domenica 9 giugno 2013

L'inferno visto dai santi. Ottimo servizio del carissimo Padre Antonio Di Monda

titolo l'inferno visto dai santi

a cura di Padre Antonio di Monda o.f.m.conv. 1


inferno


Parlo d'inferno... e mi sembra già di sentire gli sghignazzamenti, i risolini ironici, i giudizi sprezzanti di tutti i... superuomini arrivati. Beati loro! Alla convinzione che l'inferno è una favola, un'invenzione di anime tristi che, consapevolmente o no, appestano l'aria con queste fantasie mefitiche. Sull'inferno purtroppo oggi forse si scherza troppo: fioriscono barzellette e battute che, per lo più, tendono appunto a svuotare di significato una realtà ritenuta fantasia e creazione di preti e di gente triste. Come si può oggi - dicono tanti - parlare ancora d'inferno, nell'era della tecnica onnipotente e di conquiste quasi incredibili? Ma, sia detto a scanso di equivoci: lazzi e sorrisetti ironici e altre cose del genere, non devono impressionare troppo, perché alla verità non si perviene con negazioni idiote e ironie stupide. Se tutto il mondo arrivasse alla pazzia di affermare che il sole è un'illusione, non per questo il sole cesserebbe di essere. La verità è indistruttibile ed eterna come Dio, e l'inferno è una realtà di ragione e di rivelazione, che niente e nessuno, nonostante i tanti interrogativi che solleva, potrà vanificare. È vero, molti - e sono soprattutto agnostici, razionalisti e materialisti e uomini dalla dubbia condotta - non credono all'inferno, adducendo ragioni su ragioni che non provano niente. L'inferno - dicono molti di loro - è qui sulla Terra. E ora diamo la parola a chi - per grazia speciale di Dio - ha potuto visitare il luogo dell'eterno castigo.


«Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l'anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10, 28).
«Meglio entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani e due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno» (Mt 18, 8).
«Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9, 42).


l L'inferno visto da Santa Teresa d'Avila

santa teresa d'avilaMonaca e riformatrice del Carmelo, Teresa di Gesù, nata ad Avila in Spagna il 28 marzo 1515 e morta ad Alba il 4 ottobre 1582, è una dei Santi che ha visto l'inferno. Lo racconta essa stessa nella vita scritta da lei in questi termini: «Un giorno mentre ero in orazione; mi trovai tutt'a un tratto trasportata intera nell'inferno. Compresi che Dio mi voleva far vedere il luogo che i demoni mi avevano preparato, e che io mi ero meritato con i miei peccati. 
Fu una visione che durò pochissimo, ma vivessi anche molti anni, mi sembra di non poterla più dimenticare. L'ingresso mi pareva un cunicolo molto lungo e stretto, simile a un forno assai basso, buio e angusto; il suolo tutto una melma puzzolente piena di rettili schifosi. In fondo, nel muro, c'era una cavità scavata a modo di nicchia, e in essa mi sentii rinchiudere strettamente. 

E quello che allora soffrii supera ogni umana immaginazione, né mi sembra possibile darne solo un'idea perché cose che non si sanno descrivere. Basti sapere che quanto ho detto, di fronte alla realtà sembra cosa piacevole. Sentivo nell'anima un fuoco che non so descrivere, mentre dolori intol­lerabili mi straziavano orrendamente il corpo. 

Nella mia vita ne ho sofferto moltissimi, dei più gravi che secondo i medici si possano subire sulla Terra, perché i miei nervi si erano rattrappiti sino a rendermi storpia, senza dire dei molti altri di diverso genere, causatimi in parte dal demonio. 
Tuttavia, non sono nemmeno da paragonarsi con quanto allora ho sofferto, specialmente al pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione. Ma anche questo era un nulla innanzi all'agonia dell'anima. 

Era un'oppressione, un'angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non so come esprimermi. Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci venga strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fà in brani da sé. Fatto sta che non so trovare espressioni né per dire di quel fuoco interiore né per far capire la disperazione che metteva il colmo a così orribili tormenti. 

Non vedevo chi me li faceva soffrire, ma mi sentivo ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fosse il fuoco e la disperazione interiore. Era un luogo pestilenziale, nel quale non vi era più speranza di conforto, né spazio per sedersi o distendersi, rinserrata com'ero in quel buco praticato nella muraglia. Orribili a vedersi, le pareti mi gravavano addosso, e mi pareva di soffocare. Non v'era luce, ma tenebre fittissime; eppure quanto poteva dar pena alla vista si vedeva ugualmente nonostante l'assenza della luce: cosa che non riuscivo a comprendere. 

Per allora Dio non volle mostrarmi di più, ma in un'altra visione vidi supplizi spaventosissimi, fra cui i castighi di alcuni vizi in particolare. A vederli parevano assai più terribili, ma non mi facevano tanta paura perché non li sperimentavo, mentre nella visione di cui parlo il Signore volle farmi sentire in ispirito quelle pene ed afflizioni, come se le soffrissi nel corpo [...]. Sentir parlare dell'inferno è niente. Vero è che io l'ho meditato poche volte perché la via del timore non è fatta per me, ma è certo che quanto si medita sui tormenti dell'inferno, su quello che i demoni fanno patire, o che si legge nei libri, non ha nulla a che fare con la realtà, perché totalmente diversa, come un ritratto messo a confronto con l'oggetto ritrattato. Quasi neppure il nostro fuoco si può paragonare con quello di laggiù. Rimasi spaventatissima e lo sono tuttora mentre scrivo, benché siano già passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso dove sono. 

Mi accade intanto che quando sono afflitta da qualche contraddizione o infermità, basta che mi ricordi di quella visione perché mi sembrino subito da nulla persuadendomi che ce ne lamentiamo senza motivo. Questa fu una delle più grandi grazie che il Signore m'abbia fatto, perché mi ha giovato moltissimo non meno per non temere le contraddizioni e le pene della vita che per incoraggiarmi a sopportarle, ringraziando il Signore d'avermi liberata da mali così terribili ed eterni, come mi pare di dover credere».

l L'inferno visto da Santa Veronica Giuliani

Santa Veronica Giuliani (Orsola) nacque il 27 dicembre 1660. Entrò nel monastero delle Clarisse Cappuccine di Città di Castello. Morì il 9 luglio 1727. Una visione dell'inferno, avuta nel 1696, è così raccontata da Santa Veronica: «Parvemi che il Signore mi facesse vedere un luogo oscurissimo; ma dava incendio come fosse stata una gran fornace. Erano fiamme e fuoco, ma non si vedeva luce; sentivo stridi e rumori, ma non si vedeva niente; usciva un fetore e fumo orrendo, ma non vi è, in questa vita, cosa da poter paragonare. In questo punto, Iddio mi dà una comunicazione sopra l'ingratitudine delle creature, e quanto gli dispiaccia questo peccato. E qui mi si dimostrò tutto appassionato, flagellato, coronato di spine, con viva, pesante croce in spalla. Così mi disse: "Mira e guarda bene questo luogo che non avrà mai fine. Vi sta, per tormento, la mia giustizia ed il rigoroso mio sdegno". In questo mentre, mi parve di sentire un gran rumore. Comparvero tanti demoni: tutti, con catene, tenevano bestie legate di diverse specie. Le dette bestie, in un subito, divennero creature(uomini), ma tanto spaventevoli e brutte, che mi davano più terrore che non erano gli stessi demoni. Io stavo tutta tremante, e mi volevo accostare dove stava il Signore. Ma, contuttoché vi fosse poco spazio, non potei mai avvicinarmi più. Il Signore grondava sangue, e sotto quel grave peso stava. O Dio! Io avrei voluto raccogliere il Sangue, e pigliare quella Croce, e con grand'ansia desideravo il significato di tutto. In un istante, quelle creature divennero, di nuovo, in figura di bestie, e poi, tutte furono precipitate in quel luogo oscurissimo, e maledicevano Iddio e i Santi. Qui mi si aggiunge un rapimento, e mi parve che il Signore mi facesse capire, che quel luogo era l'inferno, e quelle anime erano morte, e, per il peccato, erano divenute come bestie, e che, fra esse, vi erano anche dei religiosi [...]. Misanta veronica giuliani pareva di essere trasportata in un luogo deserto, oscuro e solitario, ove non sentivo altro che urli, stridi, fischi di serpenti, rumori di catene, di ruote, di ferri, botti così grandi, che, ad ogni colpo, pensavo sprofondasse tutto il mondo. E io non aveva sussidi ove rivolgermi; non potevo parlare; non potevo invitare il Signore. Mi pareva che fosse luogo di castigo e di sdegno di Dio verso di me, per le tante offese fatte a Sua Divina Maestà. E avevo davanti di me tutti i miei peccati [...]. Sentivo un incendio di fuoco, ma non vedevo fiamme; altro che colpi sopra di me; ma non vedevo nessuno. In un subito, sentivo come una fiamma di fuoco che si avvicinava a me, e sentivo percuotermi; ma niente vedevo. Oh! Che pena! Che tormento! Descriverlo non posso; e anche il sol ricordarmi di ciò, mi fà tremare. Alla fine, fra tante tenebre, mi parve di vedere un piccolo lume come per aria. A poco a poco, si dilatò tanto. Mi sembrava che mi sollevasse da tali pene; ma non vedevo altro». Un'altra visione dell'inferno è del 17 gennaio 1716. La Santa racconta che in detto giorno fu trasportata da alcuni angeli nell'inferno: «In un batter d'occhio mi ritrovai in una regione bassa, nera e fetida, piena di muggiti di tori, di urli di leoni, di fischi di serpenti [...]. Una grande montagna si alzava a picco davanti a me ed era tutta coperta di aspidi e basilischi legati assieme [...]. La montagna viva era un clamore di maledizioni orribili. Essa era l'inferno superiore, cioè l'inferno benigno. Infatti, la montagna si spalancò e nei suoi fianchi aperti vidi una moltitudine di anime e demoni intrecciati con catene di fuoco. I demoni, estremamente furiosi, molestavano le anime le quali urlavano disperate. A questa montagna seguivano altre montagne più orride, le cui viscere erano teatro di atroci e indescrivibili supplizi. Nel fondo dell'abisso vidi un trono mostruoso, fatto di demoni terrificanti. Al centro una sedia formata dai capi dell'abisso. Satana ci sedeva sopra nel suo indescrivibile orrore e da lì osservava tutti i dannati. Gli angeli mi spiegarono che la visione di Satana forma il tormento dell'inferno, come la visione di Dio forma la delizia del Paradiso. Nel frattempo, notai che il muto cuscino della sedia erano Giuda ed altre anime disperate come lui. Chiesi agli angeli di chi fossero quelle anime ed ebbi questa terribile risposta: "Essi furono dignitari della Chiesa e prelati religiosi». E in quell'abisso, ella vide precipitare una pioggia di anime... Ed ecco altre visioni della Santa: «Come Dante, anche la nostra Santa, appena su la soglia, ode urli, voci lamentevoli, bestemmie e maledizioni contro Dio. Vede mostri, serpenti, fiamme smisurate. È menata per tutto l'inferno. Precipitano giù, con la furia di densa grandine, le anime dei nuovi abitatori. E a quest'arrivo, si rinnovano pene sopra pene ai dannati. In un luogo ancora più profondo trova ammucchiate migliaia di anime (sono quelle degli assassini), sopra le quali incombe un torchio con una immensa ruota. La ruota gira e fà tremare tutto l'inferno. All'improvviso il torchio piomba su le anime, le riduce quasi a una sola; cosicché ciascuna partecipa alla pena dell'altra. Poi ritornano come prima. Ci sono parecchie anime con un libro in mano. I demoni le battono con verghe di fuoco nella bocca, con mazze di ferro sul capo, e con spuntoni acuti trapassano loro le orecchie. Sono le anime di quei religiosi bastardi, che adattarono la regola a uso e consumo proprio. Altre anime sono rinchiuse in sacchetti e infilzate dai diavoli nella bocca d'un orrendo dragone che in eterno le digruma. Sono le anime degli avari. Altre gorgogliano tuffate in un lago d'immondizie. Di tratto in tratto sgusciano fulmini. Le anime restano incenerite, ma dopo riacquistano lo stato primiero. I peccati che hanno commesso sono i più gravi che mai vivente può immaginare. Tutte le strade dell'inferno appaiono sparse di rasoi, di coltelli, di mannaie taglienti. E mostri, dovunque mostri. E una voce che grida: "Sarà sempre così. Sempre, sempre, sempre". Veronica è condotta alla presenza di Lucifero. Egli ha d'intorno le anime più graziate dal cielo, che nulla fecero per Iddio, per la sua gloria; e tiene sotto i piedi, a guisa di cuscino, e pesta continuamente le anime di quelli che mancarono ai loro voti. "Via l'intrusa che ci accresce i tormenti"!, urla furibondo ai suoi ministri. Levata dall'inferno, Veronica ripete esterrefatta: "O giustizia di Dio, quanto sei potente"»!

l L'inferno visto da Anna Katharina Emmerick

anna katharina emmerickAnna Caterina Emmerick nacque l'8 settembre 1774 a Flamske bei Coestfeld (Westfalia), ed entrò nel Monastero di Agnetenberg in Duelmen (Westfalia) delle Canonichesse Regolari di SantAgostino. Morì a Duelmen il 9 novembre 1824. La Emmerick tra i tanti doni ricevuti, è famosa soprattutto per le stimmate e le visioni avute. Ella ebbe una visione dell'inferno quando vide scendere il Salvatore negli inferi. «Vidi [...] il Salvatore avvicinarsi, severo, al centro dell'abisso. L'inferno mi apparve come un immenso antro tenebroso, illuminato appena da una scialba luce quasi metallica. Sulla sua entrata risaltavano enormi porte nere, con serrature e catenacci incandescenti. Urla di orrore si elevavano senza posa da quella voragine paurosa di cui, a un tratto, si sprofondarono le porte. Così potei vedere un orrido mondo di desolazione e di tenebre. L'inferno è un carcere di eterna ira, dove si dibattono esseri discordi e disperati. Mentre nel cielo si gode la gioia e si adora l'Altissimo dentro giardini ricchi di bellissimi fiori e di frutta squisite che comunicano la vita, all'inferno invece si sprofondano cavernose prigioni, si estendono orrendi deserti e si scorgono smisurati laghi rigurgitanti di mostri paurosi, orribili. Là dentro ferve l'eterna e terribile discordia dei dannati. Nel cielo invece regna l'unione dei Santi eternamente beati. L'inferno, al contrario, rinserra quanto il mondo produce di corruzione e di errore; là imperversa il dolore e si soffrono quindi supplizi in una indefinita varietà di manifestazioni e di pene. Ogni dannato ha sempre presente questo pensiero: che i tormenti, che egli soffre, sono il frutto naturale e giusto dei suoi misfatti. Quanto si sente e si vede di orribile all'inferno è l'essenza, la forma interiore del peccato scoperto. Di quel serpe velenoso, che divora quanti lo fomen­tarono in seno durante la prova mortale. Tutto questo si può comprendere quando si vede, ma riesce inesprimibile a parole. Quando gli Angeli, che scortavano Gesù, avevano abbattuto le porte infernali, si era sollevato come un subbisso d'imprecazioni, d'ingiurie, di urla e di lamenti. Alcuni Angeli avevano cacciato altrove sterminate torme di demoni, i quali avevano poi dovuto riconoscere e adorare il Redentore. Questo era stato il loro maggior supplizio. Molti di essi venivano quindi imprigionati dentro una sfera, che risultava di tanti settori concentrici. Al centro dell'inferno si sprofondava un abisso tenebroso, dov'era precipitato Lucifero in catene, il quale stava immerso tra cupi vapori. Tutto ciò era avvenuto secondo determinati arcani divini. Seppi che Lucifero dovrà essere scatenato per qualche tempo: cinquanta o sessant'anni prima dell'anno 2000 di Cristo, se non erro. Alcuni demoni invece devono essere sciolti prima di quell'epoca per castigare e sterminare i mondani. Alcuni di essi furono scatenati ai nostri giorni; altri lo saranno presto. Mentre tratto questo argomento, le scene infernali le vedo così orripilanti dinanzi ai miei occhi, che la loro vista potrebbe perfino farmi morire».

l L'inferno visto da San Giovanni Bosco

San Giovanni Bosco nacque a Castelnuovo d'Asti il 16 agosto 1815, e morì il 31 gennaio 1888. È da tutti conosciuto il suo straordinario carisma di educatore dei giovani per i quali istituì pure l'Ordine dei Salesiani. Anch'egli ebbe una visione dell'inferno che egli stesso raccontò ai giovani. «Mi trovai con la mia guida (l'Angelo Custode), infondo ad un precipizio che finiva in una valle oscura. Ed ecco comparire un edificio immenso, avente una porta altissima, serrata. Toccammo il fondo del precipizio; un caldo soffocante mi opprimeva, un fumo grasso, quasi verde, s'innalzava sui muraglioni dell'edificio e guizze di fiamme sanguigne. Domandaisan giovanni bosco: "Dove ci troviamo"? "Leggi - mi rispose la guida - l'iscrizione che è sulla porta"! C'era scritto: "Ubi non est redemptio"!, cioè: "Dove non c'è redenzione". Intanto vidi precipitare dentro quel baratro [...] prima un giovane, poi un altro, ed in seguito altri ancora; tutti avevano scritto in fronte il proprio peccato. Esclamò la guida: "Ecco la causa precipua di queste dannazioni: i compagni, i libri cattivi e le perverse abitudini". Gli infelici erano giovani da me conosciuti. Domandai: "Ma dunque è inutile che si lavori tra i giovani, se tanti fanno questa fine? Come impedire tanta rovina"? "Coloro che hai visto, sono ancora in vita; questo però è il loro stato attuale e se morissero, verrebbero senz'altro qui"! Dopo entrammo nell'edificio; si correva con la rapidità del baleno. Lessi questa iscrizione: "Ibunt impii in ignem æternum"!, vale a dire "Gli empi andranno nel fuoco eterno"! "Vieni con me"!, soggiunse la guida. Mi prese per una mano e mi condusse davanti ad uno sportello, che aperse. Mi si presentò allo sguardo una specie d'immensa caverna, piena di fuoco. Certamente quel fuoco sorpassava mille e mille gradi di calore. Io questa spelonca non ve la posso descrivere in tutta la sua spaventosa realtà. Intanto, all'improvviso, vedevo cadere dei giovani nella caverna ardente. La guida disse: "La trasgressione del sesto comandamento è la causa della rovina eterna di tanti giovani". "Ma se hanno peccato, si sono però confessati". "Si sono confessati, ma le colpe contro la virtù della purezza le hanno confessate male o taciute affatto". Ad esempio, uno aveva commesso quattro o cinque di questi peccati, ma ne disse solo due o tre. Vi sono di quelli, che ne hanno commesso uno nella fanciullezza ed ebbero sempre vergogna di confessarlo, oppure l'hanno confessato male e non hanno detto tutto. Altri non ebbero il dolore e il proponimento; anzi, taluni, invece di fare l'esame di coscienza, studiavano il modo di ingannare il confessore. E chi muore con tale risoluzione, risolve di essere nel numero dei reprobi e così sarà per tutta l'eternità [...]. "E ora vuoi vedere perché la misericordia di Dio qui ti ha condotto"? La guida sollevò un velo e vidi un gruppo di giovani di questo Oratorio, che io tutti conoscevo, condannati per questa colpa. Fra essi vi erano di quelli che in apparenza tengono buona condotta. Continuò la guida: "Predica dappertutto contro l'immodestia"! Poi parlammo per circa mezz'ora sulle condizioni necessarie per fare una buona confessione e si concluse: "Mutare vita! [...] Mutare vita"! "Ora - soggiunse l'amico - che hai visto i tormenti dei dannati, bisogna che provi anche tu un poco di inferno"! Usciti dall'orribile edificio, la guida afferrò la mia mano e toccò l'ultimo muro esterno; io emisi un grido [...]. Cessata la visione, osservai che la mia mano era realmente gonfia e per una settimana portai la fasciatura».

l L'inferno visto dai tre veggenti di Fatima

I bambini, ai quali apparve la Madonna a Fatima dal 13 maggio al 13 ottobre 1917, sono Lùcia dos Santos (nata il 22 marzo 1907 e morta il 2005), Francisco (nato l'11 giugno 1908 e morto il 4 aprile 1919) e Jacinta Marto (nata l' 11 marzo 1910 e morta il 20 febbraio 1920). Tra l'altro, la Madonna fece vedere loro l'inferno. Vedemmo, racconta Lucia, «come un grande mare di fuoco e immersi in questo fuoco i demoni e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o abbronzate, di forma umana, che ondeggiavano nell'incendio, sollevate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti - simili al cadere delle scintille nei grandi incendi - senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e di disperazione, che terrorizzavano e facevano tremare di paura. I demoni si distinguevano per la forma orribile e ributtante di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni di bracia». Ai piccoli terrorizzati dalla paura, la Madonna disse: «Avete visto l'inferno, dove vanno le anime dei poveri peccatori. Per salvarle, Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato. Se farete quello che vi dirò, molte anime si salveranno e avranno pace». La Madonna disse pure: «Quando recitate il rosario, dopo ogni mistero dite: "O Gesù mio, perdonate­ci, liberateci dall'inferno, portate in cielo tutte le anime, soprattutto quelle più bisognose"»Da notare che al tempo delle apparizioni della Madonna, Lucia dos Santos aveva dieci anni, Francisco e Jacinta Marto rispettivamente nove e sette anni.

nostra signora di fatima


l L'inferno visto da Suor Maria Josefa Menendez

suor maria josefa menendezSuor Maria Josefa Menendez, religiosa del Sacro Cuore, nacque a Madrid il 4 febbraio 1890 e morì il 29 dicembre 1923. Suor Maria Josefa Menendez fece varie visite all'inferno. Ecco quanto vede e narra in una di queste: «In un istante mi trovai nell'inferno, ma senza esservi trascinata come le altre volte, e proprio come vi devono cadere i dannati. L'anima vi si precipita da sè stessa, vi si getta come se desiderasse sparire dalla vista di Dio, per poterlo odiare e maledire. L'anima mia si lasciò cadere in un abisso, in cui non si poteva vedere il fondo, perché immenso [...]. Ho visto l'inferno come sempre: antri e fuoco. Benché non si vedono forme corporali, i tormenti straziano i dannati come se i corpi fossero presenti e le anime si riconoscono. Fui spinta in una nicchia di fuoco e schiacciata come tra piastre scottanti e come se dei ferri e delle punte aguzze arroventate s'infiggessero nel mio corpo. Ho sentito come se si volesse, senza riuscirvi, strapparmi la lingua, cosa che mi riduceva agli estremi, con un atroce dolore. Gli occhi mi sembrava che uscissero dall'orbita, credo a causa del fuoco che li bruciava orrendamente. Non si può né muovere un dito per cercare sollievo, né cambiare posizione; il corpo è come compresso. Le orecchie sono stordite dalle grida confuse, che non cessano un solo istante. Un odore nauseabondo e ripugnante asfissia ed invade tutti, come se si bruciasse carne in putrefazione con pece e zolfo. Tutto questo l'ho provato come le altre volte e, sebbene questi tormenti siano terribili, sarebbero un nulla se l'anima non soffrisse. Ma essa soffre in un modo indicibile. Ho visto alcune di queste anime dannate ruggire per l'eterno supplizio che sanno dover sostenere, specialmente alle mani. Penso che abbiano rubato, poiché dicevano: "Dov'è ora quello che hai preso? Maledette mani"! Altre anime accusavano la propria lingua, gli occhi... Ciascuna ciò che è stato causa del suo peccato: "Ben pagate sono adesso le delizie che ti concedevi, o mio corpo! [...] "E sei tu, o corpo, che l'hai voluto"! [...] Per un istante di piacere un'eternità di dolore! Mi pare che nell'inferno le anime si accusino specialmente di peccati d'impurità. Mentre ero in quell'abisso, ho visto precipitare dei mondani e non si può dire né comprendere le grida che emettevano e i ruggiti spaventosi che mandavano: "Maledizione eterna! Mi sono ingannata! Mi sono perduta! Sono qui per sempre, per sempre e non c'è più rimedio!... Maledizione a me"! Una fanciulla urlava disperatamente, imprecando contro le cattive soddisfazioni concesse al corpo e maledicendo i genitori, che le avevano data troppa libertà a seguire la moda e i divertimenti mondani. Da tre mesi era dannata. Tutto questo che ho scritto - conclude la Menendez - non è che un'ombra in paragone a ciò che si soffre nell'inferno».

l L'inferno visto da  Suor Faustina Kowalska

Kowalska Elena (Maria Faustina) nacque il 25 marzo 1955 a Glogowiec, in Polonia. Entrò nella Congregazione della Beata Vergine Maria della Misericordia. Per ordinesuor faustina kowalska
 del suo Direttore spirituale scrisse il diario personale, che intitolò La Divina Misericordia nell'anima mia. Morì a trentatré anni il 5 ottobre 1938. Anche Suor Faustina Kowalska fece l'esperienza dell'inferno. Ecco come lei racconta l'evento: «Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. È un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho visto: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri e il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di Satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità». E aggiunge: «Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina Kowalska, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno».


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Note

1 Estratto dall'opera di P. Antonio Di Monda o.f.m.conv. intitolata L'inferno visto dai SantiAssociazione Cattolica Gesù e Maria, Palermo

AVE MARIA PURISSIMA!

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Chiesa e post concilio: Luciana Cuppo. "Tutto va ben, madama la marchesa":...: Ringrazio di cuore Luciana Cuppo per aver voluto condividere con noi questo testo, che rende giustizia ad una delle molte  obliterazioni  n...

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Aspettando nuovi Cieli e nuova terra

sabato 8 giugno 2013

RESURRECCIÓN DEL HIJO DE LA VIUDA DE NAÍM / Domingo X T.O.: 9 junio 2013

I 14 Santi Ausiliatori: Santi e Sante di Dio, pregate per noi!

RESURRECCIÓN DEL HIJO
DE LA VIUDA DE NAÍM





Naim debió haber sido una población de importancia en tiempos de Jesús. No es muy extensa, pero bien construida, encerrada dentro de un cinturón de murallas, sobre una colina de poca altura y hermosa. Una extensión del pequeño Hermón, que domina toda una llanura fertilísima que va en dirección del noroeste.
Se llega, viniendo de Endor, atravesando un riachuelo que debe ser afluente del Jordán, pero que no se ve desde aquí, ni su valle, porque las colinas los ocultan formando un arco, como una interrogación, hacia el este.
Jesús se dirige por un camino principal que junta las regiones del lago al Hermón y a sus poblados. Detrás de Él caminan muchos habitantes de Endor enzarzados en animosas charlas.

JESÚS VE QUE VIENE UN CORTEJO FÚNEBRE


"¡OH! SE TRATA DE UN NIÑO PORQUE MIRA 
CUÁNTAS FLORES Y CINTAS HAY SOBRE LA CAMILLA"

La distancia que separa el grupo apostólico de la muralla es muy corta: unos doscientos metros a lo más. Y ya que el camino principal va a dar directamente a una puerta de la ciudad -está abierta durante el día- se puede ver al punto cuanto hay más allá, de la muralla. De este modo, Jesús que estaba hablando con los apóstoles y con el nuevo convertido, ve que viene entre un gran clamor de llantos a la manera oriental, un cortejo fúnebre.
"Vamos a ver, Maestro" dicen varios. Muchos de los que vinieron de Endor ya se han ido a ver.
"Vamos, pues," dice Jesús condescendiente.
"¡Oh! se trata de un niño porque mira cuántas flores y cintas hay sobre la camilla" dice Judas de Keriot a Juan.
"O puede ser una doncella" responde.
"No ciertamente debe ser un joven por los colores que han puesto. Y luego, faltan los mirtos..." dice Bartolomé.

SALE EL FUNERAL FUERA DE LA MURALLA

Sale el funeral fuera de la muralla. Qué cosa vaya sobre la camilla, que llevan en alto sobre las espaldas los que la cargan, no es posible adivinar. Se comprende que es un cuerpo porque va envuelto en vendas y por la sábana que toma su forma. Además debe ser el cuerpo de alguien que ha llegado al desarrollo completo porque es tan largo como la camilla.
A su lado una mujer velada, a quien ayudan parientes o amigas, camina llorando. El único llanto verdadero en toda esa comedia de gritos. Y cuando la camilla parece moverse porque uno de los cargadores ha encontrado un hoyo, o tropezado contra una piedra, la madre entre gemidos dice: "Oh, no. Despacio. Sufrió tanto mi hijo" y levanta una mano temblorosa para acariciar el borde de la camilla y no pudiendo hacer otra cosa, besa la tela y las cintas que el viento suavemente mueve, y que descubren la forma inmóvil.
"Es la mamá" dice Pedro afligido y con lágrimas que se le asoman en los ojos. Pero no es el único en cuyos ojos el llanto brille. Zelote, Andrés, Juan y hasta el siempre alegre Tomás, tienen en los ojos las perlas prontas a caer. Todos, todos están conmovidos. Judas Iscariote murmura: "¡Si fuese yo! Oh pobre madre mía..."

JESÚS SE DIRIGE A LA CAMILLA

Jesús, cuyos ojos son de una dulzura infinita, se dirige a la camilla.
La madre, que llora mucho más fuerte porque el cortejo va a torcer para ir al sepulcro que está ya abierto, empuja con violencia a los cargadores, al ver que Jesús trata de tocar la camilla. En su delirio tal vez, algo habrá imaginado. Grita: "¡Es mío!" y con ojos de una demente mira a Jesús.
"Lo sé, madre. Es tuyo."
"Es mi hijo único. ¿Por qué la muerte? ¿A él que era bueno y amable? ¿A él que era la alegría de mí, que soy viuda? ¿Por qué?" El grupo de las plañideras aumenta su llanto, por el que les pagan, para hacer coro al de la madre que prosigue gritando: "¿Por qué él y no yo?  No es justo que quien ha engendrado, vea perecer lo suyo. La semilla debe vivir, porque de otro modo, ¿de qué sirve que estas entrañas se desgarren para dar a luz a un hombre?" y se pega en el vientre sin temor, sin compasión.

DETENEOS Y PONED LA CAMILA EN TIERRA, 
DICE JESÚS

"No hagas así. No llores, madre." Jesús le toma las manos y fuertemente se las estrecha con la izquierda, mientras con la derecha, toca la camilla y dice a los cargadores: "Deteneos, y poned la camilla en tierra."
Obedecen. Bajan la camilla que queda apoyada sobre cuatro patas.
Jesús toma la sábana que cubre al muerto, la echa hacia atrás, descubriendo el cadáver. La madre expresa todo su dolor al llamar a su hijo por el nombre de "Daniel".

JOVEN, YO TE MANDO: ¡LEVÁNTATE!

"ES TUYO, MUJER. TE LO DEVUELVO 
EN NOMBRE DE DIOS. 
AYÚDALE A QUITARSE EL SUDARIO. SED FELICES."

Jesús, sin soltar las manos de la mujer, se endereza. Su mirada despide imponente fulgor, es la mirada de los grandes milagros. Baja la mano derecha y ordena, con toda la fuerza de su voz: "Joven, Yo te mando: ¡levántate!"
El muerto, así como está, envuelto en las vendas, se incorpora, se sienta en la camilla y dice: "¡Mamá!" La llama con una voz de niño, con una voz de pequeño que se siente aterrorizado.
"Es tuyo, mujer. Te lo devuelvo en nombre de Dios. Ayúdale a quitarse el sudario. Sed felices."
Jesús trata de retirarse. Pero no. La multitud lo aprisiona junto a la camilla, a donde la madre se ha arrojado, y que gesticula entra las vendas para quitarlas lo más pronto posible, mientras que se oye otra vez la voz implorante: "Mamá, mamá."
Ha quitado el sudario, ha desenvuelto las vendas, y madre e hijo se abrazan, y o hacen sin tener en cuenta las capas de bálsamo que la madre quita de la cara, de las manos, con las mismas vendas; y luego, no teniendo que echarle encima, se quita el manto y se lo envuelve, y lo vuelve a acariciar...

¿POR QUÉ LLORAS, SEÑOR? 
PIENSO EN MI MADRE...

"TAMBIÉN TÚ, HIJO MÍO. BENDICE ESTE SANTO
QUE TE HA DEVUELTO A LA VIDA Y A TU MADRE" 

Y SE INCLINA A BESAR EL VESTIDO DE JESÚS, 
ENTRE TANTO QUE LA MULTITUD PRORRUMPE 
EN HOSANNAS A DIOS Y A SU MESÍAS,

 Jesús la mira... mira esta pareja de amor, estrechándose sobre la orilla de la camilla, y de sus ojos brotan las lágrimas. Judas Iscariote ve este llanto y pregunta: "¿Por qué lloras, Señor?"
Jesús le vuelve el rostro y le dice: "Pienso en mi Madre..."
Esta breve conversación hace volver a la mujer los ojos hacia su Bienhechor. Toma por la mano al hijo, lo levanta, porque es como uno cuando siente cierto adormecimiento en los miembros, se arrodilla y dice: "También tú, hijo mío. Bendice este Santo que te ha devuelto a la vida y a tu madre" y se inclina a besar el vestido de Jesús, entre tanto que la multitud prorrumpe en hosannas a Dios y a su Mesías, porque los apóstoles y los vecinos de Endor lo han propalado y llamado por tal.
Toda la multitud grita: "Sea bendito el Dios de Israel. Bendito el Mesías: su Enviado. Bendito Jesús, hijo de David. Un gran Profeta ha nacido entre nosotros. Dios ha visitado realmente su pueblo. Aleluya, Aleluya."
Finalmente Jesús puede escabullirse y entra en la ciudad. La multitud lo sigue y lo sigue, llevada de su amor.

TE RUEGO QUE TE QUEDES EN MI CASA.
NO PUEDO.
SOY EL SINAGOGO.

Sale al paso un hombre que profundamente se inclina a saludarlo. "Te ruego que te quedes en mi casa."
"No puedo. La Pascua me impide que me detenga fuera de lo establecido."
Dentro de pocas horas llega el crepúsculo y hoy es viernes..."
"Por esta razón debo llegar antes del crepúsculo a mi etapa. Te doy las gracias como si me quedase. No me retengas."
"Soy el sinagogo."
"Y con esto quieres insinuar que tienes derecho. Hombre, bastaba con que me hubiese tardado una hora para que aquella mujer no hubiese recuperado a su hijo. Voy a donde otro infelices me esperan. No retardes por egoísmo su alegría. Otra  vez regresaré y me hospedaré contigo, en Naim, por algunos días. Ahora déjame ir."
El hombre no insiste más. Se limita a decir: "Lo has dicho. Te espero."
"Sí. La paz sea contigo y con los habitantes de Naim. También a vosotros los de Endor, paz y bendición. Regresad a vuestras casas. Dios os ha hablado a través del milagro. Haced que en todos vuestros corazones por la fuerza del amor, haya tantas resurrecciones."
Un último grito de hosannas. Luego la multitud deja que se vaya Jesús que atraviesa diagonalmente la ciudad y sale al despoblado, hacia Esdrelón... 
III. 297-301

A. M. D. G. et B. V. M.

Vangelo Domenica X Tempo Ord. Anno C: S. Luca 7, 11-17: Gesù risuscita il figlio della vedova di Naim


Digita:

http://www.potenzadellacroce.net/contenuti/materiali/Maria_Valtorta_-_Evangelo_completo.pdf   

E cerca il capitolo: 

189. A Naim. Resurrezione del figlio di una vedova.// pag. 500 //

SURREXIT!

Terribile vizio

Cor Mariae Immaculatum
intercede pro nobis

Nella Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù il Celebrante nell'omelia ha detto che  Gesù oggi viene ancora vilipeso, flagellato e ferito nel suo corpo mistico. 
Quel che fa soffrire il suo Cuore divino è l'atteggiamento permissivo tenuto da tanti Sacerdoti e da alcuni Vescovi, che giustificano anche i più gravi atti di impurità.  
...Ma come si fa ad accogliere all'altare tanti poveri figli, consumati da questo terribile vizio, ed incoraggiarli pubblicamente a proseguire sulla strada del peccato impuro contro natura?

Gli atti impuri contro natura sono peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Questi peccati attirano su di noi e sulle nostre nazioni le fiamme della Giustizia di Dio.

E' giunto il tempo di proclamare a tutti, con chiarezza e con coraggio, che il sesto comandamento dato da Dio a Mosè: <<non commettere atti impuri>>, ha ancora tutto il suo valore e deve essere osservato anche da questa generazione corrotta e pervertita.

OGNI PASTORE che , in qualsiasi maniera, giustificasse questi peccati, attira sulla sua persona e sulla sua vita il fuoco ardente della divina giustizia.
La coppa della iniquità è ormai colma, stracolma e trabocca da ogni parte.

E' urgente pertanto moltiplicare ardenti preghiere riparatrici, e offrire al Cuore Immacolato di Maria e al SS. Cuore di Gesù le nostre vite, profumate dalla virtù della purezza.
... Il mondo presto tornerà ad essere un nuovo giardino di luce, di purezza e di santità. 
S. Giacinta prega per noi