mercoledì 28 settembre 2022

L'ANGELO DEI LEBBROSI

 

p. Gaetano Nicosia, l’angelo dei lebbrosi

di Gianni Criveller

Il sacerdote salesiano è morto il 6 novembre a Hong Kong, a 102 anni. Ha vissuto per 48 anni in un villaggio di Coloane con un centinaio di lebbrosi. Ad essi ha offerto cure, dignità e la fede cristiana. Amico di p. Allegra e di altri missionari, ha ispirato l’impegno per i lebbrosi in Cina. Una vita donata al Signore per i poveri.



Hong Kong (AsiaNews) - Padre Gaetano Nicosia, amatissimo missionario salesiano è morto lo scorso 6 novembre 2017 a Hong Kong. Aveva 102 anni. Nella tarda mattinata di quel giorno p. Gaetano, che era lucido, ha chiesto ad una Piccola Sorella dei Poveri, di cui era ospite, di cercare un sacerdote per l’unzione degli infermi. Aveva capito che era giunto la sua ora. I confratelli sono accorsi al suo capezzale e il cardinale Joseph Zen ha celebrato la santa Messa, permettendo a p. Gaetano di ricevere l’ultima eucarestia poco prima della morte. Egli verrà sepolto presso il cimitero di san Michele a Macao il 14 novembre, dopo i funerali celebrati in cattedrale.

Nicosia era conosciuto come l’angelo dei lebbrosi, e la sua storia sembra una pagina evangelica di altruismo, bontà e imitazione di Gesù. Chiunque lo incontrava, anche per pochi istanti, rimaneva colpito dalla sua bontà, gioia e sincero entusiasmo.

In un angolo remoto dell’isola di Coloane (Macau), esisteva un lebbrosario abbandonato da tutti. La disperazione era tale che alcuni, tra il centinaio di lebbrosi lì presenti, si uccidevano. Nell’agosto del 1963, il p. Gaetano Nicosia ha chiesto di trasferirsi proprio lì, trasformandolo in brevissimo tempo. Le case sono state ristrutturate, si è portata l’acqua potabile, la corrente elettrica e l’assistenza medica. E’ stata costruita anche una fattoria e officine per i vari mestieri. Il lavoro era retribuito. Il villaggio si è dato un Consiglio per le decisioni comuni. P. Gaetano viveva con loro, portando dignità, benessere e salute. E la fede cristiana. «Era un inferno - ha detto un lebbroso - ora è un paradiso; p. Gaetano è il nostro angelo”.

Nel 2012 e 2013, in vista di un libro e docufilm, ho intervistato a lungo p. Gaetano. Le citazioni che seguono si riferiscono a quella intervista. La sua storia mi ha commosso, e per questo desidero tributargli questo omaggio. Egli ha attraversato i drammi del ventesimo secolo, vivendoli da protagonista. Gaetano Nicosia era nato a San Giovanni La Punta (Catania), il 3 aprile 1915. Ha perso il padre, in guerra, quando aveva tre anni. «Mia mamma aveva 27 anni e non si risposò. Andava a Messa tutte le mattine e si dedicò a noi due piccoli». Il fratello Salvatore è morto pochi mesi fa all’età di 105 anni!

A San Giovanni La Punta era nato anche Gabriele Maria Allegra, il famoso francescano, ora beato, che ha tradotto la Bibbia in cinese. Gaetano e Gabriele Maria erano amici d’infanzia. Si sono ritrovati missionari a Hong Kong e a Macao. Amici fraterni per tutta la vita.

P. Nicosia è giunto a Hong Kong nel 1935: alcuni dei suoi compagni di noviziato, pochi anni dopo, hanno dato la vita nelle carceri comuniste cinesi. La costituzione fisica di Gaetano era gracile e il maestro dei novizi lo voleva rimpatriare. Gaetano si affidò al superiore, il valtellinese Carlo Braga: «Mi recai da lui in lacrime per impedire il rimpatrio. Mi guardò, mi ascoltò, e ebbe fiducia in me». Braga, il “don Bosco della Cina”, di cui è in corso la causa di beatificazione, è stato il padre di generazioni di salesiani.

Nel 1939 Nicosia è stato destinato all’orfanotrofio di Macao. Erano anni di guerra. A Macao arrivavano migliaia di rifugiati dalla Cina e da Hong Kong. La gente moriva di fame. «Nella nostra scuola avevamo 800 studenti. Il governatore ci concedeva una parte del riso che ogni venerdì arrivava dalla Thailandia. E così salvammo la vita dei i ragazzi».

Nicosia fu ordinato prete nel 1946 nella bella chiesa di san Giuseppe, a Macao. Seguì in Cina il vescovo Michele Arduino, il vescovo di Shaozhou (ora Shaoguan, nella provincia di Guangdong). Quella comunità cristiana risaliva a Matteo Ricci, che lì visse dal 1589 al 1595.

Erano anni di guerra civile, di disordini e di pericoli. Nicosia è stato espulso nel 1950, dopo la presa di potere comunista. Al “ponte della libertà” di Hong Kong è stato accolto da Ambrogio Poletti del Pime, il “portinaio della Cina”.

Dopo aver servito per 11 anni presso la scuola di San Luigi a Hong Kong, Nicosia era insoddisfatto. Voleva una missione con i più poveri, anzi con i lebbrosi, come aveva promesso a Gesù fin da ragazzo. Il superiore lo stava inviando presso un lebbrosario in Colombia, quando il vescovo di Macao chiese ai salesiani di fare qualcosa per il lebbrosario di Coloane.

Per Gaetano è stato un segno della Provvidenza. Per 48 anni, dal 1963 al 2011, ha vissuto con i lebbrosi. Nel 1970 furono dimesse 40 persone. Nicosia aveva trovato loro un lavoro, ma la gente evitava persino i familiari degli ex lebbrosi. E così, rifiutati dalle loro stesse famiglie, molti sono tornati al villaggio.

Al momento dell’arrivo di Nicosia solo una quindicina erano cattolici. Nicosia li ha portati tutti alla fede, attraverso le devozioni salesiane proposte con entusiasmo e amore. Ma soprattutto con la vita condivisa con loro. “La città della gioia” di Coloane ha commosso chiunque l’abbia visitata. Molte persone importanti, tra cui il p. Allegra, hanno sostato a lungo nel lebbrosario. Il gesuita Luis Ruiz e Lancelot Rodrigues, due famosi preti di Macao amici del lebbrosario, ispirati da Nicosia, hanno iniziato un’intensa opera a favore dei lebbrosi in Cina.

L’architetto Oseo Acconci vi ha costruito una bella chiesa intitolata a Nostra Signora dei Dolori. Il grande scultore Francesco Messina fece uno splendido crocifisso bronzeo che giganteggia ancora sul frontale dell’edificio sacro. Per la sua opera, Nicosia ha ricevuto onorificenze dal governo di Macau e dal presidente della Repubblica italiana.

Nel 2011 gli abitanti erano tutti guariti e molti reinseriti nella società come insegnanti, impiegati e professionisti. Il lebbrosario fu chiuso e il loro “angelo”, a 96 anni, dovette ritirarsi a Hong Kong.

Nel 2015, in una memorabile evento, è stato presentato il docufilm Father Nicosia, the Angel of Lepers, a cura di Angelo Paratico e Ciriaco Offedu, per far conoscere questo uomo straordinario. Il docufilm è stato poi presentato a Toronto e in diverse città italiane. L’anno precedente, presso la PIME House di Hong Kong, alla presenza del console italiano Alessandra Schiavo e del card. John Tong, p. Nicosia è stato celebrato con grande affetto da numerosi amici. Il suo emozionante intervento, ispirato da una fede e simpatia davvero fuori del comune, rimane nella memoria dei presenti come un evento unico e indimenticabile.

AMDG et DVM

L’abitino che io porto...

 


Sulla Piazza di Jlfurt in Alsazia (Francia) vi è una Statua monumentale in bronzo dell'Immacolata, con questa iscrizione:

« In memoria della liberazione dei due ossessi - 
Teobaldo e Giuseppe Burner - 
ottenuta per l'intercessione della B.V. M. Immacolata - 
Anno del Signore 1869 ».

Questi due fratelli furono invasi dal demonio per circa quattro anni (1864-69; curati inutilmente e visitati da molti Medici e specialisti, quando varie volte finalmente furono esorcizzati dal Parroco Brey e da tre Sacerdoti e Religiosi, incaricati dalla Curia di Strasburgo. 

Molte volte furono presenti, oltre ai genitori e parenti, anche il Sindaco del luogo Tresch e persone importanti, tra cui il Deputato Sig Ignazio Spies.

Teobaldo morì poi il 3-4-1871, all'età di 16 anni. Giuseppe morì più tardi - 1882 - a 25 anni.
Molti fatti diabolici sono pure registrati nel Vangelo e in molte Vite di Santi.

Quindi non è fantasia: il demonio esiste, come l'Inferno!!!
I due ossessi erano soggetti a fenomeni straordinari, per es.:
- Torcere il collo o le gambe all'indietro, in modo straziante.
- Arrampicarsi sugli alberi, fino a tenui rami, che non si rompevano.
- Vomitare fuoco, schiuma, piume che appestavano la casa.
- Parlavano tutte le lingue e dialetti.

- Svelavano colpe segrete o delitti di persone presenti, che fuggivano.
- Quando i visitatori si erano prima Confessati, i ragazzi ossessi (per opera del demonio) dicevano: Prima siete stati nel porcile (la Chiesa) a togliere lo sterco dalle vostre coscienze!
- Al contrario quando si presentavano coloro che vivevano male o in peccato, dicevano: Oh! ecco uno dei nostri!... Che brava gente! Dovrebbero essere tutti così!... Risparmiano fatica al nostro padrone, e 'gli guadagnano molte anime. - ecc...

- Quando la camera o altre cose, a loro insaputa, venivano benedette con l'Acqua santa, dicevano: l'hanno spalmata col lordume!...
Bestemmiavano Dio, Gesù, l'Eucarestia, La Chiesa, i Santi... e mai la Madonna.
Fu loro chiesto: Perché bestemmiate Tutti... e mai la Madonna?

- Perché la Marionetta (Gesù) sulla Croce ce lo ha proibito!
Che pensate dell'Immacolata Concezione?
- Vattene alla malora con la tua Grande Signora!
Gli si mise addosso l'Abitino della Madonna del Carmine a Teobaldo, senza che se ne accorgesse.

Ma tosto egli gridò: toglimi questo strazio! Mi brucia...!
- Non è uno straccio - si rispose - e te lo toglierò solo quando tu mi dirai cos'è.
L'Abitino della Grande Signora!

Un'altra persona chiede a Giuseppe: Che cosa odiate di più nei Cristiani?
- ... La Devozione alla Grande Signora!... - fu risposto. Capite? Oh! Come dobbiamo essere grati alla Mamma del Cielo, che ci vuol vestire del Suo Santo Abitino: lo Scapolare!!!



LODE ALLA MADONNA DEL CARMELO 

L’abitino che io porto

è sicuro mio conforto,

e lo stimo mio tesoro più d’argento, gemme e oro. 

Da Voi spero, Gran Signora, ciò che voi diceste allora

a Simone Vostro amato, dando l’abito sacrato.

Prometteste, certamente,

a chi il porta piamente,

esentar da cruda sorte ed in vita e dopo morte. 

Ed il sabato che viene, esentarlo dalle pene

col sovrano Vostro zelo e condurlo poi nel Cielo.

Orsù dunque, Verginella,

Madre, Sposa, tutta bella, me infelice liberate d’ogni male e consolate. 

Aiutatemi nei guai mentre afflitto sono assai,

specialmente, allora, quando il mio fiato sta spirando.

Allora sì datemi aiuto,

d’impetrar l’eterna vita, e sfuggire in tutti i modi di Lucifero le frodi.

Fate allora che io gioiendo e con gli Angeli godendo, canti dolce melodia,

Viva, viva del Carmine Maria. Salve Regina

Chi può, diffonda questo foglio tramite fotocopie. 


fraticmes.wixsite.com/cmes-italia/maria-e-lo-scapolare

AVE MARIA!

martedì 27 settembre 2022

LA SAPIENZA DEL MONDO

 



ELLA è la Sapienza del Mondo. 

 

RIFLESSIONI ED ANALISI INSIEME

A GESÙ E A MARIA

 

12 giugno 2010

 

Quando fui chiamata a Sainte Anne d'Auray, in Bretagna, il Signore DIO dell'Universo mi chiese di lasciare tutto qui, in questa città dell'Isère: lasciare la mia famiglia, i miei amici, la mia casa, e partire con mio mari­to, già molto malato.

Non capivo affatto il perché di quell'appello di DIO. Ma ho obbedito, e mio marito mi ha seguita fino a Sainte Anne d’Auray.

 

Fu una vera, reale separazione dai miei cinque figli, già sposati, che mi rimproverarono di averli separati dal loro padre durante quei due anni e mezzo che gli restavano da vivere su questa terra. 

 

DIO mi ordinò, allora, di ritornare qui, vicino a loro. E qualche mese dopo, Antoine, mio marito, fu richiamato da Dio. In quel tempo di separazione, io persi la mia cara mamma, il mio tenero sposo, la mia casa e la comprensione dei miei figli i quali, non volendo comprendere, mi allontanarono dalla loro vita, rifiutandomi. Da allora, io vivo sola, malata, in una casa che non ha mai conosciuto la presenza di Antoine, mio marito. Ho accettato, lodando Dio, questa nuova vita che ha fatto di me il compimento del NOME che Gesù mi aveva dato: Io non sono niente.

 

Je ne suis rien - J. N. S. R.

 

Sono, dunque, la messaggera che fu inviata da Dio a vivere vicino a Sant'Anna, per ritrovare in quella Basilica dedicata a quella Grande Signora, la presenza del tutto nascosta della Piccola Maria. Sant'Anna, chiamata in quella regione "Madame Sainte Anne" (Signora Sant'Anna) mi aspettava nella sua superba Basilica, quella sera dell’8 dicembre 2001, dove si celebrava la Festa dell'Immacolata Concezione. 

Per seguire quella Messa così solenne, si distribuivano dei foglietti azzurri. Ne presi uno, che ho trovato, tempo fa, nella borsa che portavo quella sera; una borsetta dimenticata per quasi dieci anni. Quando l'ho aperta era come se di colpo, scoprendo quel foglietto azzurro, risentissi il canto che, sul foglio, s'intitolava L'Esultanza di Maria. Come se la Santa Nonna di Gesù Cristo mi avesse detto: Tieni, prendi questo. Ti servirà presto per onorare la Mia Santa Figlia Maria, Madre del tuo Dolce Salvatore.

 

Ella è la Sapienza del Mondo.

 

Quel testo dei Proverbi (8, 22-35) fu distribuito, meditato e cantato durante la veglia di preghiera e la Santa Messa della Festa dell’Immacolata Concezione, l’8 Dicembre 2001, nella Basilica di Sainte Anne d'Auray. È il testo biblico della Sapienza.

 

Da notare, inoltre, che durante il Concilio Vaticano II, il Cardinale Bea aveva esposto davanti ai Padri Conciliari la sua convinzione che tale testo riguardava la Vergine Maria; e quindi, Ella preesisteva nel Pensiero Divino prima della CREAZIONE. Era quanto aveva già confermato Gesù nei suoi dettati a Maria Valtorta (Vol 1° de «Il Vangelo come mi è stato rivelato»). Ed è ciò che JNSR conferma qui, in questo libro, dedicato a Maria da Gesù di Nazaret.

 

Egli dice di avere verificato tutte le Scritture e averle dettate Egli Stesso a JNSR.

È dunque così confermato che l'Umiltà della Sua Santissima Madre, non avrebbe permesso di manifestare tutto quanto il Suo DIO fece per Lei. Ella ha permesso al Figlio Suo Divino di esprimersi per Lei in questo libro. È cosi che Gesù Cristo, Suo Figlio Divino, può dire al Mondo intero, mediante questo Libro, diretto da Lui Stesso:

 

Quanto Maria ha saputo affascinare il Cuore Divino di DIO,

pronunciando il Suo Sì incomparabile,

accettando di diventare la Madre del SALVATORE !

 

Grazie a Lei si è compiuto

 

TUTTO IL PIANO DI DIO.

 

Il Piano è ora affidato alla Sua Santa Chiesa della Terra, alla quale resta il compito di portarlo a compimento.

 

È il SIGILLO che Dio apporrà sul Libro della VITA, che presto sarà aperto, dopo quest'ultima richiesta alla Sua Chiesa:

"Mia Madre è veramente nata dal Padre,

Ella è stata scelta da tutta l'Eternità

da Colui che detiene tutti i Misteri dell’Universo e

che apre e chiude tutte le Leggi che riguardano

l'Equilibrio del Mondo, ora in grande pericolo.

Egli chiede l'ultimo favore alla Sua Chiesa, chiede di obbedirgli,

designando la Madre del Suo Divin Figlio

con la Sua Vera Origine:

FIN DALLA SUA CONCEZIONE

MARIA È DIVINA!

Amen.

 

DIO in tutti i Suoi Poteri

J. N. S. R.  

 

Da: Il libro dei Proverbi, 8, 22-35:

 

La Sapienza creatrice

Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività,

prima di ogni sua opera, fin d'allora.

Dall'eternità sono stata costituita,

fin dal principio, dagli inizi della terra.

Quando non esistevano gli abissi, io fui generata;

quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua;

prima che fossero fissate le basi dei monti,

prima delle colline, io sono stata generata.

Quando ancora non aveva fatto la terra e i campi,

né le prime zolle del mondo;

quando egli fissava i cieli, io ero là;

quando tracciava un cerchio sull'abisso;

quando condensava le nubi in alto,

quando fissava le sorgenti dell'abisso;

quando stabiliva al mare i suoi limiti,

sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia;

quando disponeva le fondamenta della terra,

allora io ero con lui come architetto

ed ero la sua delizia ogni giorno,

dilettandomi davanti a lui in ogni istante;

dilettandomi sul globo terrestre,

ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo.

 

Ora, figli, ascoltatemi:

beati quelli che seguono le mie vie!

Ascoltate l'esortazione e siate saggi,

non trascuratela!

Beato l'uomo che mi ascolta,

vegliando ogni giorno alle mie porte,

per custodire attentamente la soglia.

Infatti, chi trova me trova la vita,

e ottiene favore dal Signore;  -


AVE MARIA!

Testi di ascetica e mistica della chiesa orientale

 


Filocalia 1 (prima parte)


ATTENZIONE! Il testo che segue è di proprietà del curatore e dell’editore. Esso è stato reperito in Rete dall’amministratore di Terra di Nessuno e viene messo a disposizione dei lettori esclusivamente per il suo uso nella preghiera e a fini di studio. Il webmaster di Terra di Nessuno s’impegna a rimuovere immediatamente il testo qualora i legittimi proprietari ne facessero richiesta.

Giampiero Tre Re. Webmaster.

FILOCALIA 1 (PRIMA PARTE)

Testi di ascetica e mistica della chiesa orientale
a cura di Giovani Vannucci
libreria editrice fiorentina

Al P. Raffaello Taucci che nello smarrimento dei tempi ha conservato l’immagine del monaco vero

1989
Libreria Editrice Fiorentina – 50132 Firenze


INTRODUZIONE

Il libro «Relazioni di un Pellegrino» pubblicato dalla nostra casa, mise a conoscenza dei lettori il libro della Filocalia, quale guida incomparabile della preghiera ininterrotta. In questo primo volume presentiamo la traduzione di alcuni testi della Filocalia che parlano della preghiera ininterrotta in modo più generale; ci promettiamo di tradurre, in un secondo volume, quei testi che ne descrivono la tecnica.

Filocalia significa «amore della Bellezza»; non della bellezza – calia – intesa esteticamente ma religiosamente, nel significato del risveglio della coscienza nella pienezza dell’Essere. La «Bellezza» infinita di Dio si rivela al cuore dell’uomo che perviene al culmine dell’esperienza orante, come ardente pienezza dell’Essere; beatitudine armoniosa; amore e pace; annullamento dei limiti della creatura nel mistero divino; vita, gioia, libertà. «Ch’io sia ammaliato dalla tua Bellezza, ch’io sia attratto vicino a te, che l’incandescenza dell’amore puro, penetrando nella roccia del mio essere, lo trasformi in un puro rubino». (Y. Rumi).

Il fuoco centrale che guida i monaci, la cui esperienza è riportata nella Filocalia, è la ricerca del Centro Vivente, del Cuore che, unificando ed esaltando tutte le energie dell’uomo, lo pone al di fuori del disordine e dello smarrimento. Il Centro vivente, sperimentato dai monaci, nella loro realtà personale e in quella cosmica, è la Parola eterna discesa nella carne e porta un Nome, superiore ad ogni altro nome: Gesù il Signore. Nella vivente realtà di Gesù Cristo, la creatura umana, pur immersa nelle scomposte forze oscure della carne, ritrova l’ordine e la bellezza armoniosa dell’uomo creato a somiglianza di Dio. Bellezza armoniosa che, una volta raggiunta, riunisce gli elementi spirituali e carnali dell’uomo in una forma perfetta che è l’epifania della Bellezza divina. a L’uomo nella Bellezza armoniosa diviene incandescente d’amore verso l’intero creato, ama gli uomini, gli uccelli, le bestie,- i demoni. Prega per i rettili con pietà sconfinata. Pur condannato dieci volte al giorno al rogo, vive nell’amore degli altri, e non dice mai: basta!». (Isacco di Siria).

L’uomo non è soltanto terra e fango, ma cielo e luce; non solo carne e pesantezza, ma coscienza segnata dalla vocazione di un’incomparabile ascesa. «Ospitiamo in noi delle bestie selvagge; ma ogni creatura ragionevole, uomo o donna che sia, possiede la capacità di amare Dio e gli esseri» (S. Antonio).

AVE MARIA!

lunedì 26 settembre 2022

CONSIDERAZIONI SUL PRIMATO DEL SUCCESSORE DI SAN PIETRO

Il primato del successore di Pietro nel mistero della Chiesa


Considerazioni sul recente Documento della Congregazione per la dottrina della fede


del cardinale Vincenzo Fagiolo


Se dovessimo analizzare il significato dei 22 titoli con i quali Dante nella Divina Commedia, nella Monarchia, nelle Epistole definisce e qualifica il papa, finiremmo forse per complicare ancor più la questione ecumenica, che proprio nel problema sui poteri del successore di Pietro trova ancora oggi non lievi ostacoli nel cammino dell’unità. Eppure quei titoli, anche quando esaltano il romano pontefice fino a farne l’Ostiarius Regni Coelorum (Mon. III, VIII, 9) e il Claviger Regni Coelorum (Mon. III, 15) nonché Vicarius Dei (Mon. I, II, 2. Nel Medioevo, alcuni papi, per esempio Innocenzo III, si presentarono anche con questo titolo) e Prefetto del Foro Divino (Par. XXX, 142), stando al canone neotestamentario (cfr. Mt 10, 2; 14, 28-31; 16, 16-23; 19, 27-29; 26, 33-35; Mc 3, 16; Lc 6, 14; 22, 32; Gv 1, 42; 6, 67-70; 13, 36-38; 21, 15-19; At 1, 13), non sono affatto infondati. Ma, per quanto sorretti da un fondamento biblico, presi nel loro nucleo essenziale e riassunti nel titolo più comunemente usato – successore di Pietro – quei titoli storicamente, per circostanze diverse, non da tutte le comunità cristiane sono stati ugualmente interpretati. Il punto cruciale, causa reale o supposta, è stato soprattutto l’esercizio del potere del papa. Tra le cause infatti che generarono la divisione tra la Chiesa cattolica e la ortodossa, in Oriente, prima, e poi tra la stessa Chiesa cattolica e le comunità cristiane in Occidente, quella dell’interpretazione del munus petrinum, dell’ufficio concreto cioè del successore di Pietro, è stata tra le più rilevanti e tra le più ardue a essere spiegata, ancorché «quasi tutti [i cristiani] però, anche se in modo diverso, aspirano alla Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata al mondo intero, perché il mondo si converta al Vangelo e così sia salvato per la gloria di Dio» (Unitatis redintegratio 1). Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno dimostrato con documenti magisteriali e iniziative apostoliche a tutto campo, sia verso l’Oriente che verso l’Occidente, la ferma volontà di proseguire nel cammino ecumenico, che il Vaticano II ha considerato uno dei suoi principali intenti, per raggiungere «il ristabilimento dell’unità da promuoversi fra tutti i cristiani» (UR 1). In questo senso, nell’enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995), Giovanni Paolo II ha sottolineato la singolare rilevanza che nell’attuale momento della vita della Chiesa presenta la questione del primato di Pietro e dei suoi successori. L’enciclica perciò invita i pastori e i teologi a «trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova» (n. 25). La Congregazione per la dottrina della fede non ha tardato a raccogliere il voto pontificio e nell’arco di un anno e mezzo ha preparato un simposio prettamente dottrinale su Il primato del successore di Pietro, che si è svolto in Vaticano dal 2 al 4 dicembre 1996, i cui atti sono stati pubblicati quest’anno dalla Libreria Editrice Vaticana. In appendice al volume (pp. 493-503) c’è il documento che la stessa Congregazione ha fatto pubblicare sull’Osservatore Romano (sabato 31 ottobre 1998, p. 7, che chiameremo Documento) all’evidente scopo di allargarne la conoscenza e sollecitare teologi e pastori ad approfondirne i contenuti, anche – forse soprattutto – in vista di un cammino ecumenico meno arduo, anche se, probabilmente, più lungo se fosse lasciato alla sola riflessione teologica.

Il dato storico a conferma del primato
Sappiamo che, a partire dal Concilio Vaticano II, la Chiesa, già con Giovanni XXIII e poi con Paolo VI e Giovanni Paolo II, sta percorrendo, insieme alla via dottrinale, anche quella della carità, che, come ebbe a esprimersi il patriarca Atenagora, è da preferire. Senza quindi abbandonare quella dottrinale. La storia conferma che il primato visto e stimato come presidenza e servizio di carità, attirò per secoli – i più fecondi per vitalità dottrinale e missionaria – l’affectio delle varie Chiese a quella di Roma, che aveva a vescovo il successore di Pietro. Tanto per fare qualche riferimento, lo dichiarava già, tra i Padri apostolici, sant’Ignazio, vescovo di Antiochia (dopo san Pietro ed Evodio), il quale vedeva le varie comunità ecclesiali unite dalla carità e dalla fede sotto il governo dei legittimi pastori e con il primato della Chiesa di Roma, a motivo che in Roma Pietro e Paolo hanno fissata la loro autorità, e nel nome di essi Roma insegna poi alle altre Chiese (Epist. ad Smyrn. 8, 2; 4, 3). Sono vere tutte quelle Chiese – osservava nel secondo secolo sant’Ireneo – che hanno la nota dell’apostolicità, e, atteso che «longum est ire per singulas» nominandole tutte, basta esaminarne una che tutte le ricapitola: la Chiesa di Roma, fondata dai principi degli apostoli Pietro e Paolo; e come questi apostoli erano i principes tra gli altri, così la Chiesa di Roma ha su tutte le altre una potentior principalitas, dalla quale si desume il criterio di verità circa la Chiesa e la sua costituzione, voluta da Gesù Cristo (cfr. Adv. haer. III, 4, 1).
La primitiva tradizione, attestante il primato della Chiesa di Roma, è rimasta inalterata come dato dogmatico e come fonte di produzione giuridica; essa poggia sul fondamento della rivelazione divina, che con i testi del Vangelo e degli Atti mostra «con chiarezza e semplicità che il canone neotestamentario ha recepito le parole di Cristo relative a Pietro e al suo ruolo nel gruppo dei dodici. Perciò,» leggiamo nelle considerazioni della Congregazione per la dottrina della fede «già nelle prime comunità cristiane, come più tardi in tutta la Chiesa, l’immagine di Pietro è rimasta fissata come quella dell’apostolo che, malgrado la sua debolezza umana, fu costituito espressamente da Cristo al primo posto tra i dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria specifica funzione» (Doc. n. 3). Dalla rivelazione il dogma: «Basandosi sulla testimonianza del Nuovo Testamento, la Chiesa cattolica insegna, come dottrina di fede, che il vescovo di Roma è successore di Pietro nel suo servizio primaziale nella Chiesa universale» (Doc. n. 4). È sul contenuto di quest’insegnamento che va concentrata l’attenzione, sia per non smarrirne il valore dogmatico, perciò sempre vincolante, sia per non sovraccaricarlo di elementi che non gli sono essenziali e che potrebbero rendere più difficile l’esercizio del primato e ostacolare il cammino ecumenico. La primitiva tradizione fissava l’essenzialità del primato nel carisma di Cristo dato a Pietro e in Pietro ai suoi successori, perché fossero principio e fondamento dell’unità della fede e della comunionefides et caritas. Ne segue che non sussistono dubbi, sotto il profilo biblico, teologico e giuridico sull’originefinalità e natura del primato, come ben evidenzia la prima parte del Documento della Congregazione per la dottrina della fede, corredato da numerose fonti patristiche, conciliari e del magistero pontificio.

Dal Vaticano II a Giovanni Paolo II
Il più recente magistero pontificio si è sviluppato soprattutto con l’insegnamento del Vaticano I e del Vaticano II. Il primo, dopo aver indicato nel prologo la finalità del primato, dedica il corpo del testo a esporre il contenuto o ambito della potestà inerente, iure divino, allo stesso primato. Il Vaticano II non si è soffermato sul contenuto del primato, per non ripetere quanto già aveva sostenuto il Vaticano I, di cui ha riaffermato l’intera dottrina. Proseguendo nella linea del precedente Concilio, il Vaticano II ne ha completato l’insegnamento, trattando principalmente il tema della finalità. E lo ha fatto con la particolare attenzione al mistero della Chiesa come Corpus Ecclesiarum (cfr. Lumen gentium n. 23). Sul principio teologico della Chiesa communio, il Vaticano II ha fondato le sue considerazioni, che ci consentono di rilevare con maggior chiarezza che la funzione primaziale del vescovo di Roma e la funzione degli altri vescovi si trovano, non già in contrasto, ma in «un’originaria ed essenziale armonia». E a proposito va ricordato che il principio della communio fu tanto avvertito, creduto e voluto già nei primi secoli della Chiesa che ne scaturì il relativo istituto giuridico. In base al quale non erano ritenuti e considerati a pieno titolo membri della Chiesa coloro che non fossero nella communio fidei o nella communio sacramentorum o nella communio disciplinae. Quest’ultima, certamente non della stessa entità teologica delle prime due, era però ritenuta necessaria, anche perché era a tutela di quelle ed era di guida a viverle.
Sempre con la luce di questo istituto, ci è facile anche ora comprendere le suddette considerazioni della Congregazione romana, particolarmente quando ci ricorda che «il vescovo di Roma appartiene al loro collegio [dei vescovi] ed essi sono i suoi fratelli nel ministero» (Doc. n. 5. Cfr. Ut unum sint n. 95).
Come già nell’antichità, ancora oggi è possibile concepire e valutare, anche concretamente, l’esercizio del potere. Con il principio della communio non è arduo comprendere come ogni parte del corpo, formato da membra diverse con uffici diversi, sia collegata con il capo. Esprimendo questo concetto, san Leone Magno spiegava che «fra tutte le membra privilegiate del corpo mistico, i due apostoli Pietro e Paolo hanno avuto da Dio una funzione davvero speciale. Essi sono quasi due occhi di quel capo, che è Cristo» (Sermo 82, 1, 6-7). E con il discorso (Sermo 4, 1-2) per l’anniversario della sua elezione, ricordava che «tutto il corpo della Chiesa riconosce che il carattere sacro della dignità pontificia è unico». E lo è perché, soggiungeva, non ci si deve fermare «a considerare la nostra povera persona, ma piuttosto la gloria del beato Pietro apostolo [...], colui che si trovò vicino alla sorgente stessa dei carismi e da essa ne fu riempito e come sommerso. Ecco perché molte prerogative erano esclusive della sua persona e, d’altro canto, niente è stato trasmesso ai successori che non si trovasse già in lui». Il problema però sorge dal rovescio di quest’ultima frase, che in sé è dogmaticamente fondata e da ritenere per fede: «Niente è stato trasmesso ai successori che non si trovasse in lui». Ma chiediamoci: c’è qualcosa nei successori che in Pietro non c’è stata? Con questa domanda entriamo nella seconda parte del Documento della Congregazione per la dottrina della fede concernente «l’esercizio del primato e le sue modalità» (nn. 7-15).
Stante la chiara fonte biblica o, più specificatamente, il divino mandato (cfr. Mt 16, 18; Lc 22, 32; Gv 21, 15-17), è dogmaticamente certo che Cristo ha voluto «che il collegio apostolico fosse perfettamente uno, con doppio e strettissimo vincolo. Il primo è quello interiore della fede e della carità che è stata riversata nei cuori per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5, 5). L’altro è quello esterno del governo di uno solo sopra tutti. A Pietro, infatti, fu affidato il primato sugli altri apostoli come a perpetuo principio e visibile fondamento di unità (cfr. Pio XI, Ecclesiam Dei, in AAS 15, 1923, 573 ss.).
Il problema emerge in tutta la sua valenza teologica e giuridica, pastorale ed ecumenica, quando non si coglie nell’esercizio del primato o governo proprio del papa l’elemento che lo collega con il mistero salvifico di Cristo e con la specifica missione della Chiesa. Da questo collegamento si evince subito e con chiarezza che la Chiesa, anche – anzi soprattutto – al suo vertice non è una potenza che possa seguire i parametri del potere civile (classica la distinzione che spesso riecheggia nei testi patristici: Sacerdotium distinto dall’ImperiumImperatoribus palatiaSacerdotibus Ecclesiae) e che il primato «non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d’onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico» (Doc. n. 7). Non è però altrettanto immediata la conoscenza dei limiti che circoscrivono la potestas sacra in genere ed in specie quella pontificia. I limiti che il primato non può oltrepassare certamente sono quelli «che procedono dalla legge divina e dall’inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione» (Doc. n. 7). La Congregazione per la dottrina della fede nell’ambito della potestas petrina indica quali funzioni del vescovo di Roma anzitutto «una specifica e particolare responsabilità nella missione evangelizzatrice» (cfr. LG n. 23; CIC can. 782 § 1), che all’interno di tutta la Chiesa rappresenta ed è un ufficio magisteriale supremo ed universale (cfr. Conc. Vat. I, Pastor aeternus c. 4) e che implica anche, in certi casi, la prerogativa dell’infallibilità (cfr. LG n. 25; CIC can. 749 § 1; CCEO can. 597 § 1). Insieme alla funzione magisteriale del primato, la missione del successore di Pietro «comporta la facoltà di porre gli atti di governo ecclesiastico necessari o convenienti per promuovere e difendere l’unità della fede e di comunione» (Doc. n. 10).
Questa potestà di giurisdizione, in riferimento al suo esercizio è definita «ordinaria, suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa, potestà che [il papa] può sempre esercitare liberamente» (CIC can. 331). Se questa definizione non fa difficoltà, il problema sorge nel determinare qualiquando e se per tutta o una sola parte della Chiesa gli atti di governo siano necessari o convenienti. Questi atti sono stati diversissimi nella vita bimillenaria della Chiesa: ciò che all’inizio non rientrava, almeno di fatto, nell’ambito dell’esercizio primaziale, oggi è norma: oggi il sommo pontefice nomina i vescovi, per secoli non lo ha fatto direttamente; oggi per una parte della Chiesa li nomina e per un’altra parte conferma quelli che sono stati legittimamente eletti (cfr. CIC can. 377 § 1). Il Documento in oggetto esemplifica, indicando “ad esempio” (tra gli atti del governo primaziale «necessari o convenienti per promuovere e difendere l’unità della fede»): «Dare il mandato per l’ordinazione di nuovi vescovi; [...] emanare leggi per tutta la Chiesa, stabilire strutture pastorali a servizio di diverse Chiese particolari, dotare di forza vincolante le decisioni dei Concili particolari, approvare istituti religiosi sopradiocesani, ecc.» (n. 10). L’elenco potrebbe continuare con tutte le norme del Codice di diritto canonico che stabiliscono le riserve alla Santa Sede. Ma se facessimo un confronto non solo con gli interventi, e le modalità di essi, che i pontefici dei primi secoli (potremmo allungarci anche oltre il secolo V) esperivano come governo petrino, necessario o conveniente al bene della Chiesa, ma anche con quelli dei papi del tempo delle Decretali (Decretalium Collectiones di Gregorio IX o il Liber sextus Decretalium di Bonifacio VIII o le Constitutiones extravagantes di Clemente V), constateremmo quanto vario e differenziato sia stato il criterio di interventi pontifici “necessari o convenienti”. Le differenziazioni però vanno interpretate anche alla luce della realtà storica della Chiesa che, pellegrina con le sue istituzioni nell’età presente, porta la fugace figura di questo mondo (cfr. LG n. 48). Anche per questo – leggiamo nel Documento – l’immutabile natura del primato del successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole (cfr. n. 12). E la stessa Chiesa si è ravveduta quando ha constatato che la figura di questo mondo l’ha così offuscata da indurla ad atti che erano al di fuori o non necessari né convenienti alla sua missione. Comunque sotto il profilo dottrinale, sia teologico che giuridico, il criterio che ci ricorda ora il Documento non solo è valido, ma anche unico; il resto è nella saggezza e prudenza di chi avendo il potere deve esercitarlo, conformemente alla natura e alle finalità del divino mandato. E se è giusto che prima sedes a nemine iudicatur, è altrettanto giusto non far discendere da questo principio “un potere assoluto” del papa; anzi ascoltare la voce della Chiesa (e oggi è divenuta una prassi, giuridicamente anche consolidata; si vedano ad esempio i cann. 342-348 sul Sinodo dei vescovi) è un contrassegno del valore dell’unità, una conseguenza del corpo episcopale e del sensus fidei dell’intero popolo di Dio. In questa linea non entrano e non possono entrare tutte quelle istanze tendenti a vincolare giuridicamente il successore di Pietro nell’esercizio del suo ministero. Si imboccherebbe la strada svincolata dalla divina costituzione della Chiesa, che verrebbe ridotta ad una societas puramente umana se tale strada fosse seguita sino in fondo. Per non cadere in pericoli del genere, è fondamentale il discernimento circa la congruenza tra la natura del ministero petrino e le eventuali modalità del suo esercizio. Discernimento da compiersi nella Chiesa, ossia sotto l’assistenza dello Spirito Santo, con la vitalità dell’Eucaristia operante nell’interno della Chiesa, quale centro e radice di comunione ecclesiale, in dialogo fraterno del romano pontefice con gli altri vescovi. Secondo le esigenze concrete della Chiesa sarà poi il papa (o il papa con il Concilio ecumenico), quale successore di Pietro, a dover pronunciare autoritativamente il giudizio definitivo, a profitto della Chiesa universale (cfr. Doc. n. 13).
Questo richiamo al soprannaturale è parte integrante del primato e del suo esercizio. Ecco perché l’attuale movimento ecumenico – quale il Vaticano II e il conseguente magistero pontificio hanno voluto e programmato – è nato e si snoda sotto l’azione dello Spirito Santo, con il continuo e pressante invito ad ascoltare «quello che lo Spirito Santo dice alle Chiese» (Ap 1, 7). La preghiera, che il papa – e con lui oggi la Chiesa “divisa” – rivolge al Padre per mezzo del suo Figlio Gesù, è che i cristiani non resistano allo Spirito Santo che li sprona a ricomporre l’unità visibile dei cristiani.