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domenica 9 febbraio 2014

SEGNO DI CONTRADDIZIONE

 Presentazione di Gesù Bambino al Tempio.
Segno di contraddizione.



«Non turbatevi, figli miei, se da alcuni non siete compresi, anzi venite 
apertamente criticati e perseguitati. Il mio Cuore permette questo per abituarvi a 
non riporre in nessuna creatura il vostro appoggio, ma in Me sola. Appoggiatevi 
sul mio Cuore Immacolato, figli prediletti.

Lasciatevi portare come il Bambino Gesù si lasciava portare sulle mie 
braccia alla Casa del Padre. Si presentava al Tempio per essere offerto al Signore 
su questo mio Cuore di Mamma.
Nel momento in cui Io lo affidavo nelle mani del Sacerdote, il vecchio 
profeta Simeone rivelava che la Madre era stata scelta da Dio per questa offerta: 
"Sarà posto come segno di contraddizione e una spada a te, o Madre, trapasserà 
l'anima".
Anche voi, piccoli figli consacrati al mio Cuore Immacolato, siete chiamati oggi 
ad essere questo segno di contraddizione.

Per la vostra vita, che sarà solo Vangelo vissuto. Oggi sempre meno si 
crede al Vangelo di mio Figlio Gesù, e anche nella Chiesa alcuni tendono a 
interpretarlo in maniera umana e simbolica.
Voi attuerete alla lettera il Vangelo: sarete poveri, semplici, puri, piccoli e 
totalmente al Padre abbandonati.

Per la vostra parola, che ripeterà, sempre più forte e chiara, la Verità 
che mio Figlio Gesù è venuto a rivelarvi.
Vedete quanti vostri fratelli Sacerdoti tradiscono la Verità, nel tentativo di 
adattarla alla mentalità del mondo, spinti dalla fallace illusione di essere meglio 
compresi, più ascoltati e più facilmente seguiti? 
Nessuna illusione è più  pericolosa di questa.
Annunciate sempre con fedeltà e chiarezza il Vangelo che vivete. Il vostro 
parlare sia: "Sì, sì; no, no"; il resto viene dal Maligno. Per questo lasciatevi 
guidare e condurre con docilità dalla Chiesa.
Guardate ormai come il Papa [Paolo VI] annuncia forte questa verità e 
come la sua  voce cade sempre più in un deserto.
Il mio Cuore di Mamma è ancora trapassato da una spada nel vedere 
come il Santo Padre, questo mio primo figlio prediletto, è lasciato, anche 
dai suoi fratelli Sacerdoti, sempre più solo.
Siate voi, Sacerdoti consacrati al mio Cuore Immacolato, la voce che diffonde 
in tutto il mondo quanto il Vicario di mio Figlio ancora oggi con fermezza 
annuncia per la salvezza dei miei poveri figli smarriti.

Per la vostra testimonianza, che dovrà essere luce ed esempio per tutta 
la Chiesa. 
È stato disposto dal Padre che la vostra sia una testimonianza sempre più 
dolorosa. Vi ripeto, figli, che la strada su cui vi conduco è quella della Croce.
Non temete se verso di voi aumenteranno le incomprensioni, le critiche e le 
persecuzioni. È necessario che questo avvenga per voi perché, come mio 
Figlio Gesù, anche voi oggi siete chiamati ad essere segno di contraddizione.

Sempre più sarete seguiti, sempre più sarete anche respinti e perseguitati.
Quando attaccano la vostra persona o il mio Movimento, rispondete con la 
preghiera, con il silenzio e con il perdono.
Sarete presto chiamati alla battaglia aperta quando sarà attaccato mio Figlio 
Gesù, Me stessa, la Chiesa e il Vangelo.
Solo allora, condotti per mano da Me, dovrete uscire allo scoperto per dare 
finalmente la vostra pubblica testimonianza. Per ora vivete ancora con 
semplicità, affidandovi tutti alle cure di questo mio Cuore Immacolato».

2 febbraio 1976: Mov.Sac.Mariano







sabato 21 dicembre 2013

Domenica 22 dicembre 2013, IV Domenica di Avvento - Anno A : San Matteo 1,18-24.

"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 22 dicembre 2013, IV Domenica di Avvento - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 1,18-24.
Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo.
Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 
Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 
Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 
Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 
Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Traduzione liturgica della Bibbia 


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 26 pagina 152.
Dopo cinquantatre giorni riprende la Mamma a mostrarsi con questa visione che mi dice di segnare in questo libro. La gioia si rinnova in me. Perché vedere Maria è possedere la Gioia.
Vedo dunque l’orticello di Nazareth. Maria fila all’ombra di un foltissimo melo stracarico di frutta, che cominciano ad arrossare e sembrano tante guance di bambino nel loro roseo e tondo aspetto. 
Ma Maria non è per nulla rosea. Il bel colore, che le avvivava le guance a Ebron, è scomparso. Il viso è di un pallore di avorio, in cui soltanto le labbra segnano una curva di pallido corallo. Sotto le palpebre calate stanno due ombre scure e i bordi dell’occhio sono gonfi come chi ha pianto. Non vedo gli occhi, perché Ella sta col capo piuttosto chino, intenta al suo lavoro e più ancora ad un suo pensiero che la deve affliggere, perché l’odo sospirare come chi ha un dolore nel cuore. 
E’ tutta vestita di bianco, di lino bianco, perché fa molto caldo nonostante che la freschezza ancora intatta dei fiori mi dica che è mattina. E’ a capo scoperto e il sole, che scherza con le fronde del melo mosse da un lievissimo vento e filtra con aghi di luce fin sulla terra bruna delle aiuole, le mette dei cerchiolini di luce sul capo biondo, e là i capelli sembrano di un oro zecchino. 
Dalla casa non viene nessun rumore, né dai luoghi vicini. Si sente solo il mormorio del filo d’acqua che scende in una vasca in fondo all’orto. 
Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all’uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l’abito sia sciolto ed ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino. 

Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un’ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: “A quest’ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni.” 
Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora. 
“Parla, Giuseppe. Che cosa vuoi da me?” 
“Il tuo perdono.” Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce. 
Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. “Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l’amore che mi porti.” 
Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell’incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull’orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. “Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato...” 
“Oh! no! Non hai mancato!” 
“Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu... Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l’offesa di un sospetto. Anche se solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito... tre giorni di supplizio, perdonami, Maria.” 
“Non ho nulla da perdonarti. Ma anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato.” 
“Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe. Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni! Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere, a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?” 
Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: “Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l’Atteso, che viene ad annullare la colpa di superbia che ha rovinato l’uomo. E poi ho ubbidito... Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tanto.... per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non dovevo che ubbidire. Sono l’Ancella di Dio, e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue.” 

Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quietamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e -è la prima volta che gli vedo fare questo- stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle rosee dita sottili che spuntano come tanti bocci di pesco dall’anello delle mani di Giuseppe. 
“Ora bisognerà provvedere perché...” Giuseppe non dice di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpora e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l’osserva. “Bisognerà fare presto. Io verrò qui... Compiremo il matrimonio.... Nell’entrante settimana. Va bene?” 
“Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva.” 
“No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Signore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d’Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo... quando sarò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere.... Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!... Io non potrò mai osare di toccarlo.!...” 
“Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio!... ”. 
“Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!...” 

“Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la nostra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le nostre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane... Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci ‘padre e Madre’ Oh!”. 
Maria piange di gioia. Un pianto così felice! E Giuseppe inginocchiato, ora, ai suoi piedi, piange col capo quasi nascosto nell’ampia veste di Maria, che le fa una caduta di pieghe sui poveri mattoni della stanzetta.
La visione cessa qui. 


Dice Maria SS.ma
“Nessuno interpreti in modo errato il mio pallore. Non era dato da paura umana. Umanamente mi sarei dovuta attendere la lapidazione. Ma non temevo per questo. Soffrivo per il dolore di Giuseppe. Anche il pensiero che egli mi accusasse, non mi turbava per me stessa. Soltanto mi spiaceva che egli potesse, insistendo nell’accusa, mancare alla carità. Quando lo vidi, il sangue mi andò tutto al cuore per questo. Era il momento in cui un giusto avrebbe potuto offendere la Giustizia, offendendo la Carità. E che un giusto mancasse, egli che non mancava mai, mi avrebbe dato dolore sommo. 
Se io non fossi stata umile sino al limite estremo, come ho detto a Giuseppe, non avrei meritato di portare in me Colui che, per cancellare la superbia nella razza, annichiliva Sé, Dio, all’umiliazione d’esser uomo. 
Ti ho mostrato questa scena, che nessun Vangelo riporta, perché voglio richiamare l’attenzione troppo sviata degli uomini sulle condizioni essenziali per piacere a Dio e ricevere la sua continua venuta in cuore. 
Fede: Giuseppe ha creduto ciecamente alle parole del messo celeste. Non chiedeva che di credere, perché era in lui convinzione sincera che Dio è buono e che a lui, che aveva sperato nel Signore, il Signore non avrebbe serbato il dolore d’esser un tradito, un deluso, uno schernito dal suo prossimo. Non chiedeva che di credere in me perché, onesto come era, non poteva pensare che con dolore che altri non lo fosse. Egli viveva la Legge e la Legge dice: ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Noi ci amiamo tanto che ci crediamo perfetti anche quando non lo siamo. Perché allora disamare il prossimo pensandolo imperfetto? 
Carità assoluta. Carità che sa perdonare, che vuole perdonare. Perdonare in anticipo, scusando in cuor proprio le manchevolezze del prossimo. Perdonare al momento, concedendo tutte le attenuanti al colpevole. 
Umiltà assoluta come la carità. Sapere riconoscere che si è mancato anche col semplice pensiero, e non aver l’orgoglio, più nocivo ancora della colpa antecedente, di non voler dire: ‘Ho errato’. Meno Dio, tutti errano. Chi è colui che può dire: ‘Io non sbaglio mai’? E l’ancor più difficile umiltà: quella che sa tacere le meraviglie di Dio in noi, quando non è necessario proclamarle per dargliene lode, per non avvilire il prossimo che non ha tali doni speciali da Dio. Se vuole, oh! se vuole, Dio disvela Se stesso nel suo servo! Elisabetta mi ‘vide’ quale ero, lo sposo mio mi conobbe per quel che ero quando fu l’ora di conoscerlo per lui. 
Lasciate al Signore la cura di proclamarvi suoi servi. Egli ne ha un’amorosa fretta, perché ogni creatura che assurga a particolare missione è una nuova gloria aggiunta all’infinita sua, perché è testimonianza di quanto è l’uomo così come Dio lo voleva: una minore perfezione che rispecchia il suo Autore. Rimanete nell’ombra e nel silenzio, o prediletti della Grazia, per poter udire le uniche parole che sono di ‘vita’, per potere meritare di avere su voi e in voi il Sole che eterno splende. 
Oh! Luce Beatissima che sei Dio, che sei la gioia dei tuoi servi, splendi su questi servi tuoi e ne esultino nella loro umiltà, lodando Te, Te solo, che sperdi i superbi ma elevi gli umili, che ti amano, agli splendori del tuo Regno.”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/ 

venerdì 12 aprile 2013

Sacco di patate



Il discepolo e il sacco di patate

Un giorno il saggio diede al discepolo un sacco vuoto e un cesto di patate.


"Pensa a tutte le persone che hanno fatto o detto qualcosa contro di te recentemente, specialmente quelle che non riesci a perdonare. Per ciascuna, scrivi il nome su una patata e mettila nel sacco".

Il discepolo pensò ad alcune persone e rapidamente il suo sacco si riempì di patate.

"Porta con te il sacco, dovunque vai, per una settimana" disse il saggio. "Poi ne parleremo".

Inizialmente il discepolo non pensò alla cosa. Portare il sacco non era particolarmente gravoso. Ma dopo un po', divenne sempre più un gravoso fardello. Sembrava che fosse sempre più faticoso portarlo, anche se il suo peso rimaneva invariato.

Dopo qualche giorno, il sacco cominciò a puzzare. Le patate marce emettevano un odore acre. Non era solo faticoso portarlo, era anche sgradevole.

Finalmente la settimana terminò. Il saggio domandò al discepolo: "Nessuna riflessione sulla cosa?".
"Sì Maestro" rispose il discepolo. "Quando siamo incapaci di perdonare gli altri, portiamo sempre con noi emozioni negative, proprio come queste patate. Questa negatività diventa un fardello per noi, e dopo un po', peggiora."
"Sì, questo è esattamente quello che accade quando si coltiva il rancore. Allora, come possiamo alleviare questo fardello?".
"Dobbiamo sforzarci di perdonare".

"Perdonare qualcuno equivale a togliere una patata dal sacco. Quante persone per cui provavi rancore sei capace di perdonare?"
"Ci ho pensato molto, Maestro" disse il discepolo. "Mi è costata molta fatica, ma ho deciso di perdonarli tutti".

Cor sanctissimum Mariae
Fons lactis et mellis

mercoledì 23 maggio 2012

Starec Silvano dell’Athos: O Signore, tu ami le tue creature. Ma chi potrebbe conoscere il tuo amore, chi ne gusterebbe la dolcezza, se non lo istruissi tu stesso nello Spirito santo?


Starec Silvano dell’Athos


IL DONO DEL PENTIMENTO

 Signore, l’anima mia ti ha conosciuto e ora scrivo della tua misericordia per il tuo popolo.
Popoli tutti, non affliggetevi per la difficoltà della vita. Solamente, lottate contro il peccato e invocate l’aiuto di Dio: vi darà il necessario, perché è misericordioso e ci ama.
Popoli tutti, l’anima mia desidera che conosciate il Signore e contempliate la sua misericordia e la sua gloria. Ho settantadue anni e la mia morte è vicina: scrivo sulla misericordia del Signore che mi è stata rivelata per mezzo dello Spirito santo.

Se solo potessi farvi salire su un alto monte! Dall’alta vetta vedreste il volto mite e misericordioso del Signore e i vostri cuori esulterebbero.
In verità vi dico: nulla di buono conosco in me, e i miei peccati sono numerosi, ma la grazia dello Spirito santo ha cancellato i miei peccati.

Così so che a tutti coloro che lottano contro il peccato il Signore dona non solo il perdono, ma anche la grazia dello Spirito santo, grazia che rallegra l’anima colmandola di pace, soave e profonda.
O Signore, tu ami le tue creature. Ma chi potrebbe conoscere il tuo amore, chi ne gusterebbe la dolcezza, se non lo istruissi tu stesso nello Spirito santo?

Allora ti prego, Signore, manda sul mondo ‑ questo mondo che è tuo ‑ la grazia dello Spirito santo, affinché tutti conoscano il tuo amore. Consola gli uomini dal cuore oppresso: nella gioia glorificheranno la tua misericordia.
Consolatore buono, con le lacrime agli occhi ti supplico: conforta le anime angosciate degli uomini; fa’ conoscere a tutti i popoli la tua voce soave che annuncia: “Vi sono rimessi i peccati” (cf. Mc 2,5). Sì, o misericordioso, tu solo puoi compiere meraviglie e non vi è meraviglia più grande di questa: amare un peccatore nella sua miseria (cf. Rm 5,6‑8). Amare un santo è facile: ne è degno. O Signore, ascolta la preghiera della terra! Tutti i popoli sono angosciati, tutti intristiti nei peccati, tutti privati della tua grazia: vivono tutti nelle tenebre.

Popoli tutti, terra tutta, gridiamo al Signore! La nostra preghiera troverà ascolto: il Signore si rallegra del pentimento e della conversione degli uomini (cf. Lc 15,7.10). Tutte le potenze celesti attendono che anche noi gustiamo la dolcezza dell’amore di Dio e contempliamo la bellezza del suo volto.

Serena e dolce è la vita degli uomini sulla terra se trascorre nel santo timore di Dio. Oggi invece gli uomini vivono secondo volontà e ragione umane, hanno abbandonato i santi comandamenti e confidano di trovare la felicità altrove che nel Signore. Non sanno che solo il Signore è la nostra vera gioia e che solo nel Signore l’uomo trova la felicità.

Come il sole ravviva i fiori del campo,
come il vento li culla,
così il Signore riscalda l’anima,
così le infonde vita.

Il Signore ci ha fatto dono di ogni cosa perché potessimo glorificarlo. Ma il mondo questo non lo capisce. E come potrebbe capire ciò che non ha veduto né provato? Io stesso, quando ero nel mondo, pensavo così: “Essere sano, attraente, ricco e stimato dagli uomini: ecco la felicità!” e avevo motivo di orgoglio. Ma quando ho conosciuto il Signore per mezzo dello Spirito santo, allora ho cominciato a capire che tutta la gloria del mondo è come fumo che il vento disperde.

Ora la grazia dello Spirito santo infonde gioia e letizia nell’anima mia: in questa profonda pace contemplo il Signore e dimentico la terra.
Signore, riconduci a te il tuo popolo (cf. Lc 1,16): conoscerà il tuo amore e tutti vedranno nello Spirito santo la mitezza del tuo volto. Tutti possano godere già qui sulla terra della visione del tuo volto: contemplandoti come sei, diventeranno simili a te (cf. 1Gv 3,2).
Gloria al Signore che ci ha donato il pentimento: nel pentimento tutti saremo salvati, tutti, senza eccezioni. Solo chi non si pente non sarà salvato: io vedo la sua disperazione e perciò piango di compassione per lui. Se ogni anima conoscesse il Signore, se comprendesse quanto ci ama, nessuno dispererebbe della propria salvezza, nessuno alzerebbe lamenti.

Cos’altro dobbiamo aspettare? Che qualcuno intoni per noi una melodia celeste? Ma lo Spirito che opera è l’unico e il medesimo (cf. 1Cor 12,11):

*nel cielo,
tutto vive per opera dello Spirito santo;
*sulla terra,
a noi è dato il medesimo Spirito santo;
*nelle chiese di Dio,
le divine liturgie
si compiono nello Spirito santo;
*“nei deserti, sui monti,
nelle caverne” (Eb 11,38),
ovunque gli asceti di Cristo
vivono nello Spirito santo.

Se lo custodiamo, ci renderà liberi (cf. Gv 8,31‑36) da ogni tenebra, e la vita eterna dimorerà in noi. Se tutti gli uomini si pentissero e osservassero i comandamenti di Dio, avremmo il paradiso sulla terra, perché il regno di Dio è dentro di noi (cf. Lc 17,21). Il regno di Dio è lo Spirito santo, e lo Spirito santo è il medesimo in cielo come in terra.
Il Signore dona il paradiso e il regno eterno al peccatore che si pente. Nella sua infinita misericordia fa dono di se stesso, non ricorda i nostri peccati, come non ha ricordato quelli del ladrone sulla croce (cf. Lc 23,39‑43).

<<Grande è la tua misericordia, Signore.
Chi potrà renderti grazie in modo adeguato per aver effuso sulla terra il tuo Spirito santo (cf. Gv 19,30)?
Grande è la tua giustizia, Signore.
Agli apostoli hai promesso: “Non vi lascerò orfani” (Gv 14,18). Noi ora viviamo di questa misericordia e la nostra anima avverte che il Signore ci ama. Chi non lo avverte, si penta: il Signore gli concederà la grazia a guida della sua anima. Se però vedi un peccatore e non ne provi compassione, allora la grazia ti abbandonerà. Abbiamo ricevuto il comandamento dell’amore (cf. Gv 13,34) e l’amore di Cristo ha compassione di tutti, e lo Spirito santo ci infonde la forza di compiere il bene.>>

Spirito santo, non abbandonarci!
Quando tu sei in noi,
l’anima avverte la tua presenza,
trova in Dio la sua beatitudine:
tu ci doni l’amore ardente per Dio.

Il Signore ha tanto amato gli uomini, sue creature (cf. Gv 3,16), che li ha santificati nello Spirito santo e li ha resi suoi simili. Misericordioso è il Signore (cf. Sal 103,8), e lo Spirito santo infonde in noi la forza di essere misericordiosi. Umiliamoci, fratelli. Con il pentimento riceveremo in dono un cuore compassionevole: allora vedremo la gloria del Signore, conosciuta dall’anima e dalla mente per grazia dello Spirito santo.

Chi si pente in verità è pronto a sopportare qualsiasi tribolazione: “fatica e travaglio, fame e sete, freddo e nudità” (2Cor 11,27), disprezzo ed esilio, ingiustizia e calunnia; la sua anima infatti è tesa verso Dio e non si preoccupa delle cose del mondo (cf. 1Cor 7,32‑34), ma si rivolge a Dio con preghiera pura.

Chi è attaccato alle ricchezze e al denaro non può mai dimorare in Dio con spirito puro (cf. Lc 16,13): la sua anima è costantemente preda della preoccupazione di cosa fare di questi beni terreni. Se non si pente sinceramente e non si rattrista per aver peccato davanti a Dio, morirà prigioniero di quella passione, senza conoscere il Signore.
*

Quando ti prendono ciò che possiedi, tu dallo (cf. Mt 5,40‑42): l’amore di Dio non oppone rifiuto.
Ma chi non ha conosciuto l’amore di Dio non può essere misericordioso: la gioia dello Spirito santo non dimora nella sua anima.

Se il Signore misericordioso
ha sofferto per donarci lo Spirito santo
che procede dal Padre,
se ci ha dato il suo corpo e il suo sangue,
allora è evidente
che ci darà anche tutto il resto
di cui abbiamo bisogno
(cf. Lc 11,9‑13; Mt 6,33).

Abbandoniamoci alla volontà di Dio: vedremo la sua provvidenza e il Signore ci colmerà al di là di ogni nostra attesa.

Il Signore perdona i peccati di chi ha compassione del fratello. L’uomo misericordioso non ricorda il male ricevuto: anche se lo hanno maltrattato e offeso, anche se gli hanno tolto ciò che possedeva, il suo cuore non si turba perché conosce la misericordia di Dio. Nessun uomo può rapire la misericordia del Signore: è inviolabile perché abita nell’alto dei cieli, presso Dio (cf. Mt 6,20).
Il mio spirito è debole: come candela si spegne al minimo soffio di vento; lo spirito dei santi invece è ardente: come roveto che non si consuma (cf. Es 3,2) non teme alcun vento. Chi mi darà un ardore tale che il mio amore per Dio non conosca riposo, né di giorno né di notte (cf. Sal 132,3‑4)? L’amore di Dio è fuoco divorante: per esso i santi sopportarono ogni tribolazione e ricevettero il dono dei miracoli. Guarivano i malati, risuscitavano i morti, camminavano sull’acqua, si sollevavano da terra durante la preghiera, facevano scendere la pioggia dal cielo. Io vorrei imparare solo l’umiltà e la mitezza di Cristo (cf. Mt 11,29): nel suo amore possa io non offendere mai nessuno e giungere a pregare per tutti come per me stesso.

Povero me! Scrivo sull’amore di Dio. Ma Dio non lo amo come dovrei. Per questo, triste e afflitto, come Adamo cacciato dal paradiso, gemo a gran voce: “Signore, abbi pietà di me, tua creatura caduta”. Quante volte mi hai fatto dono della tua grazia! E io nella mia vanagloria non l’ho custodita! Eppure l’anima mia ti conosce, mio Creatore e mio Dio, perciò ti cerco gemendo, come Giuseppe trascinato schiavo in Egitto (cf. Gen 37,28).

Ti ho amareggiato con i miei peccati e tu hai distolto da me il tuo volto. L’anima mia desidera te e soffre per la tua lontananza.

Spirito santo, non mi abbandonare! Quando ti allontani da me, i pensieri malvagi assalgono il mio cuore: l’anima mia piange lacrime amare.

Signora tutta santa, Madre di Dio, tu conosci il mio dolore; vedi che ho amareggiato il Signore e lui mi ha abbandonato. Ti supplico: salva me, creatura di Dio; salva me, servo tuo.

*

Se pensi male degli uomini, uno spirito malvagio vive in te e ti ispira pensieri malvagi contro i fratelli. Se uno muore senza pentirsi, senza perdonare al fratello, l’anima sua sarà là dov’è lo spirito malvagio che l’ha resa schiava.Questa è la verità: se perdoni, il Signore ti ha perdonato; se non perdoni, il peccato dimora in te (cf. Mt 6,14‑15). Il Signore vuole che amiamo il prossimo.

Se sei consapevole
che il Signore ama il prossimo,
significa che l’amore di Dio è in te;
se sei consapevole
che il Signore ama molto le sue creature,
se tu stesso hai misericordia
per ogni creatura,
se ami i nemici,
se ti consideri inferiore a tutti,
allora
la potente grazia dello Spirito santo è in te.

Chi ha in sé lo Spirito santo – anche se non ne possiede la pienezza – si preoccupa per tutti gli uomini, notte e giorno; il suo cuore soffre per ogni creatura di Dio e in modo particolare per quelli che non conoscono Dio, che si oppongono a lui e che vanno incontro al fuoco dei tormenti. Per costoro, ancor più che per se stesso, egli prega notte e giorno, affinché tutti si pentano e giungano a conoscere il Signore.

* Il Signore pregava per coloro che lo crocifiggevano: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
* Stefano, primo diacono, pregava per quelli che lo lapidavano: “Signore, non imputar loro questo peccato” (At 7,60).
* Anche noi, se vogliamo che la grazia di Dio dimori in noi, dobbiamo pregare per i nemici.
*** Se non hai compassione del peccatore che proverà i tormenti del fuoco, allora in te non dímora la grazia dello Spirito santo ma uno spirito malvagio:

finché hai vita lotta per liberartene con il pentimento.



HO VISTO IL SIGNORE VIVENTE

Durante la mia infanzia mi chiedevo in che modo il Signore fosse asceso al cielo sulle nuvole e come la Madre di Dio e i santi apostoli avessero visto questa ascensione. Quando però nella giovinezza smarrii la grazia di Dio, l’anima mia si indurì lasciandosi incantare dal peccato, e solo raramente pensavo all’ascensione del Signore. In seguito riconobbi il mio peccato e ne fui molto addolorato: avevo offeso il Signore, smarrendo la fiducia in lui e nella Madre di Dio. Provai un profondo disgusto per il mio peccato e decisi di entrare in monastero, per implorare e supplicare da Dio il perdono per i miei molti peccati.

Appena terminato il servizio militare, entrai in monastero, ma poco dopo mi assalirono pensieri carnali che mi spingevano a tornare nel mondo e a sposarmi. Ma io non cessavo di ripetere con risolutezza: “Morirò qui per i miei peccati”. Cominciai a pregare intensamente il Signore affinché nella sua misericordia perdonasse i miei molti peccati.
*Una volta fui preda dello spirito di disperazione: sembrava che Dio mi avesse rigettato per sempre e che per me non ci fosse più salvezza. Percepivo in me con chiarezza di trovarmi sull’orlo della perdizione eterna e che Dio era inesorabilmente spietato nei miei confronti. Rimasi in preda a questo spirito per più di un’ora. L’angoscia e la tortura provocate da questo spirito sono tali che il semplice ricordo è terribile. L’anima non può sopportarlo a lungo: in momenti simili ci si può perdere per l’eternità. Il Signore misericordioso ha permesso allo spirito della malvagità infernale di muovere guerra all’anima mia.

Dopo un po’ mi recai in chiesa per i vespri e, fissando lo sguardo sull’icona del Salvatore, esclamai: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore!”. A quelle parole vidi, al posto dell’icona, il Signore vivente, e la grazia dello Spirito santo mi riempì totalmente l’anima e il corpo. Così conobbi, nello Spirito santo, che Gesù Cristo è Dio, e questa grazia divina fece sorgere in me il desiderio di soffrire per Cristo.

Da quel preciso istante l’anima mia anela al Signore, e null’altro più mi rallegra sulla terra: la mia unica gioia è Dio. È lui la mia letizia, la mia forza, la mia speranza, il mio bene.


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*

Beatus vir qui diligit nomen tuum, 
Maria Virgo:
  gratia tua animam eius confortavit.




lunedì 1 agosto 2011

Le 6 Ali Serafiche di San Francesco d'Assisi





San Francesco abbraccia Cristo crocifisso; è un dipinto di Bartolomé Esteban Murillo realizzato a olio su tela 283 × 188 cm. È conservata al Museo de Bellas Artes di Siviglia.

***
La composizione simboleggia il momento culminante della vita di Francesco d'Assisi, cioè quando decise di rinunciare a tutti i suoi beni materiali per abbracciare la vita religiosa.
Accanto alla croce, due angeli reggono un libro aperto che reca in latino il passo del Vangelo secondo Luca che dice "Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo". Anche il globo sul quale Francesco poggia il piede, quasi a spingerlo lontano, simboleggia il mondo terreno che egli rifiuta e abbandona per diventare discepolo di Gesù.

***

I tre capisaldi della vita Religiosa (cf. cap. I della Regola) sono:

VIVERE nell'Obbedienza, nella Povertà e nella Castità.


Sposalizio di San Francesco con la Povertà, 1316-1318, vele  Basilica inferiore di Assisi.
"Parente di Giotto"?- su disegno del maestro -

Poi il Serafico Padre San Francesco d'Assisi raccomanda altre tre cose:

* Desiderare più di ogni altra cosa di possedere lo Spirito del Signore e di agire secondo la sua santa volontà. 

* Pregare Dio con cuore puro e possedere l'umiltà e la pazienza nelle tribolazioni e malattie.

* Devono avere una predilezione speciale per quanti ci perseguitano, disprezzano e insultano (cap. X della Regola).

Praticamente San Francesco propone:

1. L'elevazione di tutto l'agire in Dio,

2. poi raccomanda L'accettazione gioiosa di 

    tutte le tribolazioni, e

3. La carità fattiva e squisita verso il

    prossimo.

COSI':

CROCIFISSI AL MONDO CON I TRE VOTI SIAMO RESI CONFORMI A DIO CON LE SUCCESSIVE TRE RACCOMANDAZIONI.

SONO LE 6 ALI SERAFICHE

   PER DISTACCARCI DAL MONDO E

   PENETRARE NELLE COSE DIVINE.                
(cfr.  S. Buonav.)

AMDG et BVM

venerdì 17 giugno 2011

PREGA, FRATELLO, PREGA, SORELLA . (2)

Evagrio Pontico
9. Tenacia e vigore

Resisti tenacemente e prega vigorosamente; tieni lontane le occasioni di preoccupazioni e pensieri, poiché ti turbano e ti sconvolgono per fiaccare il tuo vigore.

10. Seduzioni dei demoni !

Quando i demoni ti vedono ben disposto alla vera preghiera, allora insinuano pensieri di certi oggetti apparentemente necessari; e poco dopo ne eccitano il ricordo muovendo l'intelletto alla loro ricerca; ed esso, non trovandoli, molto si rattrista e si scoraggia. Quando poi l'intelletto sta in preghiera, i demoni gli richiamano alla memoria gli oggetti delle sue ricerche e dei suoi ricordi perché esso, illanguidito a furia di esaminarli, perda quella preghiera fruttuosa.

11. Intenso raccoglimento.

Sforzati di mantenere sordo e muto l'intelletto nel tempo della preghiera, e così potrai pregare.

12. Fomenti dell'animosità

Quando ti capita una tentazione o una controversia, oppure quando sei irritato e spinto dalla collera a prenderti la rivincita o a replicare, ricordati della preghiera e del giudizio che in essa ti attende. Così, subito, in te s'acquieterà il moto disordinato.

13. Pietra d'inciampo

Tutto quanto avrai fatto per vendicarti di un fratello che ti abbia arrecato offesa, diverrà per te pietra d'inciampo nel tempo della preghiera.

20. Utilità della corsa. Se desideri pregare come si deve, non rattristare anima alcuna, altrimenti corri invano. 21. Riconciliazione. "Lascia il tuo dono", dice la Scrittura, "davanti all'altare, va' prima a riconciliarti col tuo fratello", e allora potrai pregare senza turbamento. Il ricordo delle offese, infatti, offusca in chi prega la sovrana facoltà dell'intelletto e ottenebra le sue preghiere. 22. Conseguenze del rancore. Coloro che accumulano interiormente tristezze e ricordi di offese, benché esteriormente sembrino pregare, sono simili a quelli che attingono acqua e la versano in una botte forata.

Evagrio Pontico. “La Preghiera.
AMDG et BVM