domenica 24 marzo 2013

Lucifero: si ammirò e ... Pensò: “Conosco il segreto di Dio. So le parole, mi è noto il disegno. Posso tutto ciò che Lui vuole. Come ho presieduto le prime operazioni creative, posso procedere”. “Io sono”. La parola che solo Dio può dire, fu il grido di rovina del superbo: E fu Satana.



  • Il nome primitivo era Lucifero; nella mente di Dio voleva dire: ”Alfiere o portatore della luce” ossia di Dio, perché Dio è Luce. 

    Secondo in bellezza fra tutto quanto è, era specchio puro che rifletteva l’insostenibile Bellezza. Nelle missioni agli uomini egli sarebbe stato l’esecutore del volere di Dio, il messaggero dei decreti di bontà che il Creatore avrebbe trasmesso ai suoi beati figli senza colpa, per portarli sempre più in alto nella sua somiglianza. Il portatore della luce, con i raggi di questa luce divina che portava, avrebbe parlato agli uomini ed essi, essendo privi di colpe, avrebbero compreso questi balenii di armoniche parole tutte amore e gaudio.


    Vedendosi in Dio, vedendosi in se stesso, vedendosi nei compagni, perché Dio lo avvolgeva della sua luce e si beava nello splendore del suo arcangelo e perché gli angeli lo veneravano come il più perfetto specchio di Dio, si ammirò. Doveva ammirare Dio solo, ma nell’essere di tutto quanto è creato, sono presenti tutte le forze buone e malvagie e si agitano, finché una delle due parti vince per dare bene o male, come nell’atmosfera sono tutti gli elementi gassosi perché necessari.

    Lucifero attrasse a sé la superbia, la coltivò, la estese, se ne fece arma e seduzione.  Volle più che non avesse, volle il tutto, lui che era già tanto. Sedusse i meno attenti fra i compagni, li distrasse dal contemplare Dio come suprema Bellezza. Conoscendo le future meraviglie di Dio, volle essere lui al posto di Dio. Si vide, col pensiero turbato, capo degli uomini futuri, adorato come potenza suprema. 

    Pensò: “Conosco il segreto di Dio. So le parole, mi è noto il disegno. Posso tutto ciò che Lui vuole. Come ho presieduto le prime operazioni creative, posso procedere”. “Io sono”. La parola che solo Dio può dire, fu il grido di rovina del superbo: E fu Satana.



    Fu “Satan”. In verità ti dico che il nome di Satan non fu messo dall’uomo, che pure, per ordine e volere di Dio, mise un nome a tutto ciò che conobbe essere, e che tuttora battezza con un nome da lui creato le sue scoperte, in verità ti dico, che il nome di Satan viene direttamente da Dio ed è una delle prime rivelazioni che Dio fece allo spirito di un suo povero figlio vagante sulla terra.



    Come il mio nome SS.mo ha il significato che ti ho detto una volta, ora ascolta il significato di questo nome orrendo. Scrivi come ti dico:


    S  =  Sacrilegio – Superbo
    A  =  Ateismo – Avverso
    T  =  Turpitudine – Tentatore - Traditore
    A  =  Anticarità – Avido
    N  =  Negazione – Nemico

    Questo è Satan e questo sono coloro che sono malati di satanismo. E ancora è: seduzione, astuzia, tenebra, agilità, nequizia. Le cinque maledette lettere che formano il suo nome, scritte col fuoco sulla sua fronte fulminata. Le cinque maledette caratteristiche del Corruttore, contro le quali fiammeggiano le cinque benedette mie Piaghe, che col loro dolore salvano chi vuole essere salvato da ciò che Satana continuamente inocula.

    Il nome di “demonio, diavolo, belzebù” può essere di tutti gli spiriti tenebrosi ma questo è solo il ‘suo’ nome. In Cielo è nominato con quello, perché là si parla il linguaggio di Dio, in fedeltà d’amore anche per indicare ciò che si vuole, secondo come l’ha pensato Iddio.




    Egli è il “Contrario”, quello che è il contrario di Dio e ogni sua azione è l’antitesi delle azioni di Dio e ogni suo studio è portare gli uomini ad essere contrari a Dio. Ecco ciò che è Satana, è il mettersi contro di “Me” in azione. Alle mie tre virtù teologali, oppone la triplice concupiscenza; alle quattro cardinali e a tutte le altre che da Me scaturiscono, il vivaio serpentino dei suoi vizi orrendi.



    Ma come si dice che di tutte le virtù la più grande è la carità, così dico che delle sue antivirtù, la più grande e a Me repulsiva, è la superbia, perché per essa tutto il male è venuto. 

    Per questo dico che, mentre ancora compatisco la debolezza della carne che cede al fomite della lussuria, non posso compatire l’orgoglio che vuole, da nuovo Satana, competere con Dio. Ti sembro ingiusto? No.

    Considera che la lussuria, in fondo, è vizio della parte inferiore, che in alcuni ha appetiti tanto voraci, soddisfatti in momenti di abbruttimento che inebetisce, ma la superbia è vizio della parte superiore, consumato con acuta e lucida intelligenza, premeditato, duraturo. Lede la parte che più somiglia a Dio, calpesta la gemma data da Dio, comunica somiglianza con Lucifero. 

    Semina il dolore più della carne perché la carne potrà far soffrire una sposa, una donna, ma la superbia può fare vittime in interi continenti, in ogni classe di persone. Per la superbia è stato rovinato l’uomo e perirà il mondo. Per la superbia langue la fede. La superbia: la più diretta emanazione di Satana. 29.12.45

    "Dignare me laudare Te Virgo sacrata
    Da mihi virtutem contra hostes tuos!"

Oblatus est, quia ipse voluit (Is. LIII, 7). Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis (Eph. V, 2). Et in caritate perpetua dilexi te (Ier. XXXI, 3).





S. Alfonso Maria de Liguori

Forza che ha la Passione di Gesù Cristo
per accendere il divino amore in ogni cuore


Dicit discipulo: "Ecce mater tua" (Io. XIX, 27)


Diceva il P. Baldassarre Alvarez, gran servo di Dio, che non pensiamo di aver fatto alcun cammino nella via di Dio, finché non arriviamo a tener sempre Gesù crocifisso nel cuore.1 E S. Francesco di Sales scrisse che l'amore che non nasce dalla Passione é debole.2 Sì, perché non può esservi motivo che più ci stringa ad amare il nostro Dio che la Passione di Gesù Cristo, in sapere che l'Eterno Padre, per dichiararci l'eccesso dell'amor che ci porta, ha voluto mandar il suo Figlio Unigenito in terra a morire per noi peccatori; onde scrisse l'Apostolo che Dio per il troppo amore con cui ci amò volle che la morte del Figlio recasse a noi la vita: Propter nimiam caritatem suam, qua dilexit nos... cum essemus mortui peccatis, convivificavit nos in Christo (Eph. II, 4, 5). E ciò appunto espressero Mosè ed Elia sul monte Taborre parlando della Passione di Gesù Cristo, non sapendo chiamarla con altro nome che un eccesso d'amore: Et dicebant excessum eius, quem completurus erat in Ierusalem (Luc. IX, 31).

Quando venne al mondo il nostro Salvatore a morire per gli uomini, furono uditi da' pastori gli angeli che cantavano: Gloria in altissimis Deo (Luc. II, 14). Ma l'essersi umiliato il Figlio di Dio a farsi uomo per amor dell'uomo sembrava che così più presto si fosse oscurata che manifestata la divina gloria; ma no, che la gloria di Dio non poteva in miglior modo






palesarsi al mondo che morendo Gesù Cristo per la salute degli uomini; poiché la Passione di Gesù Cristo ci ha fatto conoscere la perfezione degli attributi divini. Ci ha fatto conoscere quanto sia stata grande la divina Misericordia, in voler morire un Dio per salvare i peccatori, e morir poi con una morte sì dolorosa ed obbrobriosa. Dice S. Giovan Grisostomo che il patire di Gesù Cristo non fu un patire comune, e la sua morte non fu una morte semplice e simile a quella degli altri uomini: Non Passio communis, non mors simplex, morti similis (S. Io. Chrysost. serm. de Pass.).3

Di più ci ha fatta conoscere la divina Sapienza. Se il nostro Redentore era solamente Dio, non potea soddisfare per l'uomo, perché non poteva Iddio soddisfare egli a se stesso in vece dell'uomo; né Dio potea soddisfare col patire essendo egli impassibile. All'incontro se fosse stato solo uomo, non poteva l'uomo soddisfare la grave ingiuria da lui fatta alla divina Maestà. Onde che fece Iddio? Mandò il suo medesimo Figlio, vero Dio com'era esso Padre, a prender carne umana, affinché così come uomo pagasse colla sua morte la divina giustizia e come Dio gli rendesse una piena soddisfazione.

Inoltre fe' conoscere quanto sia grande la divina Giustizia. Dicea S. Giovan Grisostomo che non tanto l'inferno, con cui castiga





Dio i peccatori, dimostra quanto sia grande la sua giustizia, quanto la fa intendere Gesù in croce4, poiché nell'inferno son punite le creature per li loro propri peccati, ma nella croce si vede un Dio maltrattato per soddisfare i peccati degli uomini. Quale obbligo avea Gesù Cristo di morire per noi?Oblatus est, quia ipse voluit (Is. LIII, 7). Egli poteva giustamente abbandonare l'uomo nella sua perdizione, ma l'amore che ci portava non gli permise di vederci perduti; onde elesse di abbandonare se stesso ad una morte così penosa, affin di ottenerci la salute: Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis (Eph. V, 2). Egli aveva amato l'uomo sin dall'eternità: Et in caritate perpetua dilexi te (Ier. XXXI, 3). Ma poi vedendosi obbligato dalla sua giustizia a condannarlo e tenerlo sempre da sé lontano e separato nell'inferno, perciò la sua misericordia lo spinse a trovare il modo da poterlo salvare, ma comecon soddisfare esso medesimo la divina giustizia colla sua morte. E perciò volle che nella stessa croce, ove morì, fosse appeso il decreto della condanna della morte eterna meritata dall'uomo, acciocché restasse cancellato col suo sangue: Delens quod adversus nos erat chyrographum decreti, quod erat contrarium nobis, et ipsum tulit de medio, affigens illud cruci (Coloss. II, 14). E così per li meriti del suo sangue ci condonò tutti i nostri delittiDonans vobis omnia delicta (Ibid. II, 13). Ed insieme spogliò i demoni de' dritti sopra di noi acquistati, conducendo seco in trionfo così i nemici come noi che eravamo la loro predaEt exspolians principatus et potestates, traduxit confidenter palam triumphans illos in semetipso (Ibid. II, 15). Commenta Teofilatto: Quasi victor ac triumphator circumvehens secum praedam et hostes in triumphum.5

Quindi Gesù Cristo soddisfacendo così la divina giustizia, nel morir sulla croce non parlò che di misericordia; egli pregò




il Padre ad aver misericordia degli stessi Giudei che gli avean tramata la morte, e de' carnefici che lo stavano uccidendoPater, dimitte illis: non enim sciunt quid faciunt (Luc. XXIII, 34). Egli stando in croce, in vece di punire ambedue i ladroni che poco prima l'aveano ingiuriato: Et qui cum eo crucifixi erant, conviciabantur ei (Marc. XV, 32): udendo però uno di loro che gli domandava pietà: Domine, memento mei, cum veneris in regnum tuum (Luc. XXIII, 42): egli abbondando di misericordia gli promise per quello stesso giorno il paradiso: Hodie mecum eris in paradiso (Ibid. XXIII, 43). Ivi prima di morire, in persona di Giovanni ci donò per madre la sua stessa MadreDicit discipulo: Ecce mater tua(Io. XIX, 27). Ivi in croce si dichiara contento di aver fatto tutto per ottenerci la salute, e perfeziona il sagrificio colla sua mortePostea sciens Iesus quia omnia consummata sunt... dixit: Consummatum est. Et inclinato capite tradidit spiritum (Ibid. XIX, 28 et 30).

Ed ecco colla morte di Gesù Cristo liberato l'uomo dal peccato e dalla potestà di Lucifero, e di più sollevato alla grazia e ad una grazia maggiore di quella che perdé AdamoUbi autem abundavit delictum, scrive S. Paolo, superabundavit gratia(Rom. V, 20). Resta a noi dunque, scrive l'Apostolo, di spesso ricorrere con confidenza a questo trono della grazia, quale appunto è Gesù crocifisso, acciocché riceviamo dalla sua misericordia la grazia della salute coll'aiuto opportuno per superare le tentazioni del mondo e dell'inferno: Adeamus ergo cum fiducia ad thronum gratiae, ut misericordiam consequamur, et gratiam inveniamus in auxilio opportuno (Hebr. IV, 16).

Ah Gesù mio, io vi amo sopra ogni cosa; e chi voglio amare se non amo voi che siete una bontà infinita e siete morto per me? Vorrei morir di dolore ogni volta che penso di avervi discacciato dall'anima mia col mio peccato, e di essermi separato da voi che siete l'unico mio bene e mi avete tanto amato. Quis me separabit a caritate Christi?6

Solo il peccato mi può separare da voi. Ma io spero dal sangue che avete sparso per me, che non mai permetterete ch'io mi separi dal vostro amore e perda la grazia vostra, ch'io stimo più di ogni altro bene. Io vi dono tutto me stesso; accettatemi






voi e tiratevi tutti gli affetti miei, acciocch'io non ami altri che voi.

Forse Gesù Cristo pretende troppo, volendo che ci diamo tutti a lui, dopo ch'egli ci ha dato tutto il sangue e la vita morendo per noi in croce? Caritas enim Christi urget nos (II Cor. V, 14). Udiamo quel che dice S. Francesco di Sales sulle citate parole: «Il saper noi che Gesù ci ha amati sino alla morte e morte di croce, non è questo un sentire i nostri cuori stringere per una violenza che tanto è più forte, quanto è più amabile?»7 E poi soggiunge: «Il mio Gesù si dà tutto a me, ed io mi do tutto a lui; io viverò e morirò sopra il suo petto, né la morte né la vita da lui mai mi divideranno».8

A questo fine è morto Gesù Cristo, scrive S. Paolo, acciocché ognuno di noi non viva più al mondo né a se stesso, ma solo a lui che tutto si è dato a noiEtpro omnibus mortuus est Christus, ut et qui vivunt, iam non sibi vivant, sed ei qui pro ipsis mortuus est(II Cor. V, 15). Chi vive al mondo cerca di piacere al mondo: chi vive a se stesso cerca a sé piacere: ma chi vive a Gesù Cristo non cerca che di piacere a Gesù Cristo, e non teme che di dargli disgusto: non gode che in vederlo amato e non si affligge che in vederlo disprezzato. Questo è vivere a Gesù Cristo e questo egli pretende da ciascuno di noi. Replico, forse pretende troppo dopo che per ognuno di noi ha dato il sangue e la vita?

Oh Dio, e perché abbiamo da impiegare i nostri affetti in amar le creature, i parenti, gli amici, i potenti del mondo, che per noi non han sofferti né flagelli, né spine, né chiodi, ne han data una goccia di sangue per noi, e non un Dio che per nostro amore è sceso dal cielo in terra, si è fatt'uomo, ha sparso tutto il sangue per noi a forza di tormenti, e finalmente è morto di dolore sovra d'un legno per tirarsi i nostri cuori? ed inoltre





per unirsi maggiormente con noi si è lasciato, dopo la sua morte, sugli altari dove si fa una cosa con noi per farc'intendere l'ardente amor che ci porta?Semetipsum nobis immiscuit, esclama S. Grisostomo, ut quid unum simus; ardenter enim amantium hoc est.9 E S. Francesco di Sales soggiunge, parlando della santa comunione: “In niun'altra azione può considerarsi il Salvatore né più tenero né più amoroso che in questa in cui si annichila, per così dire, e si riduce in cibo per unirsi al cuore de' suoi fedeli.»10

Ma come va, Signore, ch'io dopo essere stato amato da voi con tante speciali finezze, ho avuto l'animo di disprezzarvi, come giustamente mi rimproverate? Filios enutrivi et exaltavi: ipsi autem spreverunt me (Is. I, 2). Ho avuto l'animo di voltarvi le spalle per soddisfare il mio senso?Proiecisti me post corpus tuum (Ezech. XXIII, 35). Ho avuto l'animo di discacciarvi dall'anima mia?Impii dixerunt Deo, recede a nobis (Iob, XXI, 14).11Ho avuto l'animo di affliggere il vostro Cuor che miha tanto amato? Ma che perciò? debbo diffidarmi della vostra misericordia? Maledico quei giorni in cui vi disonorai. Oh fossi morto mille volte prima, o mio Salvatore, e non vi avessi mai offeso! O Agnello di Dio, voi vi siete fatto svenar sulla croce per lavare i nostri peccati col vostro sangue! O Peccatori, quanto paghereste voi una goccia di sangue di questo Agnello nel giorno del giudizio! o Gesù mio, abbiate pietà di me e perdonatemi. Mavoi sapete la mia debolezza; prendetevi tutta la mia volontà, acciocch'ella non si ribelli più da voi. Discacciate da me ogni amore che non è per voi. Voi solo mi eleggo



per mio tesoro e per unico mio bene; voi mi bastate e non desidero altro bene fuori di voi. Deus cordis mei, et pars mea Deus in aeternum.

O Pecorella diletta di Dio, che siete la madre dell'Agnello divino (così la chiamava S. Teresa Maria SS. la Pecorella)12, raccomandatemi al vostro Figlio; voi dopo Gesù siete la speranza mia; giacché siete la speranza de' peccatori, in manovostra confido la mia eterna salute. Spes nostra, salve.

GESU' MARIA GIUSEPPE!

Satana si presenta sempre con veste benevola, con aspetto comune.


Satana si presenta sempre con veste benevola, con aspetto comune. Se le anime sono attente e soprattutto in spirituale contatto con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardinghe e pronte a combattere le insidie demoniache. 



Se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da un canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto, sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene poi, è molto difficile.



Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore.



Prima il morale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore – quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani – ma anche il timore di Dio. E’ allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre più.





Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure, ma reagire con la sostenutezza alla sua presenza e con la preghiera alla sua seduzione. 



E’ inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca; e allora ricorrere a Dio che parli per noi, attraverso noi. Mostrare a Satana quel Nome e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta. (…)





Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male. 

46.12


AVE AVE AVE MARIA!



















sabato 23 marzo 2013

COSI' E'




 primo Papa che bacia pubblicamente un Capo di Stato. 



 in abito piano (prima volta nella storia).
 Il Principe Felipe in uniforme.
 in Santa Marta: niente zucchetto, niente pellegrina.
 l'omelia della messa di intronizzazione, senza  la mitria. Un unicum.
 Munus regendi, munus docendi, munus sanctificandi. 
Reggere, insegnare, santificare. 
Governo. Dottrina. Sacramenti.
Mozzetta, rocchetto, stola e croce pettorale. C'era la cortina di ferro e la società era più povera.
Un Papa mite ed umile riceve l'omaggio di tutti i cardinali con una mitria preziosa.
Benedetto XVI, venerdì santo - totalmente prostrato dinanzi al Signore

Lettera al fratello Severo capo-famiglia - Vaticano, 3 dicembre 1961:
 ... Questo è e sarà uno dei titoli di onore più belli e più apprezzati di papa Giovanni, e della sua famiglia Roncalli. Alla mia morte non mi mancherà l'elogio che fece tanto onore alla santità di Pio X: nato povero e morto povero. "
Carcerati in ginocchio alla presenza del Papa che va ad abbracciarli

Paolo VI benedice un infermo a Gerusalemme
Paolo VI al Bambin Gesù con Mozzetta, rocchetto e stola.
Giovanni Paolo II abbraccia un bambino.
Benedetto XVI con il Saturno in campagnola (scoperta) - non papamobile - saluta i fedeli.
Benedetto XVI abbraccia un infermo.
Benedetto XVI abbraccia i bambini.
Così deve essere, così deve mostrarsi. "...miserere nostri, Domine, miserere nostri, quia multum repleti sumus despectione, quia multum repleta est anima nostra obprobrium abundantibus et despectio superbis" (Sal 122)

María es la dispensadora de las gracias; que acuden a Ella con Amor, con humildad y constancia, y alcanzarán llegar al ideal que pide mi Padre, en su transformación en Mí. Este es el camino más corto, ¡María! Para ir al Espíritu Santo, para alcanzar el amor, que es el que transforma, asimila, une y santifica. Este es el medio más dulce, tierno y delicado y puro, ¡María!



Mensajes de Nuestro Señor 
Jesucristo a sus Hijos Los Predilectos.




("A Mis Sacerdotes" de Concepción Cabrera de Armida


XLIX

MARIA

Y un punto muy consolador para el sacerdote y que él solo sería bastante para que buscara con ahínco su transformación en Mí es que, a medida y en escala de esta transformación, serán ellos más hijos de María y más acreedores a su ternura, a sus caricias y a su amor cándido y maternal.


Así como mi Padre dulcifica sus miradas hacia el sacerdote a medida que el sacerdote se va haciendo otro Jesús; así María ensancha más su Corazón y su ternura de Madre en cuánto ve más perfecta mi imagen en el sacerdote.


Como el Padre mira en Mí, su Verbo humanado, todas las cosas y en Mí las almas y no puede amar nada fuera de Mí; así María en Mí, su Jesús divinizado y divino, ama a todos sus hijos, especialmente a los sacerdotes, y más ama a los que más se asemejan a Mí, su Hijo divino; a los que llevan los rasgos de mi fisonomía más marcados a la medida de su transformación en Mí.


Esa Madre Inmaculada posa sus miradas con delicia en los sacerdotes puros. Busca la fragancia de su Jesús, Lirio de los valles, en los sacerdotes destinados a representarlo en la tierra; se complace en la blancura de sus almas, en la candidez de esas manos que tocan al Cordero y quisiera posar sus labios en los labios que pronuncian dignamente las palabras creadoras y operadoras de la Consagración en las Misas; porque María se goza y pone toda su alma en la transubstanciación.


Ella comienza a recrearse en los corazones que se preparan al sacerdocio, y los cubre con su manto. La fiesta más grande para ella en la tierra es el día de la ordenación del sacerdote, el día de su primera Misa, y en todas las que se celebran dignamente.
Ella goza, repito, asiste y se ofrece en unión mía –místicamente en su Corazón- por manos del sacerdote; porque el mayor placer de María en la tierra y ahora en los Altares es ofrecerse pura con el Cordero puro, en unir sus dolores de víctima con la gran Victima, que tuvo con Ella en la tierra un solo Corazón, un solo sacrificio, un mismo fin: el de glorificar a mi Padre y el de salvar a las almas.


¡Qué grande misión tiene María para con el sacerdote y el sacerdote con María! No existe filiación más grande con Ella, después de la de su Hijo Divino, que la del sacerdote. Por eso también no hay dolor tan grande para María como las Misas indignamente celebradas, ni escapadas más agudas para su Corazón maternal que los pecados de los sacerdotes que la traspasan de pena. Y es natural, por la unión tan íntima y estrecha que tiene su Corazón con mi Corazón, su alma con mi alma, sus ideales con los míos, su sed de pureza y de sacerdotes santos para honrar a la Trinidad con la sed mía.


Siempre que un sacerdote me ofende a Mí, ofende vilísimamente a María. Y siquiera por esto debiera el sacerdote indigno ruborizarse, no tan solo a mis miradas, sino también a las de mi Inmaculada Madre, que mira por mis ojos y que palpita al unísono con los mismos latidos de mi Corazón.
María continua en el cielo la misma unión de maternidad divina y humana que tuvo conmigo en la tierra; y tan identificada y transformada en Mí continúa en el cielo como lo estaba en el mundo. Por este motivo, María es y será siempre la más poderosa ayuda para la transformación del sacerdote en Mí. Ella es el ejemplo vivo que el sacerdote debe imitar para acelerar ese parecido Conmigo, para tomas la fisonomía más perfecta y los rasgos más característicos de su parecido y transformación en Mí.


María me engendró en su maternal seno por medio del Espíritu Santo con la fecundación del Padre, y el sacerdote en la Misa reproduce este misterio sublime que se perpetuará en los altares hasta el fin de los siglos. María Virgen quiere sacerdotes vírgenes; María Inmaculada quiere  sacerdotes inmaculados; María amante, María humilde, María sacrificada, María Madre quiere sacerdotes con estas cualidades, virtudes y prerrogativas; porque solo Ella, Virgen y Madre, fue digna de ofrecer y tocar al Padre al cordero sin mancha que borra los pecados del mundo.
Solo la blancura puede borrar las negruras de las culpas de las almas; y María con su pureza y por ser Corredentora en mi unión, transforma, ofrece y alcanza gracias para el mundo, pero especialmente para los sacerdotes.


Tienen los sacerdotes un sitio especial en el Corazón de María y los latidos más amorosos y maternales de Ella, después de consagrarlos a Mí, son para los sacerdotes. Ellos son la parte predilecta y consentida de su alma en el mundo; con su esperanza para la gloria de mi Iglesia y para mi gloria, y no los pierde de vista; y sus clamores y sus plegarias más ardientes, ante el trono de Dios, son para los sacerdotes por representarme a Mí en la tierra.

Y si Yo, su Jesús, , quiero y anhelo y ansío y pido en estas confidencias sacerdotes perfectos transformados en Mí y para gloria de la Trinidad, para brillo de mi Iglesia y para salvación del mundo, también María, unida a Mí, y con un solo querer y voluntad conmigo, pide lo mismo a mis sacerdotes, une a Mí su voz y sus deseos, y se ofrece a ayudarles en su transformación en Mí.


Que no desprecien este filón celestial que les ofresco hoy en el Corazon de mi Madre, que Yo pediré estrecha cuenta si desoyen mi voz – hoy misericordiosa – que los llama a mayor perfección, y por todos los motivos que he venido explicando.

María es la dispensadora de las gracias; que acuden a Ella con Amor, con humildad y constancia, y alcanzarán llegar al ideal que pide mi Padre, en su transformación en Mí. Este es el camino más corto, ¡María! Para ir al Espíritu Santo, para alcanzar el amor, que es el que transforma, asimila, une y santifica. Este es el medio más dulce, tierno y delicado y puro, ¡María!


¡María!