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mercoledì 24 luglio 2013

I molti figli di un unico padre


Le parabole di Gesù
(035)
I molti figli di un unico padre (425.7 - 425.8)

Un padre di molti figli dette ad ognuno di essi, diventati adulti, due monete di molto valore e disse loro: "Io non intendo più lavorare per ognuno di voi. Ormai siete in età di guadagnarvi la vita. Perciò dò ad ognuno uguale misura di denaro perchè lo impiegate come più vi piace e a vostro utile. Io resterò qui in attesa, pronto a consigliarvi, pronto anche ad aiutarvi se per involontaria sciagura perdeste in tutto o in parte il denaro che ora vi dò. Però ricordatevi bene che sarò inesorabile per chi lo disperde con malizia volontaria e per i fannulloni che lo consumano o lo lasciano quale è con l'ozio e coi vizi. A tutti ho insegnato il Bene e il Male. Non potete perciò dire che andate ignoranti incontro alla vita. A tutti ho dato esempio di operosità saggia e giusta e di vita onesta. Perciò non potete dire che vi ho corrotto lo spirito col mio mal esempio. Io ho fatto il mio dovere. Ora voi fate il vostro chè scemi non siete nè impreparati, nè analfabeti. Andate." e li licenziò rimanendo solo, in attesa, nella sua casa.

I figli si sparsero nel mondo. Avevano tutti le stesse cose: due monete di gran valore di cui potevano liberamente disporre, e un più grande tesoro di salute, energia, cognizioni ed esempi paterni. Perciò avrebbero dovuto riuscire tutti ad un modo. Ma che avvenne?

Che fra i figli, chi bene usò delle monete e si fece presto un grande e onesto tesoro con il lavoro indefesso e onesto e una vita morigerata, regolata sugli insegnamenti paterni; e chi sulle prime fece onestamente fortuna, ma poi la disperse con l'ozio e le crapule; e chi fece denaro con usure e commerci indegni; e chi non fece nulla perchè fu inerte, pigro, incerto, e finì le monete di molto valore senza aver ancora potuto trovare un'occupazione qualsiasi.
Dopo qualche tempo il padre di famiglia mandò servi in ogni dove, là dove sapeva essere i suoi figli, e disse ai servi: "Direte ai miei figli di radunarsi nella mia casa. Voglio mi rendano conto di cosa hanno fatto in questo tempo, e rendermi conto da me stesso delle loro condizioni". E i servi andarono per ogni dove e raggiunsero i figli del loro padrone, fecero l'ambasciata e ognuno tornò indietro col figlio del padrone che aveva raggiunto.
Il padre di famiglia li accolse con molta solennità. Da padre, ma anche da giudice. E tutti i parenti della famiglia erano presenti, e coi parenti gli amici, i conoscenti, i servi, i compaesani, e quelli dei luoghi limitrofi. Una solenne adunanza. Il padre era sul suo scanno di capo famiglia, intorno a semicerchio tutti i parenti, amici, conoscenti, servi, compaesani e limitrofi. Di fronte, schierati, i figli.
Anche senza interrogazioni il loro aspetto diverso dava risposta sulla verità. Coloro che erano stati operosi, onesti, morigerati e avevano fatta santa fortuna, avevano l'aspetto florido, pacifico, e benestante di chi ha larghi mezzi, buona salute e serenità di coscienza. Guardavano il padre con un sorriso buono, riconoscente, umile ma insieme trionfante, splendente della gioia di avere onorato il padre e la famiglia e di essere stati buoni figli, buoni cittadini e buoni fedeli. Quelli che avevano sciupato nell'ignavia o nel vizio i loro averi stavano mortificati, mogi, sparuti nell'aspetto e nelle vesti, coi segni delle crapule e della fame chiaramente impressi su di loro.
Quelli che avevano fatto fortuna con delittuose manovre avevano l'aggressività, la durezza, sul volto, lo sguardo crudele e turbato di belve che temono il domatore e che si preparavano a reagire.

Il padre iniziò l'interrogatorio da questi ultimi: "Come mai, voi che eravate di così sereno aspetto quando partiste, ora parete fiere pronte a sbranare? Da dove vi viene quell'aspetto?"
"La vita ce lo ha dato. E la tua durezza di mandarci fuori di casa. Tu ci hai messo a contatto con il mondo"
"Sta bene. E che avete fatto nel mondo?"
"Ciò che potemmo per ubbidire al tuo comando di guadagnarci la vita col niente che ci hai dato."
"Sta bene. Mettetevi in quell'angolo... E ora a voi, magri, malati e malvestiti. Che faceste per ridurvi così? Eravate pure sani e ben vestiti quando partiste".
"In dieci anni gli abiti si logorano..." obiettarono i fannulloni.
"Non ci sono dunque più telai nel mondo che facciano stoffe per le vesti degli uomini?"
"Sì... Ma ci vogliono denari per comperarle...."
"Li avevate".
"In dieci anni... si sono più che finiti. Tutto ciò che ha principio ha fine".
"Sì, se se ne leva senza mettervene. Ma perchè voi avete soltanto levato? Se aveste lavorato potevate mettere e levare senza che il denaro finisse, ma anzi ottenendo che aumentasse. Siete stati forse malati?"
"No, padre".
"E allora?"
"Ci sentimmo spersi... Non sapevamo che cosa fare, che fosse buono... Temevamo di far male. E per non fare male non facemmo nulla".
"E non c'era il padre vostro a cui rivolgervi per un consiglio? Sono forse stato mai padre intransigente, pauroso?"
"Oh! no! Ma ci vergognavamo di dirti: <Non siamo capaci di prendere iniziative>. Tu sei sempre stato così attivo.... Ci siamo nascosti per vergogna":
Sta bene. Andate nel mezzo della stanza. A voi! E che mi dite voi? Voi che all'aspetto della fame unite quello della malattia? Forse che il troppo lavoro vi ha resi malati? Siate sinceri e non vi sgriderò".

Alcuni degli interpellati si gettarono in ginocchio battendosi il petto e dicendo: " Perdonaci, o padre! Già Dio ci ha castigati e ce lo meritiamo. Ma tu, che sei padre nostro, perdonaci!.... Abbiamo iniziato bene; ma non abbiamo perseverato. Trovandoci facilmente ricchi dicemmo:<Orbene, ora godiamo un po', come ci suggeriscono gli amici, e poi torneremo al lavoro e rifaremo il disperso>. E volevamo fare così, in verità. Tornare alle due monete e poi rifarle fruttare, come per giuoco. E per due volte (dicono due) per tre (dice uno) ci riuscimmo. Ma poi la fortuna ci abbandonò... e consumammo tutto il denaro.
"Ma perchè non vi siete ripresi dopo la prima volta?"
"Perchè il pane speziato del vizio corrompe il palato, e non si può più farne senza...."
"C'era vostro padre..."

"E' vero. E a te sospiravamo con rimpianto e nostalgia. Ma noi ti abbiamo offeso... Supplicavamo il Cielo di ispirarti di chiamarci per ricevere il tuo rimprovero e il tuo perdono; questo chiedavamo e chiediamo, più delle ricchezze che non vogliamo più perchè ci hanno traviato."
"Sta bene. Mettetevi voi pure presso quelli di prima, al centro della stanza. E voi, malati e poveri come questi, ma che tacete e non mostrate dolore, che dite?"
"Ciò che dissero i primi. Che ti odiamo perchè col tuo imprudente agire ci hai rovinato. Tu che ci conoscevi non dovevi lanciarci nelle tentazioni. Ci hai odiato e ti odiamo. Ci hai fatto questo tranello per liberarti di noi. Sii maledetto".
"Sta bene. Andate coi primi in quell'angolo. Ed ora a voi, floridi, sereni, ricchi figli miei. Dite. Come giunti a questo?"
"Mettendo in pratica i tuoi insegnamenti, esempi, consigli, ordini, tutto. Resistendo ai tentatori per amore di te, padre benedetto che ci hai dato la vita e la sapienza."

"Sta bene. Venite alla mia destra e udite tutti il mio giudizio e la mia difesa. Io ho dato a tutti ad un modo di denaro e di esempio e sapienza. I miei figli hanno risposto in maniere diverse. Da un padre lavoratore, onesto, morigerato, sono usciti dei simili a lui, poi degli oziosi, dei deboli facili a cadere in tentazione, e dei crudeli che odiano il padre, i fratelli e il prossimo si cui, anche se non lo dicono lo so, hanno esercitato usura e delitto. E nei deboli e negli oziosi ci sono i pentiti e gli impenitenti. Ora io giudico. I perfetti già sono alla mia destra, pari a me nella gloria come nelle opere; i pentiti staranno di nuovo, come fanciulli ancora da istruirsi, soggetti fino a che non avranno raggiunto il grado di capacità che li faccia di nuovo adulti; gli impenitenti e colpevoli siano gettati fuori dai miei confini e perseguitati dalla maledizione di chi non è più loro padre, perchè il loro odio per me annulla i rapporti della paternità e della figliolanza fra noi. Però ricordo a tutti che ognuno si è fatto la sua sorte, perchè io ho dato a tutti le stesse cose che, nei riceventi, hanno prodotto quattro diverse sorti, e non posso essere accusato di aver voluto il loro male."


lunedì 22 luglio 2013

Claudio Arvisenet VITA SACERDOTALE




Claudio Arvisenet


VITA SACERDOTALE

CAPITOLO I

LA VOCAZIONE ALLO STATO

 SACERDOTALE

E AL SACRO MINISTERO



1 – Signore degli eserciti, quanto sono amabili le tue dimore! O mio Dio, l’anima mia languisce e brama i tuoi altari.
Quanto è buono e quanto soave offrire in sacrificio nel tuo santuario la vittima santa, cantare e inneggiare a te!
Quanto è buono annunziare i tuoi comandamenti e predicare la penitenza per la remissione dei peccati!
Quanto è buono insegnare alle genti e battezzare, cacciare i demoni, curare gli infermi, moltiplicare, istruire, condurre a perfezione i tuoi servi e le tue serve!
Chi mi darà, o mio Dio, di poter sottomettere a te tutto quanto il mondo e far sì che tutta la terra ti adori, e ogni uomo benedica il tuo santo nome, e ti serva ogni creatura?

2 – Figlio, è vero: se desideri il sacerdozio e l’ufficio pastorale, desideri un nobile lavoro, aspiri a una grande dignità.
Ma se rifletti attentamente, questa grande dignità espone anche a grande rovina.
Perciò, quantunque il tuo animo si volga ad essa con grande desiderio, non voler presumere questo onore se non sarai stato chiamato da me come Aronne.
Né lui, né gli apostoli scelsero me, ma io scelsi loro e li posi perché, perseverando, portassero frutti.
Mie sono le pecore, mio è l’ovile: io stesso sono il portiere: sta a me l’aprire.
Solo colui a cui avrò aperto, avrà diritto di entrare, potrà uscire sicuro e trovare dei pascoli.
Ma chi sarà entrato da un’altra parte anziché attraverso me, egli è un ladro e un brigante: sarà di dannò a sé e alle mie pecore.
Si, figlio: chi vuol venire dietro di me per diventare pescatore di uomini, sappia che questo non dipende né da colui che vuole, né da colui che corre, ma dalla libera mia volontà nello scegliere e usare misericordia.
Stai in timore, stai in timore, o figlio nell’appressarti al mio santuario. Per quanto tu sia mondo, se ti accosti senza esser chiamato, temerariamente ti accosti: incorri nel delitto di Oza e ti esponi alla sua condanna.

3 – È proprio così, o figlio: il peso del sacerdozio e della cura pastorale non è tale da far timorosi di portarlo gli angeli stessi?
E come lo potrai portare se non ti sostenga la mia mano, se io non ti abbia fatto forte con grazie particolari?
Figlio, non sai che tali aiuti io prometto solo a quelli che da me sono chiamati?
No: non imitare coloro, che non sono innalzati da me, ma da se stessi si innalzano.
Io non li conosco, o figlio, io non edifico con loro: e perciò invano lavorano a edificare.
Io non custodisco il loro ovile e perciò invano vegliano nel custodirlo.
Io non comando loro di gettare la rete e perciò, pur faticando tutta la notte di questa vita, non prendono nulla.
Io non li proteggo contro chi fa loro guerra: perciò sono deboli e cadono: perciò peccano e vanno in perdizione.

4 – Abbi cura dunque, o figlio, di accertare la tua vocazione ed elezione.
Se di questo non ti sarai curato con molta cautela, sarai in ansietà per tutta la vita; non sapendo se tu sia entrato dalla porta; se tu vada avanti secondo la volontà di Dio; se tu possa contare sull’aiuto di Dio in quella che è l’arte delle arti; se tu non sia ripudiato dal tuo Dio, sì da non poter esercitare lo stesso sacerdozio.
Se invece sarai diventato sacerdote e avrai assunto l’ufficio pastorale, sicuro della tua vocazione: camminerai lieto e tranquillo in mezzo ai pericoli: sapendo che io dirigo, guido e difendo quelli che ho chiamati.
Lieto e fedele adempirai al tuo ufficio: convinto che facendo questo, farai sempre quel che piace a me.

5 – È vero, o buon Signore. La volontà di servirti nel sacerdozio è in mio potere: ma non potrò portarla a compimento se non a condizione che tu abbia deciso, abbia rivolto l’invito ed espresso il comando. Degnati, dunque, di farmi conoscere il tuo volere: mostrami, o mio Dio, se tu mi abbia eletto.

6 – Potrai conoscere, o figlio, la mia volontà e discernere la tua vocazione servendoti di questi mezzi.
Prima di tutto, cerca, domanda, picchia: cioè invoca me, che sono il Padre dei lumi, con una supplica ardente e perseverante: perché sia data capacità al tuo intelletto.
Ritirati per un po’ di tempo nella solitudine: dove, seriamente raccolto e segregato da quanto è terreno, tu possa interrogarmi con più devozione, e con più attenzione udire le mie risposte.
E poiché sono solito guidare gli uomini per mezzo degli uomini, chiedi consiglio ad un uomo che sia saggio e santo.
Apri candidamente a questi tutte le profondità della tua coscienza: le azioni, le passioni, i desideri, le intenzioni perché egli possa giudicare con maggior sicurezza e in modo definitivo.
Abbi dinanzi agli occhi, o figlio, solo la mia gloria e la tua salvezza. I tuoi passi siano diretti da questa purissima stella.
Rifletti quale stato vorresti aver desiderato se fossi ora in procinto di morire.
Osserva con diligenza tutte le doti della tua mente, tutte le inclinazioni del tuo cuore.
Vedi se siano tali quali le richiede lo stato sublime e santo del sacerdozio, quali le esige il pericoloso ufficio di pastore delle anime.
Attento soprattutto che Satana non ti inganni persuadendoti studiosamente ad ambire l’ufficio santo del sacerdozio, ma in vista di turpe guadagno, o per brama di ozio, o per desiderio di dignità e di grandezza.
A questo fine molti entrano nel santuario, ma a loro rovina.
Se poi dopo aver così seriamente maturato la cosa, riconoscerai di essere immune da gravi peccati: o per aver felicemente mantenuto l’innocenza, o per aver fatto vera penitenza,
– se ti parrà che uomini santi e prudenti ti giudichino atto e idoneo agli uffici ecclesiastici,
– se ti riconoscerai disposto ad assumerli guidato da una interiore inclinazione,
– se avrai ben conosciuto che sei attratto al sacerdozio e alla cura d’anime da una intenzione pura, non viziosa e terrena,
– se, soprattutto, il tuo Ordinario ti avrà chiamato decidendo di assumerti nel ministero, o almeno, dinanzi alle tue trepidazioni nell’accedere al santuario, ti avrà detto di andare avanti con fiducia,
– allora, figlio, sappi che la mia volontà ti si è fatta manifesta; allora con prontezza e senza ulteriore consultazione o dilazione, offriti a seguire la tua vocazione.
Con umiltà certamente, ma per quanto ti possa ripugnare a motivo di un santo timore, non opporre tenacemente un rifiuto.
Avanti figliolo, avanti con fiducia: tu lo sai: io che ti ho chiamato guarderò alla tua debolezza, alla tua pochezza.
Non disperare, non ti scoraggiare: fai conto, non su di te, ma su di me che opererò in te.
Ma se, o figlio, hai già assunto l’onore del sacerdozio, se già hai intrapreso l’ufficio pastorale e, riflettendo nel tuo intimo, ti accorgi di essere entrato temerariamente nel mio santuario:
– o perché non avevi la purezza e la santità necessaria,
– o perché mancavi delle doti richieste, o perché eri tratto dalla brama dei beni temporali e non dalla sete della mia gloria,
– o figlio! abbine dolore, piangi: hai veramente errato come una pecora perduta, hai veramente commesso un grave peccato.
O dilettissimo, fa’ degni frutti di penitenza.
Preso consiglio da persona prudente, cerca di supplire a quel che mancò per la tua parte: da qui avanti dirigi tutto alla mia gloria, e opera nel timore, e con amore.
E così abbi fiducia: perché non è impossibile a Dio far sì che tu diventi finalmente un vaso di elezione.
Si, figliolo, io non voglio che nessuno perisca; io ti userò misericordia.


II

venerdì 21 giugno 2013

È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.



NON PIANGE PIU' NESSUNO


Editoriale di Radicati nella fede, foglio di collegamento della chiesa di Vocogno e della cappella dell’Ospedale di Domodossola (dove si celebra la messa tradizionale)
anno VI - GIUGNO 2013 n. 6

- impaginazione e neretti sono nostri -



Se non ci sono più preti non piange quasi più nessuno. È questa la triste constatazione che ci tocca fare.

Assistiamo alla più grande crisi sacerdotale della storia della Chiesa, intere terre in Europa sono ormai senza sacerdote e tutto tace. Non sentirete nemmeno un vescovo gridare all'allarme, piangere con i suoi fedeli, domandare a tutti una grande preghiera per le vocazioni sacerdotali; intimare un digiuno e una grande supplica perché il Signore abbia pietà del suo popolo.

Sentirete, questo sì, vescovi e responsabili di curia descrivere i numeri di questo calo vertiginoso di presenza dei preti nella Chiesa, li sentirete elencare i dati pacatamente, troppo pacatamente, in modo distaccato, come se fosse una situazione da accettare così com'è, anzi la chance per una nuova Chiesa più di popolo.

Nella nostra terra italiana, terra di antica cristianità, assisteremo in questi prossimi anni alla scomparsa delle parrocchie, allo stravolgimento, impensabile fino a qualche anno fa, della struttura più semplice del Cattolicesimo, di quella trama di comunità parrocchiali dove la vita cristiana era naturale per tutti... ma l'assoluta maggioranza dei cattolici impegnati farà finta di niente, perché i pastori hanno già fatto così.


È un “cataclisma”, un “terremoto”... ma nessuno piange, si fa finta di niente.
Si fa finta di niente, perché bisogna che la favola della primavera del Concilio continui. Ci si sottrae a qualsiasi verifica storica, si nega l'evidenza di una crisi senza precedenti.

E si prepara un futuro che ci sembra poco cattolico.

Sì, perché si parla di “ristrutturare” l'assetto delle comunità cristiane, di fare spazio ai laici (come se in questi anni non ne avessero avuto a sufficienza), si inventa un nuovo genere di fedeli cristiani che diventeranno gli addetti delle parrocchie, che di fatto sostituiranno i preti. 
Fedeli laici “clericalizzati”, un nuovo genere di preti che terranno le chiese... e nell'attesa di una qualche messa predicheranno loro, come cristiani adulti, il Verbo di verità...

 ...ma nessuno piange, nessuno prega gridando a Dio.

Forse non gridano perché da anni qualcuno ha preparato questo terremoto nella Chiesa.

Hanno svilito il sacerdozio cattolico, trasformando i preti da uomini di Dio ad operatori sociali delle comunità. 
Hanno ridotto loro il breviario e la preghiera, gli hanno imposto un abito secolare per essere come tutti, gli hanno detto di aggiornarsi perché il mondo andava avanti... e gli hanno detto di non esagerare la propria importanza, ma di condividere il proprio compito con i fedeli, con tutti.

E come colpo di grazia gli hanno dato una messa che è diventata la prova generale del cataclisma nella Chiesa: non più preghiera profonda, non più adorazione di Dio presente, non più unione intima al sacrificio propiziatorio di Cristo in Croce, ma cena santa della comunità. Tutta incentrata sull'uomo e non su Dio, tutta un parlare estenuante per fare catechesi e comunità. Una messa che è tutto un andirivieni di laici sull'altare, prova generale di quell'andirivieni di signori e signore che saranno le nostre ex parrocchie senza prete.

E con la messa “mondana”, hanno inculcato la dottrina del sacerdozio universale dei fedeli... stravolgendone il significato. I battezzati sono un popolo sacerdotale in quanto devono offrire se stessi in sacrificio, in unione con Cristo crocifisso, offrire tutta la loro vita con Gesù. 
I fedeli devono santificarsi: questo è il sacerdozio universale dei battezzati. 
Ma i fedeli non partecipano al sacerdozio ordinato che è di altra natura, che conforma a Cristo sacerdote. 
E’ attraverso il sacramento dell’Ordine che Cristo si rende presente nella grazia dei sacramenti. Se non ci fossero più preti sarebbero finite sia la Chiesa che la grazia dei sacramenti.

Martin Lutero e il Protestantesimo fecero proprio così: distrussero il sacerdozio cattolico dicendo che tutti sono sacerdoti: sottolineando appunto il sacerdozio universale, il laicato. 

Nella pratica della ristrutturazione delle parrocchie forse si finirà così: diverso sarebbe stato affrontare questa crisi con nel cuore e nella mente un'alta stima del sacramento dell'ordine, sapendo che il prete è uno dei doni più grandi per la Chiesa e per il popolo tutto; ma così non è: si affronterà questa crisi dopo anni di protestantizzazione e di relativizzazione del compito dei preti. 

Si affronterà questa crisi dopo anni di confusione totale nella vita del clero; dopo anni di disabitudine alla messa quotidiana e alla dottrina cattolica: così i fedeli faranno senza il prete, anzi già fanno senza. E quando un prete arriverà, non sapranno più che farsene, abituati a credere che il Signore li salva senza di loro e i loro sacramenti.

A noi sembra ingiusto far finta di niente.

Per questo chiediamo ai nostri fedeli di pregare con forza perché il Signore torni a concedere, come un tempo, tanti sacerdoti alla sua Chiesa.

Cari fedeli, in questo mese di giugno, che è il mese delle sacre ordinazioni, abbiamo il coraggio di chiedere, anche con le lacrime, questa grazia al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.

E teniamo come dono preziosissimo la Messa di sempre, la Messa della tradizione, che sola saprà dare nuovi preti alla Chiesa di Dio.

Andate...Predicate...Battezzate...

lunedì 15 aprile 2013

Solo il Buon Pastore custodisce con immensa tenerezza il suo gregge e lo difende dal male, e solo in Lui i fedeli possono riporre assoluta fiducia.

Assaporando insieme a papa Benedetto XVI 
la Parola di Dio che ci salva
nella IV Domenica di Pasqua
 Giornata di speciale preghiera per le vocazioni




REGINA CÆLI
Piazza San Pietro
Domenica, 25 aprile 2010 

Cari fratelli e sorelle,
in questa quarta Domenica di Pasqua, detta “del Buon Pastore”, si celebra la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, che quest’anno ha per tema: “La testimonianza suscita vocazioni”, tema “strettamente legato alla vita e alla missione dei sacerdoti e dei consacrati” (Messaggio per la XLVII G. M. di preghiera per le vocazioni, 13 novembre 2009). 

La prima forma di testimonianza che suscita vocazioni è la preghiera (cfr ibid.), come ci mostra l’esempio di santa Monica che, supplicando Dio con umiltà ed insistenza, ottenne la grazia di veder diventare cristiano suo figlio Agostino, il quale scrive: “Senza incertezze credo e affermo che per le sue preghiere Dio mi ha concesso l’intenzione di non preporre, non volere, non pensare, non amare altro che il raggiungimento della verità” (De Ordine II, 20, 52, CCL 29, 136). Invito, pertanto, i genitori a pregare, perché il cuore dei figli si apra all’ascolto del Buon Pastore, e “ogni più piccolo germe di vocazione … diventi albero rigoglioso, carico di frutti per il bene della Chiesa e dell’intera umanità” (Messaggio cit.). 

Come possiamo ascoltare la voce del Signore e riconoscerlo? Nella predicazione degli Apostoli e dei loro successori: in essa risuona la voce di Cristo, che chiama alla comunione con Dio e alla pienezza della vita, come leggiamo oggi nel Vangelo di san Giovanni: “Le mie pecore ascoltano la mia voce ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano” (Gv 10,27-28). Solo il Buon Pastore custodisce con immensa tenerezza il suo gregge e lo difende dal male, e solo in Lui i fedeli possono riporre assoluta fiducia.

In questa Giornata di speciale preghiera per le vocazioni, esorto in particolare i ministri ordinati, affinché, stimolati dall’Anno Sacerdotale, si sentano impegnati “per una più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi” (Lettera di indizione). 
Ricordino che il sacerdote “continua l’opera della Redenzione sulla terra”; 
sappiano sostare volentieri davanti al tabernacolo”; 
aderiscano “totalmente alla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa”; 
si rendano disponibili all’ascolto e al perdono; 
formino cristianamente il popolo a loro affidato; 
coltivino con cura la “fraternità sacerdotale” (cfr ibid.). Prendano esempio da saggi e zelanti Pastori, come fece san Gregorio di Nazianzo, il quale così scriveva all’amico fraterno e Vescovo san Basilio: “Insegnaci il tuo amore per le pecore, la tua sollecitudine e la tua capacità di comprensione, la tua sorveglianza … la severità nella dolcezza, la serenità e la mansuetudine nell’attività … i combattimenti in difesa del gregge, le vittorie … conseguite in Cristo” (Oratio IX, 5, PG 35, 825ab).

Ringrazio tutti i presenti e quanti con la preghiera e l’affetto sostengono il mio ministero di Successore di Pietro, e su ciascuno invoco la celeste protezione della Vergine Maria, alla quale ci rivolgiamo ora in preghiera.

ORATE FRATRES

venerdì 12 aprile 2013

PRIVILEGI DELLA VITA RELIGIOSA


 PRIVILEGI DELLA VITA RELIGIOSA. 


Gesù Cristo, quando l'apostolo Pietro Gli domandò che cosa avrebbe dato di particolare a loro che avevano tutto abbandonato per seguire Lui, gli rispose che nel giorno della rigenerazione li avrebbe fatti sedere su dodici troni e li avrebbe fatti giudici delle dodici tribù d'Israele. E, soggiunse, chiunque lascerà la casa, la parentela, i beni per amor mio, riceverà cento volte più di quello che ha lasciato, e insieme la vita eterna (MATTH. XIX, 27-29). Ecco il privilegio concesso a quelli che professano la vita religiosa! 

A ­loro più particolarmente convengono quegli elogi di S. Pietro: «Voi siete una casta privilegiata, un sacerdozio reale, una gente santa, un popolo scelto, affinché proclamiate le virtù di colui che dalle te­nebre vi ha chiamati all'ammirabile sua luce» (1 PETR. II, 9).



La vocazione alla vita religiosa è grazia insigne, rara e specialissima... 

Le anime consacrate a Dio in un ordine religioso sono la porzione più nobile, più onorevole, più pura della Chiesa di Gesù Cristo; ne formano il più vago ornamento... Stanno più che tutte le altre vicino a Dio... Costituiscono il corteo e, direi, la corona dell'Altissimo. Seguono l'Agnello dovunque vada... Avranno in cielo un seggio più elevato, un luogo distinto... Hanno più meriti per essere esaudite in quello che domandano... Sono parafulmini che arrestano i colpi della giustizia di Dio; sono altri Mosè che s'interpongono tra la collera di Dio e i delitti dei popoli; placano il cielo e salvano la terra. Ah! Dio non ha trattato così tutte le anime (Psalm. CXL VII, 20)


Voi ben potete, o anime privile­giate, dire con la Sposa dei Cantici
«La voce del mio diletto che bussa alla porta, dice: Aprimi, mia sorella, mia amica, mia colomba, mia immacolata» (Cant. V, 2). Mia sorella per la creazione e l'incarnazione, mia amica e mia sposa per la fede e per i voti, mia colomba per il battesimo e la rigenerazione, mia immacolata per la carità.

IMMACOLATA MIA
MIO TUTTO!

venerdì 8 febbraio 2013

Vangelo della Domenica V SETTIMANA Tempo Ordinario Anno C, 10 febbraio 2013 : <<... Portate tutto a Zebedeo e a mio cognato. Andiamo. Tutti per Te, Gesù! Sia benedetto l'Eterno per questa elezione!>>




65. 
La pesca miracolosa e l'elezione dei primi quattro apostoli. Mt 4, 18-22; Mc 1, 16-20; Lc 5, 1-11
E [la visione] riprende sulle parole di Gesù:

«Quando a primavera tutto fiorisce, l'uomo del campo dice, contento: "Avrò molto frutto ". E giubila in cuor
suo per questa speranza. Ma dalla primavera all'autunno, dal mese dei fiori a quello delle frutta, quanti
giorni, quanti venti, e piogge, e sole, e burrasche hanno da passare, e talora guerra o crudeltà di potenti, e
malattie delle piante, e talora malattia dell'uomo del campo, per cui - non più scalzate e rincalzate, irrigate,
potate, sorrette, pulite - le piante, promettenti gran frutto, intristiscono e muoiono o totalmente o nel loro
raccolto!
Voi mi seguite. Voi mi amate. Voi, come piante a primavera, vi ornate di propositi e di amore. Veramente
Israele in quest'alba del mio apostolato è come le nostre dolci campagne nel luminoso mese di nisam. Ma
udite. Come arsione di siccità, verrà Satana a bruciarvi col suo alito che mi invidia. Verrà il mondo col suo
vento gelato a ghiacciare il vostro fiorire. Verranno le passioni come burrasche. Verrà il tedio come pioggia
ostinata. Tutti i nemici miei e vostri verranno per isterilire ciò che dovrebbe venire da questa santa vostra
tendenza a fiorire in Dio. Io ve ne avverto, perché so.



Ma tutto allor sarà perso, quando Io, come agricoltore malato - più che malato, morto - più non potrò dare a voi parole e miracoli? No. Io semino e coltivo sinché è il mio tempo. Poi su voi crescerà e maturerà, se voi farete buona guardia.


Guardate quel fico della casa di Simone di Giona. Chi lo piantò non trovò il punto giusto e propizio. Messo a
dimora presso l'umido muro di settentrione, sarebbe morto se, da sé stesso, non avesse voluto tutelarsi per
vivere. Ed ha cercato sole e luce. Eccolo là, tutto piegato, ma forte e fiero, che beve dall'aurora il sole, e se ne
fa succo per i suoi cento e cento e cento dolci frutti. Si è difeso da sé. Ha detto: "Il Creatore m'ha voluto per dar gioia e cibo all'uomo. Io voglio che il suo volere abbia a compagno il mio!". Un fico! Una pianta senza parola! Senza anima! E voi, figli di Dio, figli dell'uomo, sarete da meno della legnosa pianta?

Fate buona guardia per dar frutti di vita eterna. Io vi coltivo, e per ultimo vi darò un succo che più potente non ne esiste. Non fate, non fate che Satana rida sulle rovine del mio lavoro, del mio sacrificio e della vostra anima. 
Cercate la luce. Cercate il sole. Cercate la forza. Cercate la vita. Io sono Vita, Forza, Sole, Luce di chi mi ama. Qui sono per portare voi là da dove Io sono venuto. Qui parlo per chiamarvi tutti e additarvi la Legge dai dieci comandi che danno la vita eterna. E con consiglio d'amore vi dico: "Amate Dio e il prossimo". Condizione prima per compiere tutto ogni altro bene. Il più santo dei dieci comandi santi. Amate.
Coloro che ameranno in Dio, Dio e prossimo, e per il Signore Iddio, avranno in terra e in Cielo la pace per loro tenda e per loro corona».

La gente si allontana a fatica dopo la benedizione di Gesù. Non ci sono malati né poveri.

Gesù dice a Simone: «Chiama anche gli altri due. Andiamo sul lago a gettare la rete».
«Maestro, ho le braccia rotte dall'aver gettato e rialzato la rete per tutta la notte, e per nulla. Il pesce è nel profondo e chissà dove».
«Fa' quel che ti dico, Pietro. Ascolta sempre chi ti ama».
«Farò quel che Tu dici, per rispetto alla tua parola» e chiama forte i garzoni e anche Giacomo e Giovanni.
«Usciamo alla pesca. Il Maestro lo vuole». E mentre si allontanano dice a Gesù: «Però, Maestro, ti assicuro che non è ora propizia. A quest'ora i pesci chissà dove sono a riposo!... »

Gesù, seduto a prora, sorride e tace.
Fanno un arco di cerchio sul lago e poi gettano la rete. Pochi minuti di attesa e poi la barca riceve scosse
strane, dato che il lago è liscio come di vetro fuso sotto il sole ormai alto.
«Ma questo è pesce, Maestro!» dice Pietro ad occhi spalancati.
Gesù sorride e tace.
«Issa! Issa!» ordina Pietro ai garzoni. Ma la barca piega di bordo dal lato della rete. «Ohè! Giacomo! Giovanni! Presto! Venite! Coi remi! Presto!».

Quelli corrono, e gli sforzi delle due ciurme riescono ad issare la rete senza sciupare la preda.
Le barche accostano. Sono proprio unite. Un cesto, due, cinque, dieci. Sono tutti pieni di preda stupenda, e ce
ne sono ancor tanti di pesci guizzanti nella rete: argento e bronzo vivo che si muove per sfuggire alla morte.
Allora non c'è che un rimedio: rovesciare il resto nel fondo delle barche. Lo fanno, e il fondo è tutto un agitarsi di vite in agonia. La ciurma è dentro a questa dovizia sino a oltre il malleolo, e le barche affondano oltre la linea di immersione per il peso eccessivo.
«A terra! Vira! Forza! Di vela! Attenti al fondale! Pertiche pronte per riparare l'urto! È troppo il peso!».
Finché dura la manovra, Pietro non riflette. Ma giunti a terra lo fa. Capisce. Ne ha sgomento. 
«Maestro Signore! Allontanati da me! Io sono uomo peccatore. Non son degno di starti presso!». È in ginocchio sul greto umido.

Gesù lo guarda e sorride. «Alzati! Seguimi! Più non ti lascio! D'ora in poi tu sarai pescatore d'uomini, e con te questi tuoi compagni. Non temete più nulla. Io vi chiamo. Venite!».
«Subito, Signore. Voi occupatevi delle barche. Portate tutto a Zebedeo e a mio cognato. Andiamo. Tutti per Te, Gesù! Sia benedetto l'Eterno per questa elezione».

E la visione ha termine.
Da L'Evang. come mi é stato rivelato, di M. Valtorta



MAGNIFICAT ANIMA MEA DOMINUM!

mercoledì 10 ottobre 2012

*** DOMENICA XXVIII, tempo ordinario, anno B. (14 ott. 2012). L’incontro con il giovane ricco. Mc 10, 17-31;



DOMENICA XXVIII, tempo ordinario, anno B. (14 ott. 2012)

Post importante per capire le ultime settimane di Gesù prima della sua beata Passione.

576. Verso Doco l’incontro con il giovane ricco. Mt 19, 16-30; Mc 10, 17-31; Lc 18, 18-30
       
È un’altra mattina bellissima d’aprile. La terra e il firmamento spiegano tutte le loro primaverili bellezze. Si 
respira luce, canto, profumo, tanto l’aria è satura di luminosità, di voci di festa e d’amore, di fragranze. Deve 
esser scesa nella notte una breve pioggia che ha reso scure e senza polvere le strade, senza con ciò farle 
fangose, ed ha pulito steli e foglie che ora tremolano, tutte scintillanti e monde, ad una dolce brezza che 
scende dai monti verso questa fertile piana, che preannuncia Gerico. 
Dalle rive del Giordano salgono continuamente persone che hanno traghettato dall’altra sponda, oppure 
hanno seguito la strada che costeggia il fiume, venendo su questa che punta direttamente su Gerico e su 
Doco, come indicano i segnali stradali. E ai molti ebrei, che si dirigono da ogni parte a Gerusalemme per il 
rito, si mescolano mercanti di altri luoghi, e pastori e pastori con gli agnelli dei sacrifici, belanti ignari. 

Molti 
riconoscono e salutano Gesù. Sono, questi, ebrei della Perea e Decapoli e di luoghi anche più lontani. Ve ne 
è un gruppo di Cesarea Paneade. E sono pastori che, per essere piuttosto nomadi dietro i greggi, hanno 
conoscenza del Maestro, incontrato o annunciato a loro dai discepoli.

Uno si prostra e gli dice: «Posso offrirti l’agnello?». 
«Non te lo levare, uomo. È il tuo guadagno questo». 
«Oh! è la mia riconoscenza. Tu non ti ricordi di me. Io sì. Sono uno che Tu hai guarito guarendo tanti. Mi hai 
rinsaldato l’osso della coscia che nessuno guariva e mi teneva infermo. Te lo do volentieri l’agnello. Il più 
bello. Questo. Per il banchetto di letizia. Lo so che per l’olocausto sei tenuto alla spesa. Ma per la letizia! 
Tanta ne hai data a me. Prendilo, Maestro». 
«Ma sì, prendilo. Saranno denari che risparmieremo. O meglio, sarà possibilità di mangiare, perché con tutte 
le prodigalità che si fanno io non ho più denaro», dice l’Iscariota. 
«Prodigalità? Ma se da Sichem non si è più speso uno spicciolo!», dice Matteo. 
«Insomma, io non ho più denaro. Gli ultimi li detti a Merode». 
«Uomo, ascolta», dice Gesù al pastore per porre fine alle parole di Giuda. «Io non vado per ora a Gerusalemme e non posso portare con Me l’agnello. Altrimenti lo accetterei per mostrarti che gradisco il tuo dono». 
«Ma poi andrai in città. Ti fermerai per le feste. Avrai un ricovero. Dimmi dove ed io consegnerò ai tuoi 
amici...». 
«Non ho nulla di questo... Ma a Nobe ho un vecchio e povero amico. Ascoltami bene: il dì dopo il sabato 
pasquale tu andrai all’alba a Nobe e dirai a Giovanni, l’anziano di Nobe (tutti te lo indicheranno): “Questo 
agnello te lo manda Gesù di Nazaret, tuo amico, perché tu festeggi questo giorno con banchetto di letizia, 
perché più grande letizia di oggi non c’è per i veri amici del Cristo”. Lo farai?». 
«Se così vuoi, lo farò». 
«E mi farai felice. Non prima del dì dopo il sabato. Ricorda bene. E ricorda le parole che ti ho detto. Ora va’ 
e la pace sia con te. E serba il tuo cuore stabile in essa pace nei giorni futuri. Ricorda anche questo e continua 
a credere nella mia Verità. Addio» .

Della gente si è accostata ad ascoltare il dialogo e si dirada solo quando il pastore, rimettendo in moto il suo 
gregge, la obbliga a sparpagliarsi. Gesù segue il gregge, approfittando della scia aperta da esso. 
La gente bisbiglia: «Ma allora va proprio a Gerusalemme? Ma non sa che c’è il bando per Lui?». 
«Eh! ma nessuno può vietare ad un figlio della Legge di presentarsi al Signore per la Pasqua. È colpevole 
forse di pubblico reato? No. Perché, se lo fosse, il Preside lo avrebbe fatto imprigionare come Barabba». 
E altri: «Hai sentito? Non ha ricovero né amici a Gerusalemme. Che tutti lo abbiano abbandonato? Anche il 
risorto? [che sarebbe  Lazzaro di Betania] Bella riconoscenza!». 
«Taci là! Quelle due sono le sorelle di Lazzaro. Io sono delle campagne di Magdala e le conosco bene. Se le 
sorelle sono con Lui, segno è che la famiglia di Lazzaro gli è fedele». 
«Forse non osa entrare in città». 
«Ha ragione». 
«Dio lo perdonerà se sta fuori di essa». 
«Non è colpa sua se non può salire al Tempio». 
«La sua prudenza è saggia. Se venisse preso, tutto sarebbe finito prima della sua ora». 
«Certo non è ancor pronto per la sua proclamazione a re nostro, ed Egli non vuole essere preso». 
«Si dice che, mentre lo si sapeva ad Efraim, Egli sia andato in ogni luogo, sin presso le tribù nomadi, per 
prepararsi i seguaci e le milizie e cercare protezioni». 
«Chi te lo ha detto?». 
«Sono le solite menzogne. Egli è il Re santo e non il re da milizie». 
«Forse farà la Pasqua supplementare. Allora è più facile passare inosservato. Il Sinedrio è sciolto dopo le 
feste, e tutti i sinedristi vanno alle loro case per la mietitura. Sino a Pentecoste non si raduna di nuovo». 
«E, via che siano i sinedristi, chi volete che gli faccia del male? Sono loro gli sciacalli!». 
«Uhm! che Egli si usi tanta prudenza? Cosa troppo da uomo! Egli è da più che un uomo e non avrà prudenza 
vile». 
«Vile? Perché? Nessuno può dir vile chi si risparmia per la sua missione». 
«Vile sempre, perché ogni missione è sempre inferiore a Dio. Perciò il culto a Dio deve avere la precedenza 
su ogni altra cosa». 
Queste le parole che vanno da bocca a bocca. Gesù mostra di non sentire. 
Giuda d’Alfeo si ferma per attendere le donne e, sopraggiunte che siano -  esse erano col ragazzo, indietro 
una trentina di passi - dice a Elisa: «Avete dato molto a Sichem dopo che partimmo!». 
«Perché?». 
«Perché Giuda non ha più un picciolo. I tuoi sandali, o Beniamino, non verranno. È destino così. A Tersa 
non si poté entrare e, anche avessimo potuto, il non aver denaro avrebbe impedito ogni acquisto... Dovrai 
entrare a Gerusalemme così...». 
«Prima c’è Betania», dice Marta con un sorriso. 
«E prima c’è Gerico e la mia casa», dice Niche pure sorridendo. 
«E prima di tutto ci sono io. Io ho promesso e io farò. Viaggio di esperienze questo! Ho provato cosa è non 
avere una didramma. E ora proverò cosa è dover vendere un oggetto per bisogno», dice Maria di Magdala. 
«E che vuoi vendere, Maria, se non porti più gioielli?», chiede Marta alla sorella. 
«Le mie grosse forcine d’argento. Sono tante. Ma per tenere a posto questo inutile peso possono bastare 
quelle di ferro. Le venderò. Gerico è piena di gente che compra queste cose. E oggi è giorno di mercato, e 
così domani e sempre per queste ricorrenze». 
«Ma sorella!».
«Che? Ti scandalizzi pensando che mi si possa credere povera tanto da dover vendere le forcine d’argento? 
Oh! vorrei averti dato sempre di questi scandali! Peggio era quando, senza bisogno, vendevo me stessa al 
vizio altrui e mio». 86
«Ma taci! C’è il ragazzo, che non sa!». 
«Non sa ancora. Forse non sa ancora che io ero la peccatrice. Domani lo saprebbe da chi mi odia perché non 
sono più tale, e certo con particolari quali il mio peccato non ebbe pur essendo tanto grande. Meglio dunque 
che lo sappia da me e veda quanto può il Signore che lo ha accolto: fare di una peccatrice una pentita, di un 
morto un risorto, di me morta nello spirito, di Lazzaro morto nel corpo, due viventi. Perché questo ha fatto a 
noi il Rabbi, o Beniamino. Ricordalo sempre e amalo con tutto il tuo cuore, perché Egli è veramente il Figlio 
di Dio». 
Un intoppo lungo la via ha fermato Gesù e gli apostoli, e le donne li raggiungono. Gesù dice: «Andate avanti 
voi, verso Gerico, ed anche entrateci, se volete. Io vado a Doco con questi. Al tramonto sarò con voi». 
«Oh! perché ci allontani? Non siamo stanche», protestano tutte. 
«Perché vorrei che voi intanto, almeno alcune, avvisaste i discepoli che Io sarò da Niche domani». 
«Se è così, Signore, noi andiamo. Vieni Elisa, e tu Giovanna, e tu Susanna e Marta. Prepareremo ogni cosa», 
dice Niche. 
«E io e il ragazzo. Faremo i nostri acquisti. Benedicici, Maestro. E vieni presto. Tu, Madre, resti?», dice 
Maria di Magdala. 
«Sì. Col Figlio mio». 
Si separano. Con Gesù restano soltanto le tre Marie: la Madre, sua cognata Maria Cleofe e Maria Salome. E 
Gesù lascia la via di Gerico per una via secondaria che va a Doco.


E da poco è per essa quando, da una carovana che viene non so da dove - una ricca carovana che certo viene 
da lontano perché ha le donne montate sui cammelli, chiuse nelle tremolanti berline o palanchini legati sulle 
schiene gibbute, e gli uomini a cavallo di focosi cavalli o di altri cammelli - si stacca un giovane e facendo 
inginocchiare il suo cammello scivola giù di sella, andando verso Gesù. Un servo, accorso, gli tiene la bestia 
per le briglie.

Il giovane si prostra davanti a Gesù e, dopo il profondo saluto, gli dice: «Filippo di Canata, figlio di veri israeliti e rimasto tale, io sono. Discepolo di Gamaliele sinché la morte del padre mio non mi fece capo dei suoi commerci. Ti ho sentito più di una volta. So le tue azioni. Aspiro ad una vita migliore per avere quella vita eterna che Tu assicuri possesso di chi crea il tuo Regno in sé. Dimmi dunque, Maestro buono, che dovrò fare per avere la vita eterna?»
«Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono». 
«Tu sei il Figlio di Dio, buono come il Padre tuo. Oh! dimmi, che devo fare?». 
«Per entrare nella vita eterna osserva i comandamenti». 
«Quali, mio Signore? Gli antichi o i tuoi?». 
«Negli antichi sono già i miei, i miei non mutano gli antichi. Essi sono sempre: adorare di amor vero l’unico 
vero Dio e rispettare le leggi del culto, non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non attestare il 
falso, onorare padre e madre, non danneggiare il prossimo ma anzi  amarlo  come  ami  te  stesso.  Facendo  
così, avrai la vita eterna». 
«Maestro, tutte queste cose le ho osservate dalla mia fanciullezza». 

Gesù lo guarda con occhio d’amore e dolcemente gli chiede: «E non ti paiono sufficienti ancora?». 
«No, Maestro. Cosa grande è il Regno di Dio in noi e nell’altra vita. Infinito dono è Dio che a noi si dona. Io sento che tutto è poco, di ciò che è dovere, rispetto al Tutto, all’Infinito perfetto che si dona e che penso si 
debba ottenere con cose più grandi di quelle che sono comandate per non dannarsi ed essergli graditi». 
«Tu dici bene. Per essere perfetto ti manca ancora una cosa. Se vuoi essere perfetto come vuole il Padre nostro dei Cieli, va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo che ti farà diletto al Padre, 
che ha dato il suo Tesoro per i poveri della Terra. Poi vieni e seguimi».

Il giovane si rattrista, si fa pensieroso. Poi si alza in piedi dicendo: «Ricorderò il tuo consiglio...», e si allontana tristemente. 
Giuda ha un sorrisetto ironico e mormora: «Non sono io solo ad amare il denaro!». 
Gesù si volge e lo guarda... e poi guarda gli altri undici visi che gli sono intorno, poi sospira: 
«Come difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli, la cui porta è stretta, ed erta è la via, e non possono percorrerla ed entrare coloro che sono caricati dei pesi voluminosi delle ricchezze! Per entrare lassù non ci 
vogliono che tesori di virtù, immateriali, e sapersi separare da tutto quanto è attaccamento alle cose del mondo e vanità». 

Gesù è molto triste... 
Gli apostoli si sogguardano fra loro... 
Gesù riprende, guardando la carovana del giovane ricco che si allontana: «In verità vi dico che è più facile che un cammello passi per una cruna d’ago che non per un ricco di entrare nel Regno di Dio». 
«Ma allora chi mai potrà salvarsi? La miseria fa sovente peccatori, per invidie e poco rispetto a ciò che è d’altri, e per sfiducia verso la Provvidenza... La ricchezza è di ostacolo alla perfezione... E allora? Chi potrà salvarsi?». 
Gesù li guarda e dice loro: «Quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio, perché a Dio tutto è possibile. Basta che l’uomo lo aiuti, il suo Signore, con la sua buona volontà. È buona volontà accettare il consiglio avuto e sforzarsi di giungere alla libertà dalle ricchezze. Ad ogni libertà, per seguire Dio. 
Perché la vera libertà dell’uomo è questa: seguire le voci che Dio gli sussurra al cuore e i suoi comandi, non essere schiavo né di se stesso, né del mondo, né del rispetto umano, e perciò non schiavi di Satana. 
Usare della splendida libertà di arbitrio che Dio ha dato all’uomo per volere liberamente e solamente il Bene, e 
conseguire così la vita eterna luminosissima, libera, beata. Neppur della propria vita bisogna essere schiavi, se per secondare la stessa noi si deve fare resistenza a Dio. Ve l’ho detto: (Vedi Vol 4 Cap 265) “Colui che 
perderà la sua vita per amor mio e per servire Iddio, costui la salverà in eterno”». 

«Ecco! Noi abbiamo lasciato ogni cosa per seguirti, anche le più lecite. Che ce ne verrà dunque? Entreremo allora nel tuo Regno?», chiede Pietro. 
«In verità, in verità vi dico che coloro che mi avranno seguito in tal modo e che mi seguiranno - perché c’è 
sempre tempo a riparare alle accidie e alle colpe sin qui fatte, sempre tempo sinché si è sulla Terra e si hanno 
davanti dei giorni nei quali poter riparare al mal fatto - costoro saranno con Me nel Regno mio. 
In verità vi dico che voi, che mi avete seguito nella rigenerazione, siederete sopra i troni a giudicare le tribù della Terra 
insieme al Figlio dell’uomo seduto sul trono della sua gloria. 
In verità ancora vi dico che non vi sarà nessuno 
che, avendo per amor del mio Nome lasciato casa, campi, padre, madre, fratelli, sposa, figli e sorelle, per 
spargere la Buona Novella e continuarmi, non riceva il centuplo in questo tempo e la vita eterna nel secolo futuro». 

«Ma se perdiamo tutto, come possiamo centuplicare il nostro avere?», chiede Giuda di Keriot. 
«Torno a dire: ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. E Dio darà il centuplo di gaudio spirituale 
a coloro che da uomini del mondo seppero farsi figli di Dio, ossia uomini spirituali. Essi godranno il vero 
gaudio, qui e oltre la Terra. E ancor vi dico che non tutti quelli che sembrano i primi, e primi dovrebbero 
essere avendo più di tutti ricevuto, saranno tali. E non tutti quelli che sembrano ultimi, e men che ultimi, non 
essendo in apparenza miei discepoli e neppur del Popolo eletto, saranno gli ultimi. In verità molti da primi 
diverranno ultimi, e molti ultimi, infimi, diverranno primi... Ma ecco là Doco. Andate avanti tutti, meno 
Giuda di Keriot e Simone Zelote. Andate ad annunciarmi a quelli che possono aver bisogno di Me». 
E Gesù attende con i due trattenuti di unirsi alle tre Marie, che li seguono a qualche metro di distanza. 


Lilium candidum sanctae Trinitatis,
ora pro nobis