lunedì 2 gennaio 2017

San Francesco d'Assisi - Testamento (1226)

 San Francesco d'Assisi - Testamento del 1226 

San Francesco d'Assisi



  Testamento (1226)
Il Signore concesse a me, frate Francesco, d'incominciare così a far penitenza: poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia.

E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.
E il Signore mi dette tale fede nelle chiese, che io così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, anche in tutte le tue chiese che sono nel mondo intero e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo.

Poi il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà.

E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come i miei signori. E non voglio considerare in loro il peccato, poiché in essi io riconosco il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dello stesso altissimo Figlio di Dio nient'altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue che essi ricevono ad essi soli amministrano agli altri.

E voglio che questi santissimi misteri sopra tutte le altre cose siano onorati, venerati e collocati in luoghi preziosi.

E dovunque troverò manoscritti con i nomi santissimi e le parole di lui in luoghi indecenti, voglio raccoglierli, e prego che siano raccolti e collocati in luogo decoroso.

E dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che amministrano le santissime parole divine, così come coloro che ci amministrano lo spirito e la vita. E dopo che il Signore mi diede dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò.

E quelli che venivano per abbracciare questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevano avere di più.

Noi chierici dicevamo l'ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater Noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese. Ed eravamo illetterati e sottomessi a tutti.

Ed io lavoravo con le mie mani e voglio lavorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavorino di un lavoro quale si conviene all'onestà. Coloro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di ricevere la ricompensa del lavoro, ma per dare l'esempio e tener lontano l'ozio.

Quando poi non ci fosse data la ricompensa del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore, chiedendo l'elemosina di porta in porta.

Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto:"Il Signore ti dia la pace! ".

Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.

Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna (di privilegio) nella curia romana, nè personalmente nè per interposta persona, nè per una chiesa nè per altro luogo, nè per motivo della predicazione, nè per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio.

E fermamente voglio obbedire al ministro generale di questa fraternità e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi. E così voglio essere prigioniero nelle sue mani, che io non possa andare o fare oltre l'obbedienza e la sua volontà, perché egli è mio signore.

E sebbene sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico, che mi reciti l'ufficio, così come è prescritto nella Regola.

E non dicano i frati: Questa è un'altra Regola, perché questa è un ricordo, un'ammonizione, un'esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei fratelli benedetti, perché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore.

E il ministro generale e tutti gli altri ministri custodi siano tenuti, per obbedienza, a non aggiungere e a non togliere niente da queste parole.

E sempre tengano con se questo scritto assieme alla Regola. E in tutti i capitoli che fanno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole.

E a tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola e in queste parole dicendo: "Così si devono intendere" ma, come il Signore mi ha dato di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così cercate di comprenderle con semplicità e senza commento e di osservarle con sante opere sino alla fine.

E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell'altissimo Padre, e in terra sia ricolmato della benedizione del suo Figlio diletto col santissimo Spirito Paraclito e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i Santi. Ed io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che io posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. (Amen).
  

IHS

Il nome santissimo del Signore Gesù


Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25)

Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio. 

Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi: 

Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”. 

Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”. 
Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio. 

Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (
Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio. 

Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”. 

La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (
Rom. 10, 9-13). 
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore. 

L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. 

Il culto liturgico del Nome di Gesù

Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico. 

Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494). 
Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721. 
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa. 
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano. 
Il trigramma di san Bernardino da Siena

Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro. 

Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato. 

Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli. 

Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”. 
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità. 
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore. 

Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H. 

Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti. 

Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti. 

Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione. 
In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.

La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo. 
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.

Autore: 
Antonio Borrelli

Il monogramma del nome di Gesù ebbe vasta diffusione in tutta la cristianità ad opera del grande predicato­re francescano Bernardino da Siena, che percorse per decenni l'Italia cen­tro-settentrionale infiammando le piazze e i cuori. Il testamento del santo, documento di commovente intensità umana, inizia con queste parole: 
"In primo luogo vi lascio la cosa più preziosa che io vi possa lasciare, cioè il nome di Gesù del quale sono divotissimo, ch'è nome sopra ogni nome; e questo dolcissimo ed alto nome abbiatelo sempre segnato nelle menti e fronti vostre, affinché sempre vi accompagni in ogni luogo; cosicché quando sorgete dal letto, il segno della santa croce nel nome di Gesù sia principio di ogni vostra intenzione ed opera; quando sedete a mensa cominciate nel nome di Gesù, similmente quando v'alzate da essa o scrivete lettere, la prima parola sia nel nome di Gesù" . 
San Bernardino a Modena nell' anno santo 1423 (per ritornarvi poi anche nel 1429). In quell' occasione, nell' accomiatarsi dai modenesi dopo aver predicato appas­sionatamente generando conversioni, riconciliazioni, rinnovata affezione alla vita cristiana e due confraternite, lasciò a ricordo del suo passaggio, come era solito fare, delle piccole, originali tavolette fatte dipingere secondo le sue indicazioni (erano i santini di allora). Una, più grande, la lasciò alla confraternita dell'Annun­ziata. Quella tavoletta è tuttora custo­dita (ed esposta) nella chiesa di Santa Maria delle Asse in corso Canal gran­de. 
Immagine
Essa rappresenta proprio il monogram­ma del nome di Gesù, in una versione molto densa di simboli realizzata secondo il gusto estetico del tempo, l'ultimo gotico.
Al centro di una rag­giera di 96 raggi con inserite 12 lin­gue di fuoco sono inseriti tre caratteri alfabetici formati da nastri svolazzan­ti con estremità floreali.
I caratteri sono la y (allora usata al posto della i), la h e la s, da lui letti come iniziali delle parole JESUS HOMINUM SALVATOR (= GESÙ SALVATORE DEGLI UOMINI) .
L'asta ascendente della lettera centra­le h si trasforma in croce nella quale sono infissi tre chiodi.
Nella cornice quadrilobata si legge la frase: IN NOMINE JESU OMNE GENUFLECTATUR
CCELESTIUM TERRESTRIUM ET INFERNO­RUM
 (=NEL NOME DI GESÙ OGNI GINOC­CHIO SI PIEGHI NEI CIELI, SULLA TERRA E SOTTO TERRA), tratta dalla lettera di san Paolo ai Filippesi.

Il tutto in colore oro (simbolo della gloria, della divinità) su fondo blu (il colore del cielo).

Quei tre caratteri, ereditati da un' antica abbreviazione greca del nome di Gesù (data dalle sue prime tre lettere ΙΗΣΟΥΣ) cioè I H S, costituirebbero propriamente un trigramma, ma il loro strettissimo intreccio grafi­co e semantico ha fatto sì che si parlasse di monogramma.
Il disegno di quella tavoletta funse da prototipo, e cominciò da allora ad essere riprodotto in formelle di piccole dimensioni per essere murato al!' esterno delle case, sopra i portoni o di fianco ad essi, con evidente triplice significato: di primordiale richiesta di protezione, di confessione di fede e appartenenza cristiana, di benedizione e richiamo a chi entra e a chi transita.
Per comprendere l'importanza del nome, si consideri che nella cultura del tempo, tutta improntata dall' avvenimento cristiano, erede a sua volta della sacralità della storia veterotestamentaria, il nome non era un semplice dato anagrafico della persona ma molto di più, arrivando a significare, ad esprimere, ad evo­care qualcosa dell'essenza stessa della persona che lo porta (ancora oggi i cristiani si riuniscono abitual­mente nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo). 

Dopo un secolo cadono in disuso i caratteri gotici ma non il richiamo al nome e perciò alla presenza di Gesù. Con la riscoperta del classico carattere lapidario romano (che è solo maiuscolo) il monogramma viene ridisegnato: la croce, resa indipendente, si appoggia all'asse orizzontale della H, mentre i chiodi si staccano da essa per ritrovarsi in basso raggruppati come un marzetto. 

In pieno cinquecento compare un altro grande uomo, Ignazio di Loyola, con la sua Compagnia di Gesù. Il simbolo del nome  di Gesù viene assunto come emblema, e le tre lettere sono rilette come iniziali delle parole JESUM HABEMUS SOCIUM (=ABBIAMO GESU COME COMPAGNO). La raggiera bernardiniana viene mantenuta, come simbolo dell'irradiazione in tutte le direzioni di quella luce che è Cristo. Le lingue di fuoco inserite in essa richiamano quella frase di Gesù: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e quanto desidero che si accenda!".                                   
In tutti i casi (simbolo IHS di tipologia bernardiniana, romana, gesuitica) si tratta sempre di un monogramma cristologico che parla di Cristo.
Parla e precisamente annuncia questo:

  1. Gesù è il salvatore di tutti gli uomini
  2. Questa salvezza è stata attuata mediante la Sua morte in croce e la Sua risurrezione
  3. La fede e l'invocazione degli abitanti di questa casa la rende presente nell'anno tale (dove il millesimo della data è esso stesso, tuttora ed in buona parte del mondo, riferimento cronologico alla nascita di Gesù Cristo).
                        Testi tratti da "Segni Sacri a Modena - Censimento dei  monogrammi cristologici e mariani nel centro storico" - a cura di Alberto Desco

[PDF]

www.conchiglia.mx/...ITALIA/C.../08.157_CONTRO_LA_BESTEMMIA_08.10.08.pdf
08 ott 2008 - CHI BESTEMMIA DIO BESTEMMIA SE STESSO ... Chi sta con Gesù sta con Dio e nulla deve temere e tutto può fare attraverso di Lui che ...
IHS

La Sua Divinità è Onnipotente, Tutta Bontà, Tutta Impenetrabile, e negare la Sua Divinità vuol dire negare la Potenza di Dio.

11 aprile 2014 – La Madre della Salvezza: Gesù era come voi in ogni cosa, eccetto che nel peccato, perché questo sarebbe stato impossibile


Mia cara figlia, sette angeli caduti attaccheranno questa Missione e cercheranno di ingannare i figli di Dio perché non rimangano fedeli al suo Esercito Rimanente. Essi appariranno a coloro che ingannano dicendo di essere angeli della Luce, quando, in realtà, sono tutt’altro.
Il potere di Satana è molto forte e la sua presenza nel mondo è evidente poiché egli sceglie tutti i suoi fedeli, per incoraggiarli a ostentare la loro presenza. Egli lo fa attraverso la musica, le religioni che non sono di mio Figlio Gesù Cristo, e attraverso coloro che seguono i cosiddetti santi gruppi, che idolatrano la bestia e il suo dominio sulla Terra.
Figli, dovete sempre seguire mio Figlio in tutte le cose che Egli ha insegnato durante il Suo Tempo sulla Terra. La Sua Santa Parola è sacrosanta ed è tutto ciò che avete bisogno di sapere, se volete seguire il Suo cammino verso la Vita Eterna. Voi dovete rimanere concentrati sul vostro desiderio di avere la Vita Eterna e vivere le vostre vite come mio Figlio vi ha mostrato. Non accettate mai nulla che metta in dubbio la Sua Divinità. L’uomo che osa dichiarare falsità su mio Figlio non ha il Dono dello Spirito Santo, ed è quindi indegno di definire tutto ciò che è mio Figlio. 
Mio Figlio è il vostro Divino Salvatore, che ha abbassato Sé Stesso facendosi uomo. Quando nacque, il Verbo si fece Carne e così Gesù Cristo fu un uomo in tutti i sensi. Gesù era come voi in ogni cosa, eccetto che nel peccato, perché questo sarebbe stato impossibile. Il Figlio di Dio è stato mandato per redimere l’umanità e salvare ciascuno di voi dalla morte che viene dalla schiavitù di Satana. La Sua Divinità è Onnipotente, Tutta Bontà, Tutta Impenetrabile, e negare la Sua Divinità vuol dire negare la Potenza di Dio. Se farete questo, dichiarerete la vostra fedeltà al demonio. 
Figli, dovete recitare questa Crociata di Preghiera e invocare me, la vostra Madre, per proteggervi dagli inganni che vi metteranno davanti, per incoraggiarvi a negare la Potenza di Dio.
Crociata di Preghiera (146) Protezione contro l’inganno
Cara Madre della Salvezza, proteggi me con la Grazia della protezione contro gl’inganni, creati da Satana per distruggere la fede dei Cristiani.
Proteggici contro i nemici di Dio. Mantienici al sicuro dalle bugie e dall’eresia, usate per indebolire il nostro amore per tuo Figlio. Aprici gli occhi alle falsità, all’imbroglio e ad ogni tentativo d’incoraggiarci nel negare la Verità. Amen.
Grazie per aver risposto alla mia chiamata per avvertirvi del grande inganno che presto scenderà sopra la Chiesa di mio Figlio sulla Terra.
La vostra amata Madre
La Madre della Salvezza

domenica 1 gennaio 2017

ALLA SCUOLA DI SAN FRANCESCO IL PIU' SANTO TRA I SANTI

CHE I FRATI NON FACCIANO INGIURIA NÉ DETRAZIONE,
MA Sl AMINO SCAMBIEVOLMENTE

[36] 1 E tutti i frati si guardino dal calunniare alcuno, e evitino le dispute di parole (Cfr. 2Tm 2,14), 2 anzi cerchino di conservare il silenzio, se Dio darà loro questa grazia. 3 E non litighino tra loro, né con gli altri, ma procurino di rispondere con umiltà, dicendo: Sono servo inutile (Cfr. Lc 17,10).
[37] 4 E non si adirino, perché chiunque si adira col suo fratello, sarà condannato al giudizio; chi avrà detto al suo fratello "raca", sarà condannato nel Sinedrio; chi gli avrà detto "pazzo", sarà condannato al fuoco della Geenna (Mt 5,22). 
5 E si amino scambievolmente, come dice il Signore: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente come io ho amato voi" (Gv 15,12). 

6 E mostrino con le opere l'amore che hanno fra di loro, come dice l'apostolo: "Non amiamo a parola né con la lingua, ma con le opere e in verità" (Cfr. Gc 2,18; 1Gv 3,8). 

7 E non oltraggino nessuno (Tt 3,2); 8 non mormorino, non calunnino gli altri, poiché è scritto: "i sussurroni e i detrattori sono in odio a Dio" (Rm 1,29 e 30). 
9 E siano modesti, mostrando ogni mansuetudine verso tutti gli uomini (Cfr. Tt 3,2). 
10 Non giudichino, non condannino; 11 e come dice il Signore, non guardino ai più piccoli peccati degli altri, 12 ma pensino piuttosto ai loro nell'amarezza della loro anima (Cfr. Mt 7,3; Is 38,15).

13 E si sforzino di entrare per la porta stretta (Lc 13,24), poiché dice il Signore: "Angusta è la porta e stretta la via che conduce alla vita; e sono pochi quelli che la trovano" (Mt 7,14).
SALVE SANCTE PATER

Tanto è il Bene che mi aspetto che ogni pena m'è diletto



Ben capito aveva Francesco che
col cuore diceva…

tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto.


GESU'

Sermone sulla Circoncisione

Questo dunque è il nome santo e glorioso “che è stato invocato sopra di noi” (Ger 14,9), e non c’è altro nome – dice Pietro – sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati (cf. At 4,12).
Per la virtù di questo nome ci salvi Dio, Gesù Cristo nostro Signore, che è benedetto sopra tutte le cose nei secoli dei secoli. Amen.

III. sermone allegorico

8. “Sefora prese una pietra molto tagliente e circoncise il prepuzio del suo figlio” (Es 4,25). E anche nella Genesi leggiamo: “Abramo chiamò col nome di Isacco il figlio che Sara gli aveva partorito e lo circoncise il giorno ottavo [dalla nascita] come Dio gli aveva comandato” (Gn 21,3-4). Non la madre Maria, non Giuseppe che era il suo custode, ma Abramo, cioè l’Eterno Padre, impose al Figlio suo unigenito il nome di salvezza. Dov’è la salvezza c’è il sorriso. Isacco significa “sorriso”, e il nostro sorriso è Gesù, nome che significa “salvezza” e “salvatore”.
Esiste una certa erba chiamata in lat. salutaris(che risana), perché allevia il mal di testa e mitiga il brucio­re di stomaco (strychnos, morella, erba mora). Il mal di testa simboleggia la superbia della mente, della quale si legge nel quarto libro dei Re che il sole con il suo calore colpì alla testa un fanciullo, che disse a suo padre: “Mi duole la testa, mi duole la testa!” (4Re 4,19). E nel libro di Giuditta si narra che Manasse “morì nei giorni della mietitura dell’orzo. Sorvegliava quelli che legavano i covoni nella campagna, e fu colpito alla testa da insolazione” (Gdt 8,2-3).
Manasse, che s’interpreta “smemorato”, è figura di colui che è amico del mondo: egli, dimentico dell’eternità, esce a mietere l’orzo. Nell’orzo, che è foraggio per gli animali, sono indicati i beni terreni: mentre l’uomo materiale (bestialis) si affanna ad accumularli e a legarli in covoni, cioè a metterli nel suo tesoro, si abbatte sulla sua mente il colpo di sole della vanagloria, dalla quale nasce poi l’altezzosità della superbia e quindi la morte dell’anima. Allo stesso modo il bruciore di stomaco simboleggia il bollore dell’ira, di cui dice Isaia: “Gli empi sono come un mare ribollente che non può calmarsi e i cui flutti portano su melma e fango” (Is 57,20). Quando un uomo s’infiamma d’ira, diventa come un mare ribollente: perché ha crudezza nel cuore, confusione nel cervello, accecamento nella mente, rancore contro il fratello; perciò è detto empiocioè senza pietà: calpesta gli uni, bestemmia gli altri.
Ma il nostro salvatore, Gesù, ha risanato questi mali quando ha detto: “Beati i poveri nello spirito” (Mt 5,3), contro coloro che cercano i beni della terra, e “Beati i miti” (Mt 5,4), contro gli iracondi. Perciò gloria al Padre che ci ha mandato la salvezza, il salvatore; lode alla Vergine che l’ha dato alla luce e oggi l’ha portato alla circoncisione.
“Sefora prese...” Sefora s’interpreta “colei che lo guarda”. È figura della beata Vergine, la quale guardò, faccia a faccia, adagiato nella mangiatoia, avvolto in fasce e mentre vagiva nella culla, colui che regna nei cieli e nel quale gli angeli bramano fissare lo sguardo (cf. 1Pt 1,12).

9. “Sefora prese una pietra molto tagliente”. I Giudei dicono che da questo momento ha avuto inizio l’uso di circoncidere con coltelli di pietra; altri dicono che iniziò da Giosuè, in Galgala (cf. Gs 5,2 ss.). Tuttavia, dove noi abbiamo scritto pietra, gli Ebrei hanno acies, ferro tagliente, che chiamano novacula, rasoio; quindi i Giudei circoncidono con il rasoio.
Che la circoncisione del Signore sia stata fatta con il coltello di pietra o con quello di metallo, sia stata praticata da Maria o da Giuseppe o dai loro parenti, non ha molta importanza e non è il caso di appurarlo: sappiamo con certezza che come oggiGesù fu circonciso. Quello che dice la Scrittura, che Sefora “circoncise il prepuzio del suo figlio”, va inteso nel senso che Sefora, o fece la circoncisione lei stessa, o la fece eseguire da altri, secondo il comando del Signore.
E ricorda che tutta la vita di Cristo fu segnata dal sangue. Ebbe inizio nel sangue nell’ottavo giorno dalla nascita, e nel sangue si concluse. E questo fu necessario proprio per noi perché, come dice l’Apostolo: “Tutto viene purificato con il sangue e senza spargimento di sangue non c’è perdono” (Eb 9,22). Ricordiamo quindi che cinque volte Cristo sparse il sangue. La prima volta fu nella circoncisione che oggi commemoriamo; la seconda nel sudore di sangue all’orto degli Ulivi; la terza nella flagellazione; la quarta nella crocifissione e la quinta con il colpo di lancia ricevuto nel costato sopra la croce. Il sole al suo sorgere e al suo tramonto si mostra di color rosso: così Cristo al principio e alla fine della sua vita fu sanguineus, rosso sangue.
Sia egli benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

IV. sermone morale

10. “Sefora prese una pietra molto tagliente”. Leggiamo anche in Giosuè: “Disse il Signore a Giosuè: Fabbricati dei coltelli di pietra e circoncidi di nuovo i figli d’Israele. Giosuè fece ciò che il Signore aveva comandato” (Gs 5,2-3). Quindi il Signore disse: “Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto” (Gs 5,9).
Il nome Sefora ha varie interpretazioni: “uccello”, “che scruta”, “che piace”, “che aderisce”. Sefora è figura dell’anima fedele, la quale se sarà uccello sarà anche in gra­do di scrutare; se scruterà piacerà, e se piacerà aderirà: così una cosa scaturirà dall’altra. Sarà uccello rinuncian­do alle cose terrene; scruterà con la contemplazione delle cose celesti; piacerà con l’amore; aderirà con l’unione perfetta. Quando si innalza scruta, quando scruta si infiamma d’amore; quando si infiamma di amore si unisce. Con­sideriamo i singoli punti.
Nell’uccello ci sono due ali, nell’anima c’è la fede e la speranza. La fede e la speranza riguardano le cose invisibili, e quindi dalle cose visibili innalzano a quelle invisibili. Ma coloro che hanno la fede solo a parole, che pongono la loro speranza solo in se stessi e nelle loro cose e pongono la fiducia nell’uomo, costoro bramano avidamente le cose terrene e gustano solo quelle. Perciò dice Giobbe: “L’uomo”, che sa di terra, di humus, che vive nel fradicio della gola e della lussuria, “nasce alla fatica” della mola d’asino (Gb 5,7). Il contadino benda gli occhi all’asino e lo batte con il bastone, e così l’asino trascina intorno una mola di grande peso. Il contadino è il diavolo e il suo asino è il monda­no. Il diavolo gli chiude gli occhi quando gli acceca l’in­telletto e la ragione; e allora lo colpisce con il bastone della cupidigia perché trascini con sé la mola della vanità mondana. “Gli empi camminano in circolo” (Sal 11,9). “Mio Dio, rendili come una ruota” (un turbine) (Sal 82,14).
Invece “l’uccello nasce per il volo” (Gb 5,7). Dice la Storia Naturale che quanto più l’uccello ha il petto stretto e penetrante, tanto più è idoneo al volo, perché se il petto fosse largo muoverebbe molta più aria e il volo risulterebbe più faticoso. Dice il Signore: “Forse che al tuo comando l’aquila si leverà in alto e su luoghi ardui porrà il suo nido? Essa resta tra le pietre e dimora tra selci scoscese e su rupi inaccessibili. Di là scorge la preda e lontano scrutano i suoi occhi” (Gb 39,27-29). L’aquila è figura dell’anima fortunata che, rifiutata la larghezza delle cose temporali, restringe il suo petto, cioè i pensieri del suo cuore, per poter così, sollevata al di sopra delle cose terrene, fare il nido del suo soggiorno sulle ardue vette. “La nostra patria è nei cieli” (Fil 3,20), dice l’apostolo.
E osserva bene che non dice nel cielo, ma “nei cieli”. 
I cieli sono tre. Il primo, l’acutezza dell’intelligenza; il secondo, lo splendore della giustizia (della santità); il terzo, la sublimità della gloria. 

Nel primo c’è la contemplazione della verità; nel secondo c’è l’amore della giustizia; nel terzo la pienezza del gaudio eterno. Nel primo l’igno­ranza viene illuminata, nel secondo viene estinta la concupiscenza, nel terzo viene eliminata ogni inquietudine. 
Se sei avvolto nella luce della verità, possiedi il primo cielo. Se sei bruciato dalla fiamma dell’amore abiti nel secondo. Se hai assaporato un qualche gaudio di soavità interiore, sei ammesso al terzo cielo. E questo gaudio è appunto l’unione dello sposo e della sposa. Chi si unisce al Signore, forma con lui un solo spirito (cf. 1Cor 6,17).
Questi tre cieli possono essere individuati anche nella pietra, nella selce e nella rupe, di cui parla Giobbe a proposito dell’aquila. 
Nella pietra, per la sua solidità, possiamo riconoscere la contemplazione della verità; 
nella selce, l’amore della giustizia: poiché dalla selce sprizza il fuoco, ciò raffigura anche l’amore del Creato­re; 
nella rupe, per la sua stabilità, si riconosce la pienezza dell’eterna beati­tudine.
Queste tre cose possono anche simboleggiare le potenze angeliche, confermate in eterno nell’amore del Creatore: esse sono dette “selci scoscese” e “rocce inaccessibili”, perché, mentre altri angeli caddero, esse resistettero irremovibili; ad esse gli apostati non possono né salire, né avvicinarsi. E da queste rocce Sefora, aquila alata, cioè anima contemplativa, contempla Dio, suo cibo e suo nutrimento.

11. “Sefora prese una pietra molto tagliente e circoncise il prepuzio del suo figlio”. Vediamo quale significato abbiano la pietra molto tagliente, il prepuzio del figlio e la circoncisione.
La pietra è figura della penitenza. Dice Giobbe: “Chi mi concederà di ritornare com’ero nei mesi passati, quando mi lavavo i piedi nel latte, e la pietra mi versava ruscelli di olio?” (Gb 29,2.6). Nel mese è simboleggiata la perfezione, nel latte la soavità della grazia, e nei ruscelli d’olio lo sgorgare delle lacrime. 
Quindi Giobbe, che s’interpreta “dolorante”, raffigura il penitente che anela alla perfezione della prima conver­sione e del precedente comportamento: in quel tempo c’era nella sua mente la soavità della grazia che gli purificava i piedi, cioè i sentimenti e gli affetti, da ogni bruttura; in quel tempo la pietra, cioè l’austera penitenza faceva sgorgare abbondanti le lacrime. E come l’olio galleggia sopra ogni altro liquido, così le lacrime sono al di sopra di ogni opera buona. 
La lampada senza olio è l’opera senza devozione. 
Questa pietra è tagliente nella contrizione, più tagliente nella confessio­ne, e traglientissima nell’opera di soddisfazione, di riparazione, cioè nella penitenza: con essa Sefora deve circoncidere il prepuzio del suo figlio.
Il figlio è figura del corpo, il prepuzio delle cose temporali superflue, che impediscono all’uomo di meditare sulla sua miseria. Per questo il prepuzio ha questo nome, che significa “davanti al pudore”. Queste cose superflue sono raffigurate nei perizomi, dei quali è detto nella Genesi: Adamo ed Eva “accortisi di essere nudi, intrecciarono delle foglie di fico e ne fecero dei perizomi” (Gn 3,7), cioè delle fasce, come delle corte brache. 
Esuli dal paradiso terrestre, i figli di Adamo, poiché sono denudati della grazia di Dio, volentieri si coprono con le foglie di fico. Le foglie di fico producono prurito e al calore del sole si restringono, si arricciano e si disseccano: così le cose temporali producono il prurito della lussuria, e alla fiamma della morte lasciano nudi coloro che in vita se ne sono ricoperti.
Fortunata quell’anima che circoncide il prepuzio del suo figlio. Questo è il coltello di pietra, con il quale vengono circoncisi nuovamente i figli d’Israele, cioè i cristiani che sono stati circoncisi di ogni peccato la prima volta nel Battesimo. Ma poiché la malizia è aumentata e sovrabbonda l’iniquità, di nuovo vengono circoncisi da Cristo con il coltello di pietra, cioè con l’austerità della peni­tenza; e così viene allontanata l’infamia dell’Egitto, cioè il peccato mortale, che hanno contratto nelle tenebre del mondo.

12. In altro senso. La pietra è Cristo (cf. 1Cor 10,4). Dice il salmo: “La pietra è il rifugio”, il retrorifugio, “per gli iraci” (erinacei)(Sal 103,18) , cioè per i peccatori, ricoperti delle spine dell’iniquità. E di nuovo: Beato chi terrà i suoi piccoli alla pietra (cf. Sal 136,9), colui cioè che frenerà i suoi impulsi tendolo fermo alla pietra che è Cristo. L’onda del mare, quando sbatte contro la pietra, si infrange. Così anche la tempe­sta della tua tentazione, se sbatte contro Cristo, sarà infranta dalla grandezza della sua potenza e tu ne uscirai salvo.
Questa pietra fu tagliente nei castighi della misera vita presente; infatti dice la Genesi: “Maledetta la terra per causa tua: spine e cardi produrrà per te” (Gn 3,17.18). Sarà ancor più tagliente nella corruzione: Sei polvere, e in polvere ritornerai (cf. Gn 3,19). Sarà taglientissima nella proclamazione dell’ultima sentenza: “Andate, maledet­ti, nel fuoco eterno!” (Mt 25,41).
Con l’acutezza di questo timore, l’anima non separa, ma circoncide il prepuzio del suo figlio, non soltanto resti­tuendo il mal tolto, assistendo gli altri con le opere di misericordia, ma anche togliendo alla propria bocca le cose dolci, agli occhi le cose provocanti, agli orecchi le cose lusinghiere, alle mani quelle morbide e delicate, a tutto il corpo quelle piacevoli.
Lo stesso Gesù, per noi oggi circonciso, si degni di circoncidere anche noi dei vizi, affinché nel giorno ottavo della risurrezione meritiamo di esultare per la duplice stola che riceveremo. Ce lo conceda lui stesso che è benedetto nei secoli. Amen.
AMDG et BVM

Cari fratelli e sorelle, buon anno a tutti!

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SOLENNITÀ DI MARIA SS.MA MADRE DI DIO
XLVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
BENEDETTO XVI
ANGELUS
Piazza San Pietro
Martedì, 1° gennaio 2013

  
Cari fratelli e sorelle,

buon anno a tutti! In questo primo giorno del 2013 vorrei far giungere ad ogni uomo e ogni donna del mondo la benedizione di Dio. Lo faccio con l’antica formula contenuta nella Sacra Scrittura: 
«Ti benedica il Signore e ti custodisca. 
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,24-26).

Come la luce e il calore del sole sono una benedizione per la terra, così la luce di Dio lo è per l’umanità, quando Egli fa brillare su di essa il suo volto. 
E questo è avvenuto con la nascita di Gesù Cristo! Dio ha fatto risplendere per noi il suo volto: all’inizio in modo molto umile, nascosto – a Betlemme soltanto Maria e Giuseppe e alcuni pastori furono testimoni di questa rivelazione –; ma a poco a poco, come il sole che dall’alba giunge al mezzogiorno, la luce di Cristo è cresciuta e si è diffusa ovunque. 
Già nel breve tempo della sua vita terrena, Gesù di Nazaret ha fatto risplendere il volto di Dio sulla Terra Santa; e poi, mediante la Chiesa animata dal suo Spirito, ha esteso a tutte le genti il Vangelo della pace. «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini del suo compiacimento» (Lc 2,14). 
Questo è il canto degli angeli a Natale, ed è il canto dei cristiani sotto ogni cielo; un canto che dai cuori e dalle labbra passa nei gesti concreti, nelle azioni dell’amore che costruiscono dialogo, comprensione e riconciliazione.

Per questo, otto giorni dopo il Natale, quando la Chiesa, come la Vergine Madre Maria, mostra al mondo il neonato Gesù, Principe della Pace, celebriamo la Giornata Mondiale della Pace. Sì, quel Bambino, che è il Verbo di Dio fatto carne, è venuto a portare agli uomini una pace che il mondo non può dare (cfr Gv 14,27). La sua missione è abbattere il «muro dell’inimicizia» (cfr Ef 2,14). E quando, sulle rive del lago di Galilea, Egli proclama le sue «Beatitudini», tra queste vi è anche «beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Chi sono gli operatori di pace? Sono tutti coloro che, giorno per giorno, cercano di vincere il male con il bene, con la forza della verità, con le armi della preghiera e del perdono, con il lavoro onesto e ben fatto, con la ricerca scientifica al servizio della vita, con le opere di misericordia corporale e spirituale. Gli operatori di pace sono tanti, ma non fanno rumore. Come il lievito nella pasta, fanno crescere l’umanità secondo il disegno di Dio.

In questo primo Angelus del nuovo anno, chiediamo a Maria Santissima, Madre di Dio, che ci benedica, come la mamma benedice i suoi figli che devono partire per un viaggio. Un nuovo anno è come un viaggio: con la luce e la grazia di Dio, possa essere un cammino di pace per ogni uomo e ogni famiglia, per ogni Paese e per il mondo intero.
AMDG et BVM