S. Alfonso Maria de Liguori
Avvertimenti ai predicatori
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1. Prima di tutto il predicatore, se vuole che le sue
prediche partoriscano abbondante frutto, bisogna che si prefigga il fine, cioè
di voler predicare, non già per ritrarne onori e lodi o altro interesse
temporale, ma solo per acquistare anime a Dio; e perciò fa d'uopo che il
predicatore, impiegandosi a questo grande officio di ambasciatore di Dio, lo
preghi con fervore ad infiammarlo del suo santo amore, perché così le sue
prediche riusciranno di gran profitto. Il venerabile p. Giovanni d'Avila
interrogato una volta che cosa fosse più utile per ben predicare, rispose con
queste brevi parole: L'amare assai Gesù Cristo. Perciò si è veduto
spesso che i predicatori che amavano assai Gesù Cristo han fatto talvolta più
bene con una sola predica, che altri con molte.
2. Diceva s. Tommaso da Villanova che le parole della
predica hanno ad essere come tante saette di fuoco che feriscano ed infiammino
gli ascoltanti di divino amore. Ma come, soggiungea, possono infiammare cuori
quelle prediche, per lunghe e faticate che sieno, le quali escono da un monte
di neve? Scrive s. Francesco di Sales che la lingua parla all'orecchio, il
cuore parla ai cuori: viene a dire che quando i sentimenti non escono dal cuore
del predicatore, difficilmente tireranno i cuori degli altri al divino amore:
bisogna esserne prima acceso. Lampades eius, lampades ignis, atque
flammarum 1: bisogna prima esser fuoco per ardere, e poi
fiamma per accendere gli altri. S. Bernardo spiegava ciò con altra frase,
dicendo che bisogna prima esser conca e poi canale: prima conca, cioè pieno di
spirito e zelo, che si raccoglie nell'orazione mentale, e poi canale per
comunicarlo agli altri.
3. Veniamo alla materia delle prediche. Si procuri di
scegliere quelle materie che maggiormente muovono ad abborrire il peccato e ad
amare Dio. Onde spesso si parli de' novissimi, della morte, del giudizio,
dell'inferno, del paradiso e dell'eternità, secondo l'avviso dello Spirito
santo: Memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis 2. Specialmente giova spesso far memoria della
morte, facendone più sermoni fra l'anno, con parlare ora dell'incertezza della
morte, colla quale finiscono così tutti i piaceri, come tutti i travagli di
questo mondo: ora dell'incertezza del tempo in cui la morte ha da venire: ora
della morte infelice del peccatore: ora della morte felice de' santi.
4. Si procuri ancora di parlare spesso dell'amore che ci
porta Gesù Cristo, e dell'amore che noi dobbiamo portare a Gesù Cristo, e della
confidenza che dobbiamo avere nella sua misericordia, sempre che vogliamo
emendarci. Alcuni predicatori pare che non sappiano parlare d'altro che della
giustizia di Dio, di terrori, di minaccie e di castighi. Non ha dubbio che le
prediche di spavento giovano sì bene a svegliare i peccatori dal sonno del
peccato; ma bisogna persuadersi insieme che la vita di chi si astiene da'
peccati solamente per timore
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dei castighi, difficilmente avrà lunga perseveranza. L'amore
è quel laccio d'oro che stringe le anime con Dio, e le rende costanti a
discacciar le tentazioni ed a praticar le virtù. Dicea s. Agostino: Ama,
et fac quod vis. Chi veramente ama Dio, fugge di dargli disgusto, e cerca
di compiacerlo per quanto può. E qui si noti ancora quel gran detto di s.
Francesco di Sales: L'amore che non nasce dalla passione di Gesù
Cristo, è debole. Con ciò il santo ci fa sapere che la passione di Gesù
Cristo è quella che più ci muove ad amarlo.
5. Così anche giova assai e conduce insieme ad amare Dio, il
parlare a' peccatori della confidenza che dobbiamo avere in Gesù Cristo, se
vogliamo lasciare il peccato. Viam mandatorum tuorum cucurri, cum
dilatasti cor meum 1: quando il cuore vien dilatato dalla
confidenza, corre facilmente nella via del Signore. Così parimente parli spesso
della confidenza che dobbiamo avere nell'intercessione della Madre di Dio;
oltre de' sermoni che si faranno tra l'anno nelle feste principali della
Madonna, come dell'annunziazione, dell'assunzione, del di lei patrocinio, de'
suoi dolori ec., spesso tra le prediche si procuri di inserire negli animi
degli uditori la divozione alla b. Vergine. Alcuni predicatori hanno il bel
costume di non lasciar mai in ogni loro sermone di dire qualche cosa di Maria
santissima, o narrando qualche esempio di grazie fatte a' suoi servi, o di
qualche ossequio praticato da' suoi divoti, o di qualche preghiera che dobbiamo
farle.
6. Inoltre si procuri di parlare spesso dei mezzi per
conservarsi in grazia di Dio, come di fuggire le cattive occasioni e i mali
compagni, di frequentare i sacramenti, e specialmente di spesso raccomandarsi a
Dio ed alla Madonna per ottenere le grazie necessarie alla salute, e
principalmente le grazie della perseveranza e dell'amore a Gesù Cristo, senza
le quali non possiamo salvarci.
7. Di più procuri il predicatore di parlare più volte ne'
suoi sermoni contro le male confessioni che si fanno, tacendo i peccati per
rossore. Questo è un male non raro, ma frequente, specialmente ne' paesi
piccioli, che ne manda innumerabili anime all'inferno. Quindi giova molto che
da quando in quando si narri qualche esempio di anime dannate per aver taciuti
i peccati in confessione.
8. Parliamo ora brevemente delle parti della predica, le
quali sono nove, esordio, proposizione, divisione, introduzione, prova,
confutazione, amplificazione, perorazione, o sia conchiusione, epilogo e
mozione degli affetti: del resto queste nove parti si riducono a tre
principali, cioè per 1. all'esordio: per 2. alla prova, alla quale vanno unite
l'introduzione che la precede e la confutazione delle opposizioni contrarie che
la siegue: e per 3. alla perorazione o sia conchiusione, alla quale va unito
l'epilogo, la moralità e la mozione degli affetti.
9. All'esordio i rettorici assegnano sette parti,
introduzione, proposizione generale, confermazione, reddizione, complessione,
proposizione particolare e divisione; ma comunemente parlando, le parti
sostanziali dell'esordio sono tre: 1. la proposizione generale o sia di
assunto: 2. la complessione o sia l'attacco per ricavarne la proposizione
particolare: 3. la proposizione
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particolare o sia principale della predica, a cui va unita
la divisione de' punti.
Per esempio: 1. È necessario salvarsi, perché non vi
è via di mezzo: chi non si salva, è dannato: ecco la proposizione generale.
2. Ma per salvarsi bisogna far buona morte: ecco
la complessione o sia l'attacco. 3. Ma troppo è difficile far buona
morte dopo una mala vita: ed ecco la proposizione particolare o sia
principale del sermone, la quale dee esser chiara, breve e facile, ed insieme
unica, altrimenti se nella proposizione non si osservasse l'unità, non sarebbe
una predica, ma più prediche. E perciò i punti, nei quali la predica si divide,
debbono collimare a provare una sola proposizione. Per esempio: Il male
abituato difficilmente si salva, perché il mal abito, 1. accieca
la mente, 2. indurisce il cuore. E questi saranno i due punti
della predica. Questi punti poi sieno brevi e pochi, non passando il numero
di due o al più di tre; e talvolta basterà un solo punto o sia assunto della
predica: v.g. Il peccato mortale è un gran male, perché è un'ingiuria
che si fa a Dio. Oppure: Chi troppo si abusa della misericordia di
Dio, resterà abbandonato da Dio.
10. Parlando poi del corpo della predica, e per 1. della
prova, la prova della predica dee essere un perfetto sillogismo, ma senza farlo
comparir sillogismo, provando la maggiore prima di passare alla minore, e la
minore prima di passare alla conseguenza. Ciò nondimeno corre quando la
maggiore o la minore ha bisogno di prova; altrimenti, quando son cose per sé
note e certe, basta ampliarle senza provarle.
11. In quanto poi spetta all'ordine delle prove,
ordinariamente parlando, prima si portano le autorità delle scritture e de'
santi padri, poi le ragioni e poi le similitudini e gli esempi. I testi delle
scritture debbono proferirsi con molta gravità. È meglio poi attendere a
spiegar bene e ponderare uno o due testi di scrittura, che a riferirne molti
insieme senza ponderarli. Le sentenze dei padri debbono esser poche e brevi, e
che contengano qualche sentimento spiritoso e non triviale. Dopo le sentenze si
adducano le ragioni: circa le quali alcuni dicono che prima debbono portarsi le
ragioni men forti, di poi le più possenti; ma io stimo con altri esser meglio
che in ultimo luogo si adducano le ragioni più forti, ma in primo luogo si
esponga qualche ragione forte, ed in mezzo le meno forti; perché l'addurre a
principio qualche motivo men forte può far cattiva impressione nella mente
degli uditori. Dopo le ragioni adducano gli esempi e le similitudini. Si è
detto che un tal ordine dee osservarsi ordinariamente parlando; ma
talvolta gioverà addurre qualche prova delle mentovate prima delle altre; il
che si rimette alla prudenza del predicatore.
12. Si avverta che i passaggi da un punto all'altro debbono
farsi con naturalezza, senza passare da una cosa all'altra disparata dalla
prima. I modi più usuali e facili sono questi: Veniamo all'altro punto
ec., oppure: Or dopo aver veduto ec. E passando da una ragione
ad un'altra può dirsi: Aggiungete ec., oppure: Inoltre dee
considerarsi ec., procurando quanto si può che l'ultima cosa del punto o
della ragione antecedente abbia qualche connessione con quella del punto o
della ragione susseguente.
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13. Si è parlato delle prove: in quanto poi
all'amplificazione delle prove, altra è la verbale, che consiste nelle parole;
altra è la reale, la quale può aversi o dall'incremento, v.gr. È virtù
soffrire le tribolazioni con pazienza; maggior virtù è il desiderarle; maggiore
è poi il rallegrarsi nel soffrirle: oppure può aversi dalle circostanze del
soggetto, o dalla comparazione con altro soggetto di eguale o minor
considerazione. Le morali hanno il loro luogo proprio, come si dirà, nella
perorazione; nondimeno ben si permette alle volte, dopo che si è addotta
qualche prova sufficiente, di fare qualche moralità. E ciò specialmente corre
nelle prediche di missione, nelle quali ordinariamente l'uditorio si compone di
gente rozza, a cui le moralità fanno più impressione; ma non mai queste
moralità accidentali siano troppo lunghe, né troppo frequenti, sicché rendano
tedioso e languido il discorso.
14. In quanto finalmente alla perorazione, questa contiene
tre parti, l'epilogo, la moralità e la mozione degli affetti. L'epilogo è una
ricapitolazione della predica, riassumendo i motivi più convincenti prima già
dichiarati, ma che siano ordinati alla mozione degli affetti che dee seguitare,
onde il predicatore nella stessa ricapitolazione dee procurare di cominciare a
muovere gli affetti.
15. In quanto alla moralità avvertasi che spesso il maggior
frutto della predica consiste, specialmente quando si predica al popolo,
nell'esporre le moralità convenienti al sermone con proprietà e calore. Si
procuri perciò di parlare contro i vizj più comuni, v.g. contro l'odio, contro
l'impudicizia, contro la bestemmia, contro le male occasioni e i mali compagni,
contro i padri, i quali permettono che i figli conversino con persone di
diverso sesso, e specialmente contro le madri che fanno entrare i giovani nelle
loro case a conversare colle figlie. Esorti ancora i capi di famiglia a
togliere di casa i libri cattivi, e particolarmente i romanzi, i quali
insinuano un veleno segreto, che corrompe la gioventù. Parli ancora contro i
giuochi di fortuna, che sono la rovina delle famiglie e delle anime.
16. Procuri in somma il predicatore nei suoi sermoni
d'insinuar sempre che può cose di pratica, cioè i rimedj per astenersi da'
vizj, ed i mezzi per perseverare nella buona vita, come sono il fuggir le
occasioni cattive, i mali compagni, il farsi forza nei moti di sdegno per non
prorompere in atti o parole ingiuriose, mettendo in bocca agli ascoltanti
qualche detto per evitar le bestemmie o le imprecazioni, v.g. Signore,
datemi pazienza; Madonna aiutatemi; Dio ti faccia santo e simili.
Insinui l'entrare in qualche congregazione: il sentir la messa ogni mattina:
leggere ogni giorno qualche libretto spirituale: ogni mattina rinnovare il
proposito di non offendere Dio, cercandogli l'aiuto per la perseveranza: fare
ogni giorno la visita al ss. sacramento ed alla b. Vergine in qualche sua
immagine: ogni sera far l'esame di coscienza coll'atto di dolore: dopo aver
commesso qualche peccato far subito un atto di contrizione, e poi confessarsene
quanto più presto si può. Sopra tutto insinui di ricorrere a Dio ed alla b.
Vergine in tempo di tentazioni, replicando più volte i santi nomi di Gesù e di
Maria, con seguire ad invocarli in aiuto, finché non cessa
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la tentazione. Questi rimedj e mezzi dal predicatore debbon
ripetersi ed insinuarsi più volte nel decorso delle prediche, e non dee egli
atterrirsi dal timore di esser criticato da qualche letterato, il quale dicesse
che il predicatore replica le stesse cose. Non si han da cercare le lodi dei
letterati nel predicare, ma il gusto di Dio e il profitto delle anime, e
particolarmente dei poveri rozzi, i quali non tanto cavan profitto dalle
sentenze e ragioni, quanto da queste facili pratiche, che loro saranno
insinuate e ripetute: dico ripetute, poiché le menti di legno di questi rozzi
facilmente si dimenticano di ciò che sentono predicare, se non è loro ripetuto
più volte.
17. Si avverte poi ai giovani che le prediche prima di
recitarle sul pulpito le stendano, e se le mandino a memoria. Il voler
predicare a braccio è per altro cosa utile, perché così il discorso riesce più
naturale e più famigliare; ciò non però non è cosa de' giovani, ma di coloro
che han predicato già per lo spazio di più anni; altrimenti i giovani si
avvezzeranno ad improvvisare ed a predicare a caso, dicendo quel che viene in
bocca e senza ordine. Procurino nondimeno i giovani di stendere le prediche,
non già con istile fiorito di parole gonfie, pensieri alti e periodi sonanti.
Si legga il libretto d'oro,Eloquenza Popolare del celebre letterato
Lodovico Muratori, ove egli prova che tutte le prediche che si fanno ad un
uditorio composto di dotti e di rozzi, debbono essere non solo famigliari, ma
anche popolari con istile facile e semplice, quale usa il popolo, sfuggendo non
però le frasi e le parole goffe e troppo dozzinali, che non convengono al
pulpito. Il popolo, scrive il Muratori, è composto per
lo più d'ignoranti: se voi gittate a questo popolo dottrine e riflessioni
astruse, e vi valete di parole e frasi lontane dal comune intendimento, che
profitto sperate da gente che non arriva ad intendervi? Perciò non sarà mai
secondo le regole e secondo la vera eloquenza il costume di coloro che invece
di confarsi col fievole intelletto di tanti loro uditori, sembra che studino di
farsi capire da' soli dotti, quasi che si vergognino di farsi intendere anche
dalla povera gente, la quale non ha minor diritto alla parola di Dio, che i
sapienti. Tanto più che il predicator cristiano è obbligato di parlare a
ciascuno del suo uditorio in particolare, come non vi fosse altri che
l'ascoltasse. Chi coll'altura de' ragionamenti suoi non cura di esser inteso da
tutti, egli tradisce l'intenzione di Dio e l'obbligo suo, ed il bisogno d'una
gran parte degli uditori. Quindi il concilio di Trento ordina a tutti i
parrochi che facciano le loro prediche secondo la capacità degli ascoltanti che
le sentono: Archipresbyteri et parochi per se vel alios idoneos plebes
sibi commissas pro earum capacitate pascant salutaribus verbis 1.
18. Dicea s. Francesco di Sales che le parole scelte ed i
periodi sonanti sono la peste delle prediche; e la ragione principale di ciò è,
perché con tali sorte di prediche fiorite Iddio non vi concorre. Elle potranno
giovare solamente ai dotti, ma non ai rozzi, de' quali per lo più vien composta
la massima parte degli uditori che concorrono alle prediche. Le prediche
all'incontro fatte con istile
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familiare giovano così ai rozzi, come ai dotti. Aggiunge il
Muratori che quando si parla poi alla sola plebe o a gente di campagna, dee usarsi
lo stile più popolare e più infimo che si può, per uniformarsi al grosso
intendimento di tali ignoranti. Dice che il predicatore, parlando a questi
rozzi, dee figurarsi di essere come uno di loro, che voglia persuadere qualche
cosa ad un suo compagno; che per ciò anche i periodi delle prediche fatte al
popolo basso debbono esser concisi e spezzati, in modo che chi non avesse
capito il primo senso, capisca il secondo che si sta dicendo dal predicatore;
il che non può ottenersi quando si predica ligato, poiché allora chi non ha
inteso il primo periodo, non intenderà né il secondo né il terzo.
19. Avverte di più il Muratori che quando si predica al
popolo, giova molto usar la figura chiamata antiphora, colla quale
dallo stesso dicitore si fa insieme la dimanda e la risposta, per
esempio: Ditemi, perché tanti peccatori dopo la confessione ricadono
negli stessi peccati? Ve lo dirò io, perché non tolgono l'occasione. Giova
ancora raccomandare più volte all'uditorio l'attenzione a quel che si sta
dicendo, e specialmente a certe cose più importanti, dicendo per esempio: State
attenti a questo che ora vi dico. Giova ancora il fare dentro la predica
qualche esclamazione divota, per esempio: O Dio buono, voi ci venite
appresso per salvarci, e noi fuggiamo da voi per dannarci! Giova ancora il
replicare con serietà qualche massima forte di salute, v.gr.: Non vi è
rimedio, o presto o tardi si ha da morire: o presto o tardi si ha da morire.
Oppure: Fratello mio, è certo che dopo questa vita hai da essere o
eternamente felice o eternamente infelice. Senti bene, o eternamente felice o
eternamente infelice.
20. Io non mi diffondo più su questo punto, secondo me
importantissimo, perché di questa materia mi ha bisognato di scrivere più a
lungo in una mia lettera apologetica, che ho data alle stampe in risposta ad un
religioso, che mi rimproverava il mio applaudire alle prediche fatte con
maniera semplice e popolare. Ivi ho premesso succintamente quel che di ciò ne
scrive il lodato Muratori, e poi vi aggiunsi ciò che ne scrivono i santi Padri,
come ho trovato. Questa lettera l'ho posta nel presente libro, e prego il mio
lettore a non lasciare di leggerla, poiché ella è un'operetta singolare, non
fatta prima da altro autore.
21. Non voglio inoltre lasciar di dire qualche cosa sulla
modulazione della voce e del gesto da usarsi nelle prediche. In quanto alla
voce il predicatore dee sfuggire di predicare in tuono gonfio, con voce
unisona, o sempre alta. Ciò che muove e concilia l'attenzione degli ascoltanti,
è il parlare ora con voce forte, ora mediocre, ora bassa, secondo conviene al
sentimento che si espone, ma senza fare sbalzi eccedenti e subitanei: ora il
fare un'esclamazione, ora una fermata, e poi ripigliare con un sospiro. Questa
varietà di voci e di modi mantiene l'uditorio sempre attento.
22. In quanto poi al gesto, dee sfuggirsi il gesto
affettato, o replicato nello stesso modo, o troppo impetuoso con molta
agitazione di corpo. Le braccia debbono muoversi con molta moderazione.
Ordinariamente ha da
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gestire la mano destra e poco la sinistra. Non debbono le
mani alzarsi più della testa, né troppo stendersi dai lati, né tenersi troppo a
corto, cioè solo davanti al petto. Nel dire il proemio conviene che il
predicatore stia in piedi, e non si muova dal sito di mezzo: nel primo periodo
non dee gestire: nel secondo solamente comincerà a muovere la destra, tenendo
la sinistra appoggiata al petto o sopra del pulpito. Si astenga di tener le
braccia a' fianchi, o d'alzarle ambedue a modo di croce, o voltarle dietro le
spalle: lo sbatterle poi insieme o sopra del pulpito, non si faccia se non di
rado.
Lo sbattere i piedi o alzar la cotta, è cosa che molto
disdice. Il moto della testa corrisponda a quello della mano, rivolgendola dove
la mano indirizza l'azione. È difetto poi il torcere la testa o troppo
agitarla, o tenerla sempre alzata o sempre bassa piegata sul petto. Gli occhi
debbono accompagnare il moto della testa; onde è difetto il tenerli chiusi o
sempre bassi, o fissi per lo più ad una parte, specialmente se colà vi sono
donne. Si permette di quando in quando il sedere, ma poche volte. Lo stesso
dicesi del passeggiare, ma non mai si corra da un lato del pulpito all'altro.
Del resto il predicatore per lo più dee parlare dal luogo di mezzo, per farsi
vedere ugualmente dall'una e dall'altra parte; ma giova che di quando in quando
si volti ora alla destra ed ora alla sinistra, senza però volgere le spalle
alla parte opposta. In quanto finalmente al tempo che dee durare la predica, le
prediche quaresimali non debbono oltrepassare lo spazio d'un'ora, e le annuali
o sieno domenicali non passino lo spazio di tre quarti d'ora; ma le
parrocchiali non sieno più lunghe di mezz'ora, includendovi ancora l'atto di
pentimento, che ordinariamente giova farsi praticare dal popolo, facendolo in
fine della predica ricorrere alla divina Madre, con domandarle qualche grazia
particolare, come la santa perseveranza, la buona morte, l'amore a Gesù Cristo
e simili. Né importa che per dar luogo a questi atti abbia ad abbreviarsi il
tempo della predica, perché questi atti sono il maggior frutto che dalla
predica può ricavarsi.
È bene che il predicatore qualche volta esorti gli uditori
che riferiscano agli altri, loro parenti o amici, quel che hanno inteso nella
predica perché in tal modo può la predica giovare anche a coloro che non
l'hanno udita.
1 Cant. 8. 6.