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venerdì 20 gennaio 2023

Dalla FILOCALIA = antologia ascetica, scelta delle cose migliori

 


65. È Gesù che ha detto, anche se non lo vogliamo credere, che nessuno  può servire a due padroni.

66. Un’anima insudiciata dalle passioni è indurita, e senza tagli e cauteri  non riesce a credere.

67. Prove terribili attendono gli induriti; infatti non riescono ad essere  ammorbiditi senza grandi pene.

68. L’uomo assennato si prende cura di se stesso e sfugge le pene

involontarie mediante quelle volontarie.

69. Sollecitudine dell’anima sono sopportazione del male e umiltà,

grazie alle quali Iddio perdona tutti i peccati.

70. Come atti di concupiscenza e collera moltiplicano i peccati, così

continenza e umiltà li cancellano.

71. La tristezza secondo Dio fa contrito il cuore: essa è generata dal

timore della punizione.

72. La tristezza secondo Dio purifica il cuore e allontana da esso le

contaminazioni dei piaceri.

73. La sopportazione è laboriosità dell’anima; e dove c’è laboriosità è escluso l’amore del piacere.

74. Ogni peccato nasce a causa del piacere, e ogni perdono mediante

sofferenza e tristezza.

75. Colui che non accetta di convertirsi con pene volontarie, cade

provvidenzialmente in pene involontarie.

76. Cristo è Salvatore del mondo intero e ha fatto dono agli uomini della conversione per la salvezza.

AVE MARIA PURISSIMA!

mercoledì 18 gennaio 2023

Dalla "Filocalia"

 72. Di tanto il servizio dell’augusto sacerdozio e la sua forza di

espiazione e di persuasione davanti a Dio è superiore a ogni salmodia e

preghiera, quanto lo è il sole alle stelle. 

      Infatti sacrifichiamo, presentiamo e

offriamo come supplica quello stesso Unigenito gratuitamente immolato per

i peccatori, nel suo amore per gli uomini, non solo per la remissione dei

peccati, ma anche per le cose per cui preghiamo - con profitto, se la

coscienza non è contaminata. 

       E ciò che è unito alla divinità brucia come un

carbone acceso tutta la materia dell’iniquità e illumina i cuori di quelli che

si accostano con fede. 

      Ugualmente, anche il sangue divino e prezioso

asterge e purifica, più di ogni issopo, ogni macchia e ruga - se a qualcuno

sia accaduto di incorrervi - di coloro che si accostano alle cose sante, per

quanto possono, in modo puro e non contaminato.

AMDG et DVM

venerdì 23 dicembre 2022

LA FILOCALIA - LA LETTURA

 Se vuoi progredire...


11. «Se sei un lavoratore - dice il Climaco - abbi letture pratiche: il metterle

in pratica rende infatti superflua la lettura di altre cose». 

Leggi sempre ciò

che riguarda l’esichia ( calma, pace, tranquillità, assenza di preoccupazione ) e la preghiera, 

per esempio, le opere del Climaco, di

sant’Isacco, di san Massimo, del Nuovo Teologo, del suo discepolo

Stethatos, di Esichio, di Filoteo Sinaita e simili. Lascia il resto per un certo

tempo, non perché siano cose da rigettarsi, ma perché non giovano allo

scopo e distolgono l’intelletto dalla preghiera per interessarlo a ciò che

narrano. Fai la tua lettura da solo, senza suono orgoglioso di voce, senza

preoccupazione di bella pronuncia tornita o eleganza di linguaggio o diletto

musicale, o trascinato passionalmente, senza accorgertene, dal desiderio di

piacere a qualche assente come se fosse presente. E non essere insaziabile

nel leggere, perché è bello tutto ciò che è misurato. Non bisogna neppure

leggere con rudezza, o con languidezza e trascuratezza, ma con gravità,

moderazione, regolarità, intelligenza, ritmo; bisogna leggere con l’intelletto,

con l’anima e con la ragione. In questo modo l’intelletto, potenziandosi,

prende forza, con l’abitudine, per pregare con vigore. Se invece si fa

diversamente - cioè come si è detto più sopra - all’intelletto ne viene,

oscuramento, rilassamento e stordimento, così che viene a soffrirne il

principio direttivo nel cervello, e l’intelletto non ha vigore per la preghiera.


12. Fai caso anche all’intenzione di tanto in tanto, con indagine

rigorosa, per vedere da che parte inclini: se è cioè secondo Dio per il bene

stesso, per il profitto dell’anima che siedi in esichia o stai a salmeggiare, a

leggere, a pregare o ad attuare una qualunque virtù. Così non ti lascerai

depredare senza averne coscienza e non accadrà che tu sia trovato

esteriormente un lavoratore che tuttavia con la condotta e il pensiero

intende piacere agli uomini anziché a Dio.

Sono infatti molte le insidie dell’ingannatore: stando nascostissimo, egli

guarda l’inclinazione dell’intenzione, resta ignoto ai più e sempre cerca di

depredare il nostro lavoro senza che ne abbiamo coscienza, perché ciò che

si fa non sia fatto secondo Dio. Però, anche se fa guerra aspramente e

sfacciatamente, se tu tieni salda l’intenzione verso Dio, non ti deprederà

tanto anche se l’inclinazione della volontà può essere da lui costretta, nostro

malgrado, a oscillare. Può capitare che qualcuno resti involontariamente

vinto per debolezza, ma prontamente gli viene perdonato ed è lodato da

Colui che conosce le intenzioni e i cuori.

Questa passione - la vanagloria, intendo - non permette al monaco di

progredire nella virtù; anzi egli sopporta le fatiche e poi in vecchiaia si

trova senza frutto. Infatti la vanagloria ha accesso a tutt’e tre le categorie,

cioè al principiante, all’intermedio e al perfetto, e li spoglia dell’attività

delle virtù.


13. Dico, come ho imparato, che senza queste virtù un monaco non

progredisce, senza cioè digiuno, continenza, veglia, sopportazione, fortezza,

esichia, preghiera, silenzio, afflizione spirituale, umiltà: virtù che si

generano e si custodiscono a vicenda.

Dal frequente digiuno, infatti, la concupiscenza affievolita genera la

continenza; la continenza, la veglia; la veglia, la sopportazione; la

sopportazione, la fortezza; la fortezza, l’esichia; l’esichia, la preghiera; la

preghiera, il silenzio; il silenzio, l’afflizione spirituale; l’afflizione

spirituale, l’umiltà. E reciprocamente l’umiltà genera l’afflizione spirituale.

E così, esaminando analiticamente, troverai che, una dopo l’altra, a loro

volta le figlie, in qualche modo, generano le madri. Nelle virtù nulla è più

grande di questa reciproca generazione: è infatti evidente a tutti ciò che vi si

contrappone.


14. Bisogna qui mettere ordine nelle fatiche e nelle pene dell’attività

spirituale e spiegare sapientemente come si debba perseguire ciascuna

attività: perché non accada che qualcuno cammini senza darsi pena,

limitandosi ad ascoltare, e non conseguendone frutto accusi noi o altri come

se le cose non stessero come avevamo detto. La fatica del cuore, infatti, e

quella del corpo sono in grado di compiere un’opera di verità. In forza di

esse si manifesta l’operazione dello Spirito santo data a te e a ogni fedele

tramite il battesimo, sotterrata fra le passioni a causa della negligenza nei

comandamenti e in attesa della nostra conversione - per misericordia

ineffabile - perché alla fine non ci sentiamo dire, per la nostra sterilità,

quella parola: Toglietegli il talento; e: Ciò che crede di avere gli sarà tolto.

Dio ci manderebbe così al castigo, a soffrire eternamente nella geenna.

Infatti ogni attività del corpo e dello spirito compiuta senza travaglio e

fatica non porterà mai frutto a chi la persegue. Poiché il regno dei cieli è

oggetto di violenza, dice il Signore, e i violenti lo rapiscono. E chiama

violenza il provar fatica col corpo in tutte le cose. Forse ci sono molti che

hanno lavorato o lavorano senza fatica parecchi anni, ma per aver portato i

travagli senza fatica e senza un’ardente prontezza di cuore, sono rimasti

privi di purezza e non partecipi dello Spirito santo per aver rifiutato

l’asprezza dei travagli. Quelli infatti che lavorano con negligenza o

rilassamento, forse, secondo loro, faticano molto, ma non vendemmiano

mai un frutto, per l’assenza di travaglio, a causa della loro profonda

insensibilità. Lo attesta colui che dice: «Anche se nel nostro regime di vita

facciamo grandi opere, ma non abbiamo un cuore dolorante, queste opere

sono bastarde e guaste».

Può anche capitare che, pur camminando nella fatica, siamo spinti

dall’accidia a cercare inutili distrazioni e così restiamo oscurati mentre

pensiamo di trovare in esse sollievo: il che non accade, anzi, legati

invisibilmente da indissolubili vincoli, diveniamo privi di movimento e

attività in ogni opera, per il grande rilassamento che ci ha presi, soprattutto

se siamo principianti. Ai perfetti infatti, tutte le cose, fatte con misura, sono

di profitto.

Questo lo attesta anche il grande Efrem che dice: «Faticosamente

affaticati nella fatica per sfuggire i travagli degli inutili travagli». Se, come

dice il Profeta, i nostri fianchi non vengono meno per lo sfinimento dovuto

alla fatica del digiuno, e non abbiamo doglie come chi partorisce un

neonato, per il doloroso raggelarsi del cuore, non concepiremo uno spirito

di salvezza sulla terra del cuore, come hai udito. E poi alcuni di noi si

vantano pensando al lungo tempo trascorso, all’inutile deserto, e al loro

rilassamento come esichia: ma al momento dell’esodo tutti riconosceremo

senza possibilità di dubbio quali siano i frutti.


15. Non è possibile che uno impari da sé la scienza delle virtù, anche se

alcuni si sono serviti come maestro dell’esperienza. Perché il far da sé

anziché col consiglio di quelli che ci hanno preceduto nel cammino, è

presunzione, meglio, la genera.

Se infatti il Figlio non fa nulla da se stesso, ma come gli ha insegnato il

Padre questo fa, e lo Spirito non parla da se stesso, chi è costui che si è

spinto a tale altezza di virtù, da non aver bisogno di un altro che lo inizi? Si

è sviato nella follia, credendo invece di possedere la virtù. Bisogna perciò

lasciarsi persuadere da quelli che conoscono i travagli della virtù pratica, e

perseguire così le virtù: cioè, digiuno che faccia provare la fame, continenza

nell’astenersi dai piaceri, veglia prolungata, stare dolorosamente in

ginocchio, stare faticosamente in piedi senza muoversi, preghiera

perseverante, umiltà non finta, contrizione e gemiti incessanti, silenzio

ragionevole e come salato con sale, sopportazione in tutto.

Non bisogna infatti passare il tempo sempre nel riposo né star sempre

solo seduti prima del tempo o della vecchiaia o della malattia.

Poiché, dice la Scrittura, mangerai le fatiche della tua virtù, e: Il regno

dei cieli è dei violenti. Chi dunque è ogni giorno zelante nel compiere con

travaglio le attività che abbiamo detto, con l’aiuto di Dio, a suo tempo ne

coglierà anche il frutto.

AMDG et DVM


mercoledì 7 dicembre 2022

Pratica e contemplazione, dalla Filocalia

 


Capitoli pratici e contemplativi

d. Filocalia

Qui è un prato pieno di frutti di pratica spirituale e contemplazione.

33. Un tempo, agli antichi era stato ordinato di offrire nel tempio le

primizie dell’aia e del frantoio. 70)Gli otto pensieri di passione o pensieri viziosi, che si

incominciano a classificare con Evagrio, sono i pensieri di golosità, fornicazione, amore del denaro, ira, tristezza,

accidia, vanagloria e superbia. Cfr. Cassiano il Romano, Al vescovo Castore. Gli otto pensieri viziosi, Filocalia I, p.129. ↵

Noi ora dobbiamo offrire a Dio le primizie

della pratica: continenza e verità; e della virtù contemplativa: carità e

preghiera. Con le prime tagliamo gli impeti della concupiscenza irrazionale

e dell’ira; con le seconde, i pensieri vani e le insidie del prossimo.

34. Principio della pratica sono continenza e verità; stato intermedio,

temperanza e umiltà; stato finale di essa, pace dei pensieri e santificazione

del corpo.

35. È pratica, non semplicemente poter fare il bene, ma anche il farlo

come si deve, quando colui che agisce adatta a ciò che fa il tempo e la

misura.

36. È contemplazione, non solo il contemplare le condizioni dei corpi,

ma anche a che cosa tendono le loro ragioni.

37. Non c’è né pratica sicura senza contemplazione né contemplazione

vera senza pratica. Bisogna infatti che la pratica sia razionale e la

contemplazione pratica; affinché, da una parte il vizio si trovi senza forza, e

dall’altra sia forte la virtù nel compiacersi del bene.

38. Termine della vita pratica è la mortificazione delle passioni; fine

della conoscitiva è la contemplazione delle virtù.

39. Come è la materia per la forma, così la pratica per la

contemplazione; e come l’occhio, per il volto, così la contemplazione per la

pratica.

40. Nello stadio della virtù pratica, molti corrono ma uno solo prende il

premio: colui che brama di giungere al suo traguardo con la

contemplazione.

41. Chi è dedito alla pratica beve nella preghiera una bevanda di

compunzione; ma il contemplativo si inebria di un calice eccellente; l’uno,

filosofando sulle realtà naturali, l’altro ignorando anche se stesso nel

pregare.

42. Chi è dedito alla pratica non è disposto a durare a lungo nella

contemplazione spirituale; infatti è come chi ha ricevuto ospitalità da

qualcuno e se ne va in fretta dalla casa di quello.

43. I dediti alla pratica, in forza della preghiera, entrano nelle porte dei

comandamenti di Dio; e i dediti alla contemplazione entrano con inni negli

atri delle virtù. Gli uni rendendo grazie perché sono stati sciolti dalle

catene; gli altri perché hanno anche preso prigionieri quelli che li

combattevano.

44. Bisogna che la forza della contemplazione sia commisurata a quella

della pratica, perché non accada, come a una nave che porta vele

sproporzionate, o di correre pericolo a causa della forza dei venti, quando le

vele sono troppo grandi, o di mancare dell’aiuto dei venti, quando sono

troppo piccole rispetto allo scafo.

45. Intendi i pensieri pii come rematori della nave spirituale; e remi, le

potenze vitali dell’anima: l’irascibile, il concupiscibile, la volontà e la libera

scelta. Chi è dedito alla pratica ne ha sempre bisogno, non sempre, invece,

anche il contemplativo. Costui infatti, nel tempo della preghiera, dato

l’addio a tutti, sedutosi lui stesso al timone del discernimento, durante tutta

la notte veglia in contemplazioni, presentando le sue lodi a Colui che

sostiene l’universo. E, come intonando una canzone d’amore, incanta la

propria anima mentre scruta le onde del mare salato e i suoi moti fragorosi,

stupefatto per i giudizi e le sentenze divine.

46. Chi sta nel mezzo tra pratica e contemplazione, alla maniera dei

marinai non naviga soltanto a remi né con le vele spirituali completamente

spiegate, ma compie quel che occorre per una buona navigazione con

ambedue i mezzi: portando volentieri sia le fatiche della pratica, perché

moderata dalla contemplazione, sia le ragioni della contemplazione

imperfetta, poiché è aiutato dalla pratica.

47. Chi è dedito alla contemplazione e ha la natura in accordo con la

volontà, naviga senza fatica come su una corrente; chi è dedito alla pratica e

trova che il suo modo di vivere contrasta con la scelta che ha fatto, sottostà

a molta tempesta di pensieri, e poco manca che corra il pericolo di cadere,

per il peso, nella riprovazione.

48. Né la terra che non sia stata ben lavorata dà seme copioso e puro al

seminatore; né chi persegue la pratica, se non lo fa con cura e senza

ostentazione, vedrà venire dalla preghiera un frutto abbondante e puro.

49. La mente che porta le orme di una preghiera incessante è come una

terra frequentemente battuta. Quella terra diverrà piana e potrà essere

toccata da piedi delicati, e quell’anima diverrà retta e luogo di preghiera

pura.

50. Nelle cose materiali, l’intelletto avrà come cooperatore il pensiero;

ma in quelle immateriali, se non lo allontana con la preghiera, avrà come un

aculeo a schiaffeggiarlo.

51. Colui che è dedito alla pratica, durante la preghiera ha un velo sul

cuore: la scienza delle cose sensibili, che per le sue relazioni non può essere

tolto. Solo il contemplativo, perché è privo di tali relazioni, può vedere, a

volto scoperto, in modo parziale, la gloria di Dio.

52. La preghiera unita alla contemplazione spirituale è la terra promessa

in cui scorre latte e miele, cioè la conoscenza delle ragioni divine sulla

provvidenza e il giudizio. La preghiera unita a qualcosa di naturale è

l’Egitto, in cui agli oranti viene il ricordo delle crasse concupiscenze, e la

preghiera semplice è la manna del deserto, che per la sua uniformità

preclude a quelli che non la tollerano i beni che nascono dal desiderio delle

promesse. Ma a coloro che perseverano a nutrirsi di questo cibo parco, esso

offre il gusto migliore e che rimane.

53. La pratica unita alla contemplazione sarà considerata come corpo

che ha lo spirito come principio direttivo; senza la contemplazione, come

carne, con spirito che si determina per libera scelta.

54. Atrio dell’anima razionale è la percezione sensibile; tempio, la

mente; sacerdote, l’intelletto. Nell’atrio sta l’intelletto impedito da pensieri

inopportuni; nel tempio, l’intelletto impedito da pensieri opportuni; da

nessuno di questi pensieri è saccheggiato l’intelletto fatto degno di entrare

nel sacrario divino.

55. Lamentazioni, canto lugubre e guai, per la fatica, si trovano nella

casa dell’anima pratica; voci di esultanza e di confessione, per la

conoscenza, si odono nella casa dell’anima contemplativa.

56. L’uomo della pratica, a causa delle fatiche, brama di levar l’ancora

ed essere con Cristo; il contemplativo si compiace piuttosto di rimanere

nella carne, sia per la gioia che riceve dalla preghiera sia per l’utilità del

prossimo che le si aggiunge.

57. La contemplazione precede la pratica in coloro che sono più dotati

di ragione e la pratica precede la contemplazione in coloro che sono più

rozzi; ma ambedue sfociano a un unico termine buono. Tuttavia esso si

mostrerà più presto a coloro nei quali la contemplazione precede la pratica.

58. La contemplazione delle realtà spirituali è un paradiso; in esso entra

il contemplativo, durante la preghiera, come dentro la propria casa. Il

pratico, invece, apparirà come un passante che brama affacciarvisi, ma non

gli è permesso dalla siepe che supera la sua statura spirituale.

59. Le passioni del corpo sono simili a fiere, quelle dell’anima a uccelli.

L’uomo della pratica caccia le une dalla vigna razionale, ma non ancora gli

uccelli, se prima non giunga alla contemplazione spirituale, quantunque

abbia certo grande zelo nella custodia delle cose interiori.

60. Il pratico non potrà andare al di là della bellezza morale se anche

lui, come il patriarca Abramo, non esce dalla legge naturale come dalla

propria terra; e dalla vita di relazione che essa comporta, come dal proprio

parentado. Così, infatti, anche costui riceverà come sigillo la spogliazione

dal piacere carnale che, come velo, ci avvolge dalla nascita e non permette

che ci venga accordata la completa libertà.

61. Né il puledro, in primavera, sopporta di rimanere a mangiare dalla

mangiatoia nella stalla; né l’intelletto iniziato da poco può durare a lungo

nello spazio ristretto della preghiera, giudicando più piacevole - come

quello - uscire verso l’ampiezza della contemplazione naturale, che si trova

nella salmodia e nella lettura.

62. La pratica ha come i fianchi cinti dal digiuno e dalla veglia che ne

sono le potenze vivificanti; la virtù contemplativa sta ritta avendo, come

lampade ardenti, il silenzio e la preghiera, sue potenze conoscitive. La

pratica ha il pensiero come pedagogo al digiuno e alla veglia; la

contemplazione ha la ragione intima come paraninfo per il silenzio e la

preghiera.

63. A un intelletto imperfetto non è consentito di entrare nella vigna

ricca di frutti, della preghiera; ma solo ai semplici echi dei salmi, come un

povero ai racimoli.

64. Come non tutti quelli che vanno a un colloquio col re possono

pranzare con lui; così neppure tutti quelli che hanno la felice sorte di

giungere alla preghiera, appariranno essere nella preghiera contemplativa.

65. Il silenzio al momento opportuno è freno all’ira; il cibo moderato,

alla concupiscenza irrazionale; la preghiera monologica,71 al pensiero

irrefrenabile.

66. Sia colui che entra nel profondo del mare per cogliervi una perla

sensibile, sia chi entra in quello della conoscenza per cogliervi la perla

spirituale, se non si spogliano - quello delle vesti e questo della percezione

sensibile - non raggiungeranno, né l’uno né l’altro, quello che cercano.

67. L’intelletto che nel pregare giunge nell’intimo della mente si troverà

come lo sposo che conversa con la sposa nel talamo; ma quello a cui non è

consentito entrare, stando fuori grida nel suo lamento: Chi mi condurrà alla

città fortificata? o chi mi guiderà fino a non guardare alle vanità e alle

ingannevoli follie, nella preghiera?

68. Come il cibo senza sale per la gola, così la preghiera che viene

all’intelletto senza compunzione.

69. L’anima che insegue ancora la preghiera assomiglia a una

partoriente in travaglio; quella che l’ha afferrata, a una donna che ha

concepito ed è piena di gioia per il figlio.

70. Un tempo, l’amorreo che abitava sulla montagna veniva incontro a

ferire quelli che erano costretti a passare per il suo territorio; ora, il cattivo

oblio insegue coloro che prima della santificazione intraprendono l’ascesa

alla più alta preghiera della semplicità.

71. I demoni hanno naturalmente grande inimicizia per la preghiera

pura, ma ciò che li atterrisce non è la quantità dei salmi, come un esercito

coi nemici esteriori, bensì l’accordo delle tre cose: dell’intelletto con la

ragione e della ragione con la percezione sensibile.

72. La semplice preghiera apparirà agli oranti come pane che corrobora,

e quella unita a una certa contemplazione, come olio che impingua; quella

poi con assenza di forme, come vino profumato: chi si riempie

insaziabilmente di esso, esce di sé.

73. È detto che l’asino selvatico se ne ride delle moltitudini della città e

che l’unicorno non può essere legato da nessuno; così l’intelletto che

domina i pensieri naturali e contro natura se ne ride dei pensieri di vanità,

mentre prega, e non può essere dominato da nessuna delle cose che sono

soggette alla percezione sensibile.

74. Chi agita un bastone davanti ai cani li eccita contro di sé; così fa coi

demoni, chi si sforza di pregare con purezza.

75. Bisogna che chi lotta, restringa a un nutrimento uniforme la sua

percezione sensibile, e l’intelletto alla preghiera monologica. Infatti,

divenuto, così, indomabile dai piaceri, durante la preghiera giungerà anche

a essere rapito presso il Signore.

76. Per i voluttuosi, che quando pregano sono come luoghi melmosi, i

pensieri che li distraggono sono come rane; per i moderati, invece, le

contemplazioni sono come usignoli che li dilettano col vagare da un ramo

all’altro, cioè passando per svariate contemplazioni. Ma per gli impassibili

c’è il silenzio e molta tranquillità di pensieri e di concetti, nella preghiera.

77. Anticamente, Maria sorella di Mosè, quando ebbe visto i nemici

sconfitti, preso il timpano, guidava le donne che cantavano l’inno di

vittoria; ora, invece, a elogio dell’anima che ha vinto le passioni, alzatasi la

più eccellente delle virtù, la carità, maneggiando, come la cetra

accompagnata dal canto, la contemplazione già conseguita con fatica, per

aumentare ancor più la bellezza dell’anima, non cessa con le sue compagne

di lodare Dio nell’esultanza.

78. Quando per la continuità della preghiera, vengono trattenute, nel

cuore di chi prega, le parole dei salmi, allora anche la terra stessa del cuore,

poiché è buona, incomincia a produrre spontaneamente: come rose, la

contemplazione degli incorporei; come gigli, le luminosità dei corpi; come

viole, la varietà inconoscibile dei giudizi divini.

79. La fiamma imprigionata nella materia è portatrice di luce; ma

l’anima sciolta dalla materia è portatrice di Dio. Quella è naturale che si

innalzi finché trova materia da bruciare; questa fino alla perfezione

dell’amore divino.

80. L’anima che ha rinnegato compiutamente se stessa ed è interamente

tesa in alto alla preghiera, trovandosi al di sopra della creazione, non

ridiscende quando vuole; ma quando sembrerà giusto a Colui che governa

le nostre cose con peso e misura.

81. Quando sia stata respinta l’accidia dall’anima e la cattiveria sia stata

scossa via dalla mente, allora l’intelletto, fatto nudo per la semplicità e per

la vita senza artifici e senza il velo della vergogna, canta un canto anch’esso

nuovo a Dio. E intona un canto nella gioia, rendendo grazie nel celebrare la

festa della dedicazione della vita futura.

82. Quando l’anima che prega incomincia a essere mossa verso

operazioni più divine, allora anch’essa, come la sposa del Cantico, grida in

risposta alle sue compagne tali parole: Il mio diletto ha messo la sua mano

allo spiraglio e il mio ventre si è turbato per lui.

83. Il soldato congedato dalla guerra si spoglia del peso delle armi, e il

pratico, giungendo alla contemplazione, si spoglia dei pensieri. Infatti, né

quello ha bisogno delle armi se non in guerra, né questo dei pensieri, se non

dà spazio a ciò che è sensibile.

84. Quelli della pratica contemplano i corpi nella loro costituzione, i

contemplativi nella loro natura; solo gli gnostici vedono le ragioni di

ambedue le cose.

85. Nelle ragioni dei corpi, si conoscono gli incorporei, e nelle ragioni

degli incorporei, il Verbo sovrasostanziale, per giungere al quale ogni anima

virtuosa brama di levare l’ancora.

86. Le ragioni degli incorporei sono come ossa ricoperte agli occhi

sensibili, e non le vede nessuno di quelli che non sono usciti

dall’attaccamento alle realtà sensibili.

87. Lasciata la guerra, il soldato depone le armi; e il contemplativo i

pensieri, levando l’ancora verso il Signore.

88. Cade nello scoraggiamento il generale che manca il bottino in

guerra; così il pratico, nella preghiera, se non raccoglie la contemplazione

spirituale.

89. La cerva morsa da una fiera corre alle fonti corporee delle acque;

ma l’anima ferita dalla dolcissima freccia della preghiera, corre ai raggi

incorporei.

90. Né l’occhio corporeo può vedere il chicco di grano se questo non sia

denudato della guaina; né l’intelletto pratico può vedere la sua propria

natura, se esso non sia denudato delle relazioni che lo avvolgono.

91. Le stelle si nascondono al sorgere del sole, e i pensieri vengono

meno quando l’intelletto si rivolge di nuovo al proprio regno.

92. Al termine della pratica, le contemplazioni spirituali, circonfuso

l’intelletto, come raggi del sole che spuntano all’orizzonte, sembrano

irrompere dal di fuori di esso, mentre gli appartengono e lo abbracciano per

la sua purezza.

93. Anche l’intelletto contemplativo quando, piegatosi per necessità

della natura scende dall’alto del cielo, può proferire parole simili a quelle di

colui che ha gridato: Che cosa c’è di più mirabile della bellezza divina? E

quale pensiero è più amabile di quello della magnificenza di Dio? E quale

desiderio così acuto e incontenibile, come quello che da Dio si avvicina

all’anima purificata da ogni vizio e che con tutta se stessa dice: Ferita

d‘amore sono io?

94. Dire: Il mio cuore si è riscaldato dentro di me, e nella mia

meditazione si accenderà un fuoco è proprio di colui che non si stanca a

inseguire Dio con la preghiera e che, non desidera vedere neppure un giorno

dell’uomo.

95. Anche l’anima pratica, dopo che avrà deposto i vizi, ai maligni

demoni e pensieri che ancora la vogliono costringere a volgersi verso le

vanità e le ingannevoli follie, dice come la sposa del Cantico: Mi sono tolta

la veste, e come la rimetterò? Mi sono lavata i piedi, come li sporcherò di

nuovo?

96. È dell’anima amante di Dio osare dire a Dio: Dimmi, o buon

pastore, dove pascoli le tue pecore e dove fai riposare i tuoi agnelli a

mezzogiorno? Affinché seguendoli io non sia come circondata dai greggi

dei tuoi compagni.

97. L’anima pratica che cerca di afferrare la ragione della preghiera e

non riesce grida anch’essa come la sposa dei Cantici: Sul mio letto, la notte,

ho cercato colui che ho amato; l’ho cercato e non l’ho trovato, l’ho

chiamato e non mi ha ascoltato; mi alzerò mediante una preghiera più

laboriosa e, in giro per la città, nelle vie e nelle piazze cercherò colui che ho

amato, forse si farà trovare da me colui che è in questo universo e fuori

dell’universo; e sarò saziata all’apparirmi della sua gloria

98. Quando l’anima incomincia a essere tutta in lacrime per la gioia

della preghiera, allora anch’essa piena di audacia, come la sposa al suo

sposo, grida: scenda il mio diletto nel suo giardino e mangi la faticata

consolazione delle mie lacrime, come frutti.

99. Quando l’anima pratica incomincia ad ammirare il Creatore per la

grandezza e la bellezza delle creature e a deliziarsi del piacere che viene da

queste, anch’essa, attonita, grida queste cose: come sei bello, sposo,

paradiso del Padre tuo; o fiore della pianura e suo cedro che è come i cedri

del Libano! Ho desiderato sedermi alla sua ombra e il suo frutto è parso

dolce al mio palato.

100. Se colui che riceve dei re nel suo palazzo viene trovato persona

illustre e ammirata e piena di ogni gioia, quanto più l’anima che riceve il re

dei re nel suo purificarsi, secondo la promessa di lui, che non mente. Ma

una tale anima deve mettersi al sicuro con grandissima pietà, gettando fuori

tutto ciò che le appaia non contribuire al suo riposo, e introducendo tutto

ciò che gli è gradito.

101. Colui che si aspetta di essere chiamato dal re il giorno dopo, di che

cosa altro potrà curarsi, se non di meditare le parole che gli saranno gradite?

L’anima che si comporterà così non apparirà impreparata al tribunale di là.

102. Beata l’anima che, attendendo oggi l’arrivo del suo Signore,

considera nulla tutta la fatica del giorno e quella della notte, perché egli

subito, la mattina presto, comparirà.

103. Dio vede tutti, ma vedono Dio quelli che non considerano nulla

mentre pregano; e quanti vedono Dio sono anche esauditi da lui, ma quanti

non sono esauditi, neppure lo vedono. Beato chi crede di essere veduto da

Dio: poiché non sarà scosso il suo piede privo del suo gradimento.

104. I beni del regno che è dentro di noi, quelli che l’occhio bramoso di

cose belle non vide, e l’orecchio bramoso di onore non udì, e in un cuore

vuoto di Spirito santo non salirono, sono caparre dei beni che saranno dati

ai giusti, nel regno futuro, da Dio. E chi non si delizia di questi beni, che

sono i frutti dello Spirito, non può giungere al godimento dei beni futuri.

105. I pensieri dei pratici sono simili alle cerve. Come, infatti, quelle

sono ora in alto, sui monti, per paura dei cacciatori, ora in basso, nelle valli,

per il desiderio di ciò che vi si trova, così anche costoro: non possono

sempre essere nella contemplazione spirituale, per la loro pochezza; né

sempre in quella naturale, per il fatto che non perseguono sempre il riposo. I

pensieri dei contemplativi, invece, se ne restano incuranti delle

considerazioni terrestri.

106. Gocce di rugiada inebriano i solchi della terra, e gemiti che stillano

dal cuore le disposizioni dell’anima in preghiera.

107. Nessuno è capace di vedere la divinità che si considera nella

Trinità, se non apparirà più alto della dualità materiale e dell’unità che le

appartiene; ma non potrà diventarne più alto se non avrà unificato il proprio

intelletto nelle realtà che considera.

108. Non si troverà tanto difficile trattenere il corso del fiume, perché

non travolga tutto sotto di sé, quanto arrestare la foga dell’intelletto perché

non si disperda nelle realtà visibili e invece si concentri sulle cose dell’alto,

familiari a chi prega, quando lo si voglia. E ciò, nonostante che questa

operazione sia secondo natura e quella contro natura.

109. Coloro che sono puri, quando portano il proprio intelletto fra le

realtà che vedono, si riempiono di tanto stupore e sono riempiti di tanta

gioia, che non possono contenere nient’altro di terrestre, neppure se tutte le

cose desiderabili affluissero verso di loro.

110. Sono sufficienti anche solo i pascoli cosiddetti naturali, per fare

provare grande meraviglia; ma i prati dell’intelletto si trovano fioriti e

stillano da fiori puri la dolcezza del magnifico convito spirituale, come da

nettare del cielo.

111. Sui fiori rugiadosi dei prati, le api stanno intorno alla regina dello

sciame; ma all’anima incessantemente compunta stanno intorno

familiarmente le potenze spirituali, faticando con essa per farle conseguire

ciò che desidera.

112. Nel cosmo visibile l’uomo appare a sua volta come un cosmo. Nel

mondo intelligibile, tale appare il pensiero. L’uomo è araldo del cielo, della

terra e delle realtà fra cielo e terra. Il pensiero è interprete dell’intelletto,

della percezione sensibile e delle cose con essa percepite. Senza l’uomo e

senza l’intelletto ambedue i mondi sarebbero senza voce.

113. Il prigioniero, rilasciato dopo molto tempo, non se ne va con tanta

gioia come l’intelletto liberato dagli affetti cammina con piede esultante

verso le realtà celesti, ormai sue.

114. Da chi non prega con attenzione, ma dissipato, il salmo viene

giudicato barbaro; ed egli barbaro, dal salmo; ma ambedue, pazzi furiosi dai

demoni.

115. Non sono la stessa cosa coloro per cui il mondo è crocifisso e

coloro che sono crocifissi al mondo; per gli uni, infatti, sono chiodi il

digiuno e la veglia; per gli altri, la povertà e il disprezzo. Senza queste due

cose, le fatiche dei primi sono vane.

116. Nessuno che sia posseduto dalla passione della brama di cose belle

e della brama di onore può pregare con purezza. Infatti, poiché a queste

cose sono di solito uniti affetti e pensieri di vanità, essi divengono funi che

lo avvolgono e, nel tempo della preghiera, trascinano l’intelletto come un

uccello legato che tenta di volare.

117. È impossibile che sia in pace, nel tempo della preghiera, l’intelletto

che non si è fatta amica continenza e carità. L’una, infatti, lotta per

abbattere l’inimicizia del corpo verso l’anima, e l’altra, quella verso il

prossimo, per Dio. Perciò la pace che supera ogni intelletto è promesso che

verrà e che prenderà dimora in colui che è così pacificato.

118. È necessario che chi lotta per entrare nel regno di Dio faccia

abbondare nel bene l’opera della sua giustizia: nelle elemosine, offrendo

dalla sua indigenza; nelle fatiche per la pace, rispondendo con la pazienza

nel Signore.

119. Né chi possiede poca virtù, per la negligenza, né chi ne ha troppa,

per la presunzione, sarà trovato nel porto della impassibilità. Infatti, né

l’uno né l’altro è giunto al godimento dei beni che vengono dalla giustizia,

che si trova in mezzo fra il difetto e l’eccesso.

120. Come la terra non può fare ricco l’agricoltore se gli rende il puro

seme, o anche con una piccola aggiunta, ma non glielo dona moltiplicato,

così il pratico: ciò che compie non può renderlo giusto se il suo zelo verso

Dio non sia trovato superiore a ciò che si era proposto.

121. Né tutti quelli che non amano il prossimo lo odiano; né tutti quelli

che non lo odiano lo amano. E una cosa è invidiarne il progresso, altra il

non essergli di impedimento per il progresso. Ma l’estremo grado della

malizia sta in ciò: che non solo ci si roda per i suoi successi, ma anche che

si calunnino le sue opere buone, come se non fossero tali.

122. Altre sono le passioni del corpo, altre quelle dell’anima. Altre

quelle secondo natura, altre quelle contro natura. Colui che respinge le une

e non è previdente riguardo alle altre è simile a un uomo che costruisce una

siepe alta e fitta contro le fiere, ma si compiace che gli uccelli mangino i

grappoli della vite razionale, di fatto lasciandoli in mostra.

123. L’anima perviene innanzitutto a fantasticare il male, poi a

desiderarlo, quindi a goderne o a rattristarsene, cioè a percepirlo in modo

sensibile: in seguito, ad esserne ferita in modo manifesto o nascosto. Tutte

queste fasi sono accompagnate dai pensieri, eccetto il primo moto: se

questo non viene accolto, non potrà darsi in seguito alcun male.

124. Coloro che sono vicini all’impassibilità sono toccati dalle sole

fantasie; quelli che sono moderati nelle passioni, giungono fino al desiderio,

mentre a percepire sensibilmente il male giungono coloro che abusano delle

cose necessarie, ma poi se ne rattristano; ad esserne feriti, coloro che

convivono con esse senza rattristarsene.

125. Il piacere ha sede in tutte le membra del corpo, ma non a tutte si

mostra molesto allo stesso modo. In alcuni lo è più contro la parte

concupiscibile dell’anima, in altri contro quella irascibile, e in altri contro la

parte razionale di essa, mediante la golosità, l’irascibilità e la malizia, causa

di tutte le nefande passioni.

126. È necessario aprire i sensi come le porte della città: è necessario

cioè non permettere, nell’aprirli per le cose necessarie, che entrino insieme

anche le genti che vogliono le guerre e procurano occasioni di lotta.

127. La voluttà è madre della concupiscenza, l’irascibilità dell’ira, e la

malizia dell’invidia. Non vive in pace riguardo a tali passioni, colui che non

lotta contro quelle che le generano; né può entrare nel porto della

moderazione nelle passioni chi segue i comandamenti per costrizione.

128. Coloro che respingono gli assalti non permettono che i pensieri

entrino come fiere dentro la vigna razionale e si diano a devastarla. Quelli

invece che si intrattengono con essi, ma non si compiacciono, permettono

che entrino semplicemente senza però toccarne alcun frutto. Ma quelli che

conversano volentieri con le passioni mediante i pensieri, senza pervenire

tuttavia al consenso, è come se avessero lasciato entrare il cinghiale dentro

il campo per la siepe e non volessero poi permettergli di saziarsi dei

grappoli della vite: poi si accorgono che è più forte di loro, quando

giungono spesso a consentire alle passioni.

129. Non è pervenuto ancora alla semplicità chi ancora ha bisogno di

provvedersi della siepe della continenza. Infatti si dice che non il perfetto

esercita la continenza, ma chi ancora lotta. Il quale è simile a chi ha una

vigna o un campo in mezzo a molte altre vigne o campi, ma a parte, e

perciò ha bisogno di molta custodia e sobrietà.

Infatti, è assolutamente intoccabile la vigna di chi è pervenuto alla

semplicità, come la vigna di un re o di un altro potente terribile, che, anche

solo all’udirne incute terrore a ladri e passanti che tentassero di entrarvi.

130. Molti salgono sulla croce della sofferenza, ma pochi accettano

anche di esservi inchiodati: molti infatti si assoggettano a fatiche e afflizioni

volontarie; ma a quelle che vengono senza la propria scelta, sono soggetti

solamente coloro che sono morti perfettamente a questo mondo e al suo

riposo.

131. Molti hanno svestito le vesti di pelli, ma l’ultima, quella della

vanagloria, solo coloro che hanno avuto in abominio la compiacenza per se

stessi, che ne è madre.

132. Chi riceve gloria degli uomini e riposo del corpo ma non li accetta,

denudatosi dell’ultima veste, quella della vanagloria, è perciò fatto degno di

rivestire lo splendore dell’abitazione celeste, ricercata tra molti gemiti.

133. Altra cosa è l’operazione e altra l’operato. Questo è l’indice del

peccato consumato; quella, solamente del piacere unito alla passione che

opera interiormente e non all’esterno. Accogliendo tale piacere si è come

quelli che pur non essendo stati cacciati dalla loro terra, tuttavia pagano ai

dominatori in tributo ciò che quelli vogliono.

134. Quando ha forza il gusto nei piaceri, è impossibile che anche tutti

gli altri sensi non lo seguano insieme, anche se le parti sotto il ventre

sembrino restare in pace, nei più freddi, come quelle dei vecchi che per

l’indebolimento non si infiammano; ma non sarà giudicata casta un’adultera

sterile, per il fatto che non genera. Diremo invece casto chiunque non è

interiormente mosso dalla passione e non è sedotto da ciò che vede.

135. La parte concupiscibile dell’anima dà prova della sua qualità nei

cibi, nelle forme, nei suoni, siano seducenti siano d’altro genere. Nella

conoscenza, nella vista, nell’udito; sia che usi di queste cose, sia che ne

abusi, sia che si trovi in una posizione intermedia rispetto ai due

comportamenti.

136. Dove non precede il timore, i pensieri si troveranno nella

confusione, come pecore senza pastore. Se invece esso segue o precede,

saranno in bell’ordine, e dentro il recinto del buon pascolo.

137. Il timore è figlio della fede ed è pastore dei precetti. Chi non ha

acquistato la madre del timore, non sarà fatto degno di apparire come

pecora del pascolo del Signore.

138. Alcuni possiedono solo gli inizi delle virtù, altri anche il loro grado

medio e altri, le loro perfezioni. Senza queste, ciascuno sarà come un

soldato semplice o come un ufficiale senza rifornimenti; perciò, l’uno

sorveglierà solamente la propria casa da coloro che volessero assalirla;

l’altro non godrà dell’onore conveniente, fra i suoi compagni di grado.

139. Coloro che ci esortano a consentire ai piaceri della gola, quando

siamo ancora imperfetti, fanno come quelli che spingono a tagliare di nuovo

le ferite giunte ormai a guarigione, o a grattare la scabbia per provarne

piacere, o a mangiare cibi che eccitano la febbre, o a recintare di siepi la

propria vigna e permettere che vi entri come cinghiale selvaggio il

sentimento della carne e divori come grappoli d’uva i buoni pensieri. A

costoro non bisogna dar retta né piegarsi alle lusinghe inopportune degli

uomini e delle passioni; ma piuttosto fortificare la siepe con la continenza,

finché le fiere, cioè le passioni carnali, non cessino di ruggire, e perché non

scendano, come uccelli, i pensieri vani a devastare la vigna dell’anima,

feconda delle contemplazioni nel Cristo Gesù Signore nostro. Al quale, la

gloria nei secoli. Amen.

AMDG et DVM