Capitoli pratici e contemplativi
d. Filocalia
Qui è un prato pieno di frutti di pratica spirituale e contemplazione.
33. Un tempo, agli antichi era stato ordinato di offrire nel tempio le
primizie dell’aia e del frantoio. 70)Gli otto pensieri di passione o pensieri viziosi, che si
incominciano a classificare con Evagrio, sono i pensieri di golosità, fornicazione, amore del denaro, ira, tristezza,
accidia, vanagloria e superbia. Cfr. Cassiano il Romano, Al vescovo Castore. Gli otto pensieri viziosi, Filocalia I, p.129. ↵
Noi ora dobbiamo offrire a Dio le primizie
della pratica: continenza e verità; e della virtù contemplativa: carità e
preghiera. Con le prime tagliamo gli impeti della concupiscenza irrazionale
e dell’ira; con le seconde, i pensieri vani e le insidie del prossimo.
34. Principio della pratica sono continenza e verità; stato intermedio,
temperanza e umiltà; stato finale di essa, pace dei pensieri e santificazione
del corpo.
35. È pratica, non semplicemente poter fare il bene, ma anche il farlo
come si deve, quando colui che agisce adatta a ciò che fa il tempo e la
misura.
36. È contemplazione, non solo il contemplare le condizioni dei corpi,
ma anche a che cosa tendono le loro ragioni.
37. Non c’è né pratica sicura senza contemplazione né contemplazione
vera senza pratica. Bisogna infatti che la pratica sia razionale e la
contemplazione pratica; affinché, da una parte il vizio si trovi senza forza, e
dall’altra sia forte la virtù nel compiacersi del bene.
38. Termine della vita pratica è la mortificazione delle passioni; fine
della conoscitiva è la contemplazione delle virtù.
39. Come è la materia per la forma, così la pratica per la
contemplazione; e come l’occhio, per il volto, così la contemplazione per la
pratica.
40. Nello stadio della virtù pratica, molti corrono ma uno solo prende il
premio: colui che brama di giungere al suo traguardo con la
contemplazione.
41. Chi è dedito alla pratica beve nella preghiera una bevanda di
compunzione; ma il contemplativo si inebria di un calice eccellente; l’uno,
filosofando sulle realtà naturali, l’altro ignorando anche se stesso nel
pregare.
42. Chi è dedito alla pratica non è disposto a durare a lungo nella
contemplazione spirituale; infatti è come chi ha ricevuto ospitalità da
qualcuno e se ne va in fretta dalla casa di quello.
43. I dediti alla pratica, in forza della preghiera, entrano nelle porte dei
comandamenti di Dio; e i dediti alla contemplazione entrano con inni negli
atri delle virtù. Gli uni rendendo grazie perché sono stati sciolti dalle
catene; gli altri perché hanno anche preso prigionieri quelli che li
combattevano.
44. Bisogna che la forza della contemplazione sia commisurata a quella
della pratica, perché non accada, come a una nave che porta vele
sproporzionate, o di correre pericolo a causa della forza dei venti, quando le
vele sono troppo grandi, o di mancare dell’aiuto dei venti, quando sono
troppo piccole rispetto allo scafo.
45. Intendi i pensieri pii come rematori della nave spirituale; e remi, le
potenze vitali dell’anima: l’irascibile, il concupiscibile, la volontà e la libera
scelta. Chi è dedito alla pratica ne ha sempre bisogno, non sempre, invece,
anche il contemplativo. Costui infatti, nel tempo della preghiera, dato
l’addio a tutti, sedutosi lui stesso al timone del discernimento, durante tutta
la notte veglia in contemplazioni, presentando le sue lodi a Colui che
sostiene l’universo. E, come intonando una canzone d’amore, incanta la
propria anima mentre scruta le onde del mare salato e i suoi moti fragorosi,
stupefatto per i giudizi e le sentenze divine.
46. Chi sta nel mezzo tra pratica e contemplazione, alla maniera dei
marinai non naviga soltanto a remi né con le vele spirituali completamente
spiegate, ma compie quel che occorre per una buona navigazione con
ambedue i mezzi: portando volentieri sia le fatiche della pratica, perché
moderata dalla contemplazione, sia le ragioni della contemplazione
imperfetta, poiché è aiutato dalla pratica.
47. Chi è dedito alla contemplazione e ha la natura in accordo con la
volontà, naviga senza fatica come su una corrente; chi è dedito alla pratica e
trova che il suo modo di vivere contrasta con la scelta che ha fatto, sottostà
a molta tempesta di pensieri, e poco manca che corra il pericolo di cadere,
per il peso, nella riprovazione.
48. Né la terra che non sia stata ben lavorata dà seme copioso e puro al
seminatore; né chi persegue la pratica, se non lo fa con cura e senza
ostentazione, vedrà venire dalla preghiera un frutto abbondante e puro.
49. La mente che porta le orme di una preghiera incessante è come una
terra frequentemente battuta. Quella terra diverrà piana e potrà essere
toccata da piedi delicati, e quell’anima diverrà retta e luogo di preghiera
pura.
50. Nelle cose materiali, l’intelletto avrà come cooperatore il pensiero;
ma in quelle immateriali, se non lo allontana con la preghiera, avrà come un
aculeo a schiaffeggiarlo.
51. Colui che è dedito alla pratica, durante la preghiera ha un velo sul
cuore: la scienza delle cose sensibili, che per le sue relazioni non può essere
tolto. Solo il contemplativo, perché è privo di tali relazioni, può vedere, a
volto scoperto, in modo parziale, la gloria di Dio.
52. La preghiera unita alla contemplazione spirituale è la terra promessa
in cui scorre latte e miele, cioè la conoscenza delle ragioni divine sulla
provvidenza e il giudizio. La preghiera unita a qualcosa di naturale è
l’Egitto, in cui agli oranti viene il ricordo delle crasse concupiscenze, e la
preghiera semplice è la manna del deserto, che per la sua uniformità
preclude a quelli che non la tollerano i beni che nascono dal desiderio delle
promesse. Ma a coloro che perseverano a nutrirsi di questo cibo parco, esso
offre il gusto migliore e che rimane.
53. La pratica unita alla contemplazione sarà considerata come corpo
che ha lo spirito come principio direttivo; senza la contemplazione, come
carne, con spirito che si determina per libera scelta.
54. Atrio dell’anima razionale è la percezione sensibile; tempio, la
mente; sacerdote, l’intelletto. Nell’atrio sta l’intelletto impedito da pensieri
inopportuni; nel tempio, l’intelletto impedito da pensieri opportuni; da
nessuno di questi pensieri è saccheggiato l’intelletto fatto degno di entrare
nel sacrario divino.
55. Lamentazioni, canto lugubre e guai, per la fatica, si trovano nella
casa dell’anima pratica; voci di esultanza e di confessione, per la
conoscenza, si odono nella casa dell’anima contemplativa.
56. L’uomo della pratica, a causa delle fatiche, brama di levar l’ancora
ed essere con Cristo; il contemplativo si compiace piuttosto di rimanere
nella carne, sia per la gioia che riceve dalla preghiera sia per l’utilità del
prossimo che le si aggiunge.
57. La contemplazione precede la pratica in coloro che sono più dotati
di ragione e la pratica precede la contemplazione in coloro che sono più
rozzi; ma ambedue sfociano a un unico termine buono. Tuttavia esso si
mostrerà più presto a coloro nei quali la contemplazione precede la pratica.
58. La contemplazione delle realtà spirituali è un paradiso; in esso entra
il contemplativo, durante la preghiera, come dentro la propria casa. Il
pratico, invece, apparirà come un passante che brama affacciarvisi, ma non
gli è permesso dalla siepe che supera la sua statura spirituale.
59. Le passioni del corpo sono simili a fiere, quelle dell’anima a uccelli.
L’uomo della pratica caccia le une dalla vigna razionale, ma non ancora gli
uccelli, se prima non giunga alla contemplazione spirituale, quantunque
abbia certo grande zelo nella custodia delle cose interiori.
60. Il pratico non potrà andare al di là della bellezza morale se anche
lui, come il patriarca Abramo, non esce dalla legge naturale come dalla
propria terra; e dalla vita di relazione che essa comporta, come dal proprio
parentado. Così, infatti, anche costui riceverà come sigillo la spogliazione
dal piacere carnale che, come velo, ci avvolge dalla nascita e non permette
che ci venga accordata la completa libertà.
61. Né il puledro, in primavera, sopporta di rimanere a mangiare dalla
mangiatoia nella stalla; né l’intelletto iniziato da poco può durare a lungo
nello spazio ristretto della preghiera, giudicando più piacevole - come
quello - uscire verso l’ampiezza della contemplazione naturale, che si trova
nella salmodia e nella lettura.
62. La pratica ha come i fianchi cinti dal digiuno e dalla veglia che ne
sono le potenze vivificanti; la virtù contemplativa sta ritta avendo, come
lampade ardenti, il silenzio e la preghiera, sue potenze conoscitive. La
pratica ha il pensiero come pedagogo al digiuno e alla veglia; la
contemplazione ha la ragione intima come paraninfo per il silenzio e la
preghiera.
63. A un intelletto imperfetto non è consentito di entrare nella vigna
ricca di frutti, della preghiera; ma solo ai semplici echi dei salmi, come un
povero ai racimoli.
64. Come non tutti quelli che vanno a un colloquio col re possono
pranzare con lui; così neppure tutti quelli che hanno la felice sorte di
giungere alla preghiera, appariranno essere nella preghiera contemplativa.
65. Il silenzio al momento opportuno è freno all’ira; il cibo moderato,
alla concupiscenza irrazionale; la preghiera monologica,71 al pensiero
irrefrenabile.
66. Sia colui che entra nel profondo del mare per cogliervi una perla
sensibile, sia chi entra in quello della conoscenza per cogliervi la perla
spirituale, se non si spogliano - quello delle vesti e questo della percezione
sensibile - non raggiungeranno, né l’uno né l’altro, quello che cercano.
67. L’intelletto che nel pregare giunge nell’intimo della mente si troverà
come lo sposo che conversa con la sposa nel talamo; ma quello a cui non è
consentito entrare, stando fuori grida nel suo lamento: Chi mi condurrà alla
città fortificata? o chi mi guiderà fino a non guardare alle vanità e alle
ingannevoli follie, nella preghiera?
68. Come il cibo senza sale per la gola, così la preghiera che viene
all’intelletto senza compunzione.
69. L’anima che insegue ancora la preghiera assomiglia a una
partoriente in travaglio; quella che l’ha afferrata, a una donna che ha
concepito ed è piena di gioia per il figlio.
70. Un tempo, l’amorreo che abitava sulla montagna veniva incontro a
ferire quelli che erano costretti a passare per il suo territorio; ora, il cattivo
oblio insegue coloro che prima della santificazione intraprendono l’ascesa
alla più alta preghiera della semplicità.
71. I demoni hanno naturalmente grande inimicizia per la preghiera
pura, ma ciò che li atterrisce non è la quantità dei salmi, come un esercito
coi nemici esteriori, bensì l’accordo delle tre cose: dell’intelletto con la
ragione e della ragione con la percezione sensibile.
72. La semplice preghiera apparirà agli oranti come pane che corrobora,
e quella unita a una certa contemplazione, come olio che impingua; quella
poi con assenza di forme, come vino profumato: chi si riempie
insaziabilmente di esso, esce di sé.
73. È detto che l’asino selvatico se ne ride delle moltitudini della città e
che l’unicorno non può essere legato da nessuno; così l’intelletto che
domina i pensieri naturali e contro natura se ne ride dei pensieri di vanità,
mentre prega, e non può essere dominato da nessuna delle cose che sono
soggette alla percezione sensibile.
74. Chi agita un bastone davanti ai cani li eccita contro di sé; così fa coi
demoni, chi si sforza di pregare con purezza.
75. Bisogna che chi lotta, restringa a un nutrimento uniforme la sua
percezione sensibile, e l’intelletto alla preghiera monologica. Infatti,
divenuto, così, indomabile dai piaceri, durante la preghiera giungerà anche
a essere rapito presso il Signore.
76. Per i voluttuosi, che quando pregano sono come luoghi melmosi, i
pensieri che li distraggono sono come rane; per i moderati, invece, le
contemplazioni sono come usignoli che li dilettano col vagare da un ramo
all’altro, cioè passando per svariate contemplazioni. Ma per gli impassibili
c’è il silenzio e molta tranquillità di pensieri e di concetti, nella preghiera.
77. Anticamente, Maria sorella di Mosè, quando ebbe visto i nemici
sconfitti, preso il timpano, guidava le donne che cantavano l’inno di
vittoria; ora, invece, a elogio dell’anima che ha vinto le passioni, alzatasi la
più eccellente delle virtù, la carità, maneggiando, come la cetra
accompagnata dal canto, la contemplazione già conseguita con fatica, per
aumentare ancor più la bellezza dell’anima, non cessa con le sue compagne
di lodare Dio nell’esultanza.
78. Quando per la continuità della preghiera, vengono trattenute, nel
cuore di chi prega, le parole dei salmi, allora anche la terra stessa del cuore,
poiché è buona, incomincia a produrre spontaneamente: come rose, la
contemplazione degli incorporei; come gigli, le luminosità dei corpi; come
viole, la varietà inconoscibile dei giudizi divini.
79. La fiamma imprigionata nella materia è portatrice di luce; ma
l’anima sciolta dalla materia è portatrice di Dio. Quella è naturale che si
innalzi finché trova materia da bruciare; questa fino alla perfezione
dell’amore divino.
80. L’anima che ha rinnegato compiutamente se stessa ed è interamente
tesa in alto alla preghiera, trovandosi al di sopra della creazione, non
ridiscende quando vuole; ma quando sembrerà giusto a Colui che governa
le nostre cose con peso e misura.
81. Quando sia stata respinta l’accidia dall’anima e la cattiveria sia stata
scossa via dalla mente, allora l’intelletto, fatto nudo per la semplicità e per
la vita senza artifici e senza il velo della vergogna, canta un canto anch’esso
nuovo a Dio. E intona un canto nella gioia, rendendo grazie nel celebrare la
festa della dedicazione della vita futura.
82. Quando l’anima che prega incomincia a essere mossa verso
operazioni più divine, allora anch’essa, come la sposa del Cantico, grida in
risposta alle sue compagne tali parole: Il mio diletto ha messo la sua mano
allo spiraglio e il mio ventre si è turbato per lui.
83. Il soldato congedato dalla guerra si spoglia del peso delle armi, e il
pratico, giungendo alla contemplazione, si spoglia dei pensieri. Infatti, né
quello ha bisogno delle armi se non in guerra, né questo dei pensieri, se non
dà spazio a ciò che è sensibile.
84. Quelli della pratica contemplano i corpi nella loro costituzione, i
contemplativi nella loro natura; solo gli gnostici vedono le ragioni di
ambedue le cose.
85. Nelle ragioni dei corpi, si conoscono gli incorporei, e nelle ragioni
degli incorporei, il Verbo sovrasostanziale, per giungere al quale ogni anima
virtuosa brama di levare l’ancora.
86. Le ragioni degli incorporei sono come ossa ricoperte agli occhi
sensibili, e non le vede nessuno di quelli che non sono usciti
dall’attaccamento alle realtà sensibili.
87. Lasciata la guerra, il soldato depone le armi; e il contemplativo i
pensieri, levando l’ancora verso il Signore.
88. Cade nello scoraggiamento il generale che manca il bottino in
guerra; così il pratico, nella preghiera, se non raccoglie la contemplazione
spirituale.
89. La cerva morsa da una fiera corre alle fonti corporee delle acque;
ma l’anima ferita dalla dolcissima freccia della preghiera, corre ai raggi
incorporei.
90. Né l’occhio corporeo può vedere il chicco di grano se questo non sia
denudato della guaina; né l’intelletto pratico può vedere la sua propria
natura, se esso non sia denudato delle relazioni che lo avvolgono.
91. Le stelle si nascondono al sorgere del sole, e i pensieri vengono
meno quando l’intelletto si rivolge di nuovo al proprio regno.
92. Al termine della pratica, le contemplazioni spirituali, circonfuso
l’intelletto, come raggi del sole che spuntano all’orizzonte, sembrano
irrompere dal di fuori di esso, mentre gli appartengono e lo abbracciano per
la sua purezza.
93. Anche l’intelletto contemplativo quando, piegatosi per necessità
della natura scende dall’alto del cielo, può proferire parole simili a quelle di
colui che ha gridato: Che cosa c’è di più mirabile della bellezza divina? E
quale pensiero è più amabile di quello della magnificenza di Dio? E quale
desiderio così acuto e incontenibile, come quello che da Dio si avvicina
all’anima purificata da ogni vizio e che con tutta se stessa dice: Ferita
d‘amore sono io?
94. Dire: Il mio cuore si è riscaldato dentro di me, e nella mia
meditazione si accenderà un fuoco è proprio di colui che non si stanca a
inseguire Dio con la preghiera e che, non desidera vedere neppure un giorno
dell’uomo.
95. Anche l’anima pratica, dopo che avrà deposto i vizi, ai maligni
demoni e pensieri che ancora la vogliono costringere a volgersi verso le
vanità e le ingannevoli follie, dice come la sposa del Cantico: Mi sono tolta
la veste, e come la rimetterò? Mi sono lavata i piedi, come li sporcherò di
nuovo?
96. È dell’anima amante di Dio osare dire a Dio: Dimmi, o buon
pastore, dove pascoli le tue pecore e dove fai riposare i tuoi agnelli a
mezzogiorno? Affinché seguendoli io non sia come circondata dai greggi
dei tuoi compagni.
97. L’anima pratica che cerca di afferrare la ragione della preghiera e
non riesce grida anch’essa come la sposa dei Cantici: Sul mio letto, la notte,
ho cercato colui che ho amato; l’ho cercato e non l’ho trovato, l’ho
chiamato e non mi ha ascoltato; mi alzerò mediante una preghiera più
laboriosa e, in giro per la città, nelle vie e nelle piazze cercherò colui che ho
amato, forse si farà trovare da me colui che è in questo universo e fuori
dell’universo; e sarò saziata all’apparirmi della sua gloria
98. Quando l’anima incomincia a essere tutta in lacrime per la gioia
della preghiera, allora anch’essa piena di audacia, come la sposa al suo
sposo, grida: scenda il mio diletto nel suo giardino e mangi la faticata
consolazione delle mie lacrime, come frutti.
99. Quando l’anima pratica incomincia ad ammirare il Creatore per la
grandezza e la bellezza delle creature e a deliziarsi del piacere che viene da
queste, anch’essa, attonita, grida queste cose: come sei bello, sposo,
paradiso del Padre tuo; o fiore della pianura e suo cedro che è come i cedri
del Libano! Ho desiderato sedermi alla sua ombra e il suo frutto è parso
dolce al mio palato.
100. Se colui che riceve dei re nel suo palazzo viene trovato persona
illustre e ammirata e piena di ogni gioia, quanto più l’anima che riceve il re
dei re nel suo purificarsi, secondo la promessa di lui, che non mente. Ma
una tale anima deve mettersi al sicuro con grandissima pietà, gettando fuori
tutto ciò che le appaia non contribuire al suo riposo, e introducendo tutto
ciò che gli è gradito.
101. Colui che si aspetta di essere chiamato dal re il giorno dopo, di che
cosa altro potrà curarsi, se non di meditare le parole che gli saranno gradite?
L’anima che si comporterà così non apparirà impreparata al tribunale di là.
102. Beata l’anima che, attendendo oggi l’arrivo del suo Signore,
considera nulla tutta la fatica del giorno e quella della notte, perché egli
subito, la mattina presto, comparirà.
103. Dio vede tutti, ma vedono Dio quelli che non considerano nulla
mentre pregano; e quanti vedono Dio sono anche esauditi da lui, ma quanti
non sono esauditi, neppure lo vedono. Beato chi crede di essere veduto da
Dio: poiché non sarà scosso il suo piede privo del suo gradimento.
104. I beni del regno che è dentro di noi, quelli che l’occhio bramoso di
cose belle non vide, e l’orecchio bramoso di onore non udì, e in un cuore
vuoto di Spirito santo non salirono, sono caparre dei beni che saranno dati
ai giusti, nel regno futuro, da Dio. E chi non si delizia di questi beni, che
sono i frutti dello Spirito, non può giungere al godimento dei beni futuri.
105. I pensieri dei pratici sono simili alle cerve. Come, infatti, quelle
sono ora in alto, sui monti, per paura dei cacciatori, ora in basso, nelle valli,
per il desiderio di ciò che vi si trova, così anche costoro: non possono
sempre essere nella contemplazione spirituale, per la loro pochezza; né
sempre in quella naturale, per il fatto che non perseguono sempre il riposo. I
pensieri dei contemplativi, invece, se ne restano incuranti delle
considerazioni terrestri.
106. Gocce di rugiada inebriano i solchi della terra, e gemiti che stillano
dal cuore le disposizioni dell’anima in preghiera.
107. Nessuno è capace di vedere la divinità che si considera nella
Trinità, se non apparirà più alto della dualità materiale e dell’unità che le
appartiene; ma non potrà diventarne più alto se non avrà unificato il proprio
intelletto nelle realtà che considera.
108. Non si troverà tanto difficile trattenere il corso del fiume, perché
non travolga tutto sotto di sé, quanto arrestare la foga dell’intelletto perché
non si disperda nelle realtà visibili e invece si concentri sulle cose dell’alto,
familiari a chi prega, quando lo si voglia. E ciò, nonostante che questa
operazione sia secondo natura e quella contro natura.
109. Coloro che sono puri, quando portano il proprio intelletto fra le
realtà che vedono, si riempiono di tanto stupore e sono riempiti di tanta
gioia, che non possono contenere nient’altro di terrestre, neppure se tutte le
cose desiderabili affluissero verso di loro.
110. Sono sufficienti anche solo i pascoli cosiddetti naturali, per fare
provare grande meraviglia; ma i prati dell’intelletto si trovano fioriti e
stillano da fiori puri la dolcezza del magnifico convito spirituale, come da
nettare del cielo.
111. Sui fiori rugiadosi dei prati, le api stanno intorno alla regina dello
sciame; ma all’anima incessantemente compunta stanno intorno
familiarmente le potenze spirituali, faticando con essa per farle conseguire
ciò che desidera.
112. Nel cosmo visibile l’uomo appare a sua volta come un cosmo. Nel
mondo intelligibile, tale appare il pensiero. L’uomo è araldo del cielo, della
terra e delle realtà fra cielo e terra. Il pensiero è interprete dell’intelletto,
della percezione sensibile e delle cose con essa percepite. Senza l’uomo e
senza l’intelletto ambedue i mondi sarebbero senza voce.
113. Il prigioniero, rilasciato dopo molto tempo, non se ne va con tanta
gioia come l’intelletto liberato dagli affetti cammina con piede esultante
verso le realtà celesti, ormai sue.
114. Da chi non prega con attenzione, ma dissipato, il salmo viene
giudicato barbaro; ed egli barbaro, dal salmo; ma ambedue, pazzi furiosi dai
demoni.
115. Non sono la stessa cosa coloro per cui il mondo è crocifisso e
coloro che sono crocifissi al mondo; per gli uni, infatti, sono chiodi il
digiuno e la veglia; per gli altri, la povertà e il disprezzo. Senza queste due
cose, le fatiche dei primi sono vane.
116. Nessuno che sia posseduto dalla passione della brama di cose belle
e della brama di onore può pregare con purezza. Infatti, poiché a queste
cose sono di solito uniti affetti e pensieri di vanità, essi divengono funi che
lo avvolgono e, nel tempo della preghiera, trascinano l’intelletto come un
uccello legato che tenta di volare.
117. È impossibile che sia in pace, nel tempo della preghiera, l’intelletto
che non si è fatta amica continenza e carità. L’una, infatti, lotta per
abbattere l’inimicizia del corpo verso l’anima, e l’altra, quella verso il
prossimo, per Dio. Perciò la pace che supera ogni intelletto è promesso che
verrà e che prenderà dimora in colui che è così pacificato.
118. È necessario che chi lotta per entrare nel regno di Dio faccia
abbondare nel bene l’opera della sua giustizia: nelle elemosine, offrendo
dalla sua indigenza; nelle fatiche per la pace, rispondendo con la pazienza
nel Signore.
119. Né chi possiede poca virtù, per la negligenza, né chi ne ha troppa,
per la presunzione, sarà trovato nel porto della impassibilità. Infatti, né
l’uno né l’altro è giunto al godimento dei beni che vengono dalla giustizia,
che si trova in mezzo fra il difetto e l’eccesso.
120. Come la terra non può fare ricco l’agricoltore se gli rende il puro
seme, o anche con una piccola aggiunta, ma non glielo dona moltiplicato,
così il pratico: ciò che compie non può renderlo giusto se il suo zelo verso
Dio non sia trovato superiore a ciò che si era proposto.
121. Né tutti quelli che non amano il prossimo lo odiano; né tutti quelli
che non lo odiano lo amano. E una cosa è invidiarne il progresso, altra il
non essergli di impedimento per il progresso. Ma l’estremo grado della
malizia sta in ciò: che non solo ci si roda per i suoi successi, ma anche che
si calunnino le sue opere buone, come se non fossero tali.
122. Altre sono le passioni del corpo, altre quelle dell’anima. Altre
quelle secondo natura, altre quelle contro natura. Colui che respinge le une
e non è previdente riguardo alle altre è simile a un uomo che costruisce una
siepe alta e fitta contro le fiere, ma si compiace che gli uccelli mangino i
grappoli della vite razionale, di fatto lasciandoli in mostra.
123. L’anima perviene innanzitutto a fantasticare il male, poi a
desiderarlo, quindi a goderne o a rattristarsene, cioè a percepirlo in modo
sensibile: in seguito, ad esserne ferita in modo manifesto o nascosto. Tutte
queste fasi sono accompagnate dai pensieri, eccetto il primo moto: se
questo non viene accolto, non potrà darsi in seguito alcun male.
124. Coloro che sono vicini all’impassibilità sono toccati dalle sole
fantasie; quelli che sono moderati nelle passioni, giungono fino al desiderio,
mentre a percepire sensibilmente il male giungono coloro che abusano delle
cose necessarie, ma poi se ne rattristano; ad esserne feriti, coloro che
convivono con esse senza rattristarsene.
125. Il piacere ha sede in tutte le membra del corpo, ma non a tutte si
mostra molesto allo stesso modo. In alcuni lo è più contro la parte
concupiscibile dell’anima, in altri contro quella irascibile, e in altri contro la
parte razionale di essa, mediante la golosità, l’irascibilità e la malizia, causa
di tutte le nefande passioni.
126. È necessario aprire i sensi come le porte della città: è necessario
cioè non permettere, nell’aprirli per le cose necessarie, che entrino insieme
anche le genti che vogliono le guerre e procurano occasioni di lotta.
127. La voluttà è madre della concupiscenza, l’irascibilità dell’ira, e la
malizia dell’invidia. Non vive in pace riguardo a tali passioni, colui che non
lotta contro quelle che le generano; né può entrare nel porto della
moderazione nelle passioni chi segue i comandamenti per costrizione.
128. Coloro che respingono gli assalti non permettono che i pensieri
entrino come fiere dentro la vigna razionale e si diano a devastarla. Quelli
invece che si intrattengono con essi, ma non si compiacciono, permettono
che entrino semplicemente senza però toccarne alcun frutto. Ma quelli che
conversano volentieri con le passioni mediante i pensieri, senza pervenire
tuttavia al consenso, è come se avessero lasciato entrare il cinghiale dentro
il campo per la siepe e non volessero poi permettergli di saziarsi dei
grappoli della vite: poi si accorgono che è più forte di loro, quando
giungono spesso a consentire alle passioni.
129. Non è pervenuto ancora alla semplicità chi ancora ha bisogno di
provvedersi della siepe della continenza. Infatti si dice che non il perfetto
esercita la continenza, ma chi ancora lotta. Il quale è simile a chi ha una
vigna o un campo in mezzo a molte altre vigne o campi, ma a parte, e
perciò ha bisogno di molta custodia e sobrietà.
Infatti, è assolutamente intoccabile la vigna di chi è pervenuto alla
semplicità, come la vigna di un re o di un altro potente terribile, che, anche
solo all’udirne incute terrore a ladri e passanti che tentassero di entrarvi.
130. Molti salgono sulla croce della sofferenza, ma pochi accettano
anche di esservi inchiodati: molti infatti si assoggettano a fatiche e afflizioni
volontarie; ma a quelle che vengono senza la propria scelta, sono soggetti
solamente coloro che sono morti perfettamente a questo mondo e al suo
riposo.
131. Molti hanno svestito le vesti di pelli, ma l’ultima, quella della
vanagloria, solo coloro che hanno avuto in abominio la compiacenza per se
stessi, che ne è madre.
132. Chi riceve gloria degli uomini e riposo del corpo ma non li accetta,
denudatosi dell’ultima veste, quella della vanagloria, è perciò fatto degno di
rivestire lo splendore dell’abitazione celeste, ricercata tra molti gemiti.
133. Altra cosa è l’operazione e altra l’operato. Questo è l’indice del
peccato consumato; quella, solamente del piacere unito alla passione che
opera interiormente e non all’esterno. Accogliendo tale piacere si è come
quelli che pur non essendo stati cacciati dalla loro terra, tuttavia pagano ai
dominatori in tributo ciò che quelli vogliono.
134. Quando ha forza il gusto nei piaceri, è impossibile che anche tutti
gli altri sensi non lo seguano insieme, anche se le parti sotto il ventre
sembrino restare in pace, nei più freddi, come quelle dei vecchi che per
l’indebolimento non si infiammano; ma non sarà giudicata casta un’adultera
sterile, per il fatto che non genera. Diremo invece casto chiunque non è
interiormente mosso dalla passione e non è sedotto da ciò che vede.
135. La parte concupiscibile dell’anima dà prova della sua qualità nei
cibi, nelle forme, nei suoni, siano seducenti siano d’altro genere. Nella
conoscenza, nella vista, nell’udito; sia che usi di queste cose, sia che ne
abusi, sia che si trovi in una posizione intermedia rispetto ai due
comportamenti.
136. Dove non precede il timore, i pensieri si troveranno nella
confusione, come pecore senza pastore. Se invece esso segue o precede,
saranno in bell’ordine, e dentro il recinto del buon pascolo.
137. Il timore è figlio della fede ed è pastore dei precetti. Chi non ha
acquistato la madre del timore, non sarà fatto degno di apparire come
pecora del pascolo del Signore.
138. Alcuni possiedono solo gli inizi delle virtù, altri anche il loro grado
medio e altri, le loro perfezioni. Senza queste, ciascuno sarà come un
soldato semplice o come un ufficiale senza rifornimenti; perciò, l’uno
sorveglierà solamente la propria casa da coloro che volessero assalirla;
l’altro non godrà dell’onore conveniente, fra i suoi compagni di grado.
139. Coloro che ci esortano a consentire ai piaceri della gola, quando
siamo ancora imperfetti, fanno come quelli che spingono a tagliare di nuovo
le ferite giunte ormai a guarigione, o a grattare la scabbia per provarne
piacere, o a mangiare cibi che eccitano la febbre, o a recintare di siepi la
propria vigna e permettere che vi entri come cinghiale selvaggio il
sentimento della carne e divori come grappoli d’uva i buoni pensieri. A
costoro non bisogna dar retta né piegarsi alle lusinghe inopportune degli
uomini e delle passioni; ma piuttosto fortificare la siepe con la continenza,
finché le fiere, cioè le passioni carnali, non cessino di ruggire, e perché non
scendano, come uccelli, i pensieri vani a devastare la vigna dell’anima,
feconda delle contemplazioni nel Cristo Gesù Signore nostro. Al quale, la
gloria nei secoli. Amen.
AMDG et DVM