interessa dei nostri peccati e delle nostre virtù. Egli sa, appunto, che tutti siamo soltanto carne. Se si crede ancora in un al di là e in un giudizio di Dio, allora quasi tutti presupponiamo in pratica che Dio debba essere generoso e, alla fine, nella sua misericordia, ignorerà le nostre piccole mancanze. La questione non ci preoccupa più. Ma sono veramente così piccole le nostre mancanze? Non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità? La fame e la povertà potrebbero devastare a tal punto intere parti del mondo se in noi l’amore di Dio e, a partire da Lui, l’amore per il prossimo, per le creature di Dio, gli uomini, fosse più vivo? E le domande in questo senso potrebbero continuare. No, il male non è un’inezia. Esso non potrebbe essere così potente se noi mettessimo Dio veramente al centro della nostra vita. La domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? – questa scottante domanda di Lutero deve diventare di nuovo, e certamente in forma nuova, anche la nostra domanda, non accademica, ma concreta. Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero.
E poi è importante: Dio, l’unico Dio, il Creatore del cielo e della terra, è qualcosa di diverso da un’ipotesi filosofica sull’origine del cosmo. Questo Dio ha un volto e ci ha parlato. Nell’uomo Gesù Cristo è diventato uno di noi – insieme vero Dio e vero uomo. Il pensiero di Lutero, l’intera sua spiritualità era del tutto cristocentrica: “Ciò che promuove la causa di Cristo” era per Lutero il criterio ermeneutico decisivo nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Questo, però, presuppone che Cristo sia il centro della nostra spiritualità e che l’amore per Lui, il vivere insieme con Lui orienti la nostra vita.
Ora forse si potrebbe dire: va bene, ma cosa ha a che fare tutto questo con la nostra situazione ecumenica? Tutto ciò è forse soltanto un tentativo di eludere con tante parole i problemi urgenti, nei quali aspettiamo progressi pratici, risultati concreti? A questo riguardo rispondo: la cosa più necessaria per l’ecumenismo è innanzitutto che, sotto la pressione della secolarizzazione, non perdiamo quasi inavvertitamente le grandi cose che abbiamo in comune, che di per sé ci rendono cristiani e che ci sono restate come dono e compito. È stato l’errore dell’età confessionale aver visto per lo più soltanto ciò che separa, e non aver percepito in modo esistenziale ciò che abbiamo in comune nelle grandi direttive della Sacra Scrittura e nelle professioni di fede del cristianesimo antico. È questo per me il grande progresso ecumenico degli ultimi decenni: che ci siamo resi conto di questa comunione e, nel pregare e cantare insieme, nell’impegno comune per l’ethos cristiano di fronte al mondo, nella comune testimonianza del Dio di Gesù Cristo in questo mondo, riconosciamo tale comunione come il nostro comune fondamento imperituro.
Certo, il pericolo di perderla non è irreale. Vorrei far brevemente notare due aspetti. Negli ultimi tempi, la geografia del cristianesimo è profondamente cambiata e sta cambiando ulteriormente. Davanti ad una forma nuova di cristianesimo, che si diffonde con un immenso dinamismo missionario, a volte preoccupante nelle sue forme, le Chiese confessionali storiche restano spesso perplesse. È un cristianesimo di scarsa densità istituzionale, con poco bagaglio razionale e ancora meno bagaglio dogmatico e anche con poca stabilità. Questo fenomeno mondiale – che mi viene continuamente descritto dai vescovi di tutto il mondo – ci pone tutti davanti alla domanda: che cosa ha da dire a noi di positivo e di negativo questa nuova forma di cristianesimo? In ogni caso, ci mette nuovamente di fronte alla domanda su che cosa sia ciò che resta sempre valido e che cosa possa o debba essere cambiato, di fronte alla questione circa la nostra scelta fondamentale nella fede.
Più profonda e nel nostro Paese più scottante è la seconda sfida per l’intera cristianità; di essa vorrei parlare: si tratta del contesto del mondo secolarizzato, nel quale dobbiamo vivere e testimoniare oggi la nostra fede. L’assenza di Dio nella nostra società si fa più pesante, la storia della sua rivelazione, di cui ci parla la Scrittura, sembra collocata in un passato che si allontana sempre di più. Occorre forse cedere alla pressione della secolarizzazione, diventare moderni mediante un annacquamento della fede? Naturalmente, la fede deve essere ripensata e soprattutto rivissuta oggi in modo nuovo per diventare una cosa che appartiene al presente. Ma non è l’annacquamento della fede che aiuta, bensì solo il viverla interamente nel nostro oggi. Questo è un compito ecumenico centrale nel quale dobbiamo aiutarci a vicenda: a credere in modo più profondo e più vivo. Non saranno le tattiche a salvarci, a salvare il cristianesimo, ma una fede ripensata e rivissuta in modo nuovo, mediante la quale Cristo, e con Lui il Dio vivente, entri in questo nostro mondo. Come i martiri dell’epoca nazista ci hanno condotti gli uni verso gli altri e hanno suscitato la prima grande apertura ecumenica, così anche oggi la fede, vissuta a partire dell’intimo di se stessi, in un mondo secolarizzato, è la forza ecumenica più forte che ci ricongiunge, guidandoci verso l’unità nell’unico Signore. E per questo lo preghiamo di imparare di nuovo a vivere la fede per poter diventare così una cosa sola.

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CELEBRAZIONE ECUMENICA
PAROLE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Chiesa dell’ex-Convento degli Agostiniani di Erfurt
Venerdì, 23 settembre 2011

   
Cari fratelli e sorelle nel Signore!
“Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola” (Gv 17,20): così ha detto Gesù nel Cenacolo, al Padre. Egli intercede per le generazioni future di credenti. Guarda al di là del Cenacolo verso il futuro. Ha pregato anche per noi. E prega per la nostra unità. Questa preghiera di Gesù non è semplicemente una cosa del passato. Sempre Egli sta davanti al Padre intercedendo per noi, e così in quest’ora sta in mezzo a noi e vuole attrarci nella sua preghiera. Nella preghiera di Gesù si trova il luogo interiore, più profondo, della nostra unità. Diventeremo una sola cosa, se ci lasceremo attirare dentro tale preghiera. Ogni volta che, come cristiani, ci troviamo riuniti nella preghiera, questa lotta di Gesù riguardo a noi e con il Padre per noi dovrebbe toccarci profondamente nel cuore. Quanto più ci lasciamo attrarre in questa dinamica, tanto più si realizza l’unità.
È rimasta inascoltata la preghiera di Gesù? La storia del cristianesimo è, per così dire, il lato visibile di questo dramma, in cui Cristo lotta e soffre con noi esseri umani. Sempre di nuovo Egli deve sopportare il contrasto con l’unità, e tuttavia sempre di nuovo si compie anche l’unità con Lui e così con il Dio trinitario. Dobbiamo vedere ambedue le cose: il peccato dell’uomo, che si nega a Dio, si ritira in se stesso, ma anche le vittorie di Dio, che sostiene la Chiesa nonostante la sua debolezza e attira continuamente uomini dentro di sé, avvicinandoli così gli uni agli altri. Per questo, in un incontro ecumenico, non dovremmo soltanto lamentare le divisioni e le separazioni, bensì ringraziare Dio per tutti gli elementi di unità che ha conservato per noi e sempre di nuovo ci dona. E questa gratitudine deve al contempo essere disponibilità a non perdere, in mezzo ad un tempo di tentazione e di pericoli, l’unità così donata.
L’unità fondamentale consiste nel fatto che crediamo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Che lo professiamo quale Dio trinitario – Padre, Figlio e Spirito Santo. L’unità suprema non è solitudine di una monade, ma unità attraverso l’amore. Crediamo in Dio – nel Dio concreto. Crediamo nel fatto che Dio ci ha parlato e si è fatto uno di noi. Testimoniare questo Dio vivente è il nostro comune compito nel momento attuale.
L’uomo ha bisogno di Dio, oppure le cose vanno abbastanza bene anche senza di Lui? Quando, in una prima fase dell’assenza di Dio, la sua luce continua ancora a mandare i suoi riflessi e tiene insieme l’ordine dell’esistenza umana, si ha l’impressione che le cose funzionino abbastanza bene anche senza Dio. Ma quanto più il mondo si allontana da Dio, tanto più diventa chiaro che l’uomo, nell’hybris del potere, nel vuoto del cuore e nella brama di soddisfazione e di felicità, “perde” sempre di più la vita. La sete di infinito è presente nell’uomo in modo inestirpabile. L’uomo è stato creato per la relazione con Dio e ha bisogno di Lui. Il nostro primo servizio ecumenico in questo tempo deve essere di testimoniare insieme la presenza del Dio vivente e con ciò dare al mondo la risposta di cui ha bisogno. Naturalmente di questa testimonianza fondamentale per Dio fa parte, in modo assolutamente centrale, la testimonianza per Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, che è vissuto insieme con noi, ha patito per noi, è morto per noi e, nella risurrezione, ha spalancato la porta della morte. Cari amici, fortifichiamoci in questa fede! Aiutiamoci a vicenda a viverla! Questo è un grande compito ecumenico che ci introduce nel cuore della preghiera di Gesù.
La serietà della fede in Dio si manifesta nel vivere la sua parola. Si manifesta, nel nostro tempo, in modo molto concreto, nell’impegno per quella creatura che Egli volle a sua immagine, per l’uomo. Viviamo in un tempo in cui i criteri dell’essere uomini sono diventati incerti. L’etica viene sostituita con il calcolo delle conseguenze. Di fronte a ciò noi come cristiani dobbiamo difendere la dignità inviolabile dell’uomo, dal concepimento fino alla morte – nelle questioni della diagnosi pre-impiantatoria fino all’eutanasia. “Solo chi conosce Dio, conosce l’uomo”, ha detto una volta Romano Guardini. Senza la conoscenza di Dio, l’uomo diventa manipolabile. La fede in Dio deve concretizzarsi nel nostro comune impegno per l’uomo. Fanno parte di tale impegno per l’uomo non soltanto questi criteri fondamentali di umanità, ma soprattutto e molto concretamente l’amore che Gesù Cristo ci insegna nella descrizione del Giudizio finale (Mt 25): il Dio giudice ci giudicherà secondo come  ci siamo comportati nei confronti di coloro che ci sono prossimi, nei confronti dei più piccoli dei suoi fratelli. La disponibilità ad aiutare, nelle necessità di questo tempo, al di là del proprio ambiente di vita è un compito essenziale del cristiano.
Ciò vale anzitutto, come detto, nell’ambito della vita personale di ciascuno. Ma vale poi nella comunità di un popolo e di uno Stato, in cui tutti noi dobbiamo farci carico gli uni degli altri. Vale per il nostro Continente, in cui siamo chiamati alla solidarietà in Europa. E, infine, vale al di là di tutte le frontiere: la carità cristiana esige oggi il nostro impegno anche per la giustizia nel vasto mondo. So che da parte dei tedeschi e della Germania si fa molto per rendere possibile a tutti gli uomini un’esistenza degna dell’uomo, e per questo vorrei dire una parola di viva gratitudine.
Infine vorrei ancora accennare ad una dimensione più profonda del nostro obbligo di amare. La serietà della fede si manifesta soprattutto anche quando essa ispira certe persone a mettersi totalmente a disposizione di Dio e, a partire da Dio, degli altri. I grandi aiuti diventano concreti soltanto quando sul luogo esistono coloro che sono totalmente a disposizione dell’altro e con ciò rendono credibile l’amore di Dio. Persone del genere sono un segno importante per la verità della nostra fede.
Alla vigilia della mia visita si è parlato diverse volte di un dono ecumenico dell’ospite, che ci si aspettava da una tale visita. Non c’è bisogno che io specifichi i doni menzionati in tale contesto. Al riguardo vorrei dire che questo, come per lo più è apparso, costituisce un fraintendimento politico della fede e dell’ecumenismo. Quando un Capo di Stato visita un Paese amico, generalmente precedono contatti tra le istanze, che preparano la stipulazione di uno o anche di più accordi tra i due Stati: nella ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi si arriva al compromesso che, alla fine, appare vantaggioso per ambedue le parti, così che poi il trattato può essere firmato. Ma la fede dei cristiani non si basa su una ponderazione dei nostri vantaggi e svantaggi. Una fede autocostruita è priva di valore. La fede non è una cosa che noi escogitiamo e concordiamo. È il fondamento su cui viviamo. L’unità cresce non mediante la ponderazione di vantaggi e svantaggi, bensì solo attraverso un sempre più profondo penetrare nella fede mediante il pensiero e la vita. In questa maniera, negli ultimi 50 anni, e in particolare anche dalla visita di Papa Giovanni Paolo II, 30 anni fa, è cresciuta molta comunanza, della quale possiamo essere solo grati. Mi piace ricordare l’incontro con la commissione guidata dal Vescovo [luterano] Lohse, nella quale ci si è esercitati insieme in questo penetrare in modo profondo nella fede mediante il pensiero e la vita. A tutti coloro che hanno collaborato in questo – per la parte cattolica, in modo particolare, al Cardinale Lehmann – vorrei esprimere vivo ringraziamento. Non menziono altri nomi – il Signore li conosce tutti. Insieme possiamo tutti solo ringraziare il Signore per le vie dell’unità sulle quali ci ha condotti, ed associarci in umile fiducia alla sua preghiera: Fa’ che diventiamo una sola cosa, come Tu sei una sola cosa col Padre, perché il mondo creda che Egli Ti ha mandato” (cfr Gv 17,21).

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VESPRI MARIANI
PAROLE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Wallfahrtskapelle di Etzelsbach
Venerdì, 23 settembre 2011

  
Cari fratelli e sorelle!
Di vero cuore vorrei salutare tutti voi che siete venuti qui, a Etzelsbach, per quest’ora di preghiera. Fin dalla mia giovinezza ho sentito parlare tanto dell’Eichsfeld che ho pensato: devo vederlo una volta e pregare insieme con voi. Ringrazio cordialmente il Vescovo Wanke, che già durante il volo mi ha presentato la vostra regione, e ringrazio i vostri portavoce e rappresentanti che mi hanno consegnato doni simbolici della vostra terra, e, al tempo stesso, hanno potuto darmi almeno un’idea della varietà di questa regione.
Così sono molto felice che si sia realizzato il mio desiderio di visitare l’Eichsfeld e di ringraziare, assieme con voi, la Vergine Maria qui a Etzelsbach. “Qui, nell’amata vallata tranquilla” – dice un canto di pellegrini – e “sotto i vecchi tigli”, Maria ci dona sicurezza e nuova forza. In due dittature empie, che hanno mirato a togliere agli uomini la loro fede tradizionale, la gente dell’Eichsfeld era sicura di trovare qui, nel santuario di Etzelsbach, una porta aperta e un luogo di pace interiore. L’amicizia particolare con Maria, amicizia che è cresciuta da tutto questo, la vogliamo continuare, anche con questa celebrazione dei Vespri mariani di oggi.
Quando i cristiani in tutti i tempi e in tutti i luoghi si rivolgono a Maria, si fanno guidare dalla certezza spontanea che Gesù non può rifiutare le richieste che gli presenta sua Madre; e si poggiano sulla fiducia incrollabile che Maria è al tempo stesso anche Madre nostra – una Madre che ha sperimentato la sofferenza più grande di tutte, che percepisce insieme con noi tutte le nostre difficoltà e pensa in modo materno al loro superamento. Quante persone nel corso dei secoli sono andate in pellegrinaggio a Maria per trovare davanti all’immagine dell’Addolorata – come qui ad Etzelsbach – consolazione e conforto!
Guardiamo la sua immagine! Una donna di mezza età con le palpebre appesantite dal molto pianto e al contempo lo sguardo trasognato rivolto lontano, come se stesse meditando nel suo cuore su tutto ciò che era accaduto. Sulle sue ginocchia riposa il corpo esanime del Figlio; Ella lo stringe delicatamente e con amore, come un dono prezioso. Sul corpo denudato del Figlio vediamo i segni della crocifissione. Il braccio sinistro del Crocifisso cade verticalmente verso il basso. Forse questa scultura della Pietà – come spesso si usava – era originariamente collocata sopra un altare. Così il Crocifisso rimanda con il suo braccio disteso a quanto accade sull’altare dove il santo sacrificio da Lui compiuto è reso presente nell’Eucaristia.
Una particolarità dell’immagine miracolosa di Etzelsbach è la posizione del Crocifisso. Nella maggior parte delle rappresentazioni della Pietà, Gesù morto giace con il capo verso sinistra. Così l’osservatore può vedere la ferita del costato del Crocifisso. Qui a Etzelsbach, invece, la ferita del costato è nascosta, perché la salma, appunto, è orientata verso l’altro lato. A me sembra che in tale rappresentazione si nasconda un profondo significato, che si svela solo ad un’attenta contemplazione: nell’immagine miracolosa di Etzelsbach i cuori di Gesù e di sua Madre sono rivolti l’uno verso l’altro; i cuori s’avvicinano l’uno all’altro. Si scambiano a vicenda il loro amore. Sappiamo che il cuore è anche l’organo della sensibilità più profonda per l’altro, come pure l’organo dell’intima compassione. Nel cuore di Maria c’è lo spazio per l’amore che il suo Figlio divino vuole donare al mondo.
La devozione mariana si concentra nella contemplazione del rapporto tra la Madre e il suo Figlio divino. I fedeli, nella preghiera, nella sofferenza, nel ringraziamento e nella gioia, hanno trovato sempre nuovi aspetti e titoli che possono meglio dischiudere a noi questo mistero, per esempio l’immagine del Cuore immacolato di Maria come simbolo dell’unità profonda e senza riserve con Cristo nell’amore. Non è l’autorealizzazione, il voler possedere e costruire se stessi, a compiere il vero sviluppo della persona, cosa che oggi viene proposta come modello della vita moderna, ma che facilmente  si muta in una forma di egoismo raffinato. È piuttosto l’atteggiamento del dono di sé, la rinuncia a se stessi, che si orienta verso il cuore di Maria e con ciò anche verso il cuore di Cristo, come pure verso il prossimo, e solo in questo modo ci fa trovare noi stessi.
“Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28): è quanto abbiamo appena sentito nella lettura tratta dalla Lettera ai Romani. In Maria, Dio ha fatto concorrere tutto al bene e non cessa di far sì che, attraverso Maria, il bene si diffonda ulteriormente nel mondo. Dalla Croce, dal trono della grazia e della redenzione, Gesù ha dato agli uomini come Madre la propria Madre Maria. Nel momento del suo sacrificio per l’umanità, Egli rende Maria in certo modo mediatrice del flusso di grazia che deriva dalla Croce. Sotto la Croce, Maria diventa compagna e protettrice degli uomini nel loro cammino di vita. “Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata” (Lumen gentium, 62), così l’ha espresso il Concilio Vaticano II. Sì, nella vita noi attraversiamo alterne vicende, ma Maria intercede per noi presso il Figlio suo e ci aiuta a trovare la forza dell’amore divino del Figlio e ad aprirci ad esso.
La nostra fiducia nell’intercessione efficace della Madre di Dio e la nostra gratitudine per l’aiuto sempre nuovamente sperimentato portano in sé in qualche modo l’impulso a spingere la riflessione al di là delle necessità del momento. Che cosa vuol dirci veramente Maria, quando ci salva da un pericolo? Vuole aiutarci a comprendere l’ampiezza e la profondità della nostra vocazione cristiana. Con delicatezza materna vuole farci capire che tutta la nostra vita deve essere una risposta all’amore ricco di misericordia del nostro Dio. Come se dicesse a noi: comprendi che Dio, il quale è la fonte di ogni bene e non vuole nient’altro che la tua vera felicità, ha il diritto di esigere da te una vita che si abbandoni totalmente e con gioia alla sua volontà e si adoperi perché anche gli altri facciano altrettanto. “Dove c’è Dio, là c’è futuro”. In effetti: dove lasciamo che l’amore di Dio agisca totalmente sulla nostra vita e nella nostra vita, là è aperto il cielo. Là è possibile plasmare il presente così che corrisponda sempre di più alla Buona Novella del nostro Signore Gesù Cristo. Là le piccole cose della vita quotidiana hanno il loro senso e là i grandi problemi trovano la loro soluzione.
In questa certezza, preghiamo Maria, in questa certezza crediamo in Gesù Cristo nostro Signore e nostro Dio. Amen.

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INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ MUSULMANA
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Salone dei ricevimenti – Nunziatura Apostolica di Berlin
Venerdì, 23 settembre 2011

   
Cari amici musulmani,
mi è gradito porgere qui, oggi, un saluto a Voi, Rappresentanti di diverse comunità musulmane presenti in Germania. Ringrazio molto cordialmente il professore Mouhanad Khorchide per le cortesi parole di saluto e per le riflessioni profonde che ci ha presentato. Esse mostrano come è cresciuta un’atmosfera di rispetto e di fiducia tra la Chiesa cattolica e le comunità musulmane in Germania e diventi visibile ciò che insieme ci sostiene.
Berlino è un luogo opportuno per un tale incontro, non solo perché qui si trova la moschea più antica sul territorio della Germania, ma anche perché a Berlino vive il numero più grande di musulmani rispetto a tutte le altre città della Germania.
A partire dagli anni ‘70, la presenza di numerose famiglie musulmane è divenuta sempre di più un tratto distintivo di questo Paese. Sarà tuttavia necessario impegnarsi costantemente per una migliore reciproca conoscenza e comprensione. Ciò è essenziale non solo per una convivenza pacifica, ma anche per l’apporto che ciascuno è in grado di dare per la costruzione del bene comune all’interno della medesima società.
Molti musulmani attribuiscono grande importanza alla dimensione religiosa. Ciò, a volte, è interpretato come una provocazione in una società che tende ad emarginare questo aspetto o ad ammetterlo tutt’al più nella sfera delle scelte private dei singoli.
La Chiesa cattolica si impegna fermamente perché venga dato il giusto riconoscimento alla dimensione pubblica dell’appartenenza religiosa. Si tratta di un’esigenza che non diventa irrilevante nel contesto di una società maggiormente pluralista. In ciò va fatta attenzione che il rispetto verso l’altro sia sempre mantenuto. Questo rispetto reciproco cresce solo sulla base dell’intesa su alcuni valori inalienabili, propri della natura umana, soprattutto l’inviolabile dignità di ogni persona in quanto creatura di Dio. Tale intesa non limita l’espressione delle singole religioni; al contrario, permette a ciascuno di testimoniare in modo propositivo ciò in cui crede, non sottraendosi al confronto con l’altro.
In Germania – come in molti altri Paesi non solo occidentali – tale quadro di riferimento comune è rappresentato dalla Costituzione, il cui contenuto giuridico è vincolante per ogni cittadino, che sia appartenente o meno ad una confessione religiosa.
Naturalmente il dibattito sulla migliore formulazione di principi come la libertà di culto pubblico, è vasto e sempre aperto, tuttavia è significativo il fatto che la Legge Fondamentale tedesca li esprima in un modo ancora oggi valido, a distanza di più di 60 anni (cfr art. 4, 2). In essa troviamo espresso prima di tutto quell’ethoscomune che è alla base della convivenza civile e che in qualche modo segna anche le regole apparentemente solo formali del funzionamento degli organi istituzionali e della vita democratica.
Potremmo chiederci come possa un tale testo, elaborato in un’epoca storica radicalmente diversa, in una situazione culturale quasi uniformemente cristiana, essere adatto alla Germania di oggi, che vive nel contesto di un mondo globalizzato ed è segnata da un notevole pluralismo in materia di convinzioni religiose.
La ragione di ciò, mi pare, si trova nel fatto che i padri della Legge Fondamentale ebbero la piena consapevolezza, in quel momento importante, di dover cercare una base veramente solida, nella quale tutti i cittadini potessero riconoscersi e che potesse essere una base portante per tutti, al di là delle differenze. Nel fare ciò, tenendo presenti la dignità dell’uomo e la responsabilità davanti a Dio, essi non prescindevano dalla propria appartenenza religiosa; per molti di loro, anzi, la visione cristiana dell’uomo era la vera forza ispiratrice. Tuttavia sapevano che tutti gli uomini devono confrontarsi con retroterra confessionali diversi o addirittura non religiosi: il terreno comune per tutti fu trovato nel riconoscimento di alcuni diritti inalienabili, che sono propri della natura umana e che precedono ogni formulazione positiva.
In questo modo una società allora sostanzialmente omogenea pose il fondamento che oggi possiamo ritenere valido per un tempo segnato dal pluralismo. Fondamento che, in realtà, indica anche degli evidenti confini a tale pluralismo: non è pensabile, infatti, che una società possa sostenersi nel lungo termine senza un consenso sui valori etici fondamentali.
Cari amici, sulla base di quanto ho qui accennato, penso che sia possibile una collaborazione feconda tra cristiani e musulmani. E in questo modo contribuiamo alla costruzione di una società che, sotto molti aspetti, sarà diversa da ciò che abbiamo portato con noi dal passato. In quanto uomini religiosi, a partire dalle rispettive convinzioni possiamo dare una testimonianza importante in molti settori cruciali della vita sociale. Penso, ad esempio, alla tutela della famiglia fondata sul matrimonio, al rispetto della vita in ogni fase del suo naturale decorso o alla promozione di una più ampia giustizia sociale.
Anche per questo ritengo importante celebrare una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia del mondo; vogliamo fare questo – come ben sapete – il prossimo 27 ottobre ad Assisi, a 25 anni dallo storico incontro in quel luogo guidato dal mio Predecessore, il Beato Giovanni Paolo II. Con tale raduno vogliamo mostrare, con semplicità, che da uomini religiosi noi offriamo il nostro particolare contributo per la costruzione di un mondo migliore, riconoscendo al tempo stesso la necessità, per l’efficacia della nostra azione, di crescere nel dialogo e nella stima reciproca.
Con questi sentimenti rinnovo il mio cordiale saluto e vi ringrazio per questo incontro, che per me costituisce un grande arricchimento in questo soggiorno nella mia patria. Grazie per la vostra attenzione!

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