mercoledì 6 gennaio 2016

EPIFANIA CON SANT'ANTONIO - 2



EPIFANIA DEL SIGNORE
1. “Essendo nato Gesù in Betlemme di Giuda”... ecc. (Mt 2,1).
In questo brano evangelico considereremo tre avveni­menti:
- l’apparizione della stella,
- il turbamento di Erode,

I. l’apparizione della stella

2. “Essendo nato Gesù a Betlemme” (Mt 2,1), ecc. Nella prima parte c’è questo insegnamento morale: in quale modo uno, dalla vanità del mondo, si converte a vita nuova. Prima però ascoltiamo brevemente la storia, il racconto.
Gesù nacque in una notte di domenica, perché nel giorno in cui Dio disse: “Sia fatta la luce, e la luce fu” (Gn 1,3), “venne a visitarci dall’alto un sole che sorge” (Lc 1,78).
Si racconta che Ottaviano Augusto, su indicazione della Sibilla, abbia veduto in cielo una vergine, gravida di un figlio, e che da allora vietò che lo chiamassero Dominus, Signore, perché era nato “il Re dei re e il Signore dei signori” (Ap 19,16). Perciò il poeta scrisse: “Ecco, una nuova prole scende dall’alto del cielo” (Virgilio, Egloga IV,7). Per tutto il giorno sgorgò da una vecchia taverna un abbondante getto d’olio, perché in quel giorno nasceva sulla terra colui che è consacrato con olio di letizia, a preferenza dei suoi eguali (cf. Sal 44,8). Il tempio della Pace crollò dalle fondamenta. I Romani, infatti, a motivo della pace universale in cui si trovava tutto il mondo sotto Cesare Augusto, avevano costruito un meraviglioso tempio alla Pace. Coloro che vi entravano per consultare la divinità e sapere quanto sarebbe durata quella pace, ebbero questo responso: Finché una vergine partorirà. Essi furono felici perché lo interpretarono così: La pace durerà in eterno, perché mai una vergine potrà partorire. Ma Dio distrusse la sapienza dei sapienti e la prudenza dei prudenti (cf. 1Cor 1,19), perché il tempio crollò dalle fondamenta nell’ora della nascita del Signore.
Tredici giorni dopo la sua nascita, cioè come oggi, “ecco che dall’oriente arrivarono a Gerusalemme dei Magi, che doman­davano: “Dov’è il Re dei Giudei, che è nato? Abbiamo veduto la sua stella” (Mt 2,1-2). Erano chiamati “Magi” per la vastità delle loro cono­scenze; quelli che i Greci chiamano filosofi, i Persiani li chiamano magi. Venivano dai territori dei Persiani e dei Caldei. Forse non fu loro impossibile percorrere in tredici giorni, in groppa ai dromedari, quelle grandi distanze.
La stella che avevano visto si distingueva dalle altre per lo splendore, per la posizione e per il movimento. Per lo splendore, che neppure la luce del giorno faceva scomparire; per la posizione, perché non stava nel firmamento con le stelle minori, e neppure nell’etere con i pianeti, ma faceva il suo viaggio nell’aria, nelle vicinanze della terra; e per il movimento, perché restò dapprima immobile sopra la Giudea, poi diede ai Magi l’indica­zione per arrivarvi; essi presero per loro conto la decisione di entrare in Gerusalemme, che della Giudea era la capitale. Quando ne uscirono, con il primo movimento visibile la stella li precedette. Portato a termine il suo compito scomparve, ritornando alla primitiva materia, dalla quale era stata presa.
Questa festa si chiama Epifania, dai termini greci epì, sopra, e fanè, manifestazione, perché come oggi Cristo fu manifestato con il segno della stella. È detta anche Teofania, sempre dai termini greci Theòs, Dio, e fanè, perché come oggi Cristo, passati trent’anni, fu manifestato dalla voce del Padre, e battezzato nel Giordano. È detta anche Bethfania, dal termine ebraico beth, casa, perché, passato un anno dal battesimo, come oggi compì un miracolo divino tra le mura di una casa, ad una festa di nozze.
3. Vediamo ora che cosa significhino, in senso morale, la stella, i Magi, l’oriente e Gerusalemme.
La stella simboleggia l’illuminazione della grazia divina, o anche la conoscenza della verità. Infatti Gesù, dal quale proviene ogni grazia, dice nell’Apocalisse: “Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino” (Ap 22,16). Gesù Cristo, benché figlio, è anche radice, cioè padre di Davide. Oppure, come la radice sostiene la pianta, così la misericordia di Cristo sostenne Davide peccatore e penitente. Cristo è stella radiosa nella illuminazione della mente; è stella del mattino nella conoscenza della verità.
I Magi rappresentano i sapienti del mondo, dei quali dice Isaia: “I sapienti, i consiglieri del faraone, gli diedero un consiglio stolto” (Is 19,11). Il faraone, nome che s’in­ter­preta “che scopre l’uomo”, è figura del mondo che, dopo aver coperto l’uomo con la sua vanità, lo scopre nella miseria della morte; il mondo non dà, ma solo impresta, e nel momento della massimo bisogno, esige ciò che ha impre­stato e così abbandona l’uomo nella miseria e nella nudità.
Stolto è quindi il consiglio di quei sapienti che esortano ad accumulare le cose altrui, i beni di questo mondo, che non potranno portare con sé, che inducono a caricarsi di cose solo imprestate, che non potranno far passare con sé attraverso il passaggio stretto. Infatti il passaggio della morte è così stretto, che a stento vi può passare l’anima sola e nuda. Quando si arriva a quel passaggio ogni carico di cose temporali dev’essere lasciato: solo i peccati, che non sono sostanza (materiale), vi passano agevolmente insieme con l’anima.
L’oriente è figura della vanità del mondo o della sua prosperità. Dice Ezechiele: “Vidi, ed ecco degli uomini con le spalle rivolte al tempio del Signore, e la faccia ad oriente, che adoravano il sole nascente” (Ez 8,16). Il tempio raffigura l’umanità di Cristo, o anche la vita di ogni giusto. Hanno il dorso rivolto al tempio del Signore e la faccia ad oriente coloro che, dimentichi della passione e della morte di Cristo, orientano alla vanità del mondo tutto ciò che conoscono e tutto ciò che sanno. Per questo il Signore si lamenta per bocca di Geremia: “Voltarono verso di me il dorso, non il volto. Ma al tempo della loro sventura”, cioè della morte, “diranno: Àlzati e salvaci! Dove sono i tuoi dèi”, cioè i piaceri e le ricchezze, “che ti sei procurato? Si alzino loro e ti liberino nel tempo della tua sventura” (Ger 2,27-28). O anche: hanno il dorso contro il tempio e adorano il sole nascente coloro che disprezzano la povertà, l’umiltà e le sofferenze dei giusti, e proclamano felici quelli che abbondano di piaceri e di ricchezze.
Gerusalemme, che significa “pacifica”, raffigura la vita nuova, cioè la vita di penitenza. Dice Isaia: “Il mio popolo dimorerà in una pace meravigliosa, nelle tende della fiducia e nella quiete della ricchezza” (Is 32,18). Felice condizione, nella quale c’è la grazia della coscienza tranquilla, la fiducia della condotta santa, la ricchezza della carità fraterna. Perciò, come la stella richiamò i Magi dall’oriente, così la grazia divina richiama i peccatori dalla vanità del mondo alla penitenza, affinché ricerchino il nato Re, cercandolo lo trovino e trovatolo lo adorino.

“Dov’è il Re dei Giudei, che è nato?”. Vale a dire: Dov’è il Re di coloro che confessano i loro peccati, il Re dei penitenti? Cercano il Re dei penitenti, che è nato in loro, coloro che promettono di fare penitenza. Noi, dicono, che abitavamo in oriente, che eravamo presi dalla vanità del mondo, abbiamo visto la sua stella, cioè abbiamo ricono­sciuto la sua grazia, e così “per mezzo di lui”, per sua grazia, “siamo venuti ad adorarlo” (Mt 2,2).

II. il turbamento di erode

4. “ Il re Erode, sentendo ciò, restò turbato” (Mt 2,3). Il diavolo, il re della turba turbata, si turba! Anche il mondo si turba, quando sente che Cristo è ormai nato nei penitenti e vede anche altri peccatori convertirsi a lui per opera della grazia. Satana freme al vedere che il suo regno si riduce e il Regno di Cristo si allarga ogni giorno di più. Leggiamo nell’Esodo: “Disse il faraone al suo popolo: Ecco che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Venite, opprimiamolo in tutti i modi, perché non cresca ancor più di numero” (Es 1,9-10).
L’astuzia del diavolo opprime i figli di Dio con la suggestione, la malizia del mondo li opprime con la bestemmia e con l’ingiuria. Continua infatti l’Esodo: “Gli Egiziani odiavano i figli d’Israele e li facevano soffrire insultandoli, e resero loro amara la vita” (Es 1,13-14). Tormento (in lat. frixorium, padella per friggere, o griglia), tormento dei giusti è la vita dei peccatori! Dice il salmo: “Moab è il vaso della mia speranza” (Sal 59,10). Moab s’interpreta “dal padre”, cioè coloro che vengono da quel padre che è il diavolo; essi sono “il vaso della speranza” perché anche gli empi vivono per i giusti, cioè per la loro utilità, per il loro vantaggio.
Erode dunque restò turbato. Erode s’interpreta “gloria della pelle”. Egli restò turbato perché era nato quel Re povero che dice: “Io non ricevo gloria dagli uomini” (Gv 5,41), e “Io non cerco la mia gloria (Gv 8,50). “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,36). Erode, gloria della pelle, resta turbato, perché vede il suo splendore cambiarsi in negrezza, il suo lusso e la sua effeminatezza in ruvidezza, come dice Isaia: “Invece del profumo raffinato ci sarà il fetore, invece della cintura una corda, invece di una chioma ricciuta la calvi­zie, e invece della fascia pettorale il cilicio” (Is 3,24). E queste parole non hanno bisogno di commento perché nei penitenti si avverano alla lettera.
Vedi il sermone della domenica XIV dopo Pentecoste, seconda parte.
Leggiamo ancora nell’Esodo: “Ora tògliti i tuoi ornamenti e poi saprò che cosa dovrò farti” (Es 33,5). Per questo “La regina Ester cercò rifugio presso il Signore, sgomenta per il pericolo che sovrastava. Deposte le vesti regali, indossò vesti adatte al pianto e al lutto; e invece dei vari profumi si cosparse la testa di cenere e di immondi­zie; mortificò con digiuni il suo corpo, e con i capelli sconvolti si aggirava per le stanze nelle quali prima viveva in letizia” (Est 14,1-2).
Ester, nome che s’interpreta “nascosta”, raffigura l’anima penitente che si apparta dalla dissipazione del mondo e si rifugia nella solitudine dello spirito e talvol­ta anche del corpo; si rifugia presso il Signore, perché in nessuno se non in lui c’è rifugio dal pericolo del peccato, che sempre le è presente e la minaccia, e quindi ne ha paura. Si toglie le vesti della gloria, indossa gli indumenti della penitenza e, invece dei profumi dei vari piaceri, si cosparge il capo, cioè la mente, con la cenere della sua fragilità e con le immondizie della propria iniquità; insiste nei digiuni, e ripensa con angoscia a tutti i luoghi nei quali prima si divertiva. Questo è ciò che dice Gregorio della Maddalena: “Quanti erano stati i piaceri provati in se stessa, tanti furono i sacrifici (le espiazioni) che a se stessa impose”.

Omnes gentes plaudite manibus,
jubilate Deo in voce exultationis.

PRODIGI LEGATI AL TEMPO NATALIZIO. PER NON SCORDARLI RIPUBBLICHIAMO .

San Bonaventura: I prodigi della notte di Natale

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San Bonaventura è una delle figure più alte della Chiesa nell’epoca medioevale.

Nato nel 1217 a Bagnoregio (VT), entrò nel 1243 nell’ordine francescano, per conto del quale insegnò come maestro di teologia all’Università di Parigi. Nel 1257 il capitolo generale dei frati minori, riunito a Roma, lo elesse ministro generale, e come tale nel 1260 fu uno degli artefici delle prime costituzioni generali dell’ordine. Nel 1273 venne nominato cardinale e vescovo di Albano da Papa Gregorio X, che lo fece partecipare al Concilio ecumenico di Lione; ma proprio alla fine del Concilio, nel 1274, Bonaventura morì.
Canonizzato nel 1492, nel 1588 fu proclamato Dottore della Chiesa, e ricevette il titolo di Doctor Seraphicus per la luminosità della sua dottrina e per l’ardore del suo insegnamento. Oltre a scrivere numerose opere, il santo predicò celebri sermoni, fra i quali il Sermone XXI De nativitate Domini, pronunciato nella chiesa di Santa Maria della Porziuncola, che illustrava alcuni fatti miracolosi accaduti nel momento del Santo Natale.
Ne presentiamo qui sotto una traduzione dal testo originale latino.
«Questi, secondo diverse testimonianze, sono i miracoli manifestatisi al popolo peccatore il giorno della Natività di Cristo.
Primo – Una stella splendente apparve nel cielo verso Oriente, e dentro di essa si vedeva la figura di un bellissimo bambino sul cui capo rifulgeva una croce, per manifestare la nascita di Colui che veniva a illuminare il mondo con la sua dottrina, la sua vita e la sua morte.
Secondo – In Roma, a mezzo giorno, apparve sopra il Campidoglio un cerchio dorato attorno al sole – che fu visto dall’Imperatore e dalla Sibilla raffigurante al centro una Vergine bellissima che portava un Bambino, volendo così rivelare che Colui che stava nascendo era il Re del mondo che si manifestava come lo «splendore della gloria del Padre e la figura della sua stessa sostanza» (Ebrei 1,3).
Vedendo questo segnale, il prudente Imperatore (Augusto) offrì incenso al Bambino, e da allora rifiutò di essere chiamato dio.
Terzo – In Roma venne distrutto il “tempio della Pace”, sul quale, quando era stato costruito, i demoni si domandavano per quanto tempo sarebbe durato. Il vaticinio fu: «fino al momento in cui una vergine concepirà». Questo segnale rivelò che stava nascendo Colui che avrebbe distrutto gli edifici e le opere della vanità.
Quarto – Una fonte di olio di oliva sgorgò improvvisamente a Roma e fluì abbondantemente, per molto tempo, fino al Tevere, per dimostrare che stava nascendo la Fonte della pietà e della misericordia.
Quinto – Nella notte della Natività, le vigne di Engadda, che producevano balsamo e aromi, si coprirono di foglie e produssero nettare, per significare che stava nascendo Colui che avrebbe fatto fiorire, rinnovare, fruttificare spiritualmente e attirare con il suo profumo il mondo intero.
Sesto – Circa trentamila ribelli furono uccisi per ordine dell’Imperatore, per manifestare la nascita di Colui che avrebbe conquistato alla sua Fede il mondo intero e avrebbe precipitato i ribelli nell’inferno.
Settimo – Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò San Gerolamo commentando il salmo:«È nata una luce per il giusto», per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità.
Ottavo – Nella Giudea un animale parlò, e lo stesso fecero anche due buoi, affinché si comprendesse che stava nascendo Colui che avrebbe trasformato gli uomini bestiali in esseri razionali.
Nono – Nel momento in cui la Vergine partorì, tutti gli idoli dell’Egitto caddero in frantumi, realizzando il segno che il profeta Geremia aveva dato agli egiziani quando viveva tra loro, affinché si intendesse che stava nascendo Colui che era il vero Dio, l’unico che doveva essere adorato assieme al Padre e allo Spirito Santo.
Decimo – Nel momento in cui nacque il Bambino Gesù, e venne deposto nella mangiatoia, un bue e un asino si inginocchiarono e, come se fossero dotati di ragione, Lo adorarono, affinché si capisse che era nato Colui che chiamava al suo culto i giudei e i pagani.

Undicesimo -–Tutto il mondo godette della pace e si trovò nell’ordine, affinché fosse palese che stava nascendo Colui che avrebbe amato e promosso la pace universale e impresso il sigillo sui propri eletti per sempre.
Dodicesimo – In Oriente apparvero tre stelle che in breve si trasformarono in un unico astro, affinché fosse a tutti manifesto che stava per essere rivelata l’unità e trinità di Dio, e anche che la Divinità, l’Anima e il Corpo si sarebbero congiunti in una sola Persona.
Per tutti questi motivi la nostra anima deve benedire Dio e venerarlo, per averci liberato e per avere manifestato la sua maestà, con così grandi miracoli, a noi poveri peccatori».

martedì 5 gennaio 2016

EPIFANIA CON SANT'ANTONIO. 1

III. l’offerta dei tre magi

5. “Ed ecco, la stella che avevano visto in oriente...” (Mt 2,9). O misericordia di Dio, che mai dimentica di aver pietà! Infatti è subito vicino a chi ritorna a lui. Dice Isaia: “Tu invocherai, e il Signore ti esaudirà; chiamerai, ed egli dirà: èccomi!” (Is 58,9), “perché io, il Signore Dio tuo, sono misericordioso” (Dt 4,31).
“Ed ecco la stella”. I Magi erano andati da Erode, e avevano perduto di vista la stella. E questo sta ad indicare i recidivi che, ritornando al diavolo, ossia al peccato mortale, perdono la grazia; quando invece se ne liberano, allora la riacquistano. Dice infatti Geremia: “Si dice comunemente: Se un uomo ripudia la moglie ed essa, allontanatasi da lui, si sposa con un altro uomo, forse che ritornerà ancora da lui? Quella donna non è forse immonda e contaminata? Tu invece, che pure hai fornicato con molti amanti”, cioè con i demoni e i peccati, “tuttavia ritorna da me, dice il Signore?” (Ger 3,1).
“Ed ecco che la stella li precedeva” (Mt 2,9). Troviamo la concordanza nell’Esodo: “Il Signore li precedeva per indicare loro la strada: di giorno con una colonna di nubi, di notte con una colonna di fuoco, per essere loro di guida nel cammino in entrambi i tempi” (Es 13,21). Di giorno la colona di nubi era contro l’ardore del sole, di notte la colonna di fuoco era contro le tenebre, perché potessero difendersi dai serpenti. Osserva che l’illuminazione della grazia divina è detta “colonna” perché sostiene, “di nubi”, perché raffredda il calore del sole, cioè il calore della prosperità terrena, “di fuoco”, contro il freddo dell’infedeltà, contro le tenebre delle avversità e contro il veleno della suggestione diabolica.
“Finché giunse e si fermò sopra la casa dov’era il bambino” (Mt 2,9). Ecco la fine della fatica, la meta del viaggio, la gioia di chi cerca, il premio di chi trova. “Gioisca il cuore di coloro che ti cercano” (Sal 104,3, o Gesù; e se gioiscono quelli che ti cercano, quanto più gioiranno quelli che ti trovano? La stella procede, la colonna precede. Quella indica la strada alla culla del Salvatore, questa alla Terra Promessa: e nella culla c’è la Terra Promessa dove scorre il miele della divinità e il latte dell’umanità. Corri dunque dietro alla stella, affrettati dietro alla colonna, perché ti guidano alla vita. Faticherai poco, arriverai presto, e troverai il desiderio dei santi, il gaudio degli angeli.

6. “Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia” (Mt 2,10). Fa’ attenzione, perché in queste parole è indicata una triplice gioia, quella che deve provare colui che riacquista la grazia perduta. Deve gioire perché non è morto mentre era in peccato mortale e si sarebbe dannato eternamente; perché è stato riportato alla grazia, che non ha meritato; perché, se persevererà, sarà condotto alla gloria. Di questa triplice gioia dice Isaia: “Esultando gioirò nel Signore, e l’anima mia si allieterà nel mio Dio” (Is 61,10).
“Ed entrando nella casa” (Mt 2,11). Racconta Luca che “il figlio maggiore, indignato, non voleva entrare in casa” (Lc 15,25.28); invece il figlio prodigo vi era già entrato, perché era già rientrato in se stesso (cf. Lc 15,17). È stato detto agli apostoli: “Per via non salutate nessuno” (Lc 10,4). Chi è sulla via, è fuori, e chi è fuori, è fuori di casa, e quindi è indegno di essere salutato. Anzi, come dice Amos: “In tutte le piazze ci sarà pianto, e a tutti coloro che sono fuori si dirà: Guai, guai!” (Am 5,16).
“Trovarono il fanciullo con Maria, sua Madre, e prostratisi lo adorarono” (Mt 2,11). Poiché entrano, trovano; e perché trovano, si prostrano e adorano. Nel fanciullo e in Maria sono indicate l’innocenza e la purezza; nel fatto che si prostrano il disprezzo di sé; e nel fatto che adorano l’ossequio della fede. Ecco dunque che i penitenti entrano nella casa della propria coscienza e trovano l’innocenza (l’innocuità) nei riguardi del prossimo, la purezza nei riguardi di se stessi; e di ciò non si insuperbiscono, ma si prostrano con la faccia a terra e adorano devotamente e fedelmente colui che ha dato loro tutte queste grazie.
“Ed entrati nella casa” – forse era quel diversorio, albergo, di cui parla Luca –, “trovarono il bambino con Maria, sua madre”. Osserva la Glossa: Perché, insieme con Maria, non fu trovato dai Magi anche Giuseppe? Perché da quel fatto non fosse dato motivo di ingiusto sospetto a quei popoli che sùbito, appena nato il Salvatore, gli avevano mandato sùbito “le loro primizie”, i loro primi rappresentanti, ad adorarlo.
“Aprirono i loro scrigni” (i loro tesori) (Mt 2,11). La Glossa: Guardiamoci bene dallo scoprire i nostri tesori lungo la via; aspettiamo che siano passati i nemici, per poterli offrire solo a Dio dal segreto del cuore. Il re Ezechia, che mostrò agli stranieri i tesori [del tempio], venne punito nei suoi discendenti (cf. 4Re 20,12-19). Desidera essere derubato, colui che porta un tesoro pubblicamente per la via (Gregorio).

7. “Gli offrirono i doni: oro, incenso e mirra” (Mt 2,11)

L’oro si richiama al tributo (che si pagava al re), l’incenso ai sacrifici, e la mirra alla sepoltura dei morti. 

Per mezzo di questi tre doni vengono proclamate in Cristo la potestà regale, la maestà divina e la mortalità umana. 

In altro senso: nell’oro, che è lucente e compatto, e quando è battuto non scricchiola, è indicata la vera povertà, che non viene oscurata dalla fuliggine dell’avari­zia, non si gonfia al vento delle cose temporali. Una virtù salda (in lat. res solida, una sostanza compatta, un monastero concorde) fa lo stesso: davanti agli scandali non si turba e non replica con mormorazioni.

In Arabia, nome che significa “sacra”, ci sono delle piante dalle quali si ricavano l’in­censo e la mirra. Coloro che ne sono proprietari vengono chiamati in arabo sacri. Quando incidono o vendemmiano queste piante, essi non partecipano a funerali e non si contaminano in rapporti con donne. 
L’incenso, una pianta grandissima e frondosa, con una corteccia leggerissima, produce un succo aromatico come quello del mandorlo. L’incenso è chiamato in lat. thus, da tùndere, pestare, o anche dal termine greco Theòs, Dio, in onore del quale viene bruciato. L’incenso viene spesso mescolato con resina e altre sostanze gommose, ma si distingue lo stesso per le sue proprietà. Infatti l’incen­so, posto sulla brace, arde, mentre la resina fuma e le sostanze gommose si liquefano.
L’albero dell’incenso raffigura la preghiera devota, che è grandissima per la contemplazione, frondosa per la carità fraterna, giacché intercede sia per l’amico che per il nemico; ha una scorza sottilissima, cioè si manifesta all’esterno con la benevolneza; ed emette il succo delle lacrime, profumatissimo e olezzante al cospetto di Dio.
È detto nel Cantico dei Cantici: “Sorgi, o aquilone!”, vale a dire: Allontànati, o diavolo!, “e vieni tu, o austro”, cioè Spirito Santo; “soffia nel mio giardino”, cioè nella mia mente, “e si effondano i suoi aromi”, cioè le lacrime! (Ct 4,16). Questo succo è il ristoro dei peccatori, come il latte di mandorlo è il ristoro degli ammalati. Colui che prega si batte il petto e la preghiera sale a Dio. Ma ahimè! Oggi l’orazione devota viene guastata con una mescolanza avariata, cioè con la resina della vanagloria, come negli ipocriti, e con la gomma del denaro come nei chierici sventurati che pregano e celebrano le messe per i soldi. La vera devozione si infiamma del fuoco dell’amore divino, mentre quella guastata dalla vanità manda fumo, e quella corrotta dalla cupidigia si squaglia.

L’albero della mirra si spinge fino a cinque cubiti di altezza. Il succo che da esso emana spontaneamente è ritenuto più pregiato, mentre lo è meno quello estratto tagliando la corteccia. 
La mirra, così chiamata da “amarezza”, simboleggia l’amara sofferenza del cuore o del corpo, il cui primo cùbito è il pensiero della morte, il secondo la presenza del giudice severo nel giudizio, il terzo la sua sentenza irrevocabile, il quarto la geen­na inestinguibile, il quinto la compagnia di tutti gli uomini perversi e la penitenza (lat. poena tenax), cioè i tormenti assolutamente inevitabili e continui inflitti dai demoni.
Se la sofferenza esce spontaneamente da quest’albero, è più preziosa, cioè più accètta a Dio; invece quella che è prodotta dalle ferite delle infermità o delle avversità, ha minor valore.


8. I Magi dunque “offrirono al Signore oro, incenso e mirra”. Così anche i veri penitenti gli offrono l’oro della totale povertà, l’incenso della devota orazione, la mirra della volontaria sofferenza
E fa’ attenzione che l’incenso della devota orazione e la mirra della salutare penitenza non si trovano se non in Arabia, cioè nella santa chiesa. 
Quelli che vogliono conservarle e coglierne i frutti, devono allontanare se stessi dal cadavere del denaro accumulato ingiustamente, sul quale gli avari si gettano come il corvo sulla carogna, e dai contatti lussuriosi.
Supplichiamo dunque il Signore che ci conceda di offrirgli questi tre doni, per poter poi regnare con lui, che è benedetto nei secoli. Amen.
AMDG et BVM

"O immacolato Cuore, Madre del mio Signore, Sorgente di Olio Santo della Perenne Unzione, a Te io domando da grande peccatore: il Tuo segreto mostrami ed oggi a Te consacrami"



Rivelazioni pubbliche (cessate con il 23 ottobre 2005) e rivelazioni private (che ancora oggi la veggente Debora riceve dalla Vergine dell'Eucaristia in date particolari, e che può essere autorizzata a diffondere in particolari casi) costituiscono il fulcro dell'ammaestramento della Mamma Celeste che ci vuole condurre a Suo Figlio Gesù e salvare.  Conoscere, meditare, vivere questi insegnamenti significa non solo rispondere all'appello della Vergine, ma porsi seriamente e coerentemente in un cammino di conversione, come richiedono questi tempi difficili e perigliosi.

I cinque volumi "La Sapienza Rivelata del Dio Vivente" contengono tutti i messaggi e le rivelazioni pubbliche sino ad anni recenti, e un sesto volume più recente (al momento esaurito) comprende  i messaggi dal 23 gennaio 2000 al 23 settembre 2004.

I messaggi dell'ultimo anno di Apparizioni pubbliche non sono stati invece ancora pubblicati. Per tale motivo negli Allegati sono stati inseriti anche i messaggi inediti che la Vergine dell'Eucaristia ha dato alla Sua confidente Debora. Il testo  contiene i messaggi dal 23 gennaio 2000 al 23 ottobre 2005, data dell'ultima Apparizione pubblica della Vergine dell'Eucaristia nella Celeste Verdura o Getsemani Santo, luogo da Lei prescelto e prediletto, ed anche i pochi messaggi personalmente ricevuti da Debora e da lei resi noti (Debora conserva i doni della visione e della locutio cordis).

In realtà è stata promessa un'ulteriore Apparizione futura, in un tempo indeterminato, in cui la Madonna apparirà anche a molti dei presenti: in attesa di tale sublime momento di incontro, predisponiamo i nostri animi e prepariamoci con la preghiera, la devozione, la conversione, la costituzione dei Focolari d'Amore e di riparazione che più volte la Vergine ha chiesto.


Copyright Ó 2009. Ogni riproduzione del testo allegato, anche parziale, è severamente proibita. Ogni uso non strettamente personale per la propria edificazione e formazione religiosa sarà perseguito legalmente.




lunedì 4 gennaio 2016

Sicut nix

Mi bone Jesu, libera nos ab igne inferni...

58. Doctor quidam Parisiensis, episcopo post mortem apparens, ei propriam damnationem manifestavit, et addidit paucis diebus post mortem suam adeo repletum fuisse infernum, ut neminem putaret vivum in mundo remansisse. Visae sunt etiam a sancta quadam muliere animae in infernum descendentes sicut nix, cum in magna quantitate cadit e caelo. ldem, ibidem, cap. 18.

p.157-8. Hortus Caelestium Deliciarum Ex Omnigena ...

www.forgottenbooks.com/readbook..


sabato 2 gennaio 2016

MEDITA CON ME IL QUARTO MISTERO DOLOROSO... VI HANNO MESSO SULLE SPALLE UN LEGNO ASSAI PESANTE... ANDARE AVANTI E' ANDARE CONTROCORRENTE.

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo.



“E mentre altri
ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita,

per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci
cristiani” 



AVE MARIA!

Santuario di Oropa




Il Santuario di Oropa è il più importante Santuario mariano delle Alpi.  Si colloca in uno scenario unico e incontaminato a 1200 m. di altezza, a soli 20 minuti dal centro di Biella.

Secondo la tradizione l’origine del Santuario è da collocarsi nel IV secolo, ad opera di S. Eusebio, primo vescovo di Vercelli. I primi documenti scritti che parlano di Oropa, risalenti all’inizio del XIII secolo, riportano l’esistenza delle primitive Chiese di Santa Maria e di San Bartolomeo, di carattere eremitico, che costituivano un punto di riferimento fondamentale per i viatores (viaggiatori) che transitavano da est verso la Valle d’Aosta.

panoramaLo sviluppo del Santuario subì diverse trasformazioni nel tempo, fino a raggiungere le monumentali dimensioni odierne tramutandosi da luogo di passaggio a luogo di destinazione per i pellegrini animati da un forte spirito devozionale.

Il maestoso complesso è frutto dei disegni dei più grandi architetti sabaudi: Arduzzi, Gallo, Beltramo, Juvarra, Guarini, Galletti, Bonora hanno contribuito a progettare e a realizzare l’insieme degli edifici che si svilupparono tra la metà del XVII e del XVIII secolo.

Dal primitivo sacello all'imponente Basilica Superiore, consacrata nel 1960, lo sviluppo edilizio ed architettonico è stato grandioso. Il primo piazzale, su cui si affacciano ristoranti, bar e diversi negozi, è seguito dal chiostro della Basilica Antica, raggiiungibile attraverso la scalinata monumentale e la Porta Regia.
Tutti i maestosi edifici del santuario sono stati edificati nel corso dei secoli partendo dal suo cuore: il Sacello della Basilica Antica.

La chiesa della Madonna Nera

Oropa Basilica Antica lat sinCuore spirituale del Santuario, la Basilica Antica è stata realizzata nel Seicento, in seguito al voto fatto dalla Città di Biella in occasione dell'epidemia di peste del 1599. Nel 1620, con il completamento della Chiesa, si tenne la prima delle solenni incoronazioni che ogni cento anni hanno scandito la storia del Santuario. La facciata, progettata dall'architetto Francesco Conti, semplice nell'eleganza delle venature verdastre della pietra d'Oropa, è nobilitata dal portale, più scuro, che riporta in alto lo stemma sabaudo del duca Carlo Emanuele II, sorretto da due angeli in pietra. Sull'architrave del portale si trova scolpita l'iscrizione “O quam beatus, o Beata, quem viderint oculi tui”, che dai primi decenni del sec. XVII è il saluto augurale che il pellegrino, raggiunta la meta, riceve varcando la soglia della Basilica.

madonnaInnalzata sul luogo dove sorgeva l'antica chiesa di Santa Maria, conserva al suo interno, come un prezioso scrigno, il Sacello eusebiano, edificato nel IX secolo. Nella calotta e nelle pareti interne del Sacello sono visibili preziosi affreschi risalenti al Trecento, opera di un ignoto pittore, detto il Maestro di Oropa. Il ciclo di affreschi, incentrato sulla Vergine e su alcuni santi che dovevano essere particolarmente venerati nell'antico romitorio, costituisce una preziosa testimonianza di iconografia sacra. All'interno del Sacello è custodita la statua della Madonna Nera, realizzata in legno di cirmolo dallo scalpello di uno scultore valdostano nel XIII secolo. Il manto blu, l'abito e i capelli color oro fanno da cornice al volto dipinto di nero, il cui sorriso dolce e austero ha accolto i pellegrini nei secoli.

Secondo la tradizione, la statua venne portata da Sant'Eusebio dalla Palestina nel IV secolo d.C. mentre fuggiva dalla furia della persecuzione ariana; adoperandosi per la diffusione della devozione mariana, Sant'Eusebio avrebbe nascosto la statua tra le rocce dove ora sorge la Cappella del Roc, costruita nella prima metà del Settecento dagli abitanti di Fontainemore, località valdostana ancora oggi fortemente legata al Santuario dall'antica processione che si snoda ogni cinque anni tra i monti che separano le due vallate. Durante i lavori di restauro eseguiti nei primi mesi del 2005, sono emerse sulla volta decorazioni risalenti al XVII secolo, caratterizzati da motivi floreali giallo ocra su campo di colore azzurro, recente scoperta di un passato che ha ancora misteri da svelare.

Basilica Superiore

basilica_sup_2_lrOltre l'imponente scalinata che si apre a monte del Piazzale Sacro, lo sguardo si apre verso la Basilica Superiore, costruzione dalle proporzioni monumentali che si trova allo stesso tempo in rapporto di armonia con le alte montagne circostanti e in lieve contrasto con la dimensione spirituale e raccolta dell'Antica Basilica. L'esigenza di costruire una nuova chiesa, considerato l'elevato numero di pellegrini che si recavano in preghiera al Santuario, venne avvertita sin dal XVII secolo, quando si iniziò a discutere del progetto di realizzazione. Sul finire dell'Ottocento, venne scelto il progetto dell'architetto Ignazio Amedeo Galletti (1726-1791), elaborato un secolo prima, e, proseguendo lo sviluppo del Santuario verso Nord, venne deviato il torrente Oropa per disporre dello spazio necessario. Posata la prima pietra nel 1885, i lavori proseguirono con molta difficoltà attraverso le due guerre mondiali, coinvolgendo numerosi e qualificati consulenti tecnici. La cupola, che si eleva per oltre 80 m dal pavimento, fa da corona all'imponente monumento, che venne consacrato nel 1960.

presepe1Tre grandi portali in bronzo, preceduti da un ampio pronao, descrivono la storia del Santuario, dalle origini eusebiane fino alla costruzione della Chiesa Nuova, sulla quale aprono l'accesso. Un ampio spazio ottagonale, sovrastato dalla cupola sorretta da alte colonne tra le quali si aprono sei cappelle dedicate alla storia della vita della Vergine, accoglie i visitatori all'interno dell'ampia e grandiosa sala. L'altare maggiore, posto al centro della sala minore, è sormontato dall'aereo ciborio, moderna opera dell'artista milanese Gio Ponti. La Basilica Superiore è un' opera grandiosa voluta dalle ultime generazioni di biellesi e da tanti devoti alla Vergine Bruna, la cui testimonianza è stata lasciata nella sottostante cripta del suffragio, che accoglie nei suoi rivestimenti marmorei i nomi scolpiti dei devoti; si può qui ammirare un'interessante e rara collezione di presepi provenienti da tutto il mondo, testimonianza di fede e di svariate culture che hanno attraversato i confini del tempo e dello spazio per giungere nelle braccia della Madonna Nera di Oropa.

AVE MARIA!

venerdì 1 gennaio 2016

Breve storia critica del Crocefisso nell’arte

La croce dell’informe – Breve storia critica del Crocefisso nell’arte 



Croce1
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Con quest’articolo continua la pubblicazione in varie puntate (qui la primaqui la secondaqui la terzaqui la quarta e qui la quinta) di una “Breve storia critica del Crocifisso nell’arte” a cura di Luca Fumagalli,  socio fondatore e membro storico di Radio Spada.
di Luca Fumagalli

La Croce nel XVII secolo
Il 1600 continua naturalmente l’evoluzione in atto nel secolo precedente. Alla crisi della maniera segue il grande periodo barocco caratterizzato dal fasto e dall’abbondanza che, specialmente nelle architetture, ha regalato notevoli esempi d’arte sacra. Coerentemente alle disposizioni del Concilio di Trento che, parlando della devozione al Cristo Redentore, vuole che si evidenzia vittoria e il trionfo sulla morte, i Crocifissi di quest’epoca sono rappresentati con lo splendore del volto che fuga le tenebre. Nasce un nuovo modello di Cristo trionfante che sconfigge non solo la morte ma che allontana, grazie alla benigna aurea luminosa del viso, l’errore e l’eresia.
Simili esempi sono riscontrabili nelle crocifissioni di Annibale Carracci (1560-1609), dove il Cristo è circondato da un aureola radiosa e da lampi di luce che si stagliano in tutto il loro fulgore vivacizzati da uno sfondo cupo e tenebroso. Precursori di questo nuovo modo di intendere la crocifissione nell’arte sono Tintoretto (1518-1594) e Veronese (1528-1588): in particolare il primo presenta sempre un Gesù agonizzante che emana dal corpo, nonostante la morte imminente, una luce molto intensa[1]. L’aureola lucente esalta nell’atroce sofferenza della Croce la rivincita del Redentore che sconfigge la morte come la luce fuga le tenebre sullo sfondo.

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El Greco (1541-1614), pittore con uno stile unico ed inconfondibile, riprende invece uno schema più spiccatamente michelangiolesco[2] identificabile dalla sobrietà della composizione (che presenta solo pochi personaggi essenziali) e dalla posizione plastica e sinuosa di Gesù che mostra un corpo levigato e pulito, illuminato da un’intensa luce bianca che ne risalta le forme e la centralità compositiva.


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Una via di mezzo tra queste due linee pittoriche appena viste può essere quella spagnola (ma anche francese) incarnata da Velázquez (1599-1660) e dallo Zurbaran (1598-1664). In questi casi, alla semplicità dell’organizzazione scenica (Cristo è ritratto solo in Croce su un fondale nero) e alla cura anatomica delle parti, si aggiunge la luminosità emanata dal corpo di Gesù che staglia la sua figura sulla superficie e ne esalta ulteriormente le forme. Nell’impostazione del Cristo crocifisso(1631 ca.) di Velázquez, emerge inoltre un’eco classicheggiante derivato dai pittori italiani. L’opera è «nota non solo per la sua valenza emozionale ed estetica, ma anche per le leggende attorno alla sua origine […]: si narra che Filippo IV l’avesse fatta realizzare come ex voto di penitenza di un amore sacrilego provato per una giovane religiosa»[3]


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Un ulteriore tipologia è quella inaugurata dal Gesù crocifisso di Guido Reni (1575-1642) «col viso estatico, il corpo privo di sofferenza, rilassato, con gli occhi aperti in atteggiamento orante verso l’alto»[4]. Il Crocifisso più famoso di Guido è sicuramente quello dipinto nel 1639 per l’oratorio detto del Sacramento e delle Cinque Piaghe di Reggio e da dove lo prelevò per il proprio museo personale il duca di Modena Francesco III. Il Redentore appeso al sacro legno «è tutto solo, sull’aspro Calvario, sul cielo tenebroso, ad attendere la morte liberatrice, il bel volto incorniciato di spine, gli occhi volti all’alto da cui viene la gran luce»[5]. Questo nuovo modo di intendere il Crocifisso avrà seguito nel corso del secolo come attestano artisti del calibro del Guercino (1591-1666), Alessandro Algardi (1598-1654) e Simon Vouet (1590-1649).

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Nel XVII secolo parrebbero affacciarsi anche esempi del cosiddetto “Cristo giansenista”.  Di questi Crocifissi ce ne offrono molti il Girardon (1628-1715), Jordaens (1593-1678), Duquesnoy (1597-1674) e Giulio Carpioni (1613-1679). La peculiarità di questa tipologia è che Gesù non è raffigurato con le braccia completamente distese ma piuttosto riunite in alto. Questa sembrerebbe essere dunque la figurazione del notorio errore giansenista che vuole Nostro Signore morto per la salvezza non di tutta ma di una piccola parte dell’umanità. In realtà pare non ci sia alcun legame: la nuova figurazione è figlia delle stravaganze barocche come ad esempio quella di voler scolpire il Crocifisso in un solo pezzo di legno o avorio. Inoltre «A. Grazier cita vari Crocifissi stampati su libri di carattere assolutamente giansenista, i quali però hanno le braccia allargate secondo la forma ordinaria» [6].

[1] A titolo d’esempio cfr. TINTORETTO, Crocifissione, 1565, Scuola Grande di S. Rocco, Venezia.
[2] P. GIGLIONI, La Croce e il Crocifisso nella tradizione e nell’arte, Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2000, p. 38.
[3] M. A. ASTURIAS, Velázquez, Milano, Skira, 2003, p. 100 [“I classici dell’ arte”].
[4] GIGLIONI, La Croce e il Crocifisso, p. 38.
[5] F. MALAGUZZI VALERI, Guido Reni, Firenze, Le Monnier, 1929, p. 62.
[6] COSTANTINI, Il crocifisso nell’arte, p. 145. 

SANT'ANTONIO MARIA CLARET: Satis est vulnerum, satis est! --- talis vita, finis ita!


204 - Se vedeste che danno bastonate e coltellate a vostro padre, non  correreste a difenderlo? Non sarebbe un crimine guardare con indifferenza il  proprio padre in questa situazione? Non sarei io il più grande criminale del  mondo, se non procurassi impedire gli oltraggi che gli uomini fanno a Dio, che  é mio Padre? Ah, Padre mio! Io Vi difenderò, mi dovesse costare la vita! Io vi  stringerò tra le braccia e dirò ai peccatori: Satis est vulnerum, satis  est, come diceva S. Agostino. Fermi, peccatori, fermi! Non flagellate più oltre mio Padre! Troppi colpi avete già dato, troppe piaghe avete aperto! Se  non sapete fermarvi, picchiate me, che ben lo merito, ma non colpite oltre, né  maltrattate il mio Dio, il Padre mio, il mio amore. Ah, amore mio! Ah, mio  amore!  


205 - Parimenti mi obbliga a predicare senza posa, il vedere la moltitudine di  anime che cadono nell'inferno. Perché é di fede che tutti coloro che muoiono in  peccato mortale si dannano. Ahi, ogni giorno muoiono ottanta mila persone, secondo un calcolo approssimativo. Quante moriranno in peccato e quante si condanneranno! Poiché talis vita, finis ita! Tale é la morte quale fu la  vita.  
Da: Autobiografia....
SAN ANTONIO MARIA CLARET, 
ora pro nobis.

GESU' PREFERI' MORIRE PER TE CHE VIVERE SENZA DI TE

AVE MARIA, gratia plena, Dominus Tecum...

Gesù Cristo ha preferito morire per noi 
che vivere senza di noi
AUGURI!
ANNO DOMINI 2016

«Guardate oggi la sofferenza come benedizione, come passaggio necessario per la vostra Salvezza e conversione!» (23.2.1997)


< Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa >
LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!
AMDG et BVM