giovedì 3 luglio 2014

Uno sguardo alla vita ed al messaggio di Suor Faustina, ci permetterà di capire meglio l'infinita ricchezza della divina misericordia.


Carissimo Amico/a,

«La mentalità attuale sembra opporsi al Dio di misericordia, e tende ad eliminare dalla vita ed a togliere dal cuore umano la nozione stessa di misericordia, constata Papa Giovanni Paolo II. La parola e l'idea di misericordia sembrano mettere a disagio l'uomo che, grazie ad uno sviluppo scientifico e tecnico finora sconosciuto, è diventato padrone della terra che ha sottomesso e dominato... Tuttavia, la situazione del mondo attuale non palesa soltanto trasformazioni capaci di far sperare per l'uomo un avvenire terreno migliore, ma rivela altresì molteplici minacce, di gran lunga peggiori di quelle che si erano conosciute finora» (Enciclica Dives in misericordiaDM, 2, 30 novembre 1980).

In occasione della cerimonia di beatificazione di Suor Faustina Kowalska, il 18 aprile 1993, il Papa dice anche: «Il bilancio di questo secolo che volge al termine presenta, oltre alle conquiste, che hanno spesso superato quelle delle epoche precedenti, un'inquietudine ed una paura profonda quanto all'avvenire. Di conseguenza, dove, se non nella misericordia divina, il mondo può trovare la via d'uscita e la luce della speranza?»
Uno sguardo alla vita ed al messaggio di Suor Faustina, ci permetterà di capire meglio l'infinita ricchezza della divina misericordia.


Un'educazione austera

Il 25 agosto 1905, a Glogow (Polonia), nella casa dei coniugi Kowalski, nasce una bambina, terza di una famiglia che conterà dieci figli. Il giorno seguente, con il santo battesimo, riceverà il nome di Elena. Suo padre si guadagna con difficoltà il pane quotidiano, benchè passi le giornate a coltivare una terra poco generosa, ed una parte delle notti ad esercitare il mestiere di falegname. In questa famiglia patriarcale, i genitori predicano più con l'esempio che con le parole. I figli vengono allevati con affetto, ma anche con energia e addirittura con durezza.

Elena è di indole allegra ed espansiva. Benchè si faccia notare come ottima alunna, rimarrà a scuola solo due anni: si ha bisogno di lei in casa per le pulizie e per il lavoro nei campi. A 9 anni, fa la prima comunione, e diventa più meditativa, cerca momenti di silenzio e di solitudine. A 14 anni, la si manda a lavorare in una fattoria dei dintorni. Ciò porterà in casa un po' di denaro, ed essa potrà farsi un vestito della festa per andare a Messa. Dopo un anno di servizio pieno di abnegazione, di gentilezza e di diligenza, Elena dichiara a sua madre: «Mamma, devo farmi suora; devo entrare in convento!»
La risposta è un «no» categorico. I Kowalski, a corto di denaro e pieni di debiti, non possono assumersi le spese per la costituzione del corredo, vale a dire pagare gli abiti religiosi, condizione per l'ammissione in convento delle postulanti. Elena deve dunque pazientare: torna al lavoro, più lontano, nella città di Lodz.


In mezzo a ballerini sfrenati...


Passano due anni. Elena ha 18 anni. Supplica di nuovo i genitori di permetterle di realizzare finalmente la sua vocazione. Identico rifiuto netto. Delusa, la ragazza si lascia andare ad una certa tiepidezza e si sforza di soffocare nei divertimenti la chiamata di Dio. Eccola al ballo, una domenica sera, con sua sorella. Balla, ma il suo cuore risente uno strano malessere. Ad un tratto, vede Gesù accanto a sè: è lì, tutto insanguinato, coperto di piaghe, con il volto tormentato dal dolore, lo sguardo implorante, straziante. Le dice: «Per quanto tempo ti sopporterò ancora? Fino a quando mi deluderai?» Elena, stupefatta, sconvolta, smette immediatamente di ballare. Non sente più nessun suono; non vede più nulla della sala da ballo e dei ballerini che continuano a turbinare, sfrenati. Se ne va senza farsi notare, e corre fino alla cattedrale di San Stanislao Kostka.

La chiesa è quasi deserta. Si prosterna, con la faccia contro terra, davanti al Santissimo esposto nel brillante ostensorio; e, con tutto il cuore, vibrante di attesa e di umile sottomissione, chiede a Gesù Cristo: «Cosa devo fare?... – Va' immediatamente a Varsavia, lì entrerai in un convento». Elena si rialza, con il cuore traboccante di gioia, spiega tutto alla sorella, le chiede di salutare i genitori da parte sua, e, senza bagagli, prende il primo treno per Varsavia. Trova provvisoriamente un posto di domestica tuttofare presso una famiglia cattolica. Ma nessuna porta di convento si apre davanti a lei: non si sa che farsene di quella contadina incolta e senza dote. Persevera nelle sue ricerche, e finalmente viene introdotta presso la Madre Superiora delle Suore di Nostra Signora della Misericordia.


Va' a trovare il padrone di casa


Imbarazzata, la Madre Superiora le dice: «Va' a chiedere al Padrone di questa casa se vuol riceverti». Piena di gioia, Elena va nella cappella e, inginocchiata davanti al Tabernacolo, chiede: «Padrone di questa casa, mi vuoi ricevere?» Immediatamente, sente queste parole: «Ti accolgo, sei nel mio Cuore». Torna dalla Superiora che la interroga: «Allora, ti ha accettata nostro Signore? – Sì. – Se Lui ti ha accettata, ti accetto anch'io». Elena (che, in religione, si chiamerà ormai Suor Faustina) comincia così una vita totalmente consacrata al servizio di Cristo misericordioso e della di Lui Santa Madre.
Felice all'inizio, la postulante è ben presto delusa: accolta come conversa, è completamente assorbita da lavori di pulizia, di manutenzione, ecc. ed ha ben poco tempo per la preghiera, la meditazione, il cuore a cuore con Gesù Salvatore. Quasi decisa a lasciare la Congregazione, per cercarne un'altra più contemplativa, supplica il divino Maestro di illuminarla: improvvisamente, il Volto insanguinato di Nostro Signore le appare, nella sua stanza: «Qui ti ho chiamata, qui ti preparo grandi grazie».
Totalmente abbandonata alla volontà divina, Suor Faustina diventerà una vera contemplativa, in varie case della Congregazione e fra lavori continui, che esegue con ingegno e dedizione: cucina, giardino, portineria, ecc.

Il 22 febbraio 1931, le appare nuovamente Nostro Signore. È avvolto in un'ampia veste bianca, una mano è alzata in un gesto di assoluzione, l'altra è posata sul suo divino Cuore. Da quel Cuore scaturiscono in direzione della terra due fiotti di luce, uno rosso, l'altro bianco, i cui fasci si allargano progressivamente fino a ricoprire il mondo intero. E Gesù dice a Suor Faustina: «Dipingi un'immagine simile a ciò che vedi e scrivici sotto: 'Gesù, in te confido'. Desidero che tale immagine sia venerata in tutto il mondo. Prometto a coloro che la venereranno la vittoria sulle forze del peccato, soprattutto nell'ora della morte. Li difenderò io stesso, come mia gloria».
«Cosa significano i due fasci di raggi, uno rosso, l'altro bianco? interroga Suor Faustina. – Questi raggi significano l'acqua ed il sangue. L'acqua che purifica le anime; il sangue che è la vita dell'anima. Sgorgano dal mio Cuore trafitto sulla Croce». San Giovanni testimonia infatti: Uno dei soldati aprì il costato di Gesù con un colpo di lancia e subito ne uscirono abbondantemente sangue ed acqua! (Giov. 19, 34). L'acqua rappresenta il Battesimo ed il sacramento della Penitenza; il sangue, l'Eucaristia.
Suor Faustina è incapace di disegnare o di dipingere. Seguendo le sue indicazioni, un artista realizzerà la santa icona di Gesù misericordioso
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Ma quante lotte, contraddizioni, derisioni e smacchi le sono riservati fino al 1935, data alla quale, timidamente, il quadro verrà esposto nel celebre santuario di Nostra Signora d'Ostra Brama, a Wilno, grazie agli sforzi del suo confessore, don Sopocko. Subito, l'icona attira l'attenzione, e le grazie straordinarie di conversione si moltiplicano. Dopo la morte di Suor Faustina, verrà riprodotta in tutto il mondo.


Per chi la misericordia?


Che cos'è la misericordia? Essere misericordiosi significa avere un cuore velato di tristezza davanti all'altrui miseria, come se si trattasse della propria. L'effetto della misericordia è quello di sforzarsi di allontanare, per quanto possibile, tale miseria dal prossimo. La misericordia divina è l'amore di Dio per gli uomini in preda alla sofferenza, l'ingiustizia, la povertà ed il peccato. Mostra Dio particolarmente prossimo all'uomo. Gesù Cristo ha rivelato, con il suo stile di vita e le sue azioni, come l'amore di Dio sia presente nel mondo in cui viviamo. Tale amore attivo è capace di chinarsi su ogni figliol prodigo, su ogni miseria morale (ogni peccato). «La misericordia è come il secondo nome dell'amore, ed è, in pari tempo, il modo in cui si rivela e si realizza per opporsi al male che è nel mondo, che tenta ed assedia l'uomo, gli si insinua fin nel cuore e può farlo perire nella geenna» (DM, 7).

«Sulle orme di San Paolo, la Chiesa ha sempre insegnato che l'immensa miseria che opprime gli uomini e la loro inclinazione al male ed alla morte non si possono comprendere senza il loro legame con la colpa di Adamo e prescindendo dal fatto che egli ci ha trasmesso un peccato dal quale tutti nasciamo contaminati» (Catechismo della Chiesa Cattolica, CCC, 403). Abbiamo tutti bisogno della misericordia, poichè siamo tutti colpiti dalle conseguenze del peccato di Adamo. Le nostre colpe personali non hanno fatto che aggravare la nostra situazione: «Agli occhi della fede, nessun male è più grave del peccato, e niente ha conseguenze peggiori per gli stessi peccatori, per la Chiesa e per il mondo intero» (CCC, 1488). La perversità del peccato grave si comprende meglio quando si considerano le conseguenze eterne: «È soltanto in questa visione escatologica (del cielo e dell'inferno) che si può avere l'esatta misura del peccato e sentirsi spinti in modo decisivo alla penitenza ed alla riconciliazione (con Dio e con il prossimo)» (Giovanni Paolo II, Riconciliazione e penitenza, 26, 2/12/1984).


Il frutto del peccato


Nella sua misericordia, Dio ha voluto mostrare a Suor Faustina la conseguenza eterna del peccato grave. Scrive nel suo «Giornalino»: «Oggi, sono stata introdotta da un angelo negli abissi dell'inferno. È un luogo di grandi supplizi. La sua estensione è terribilmente vasta. Vi ho visto diversi tipi di sofferenze: – La prima è la perdita di Dio. – La seconda: i perpetui rimorsi della coscienza. – La terza: la sorte dei dannati non cambierà mai. – La quarta: è il fuoco, acceso dall'ira di Dio, che penetrerà nell'anima senza distruggerla. – La quinta: le tenebre incessanti, un odore terribile, soffocante. E, malgrado le tenebre, i demoni e le anime dannate si vedono l'un l'altro e vedono tutto il male altrui ed il loro. – La sesta: è la continua compagnia di Satana. – La settima: una terribile disperazione, l'odio di Dio, le maledizioni, le bestemmie.
«Che ogni peccatore sappia che sarà torturato per tutta l'eternità attraverso i sensi di cui si è servito per peccare. Scrivo questo per ordine di Dio, acciocchè nessuna anima possa scusarsi affermando che l'inferno non esiste, o che nessuno vi è andato e non si sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio, sono penetrata negli abissi infernali per parlarne alle anime e testimoniare che l'inferno esiste... Ho notato una cosa, ed è che lì vi erano molte anime che avevano messo in dubbio l'esistenza dell'inferno... Così, prego ancor più ardentemente per la salvezza dei peccatori. Invoco su di loro senza posa la divina Misericordia. O Gesù mio, preferisco agonizzare fino alla fine del mondo noi massimi supplizi, piuttosto che offenderti con il minimo peccato».
Questa testimonianza personale della beata è tanto più degna di attenzione che non contraddice in nulla la dottrina della Chiesa: «La Chiesa afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità... Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da Lui per una nostra libera scelta» (CCC, 1035, 1033).

La realtà dell'inferno ci invita a riflettere sulla gravità della sua causa, il peccato mortale. Si «chiama peccato mortale l'atto attraverso il quale un uomo, liberamente e consapevolmente, rifiuta Dio, la di Lui legge, l'alleanza d'amore che Dio gli propone, preferendo proiettarsi verso se stesso, verso qualche realtà creata e finita, verso qualcosa di contrario alla volontà di Dio» (Enciclica Veritatis splendor, 6 agosto 1993). Ciò si verifica nella disubbidienza ai comandamenti di Dio in materia grave (per esempio: idolatria, apostasia, bestemmia, aborto, eutanasia, contraccezione, adulterio, ecc.).



«Gesù mio, misericordia!»


Dio, dal canto suo, non è in nessun modo l'autore del peccato. Ma c'è di più, Egli non abbandona colui che ha la sventura di offenderLo, ma gli offre instancabilmente la grazia del pentimento. Il Sangue di Cristo, morto per amore, ha ottenuto per noi un accesso sicuro presso il Dio di misericordia: Il sangue di Cristo purificherà la nostra coscienza da tutte le opere di morte (Ebr., 9, 14). La misericordia è la caratteristica di Dio. Una preghiera liturgica della Messa per i defunti comincia così: «O Dio, il cui proprio è di avere sempre pietà e di perdonare...», e l'orazione Colletta della 26^ domenica ordinaria afferma che Dio manifesta la propria onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia. La misericordia è la massima virtù, poichè spetta a Lui dare agli altri, e, per di più, alleviare la loro indigenza. Questo è il proprio di Dio, che possiede tutto e che può tutto (ved. San Tommaso d'Aquino, II-II, 30, 4). Giovanni Paolo II sottolinea: «La misericordia, in quanto perfezione del Dio infinito, è essa medesima infinita. Infinita dunque ed inesauribile è la prontezza del Padre ad accogliere i figlioli prodighi che tornano a casa. Infinite sono altresì la prontezza e l'intensità del perdono che scaturisce incessantemente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio. Nessun peccato dell'uomo può prevalere su tale forza, nè limitarla» (DM, 13).

Il Salvatore dice un giorno a Suor Faustina: «Voglio che i sacerdoti proclamino la mia grandissima misericordia. Voglio che i peccatori si avvicinino a me senza timore alcuno! Fosse l'anima come un cadavere in avanzato stato di putrefazione, non esistesse più, umanamente, alcun rimedio, non è la stessa cosa davanti a Dio! Le fiamme della misericordia mi consumano. Ho fretta di riversarle sulle anime... Nessun peccato, fosse anche un abisso di abiezione, esaurirà la mia misericordia, perchè più vi si attinge e più essa aumenta... È per i peccatori che ho versato tutto il mio sangue. Che si approssimino dunque a me senza alcun timore!» Così si spiega la fiducia di San Bernardo: «Il mio corpo di argilla mi opprime di tutto il suo peso, Satana dispone le sue trappole, ma non sono travolto, non cado, perchè sono solidamente fissato sulla roccia incrollabile. So che ho peccato gravemente, la coscienza me lo rimprovera; ma non mi scoraggio, mi ricordo delle piaghe del mio Salvatore, che è stato ferito per le nostre iniquità (Is. 53, 5). Che cosa c'è di tanto mortale che la morte redentrice di Cristo non guarisca? Quando penso ad un rimedio tanto potente ed efficace, non posso aver paura di nessuna malattia, per quanto sia maligna» (Sermone 61 sul Cantico dei Cantici, 5).

San Benedetto, nel Prologo della sua Regola, ci presenta la misericordia divina come un potente motivo di speranza, ed un appello alla conversione: «È per la riparazione dei peccati che i giorni di questa vita ci sono prolungati come una tregua, come dice l'Apostolo: Ignori che la pazienza di Dio ti induce alla penitenza? Poichè il nostro misericordioso Signore dice pure: Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva. «Il pentimento e la conversione sono le disposizioni necessarie per partecipare alla grazia della Redenzione. Il Santo Padre ci avverte di ciò quando dice: «Da parte dell'uomo, possono limitare (la misericordia) solo la mancanza di buona volontà, la mancanza di prontezza nella conversione e nella penitenza, vale a dire l'ostinazione incessante che si oppone alla grazia ed alla verità, specialmente di fronte alla testimonianza della Croce e della Risurrezione di Cristo» (DM, 13).
Al peccatore pentito, la divina misericordia viene concessa in modo privilegiato nella confessione. «È il sacramento della penitenza o della riconciliazione che appiana la strada di ciascuno, anche quando è subissato da gravi colpe. In questo sacramento, ogni uomo (battezzato) può sperimentare in modo unico la misericordia, vale a dire l'amore che è più forte del peccato» (DM, 13). La misericordia è promessa anche a coloro che sanno perdonare e compatire le altrui sofferenze: Beati i misericordiosi, perchè otterranno misericordia (Matt. 5, 7).


Vittima dell'amore misericordioso

Dopo l'apparizione del 1931, la vita di Suor Faustina è segnata dalla sofferenza fisica, le prove interiori e le umiliazioni. Ma essa accetta tutto con gioia, per ottenere la salvezza dei peccatori, a tal punto che il Sacro Cuore le promette: «Ti darò tutto ciò che vorrai... Per castigare, ho tutta l'eternità. Ora prolungo il tempo della misericordia. Prima di venire in qualità di Giudice, spalanco le porte della mia misericordia... I più grandi peccatori potrebbero diventare grandissimi santi, se confidassero nella mia misericordia». Come Santa Teresa di Gesù Bambino, la religiosa polacca arde di zelo missionario: «Mi sento responsabile di tutte le anime, sento che non vivo per me sola, ma per tutta la Chiesa... O, Gesù mio, abbraccio il mondo intero per offrirlo alla tua misericordia!»

Gli ultimi mesi di Suor Faustina, vissuti in un sanatorio per via della tubercolosi che la consuma fin dal 1933, trascorrono nella preghiera e l'immolazione per gli agonizzanti che la circondano. Ne ottiene spesso la conversione, anche in circostanze umanamente disperate. Si addormenta dolcemente nel Signore, all'età di 33 anni, il 5 ottobre 1938.
Suor Faustina era molto devota alla Santa Vergine, Madre di Misericordia. «Maria, dice il Papa, è colei che conosce più a fondo il mistero della divina misericordia. Ne sa il prezzo, e quanto esso sia grande. Quest'amore misericordioso non cessa, in lei e grazie a lei, di rivelarsi nella storia della Chiesa e dell'umanità» (DM, 9).
Beata Suor Faustina, ottienici, sotto la materna protezione di Maria e di San Giuseppe, il beneficio di accostarci con fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia ed un aiuto divino al momento opportuno (Ebr. 4, 16), per noi e per tutti coloro che ci sono cari, vivi e defunti.
Dom Antoine Marie osb

<<GESU' MIO, 

MISERICORDIA!>>

23 jun 2014 Comparadme con una madre que tiene que separarse de su hijo al nacer. // 25 jun 2014 No cortéis los vínculos con aquellos que os odian por causa Mía




23 jun 2014 Comparadme con una madre que tiene que separarse de su hijo al nacer

28.06.2014 22:40
  Lunes 23 de junio de 2014 a las 1:45 hrs. Mi muy querida bienamada hija, te traigo a ti y a todos Mis amados seguidores, grandes Bendiciones hoy. Mi Corazón estalla de amor por todos vosotros. Me doy cuenta de que vuestra jornada para servirme puede ser muy difícil a veces, pero Yo...

25 jun 2014 No cortéis los vínculos con aquellos que os odian por causa Mía

01.07.2014 15:49
Miércoles 25 de junio de 2014 a las 23:37 hrs. Mi muy querida bienamada hija, no hay necesidad de que la gente detenga todas sus actividades normales del día a día cuando me prometen lealtad. Yo no Soy un Dios que os ordena que caigáis a Mis Pies, en detrimento(desventaja) de vuestras...


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mercoledì 2 luglio 2014

Domenica 6 Luglio 2014, XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 6 Luglio 2014, XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 11, 25-30.
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 
Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. 
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 
Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». 
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 268 pagina 292.
(...) 
3 Giungono a Cafarnao quando gli apostoli sono già arrivati. Seduti sul terrazzo, all’ombra della pergola, intorno a Matteo, narrano le loro gesta al compagno che non è ancora guarito. Si voltano al lieve scalpiccio dei sandali sulla scaletta e vedono la testa bionda di Gesù emergere sempre più dal muretto della terrazza. Corrono a Lui che sorride… e restano di stucco vedendo che dietro a Gesù è un povero bambino. La presenza di Mannaen, che sale pomposo nella sua veste di lino candido - resa ancor più bella dalla cintura preziosa, dal mantello rosso fiamma di lino tinto, così lucido da parer seta, appena appoggiato alle spalle a fargli quasi strascico dietro le spalle, e dal copricapo di bisso tenuto da un sottile diadema d’oro, una lamina bulinata che gli taglia a metà la fronte spaziosa dandogli quasi un’aria da re egizio - trattiene una valanga di domande che gli occhi però esprimono ben chiare. Ma dopo i saluti reciproci, seduti ormai presso Gesù, gli apostoli chiedono: «E questo?» accennando al bambino.

«E questo è la mia ultima conquista. Un piccolo Giuseppe, legnaiuolo come il grande Giuseppe che mi fu padre. Perciò a Me carissimo, come Io carissimo a lui. Non è vero, bambino? Vieni qui, che ti faccio conoscere questi miei amici dei quali hai tanto sentito parlare. Questo è Simon Pietro, l’uomo più buono coi bambini che ci sia. E questo è Giovanni, un grande fanciullo che ti parlerà di Dio anche giocando. E questo è Giacomo suo fratello, serio e buono come un fratello maggiore. E questo è Andrea, fratello di Simon Pietro: andrai subito d’accordo con lui perché è mite come un agnello. E poi ecco Simone lo Zelote: questo ama tanto i bambini senza padre che credo girerebbe tutta la terra, se non fosse con Me, per cercarli. Poi ecco qui  Giuda di Simone e con lui Filippo di Betsaida e Natanaele. Vedi come ti guardano? Hanno bambini anche loro ed amano i bambini. E questi sono i miei fratelli Giacomo e Giuda. Essi amano tutto ciò che Io amo, perciò ti ameranno. Ora andiamo noi da Matteo, che spasima per il suo piede eppure non ha rancore per i bambini che, giocando sventatamente, lo hanno colpito con una selce aguzza. Non è vero, Matteo?».
«Oh! no, Maestro. È figlio della vedova?».
«Sì. È molto bravo, ma è rimasto molto triste».
«Oh! povero bambino! Ti farò chiamare Giacomino e giocherai con lui» e Matteo lo carezza attirandoselo con una mano vicino.
Gesù termina la presentazione con Tommaso che, pratico, la completa offrendo al bimbo un grappolo d’uva staccata dalla pergola.
«Ora siete amici» conclude Gesù, sedendo di nuovo mentre il bambino succhia la sua uva rispondendo a Matteo, che se lo tiene vicino.

4 «Ma dove sei stato tutto solo per tutta la settimana?».
«A Corozim, Simone di Giona».
«Questo lo so. Ma che ci hai fatto? Sei stato da Isacco?».
«Isacco l’Adulto è morto».
«E allora?».
«Non te lo ha detto Matteo?».
«No. Ha detto soltanto che eri a Corozim dal giorno dopo la nostra partenza».
«Matteo è più bravo di te. Egli sa tacere, e tu non sai frenare a tua curiosità».
«Non la mia, quella di tutti».
«Ebbene, sono andato a Corozim per predicare la carità in atto».
«La carità in atto? Che vuoi dire?» chiedono in molti.
«A Corozim c’è una vedova con cinque bambini ed una vecchia malata. L’uomo è morto all’improvviso al banco di lavoro, lasciando dietro di sé miseria e lavori incompiuti. Corozim non ha saputo trovare un briciolo di pietà per questa famiglia infelice. Io sono andato a finire i lavori e…».
Avviene un pandemonio. Chi domanda, chi protesta, chi brontola Matteo per averlo permesso, chi ammira e chi critica. E, purtroppo, chi protesta o critica è la maggioranza.
Gesù lascia che la burrasca si quieti così come si è formata e per tutta risposta dice:
«E ci tornerò dopodomani. E così farò finché ho finito. E voglio sperare che almeno voi comprendiate.  

5 Corozim è un nòcciolo serrato e mancante del germe. Siate almeno voi nòccioli col germe.
Tu, bambino, dàmmi la noce che Simone ti ha dato e ascolta anche tu.
Vedete questa noce? E prendo questa perché non ho altri gusci sotto le mani, ma per capire la parabola pensate ai nòccioli dei pinoli o delle palme, ai più duri, a quelli delle ulive, per esempio. Sono astucci serrati, senza fessure, durissimi, di un legno compatto. Sembrano scrigni magici che solo una violenza può aprire. Eppure, se uno di essi viene gettato nella terra, anche semplicemente a terra e il passante lo affonda, col passarvi sopra, quel tanto che esso si adagi nel suolo, che avviene? Che il forziere si apre e fa radici e foglie.  Come avviene da sé? Noi dobbiamo battere molto col martello per riuscirvi e invece, senza colpi, il nòcciolo si apre da sé. È dunque magico quel seme? No. Ha dentro una polpa. Oh! una cosa debole rispetto al duro guscio! Eppure, essa nutre una ancora più piccola cosa: il germe. E questo è la leva che sforza, apre, dà pianta con fronde e radici. Provate a seppellire dei nòccioli e poi attendete. Vedrete che alcuni nascono, altri no. Estraete quelli che non sono nati. Apriteli col martello e vedrete che sono semivuoti. Non è dunque l’umido del suolo né il calore quelli che fanno aprire il nòcciolo. Ma è la polpa, e più: l’anima della polpa, il germe che, gonfiando fa da leva e apre.

Questa è la parabola. Ma applichiamola a noi.
Che ho fatto che non andasse fatto? Ci siamo ancora capiti così poco da non comprendere che l’ipocrisia è peccato e che la parola è vento se non è convalidata dall’azione? Che vi ho sempre detto Io? “Amatevi gli uni con gli altri. L’amore è il precetto e il segreto della gloria”. E Io, che predico, dovrei essere senza carità? Darvi l’esempio di un maestro menzognero? No, mai!
Oh! amici miei. Il nostro corpo è il nòcciolo duro; nel nòcciolo duro è chiusa la polpa: l’anima; in essa è il germe che Io ho deposto. Esso è fatto di molti elementi. Ma il principale è la carità. Essa è che fa da leva per schiudere il nòcciolo e liberare lo spirito dalle costrizioni della materia ricongiungendolo a Dio, che Carità è.
La carità non si fa solo di parole o di denaro. Si fa la carità con la sola carità. E non vi paia uno scherzo di parole. Io non avevo denaro, e le parole non bastavano per questo caso. Qui vi erano sette persone sulle soglie della fame e dell’angoscia. La disperazione avanzava le sue branche nere per ghermire ed affogare. Il mondo si ritirava duro ed egoista davanti a questa sventura. Il mondo mostrava di non avere capito il Maestro nelle sue parole. Il Maestro ha evangelizzato con le opere. Io avevo capacità e libertà di farlo. E avevo il dovere di amare per tutto il mondo questi meschini che il mondo disama. Io ho fatto tutto questo.
Potete criticarmi ancora? O devo essere Io che - alla presenza di un discepolo che non si è scandalizzato di portare la sua persona fra la segatura e i trucioli per non abbandonare il Maestro e che, ne sono convinto, si sarà fatto più persuaso di Me vedendomi curvo sul legno di quanto non sarebbe stato persuaso vedendomi in trino, e di un bambino che a sentito Me per quello che sono, nonostante la sua ignoranza, la sventura che l’ottunde, e la sua assoluta verginità di conoscenza col Messia quale esso è in realtà - o devo essere Io che vi critico? Non parlate? Non vi mortificate soltanto, mentre Io alzo la voce a raddrizzare idee errate. E per amore lo faccio. Ma mettete in voi il germe che santifica e apre il nòcciolo. O sarete sempre degli esseri inutili. 

Quello che Io ho fatto, voi dovete essere pronti a fare. Per amore del prossimo, per portare a Dio un’anima, nessun lavoro vi deve pesare. Il lavoro, quale esso sia, non mai umiliante. Mentre umilianti sono le azioni basse, le falsità, le denunce bugiarde, le durezze, i soprusi, gli strozzinaggi, le calunnie, le lussurie. Queste mortificano l’uomo. Eppure si fanno senza vergognarsene, anche da parte di quelli che vogliono dirsi perfetti e che certo si sono scandalizzati di vedermi lavorare di sega e di martello.
Oh! Oh! Il martello! L’indegno martello, se è per mettere chiodi in un legno a formare un oggetto atto a dar da mangiare a degli orfanelli, come diverrà nobile! Il martello, ignobile se nelle mie mani e per fine santo, come non apparirà più tale, e come lo vorranno avere tutti quelli che ora si darebbero a gridare il loro scandalo per esso! Oh! uomo, creatura che dovresti essere luce e verità, come sei tenebra e menzogna!
Ma voi, voi almeno, comprendete cosa è il bene! Cosa è la carità. Cosa è l’ubbidienza. In verità vi dico che molti sono i farisei. E che non sono assenti fra quelli che mi circondano». 
«No, Maestro. Non lo dire! Noi… è perché ti amiamo che non vogliamo certe cose!…».

«È perché non avete ancora capito nulla.   7 Vi ho parlato della fede e della speranza, e credevo che non necessitasse parola novella per parlarvi della carità, perché Io tanto l’emano che dovreste esserne saturi. Ma vedo che la conoscete solo di nome, senza saperne la natura e la forma. Così come conoscete la luna.
Vi ricordate quando ho detto che la speranza è come il braccio trasverso del dolce giogo che sorregge la fede e la carità, ed è il patibolo dell’umanità e il trono della salvezza? Si? Ma non avete compreso le mie parole nel loro significato. E perché non me ne avete chiesto la spiegazione? Ve la do Io. È giogo perché obbliga l’uomo a tenere bassa la sua superbia stolta sotto il peso delle verità eterne. Ed è patibolo di questa superbia. L’uomo che spera in Dio suo Signore, di necessità umilia il suo orgoglio, che vorrebbe proclamarsi “dio”, e riconosce che egli è nulla e Dio è tutto, che egli può nulla e Dio può tutto, che egli-uomo è polvere che passa e Dio è eternità che eleva la polvere a superiore grado, dandogli premio di eternità. L’uomo si inchioda alla sua croce santa per raggiungere la Vita. E ve lo configgono le fiamme della fede, della carità, ma lo alza verso il Cielo la speranza che è fra questa e quella. Però, ritenete la lezione: se manca la carità, il trono è senza luce, e il corpo, schiodato da un lato, pende verso il fango, non vedendo più il Cielo. Annulla così gli effetti salutari della speranza, e finisce col rendere sterile anche la fede perché, staccati da due delle tre teologali virtù, si cade in languore e in gelo mortale.
Non rifiutate Dio neppure nelle minime cose. Ed è rifiutare Iddio respingere un aiuto al prossimo per orgoglio pagano.


La mia dottrina è un giogo che piega l’umanità colpevole ed è un maglio che rompe la scorza dura per liberarne lo spirito. È un giogo ed è un maglio, sì. Ma pure chi la accetta non sente la stanchezza che dànno tutte le altre dottrine umane e tutte le altre cose umane. Ma pure chi se ne fa colpire non sente il dolore di essere frantumato nell’io umano, ma prova un senso di liberazione. Perché cercate di liberarvene per sostituirla da tutto ciò che è piombo e dolore?
Voi tutti avete i vostri dolori e le vostre fatiche. Tutta l’umanità ha dolori e fatiche, superiori alle forze umane talora. Dal bambino come questo, che già porta sulle piccole spalle un grande peso che lo fa piegare e che leva il sorriso del fanciullo alle sue labbra e la spensieratezza alla sua mente che, sempre umanamente parlando, non sarà perciò mai più stata fanciulla, al vecchio che piega alla tomba con tutti i disinganni e le fatiche, e i pesi, e le ferite della sua lunga vita. Ma nella mia dottrina e nella mia fede è il sollievo da questi pesi accascianti. Perciò è detta la “Buona Novella”. E chi l’accetta e l’ubbidisce sarà beato dalla terra, perché avrà Dio a suo sollievo e le virtù a rendergli facile e luminoso il cammino, quasi fossero buone sorelle che, tenendolo per mano, con le lampade accese ne rischiarano la via e la vita e gli cantano le eterne promesse di Dio, fino a quando, piegando in pace il corpo stanco sulla terra, si risveglia in Paradiso.
Perché volete, o uomini, essere affaticati, desolati, stanchi, disgustati, disperati, quando potete essere sollevati e confortati? Perché anche voi, miei apostoli, volete sentire la stanchezza della missione, la sua difficoltà, la sua severità, mentre avendo la fiducia di un bambino potete solo avere ilare solerzia, luminosa facilità a compierla e comprendere e sentire che essa è severa solo agli impenitenti che non conoscono Dio, ma per i fedeli suoi è come mamma che sorregge sul cammino, indicando ai piedi incerti del pargolo i sassi e i pruni, i nidi di serpi ed i fossati, perché egli li conosca e non vi pericoli?


9 Voi ora siete desolati. La vostra desolazione ha avuto un inizio ben miserabile! Voi siete desolati prima della mia umiltà come di un delitto contro Me stesso. Ora siete desolati perché avete capito di avermi addolorato e di essere così lontani ancora dalla perfezione. Ma in pochi questa seconda desolazione è priva di superbia. Della superbia ferita dalla constatazione di essere ancora nulla, mentre per orgoglio vorreste essere perfetti. Abbiate solo l’umiltà volenterosa di accettare il rimprovero e di confessare che avete sbagliato, promettendo in cuor vostro di volere la perfezione per un fine sopraumano. E poi venite a Me. Io vi correggo, ma vi comprendo e compatisco.

Venite a Me, voi apostoli, e venite a Me voi tutti, uomini che soffrite per dolori materiali, per dolori morali, per dolori spirituali. Questi ultimi dati dal dolore di non sapervi santificare come vorreste per amore di Dio e con sollecitudine e senza ritorni al Male. La via della santificazione è lunga e misteriosa e talora si compie all’insaputa del camminatore, che procede fra le tenebre, col sapore del tossico in bocca, e crede di non procedere e di non bere liquido celeste, e non sa che anche questa cecità spirituale è un elemento di perfezione.

Beati quelli, tre volte beati quelli che continuano a procedere senza godimenti di luce e di dolcezze e non si arrendono perché nulla vedono e sentono, e non si fermano dicendo: “Finché Dio non mi dà delizie io non procedo”. Io ve lo dico: la strada più oscura diverrà luminosissima d’improvviso aprendosi su paesaggi celesti. Il tossico, dopo aver levato ogni gusto per le cose umane, si muterà in dolcezza di Paradiso per questi coraggiosi che stupiti diranno: “Come ciò? Perché a me tanta dolcezza e letizia?” Perché avranno perseverato e Dio li farà esultanti dalla terra di ciò che è il Cielo.

Ma intanto, per resistere, venite a Me voi tutti che siete affaticati e stanchi, voi apostoli e, con voi, tutti gli uomini che cercano Dio, che piangono per causa del dolore della terra, che si sfiniscono da soli, ed Io vi ristorerò. Prendete su voi il mio giogo. Non è un peso. È un sostegno. Abbracciate la mia dottrina come fosse una amata sposa. Imitate il Maestro vostro che non si limita a bandirla ma fa ciò che insegna. Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore. Troverete il riposo delle vostre anime, perché mitezza ed umiltà concedono il regno sulla terra e nei Cieli. Già ve l’ho detto che i trionfatori veri fra gli uomini sono coloro che li conquistano con l’amore, e l’amore è sempre mite e umile. Io non vi darei mai da fare delle cose superiori alle vostre forze, perché vi amo e vi voglio con Me nel mio Regno. Prendete dunque la mia insegna e la mia assisa, e sforzatevi ad essere simili a Me e quali la mia dottrina insegna. Non abbiate paura, perché il mio giogo è dolce e il suo peso è leggero, mentre infinitamente potente è la gloria di cui godrete se a Me fedeli. Infinita ed eterna…
10Vi lascio per qualche tempo. Vado col bambino presso il lago. Troverà degli amici… Poi spezzeremo il pane insieme. Vieni, Giuseppe. Ti farò conoscere i piccoli che mi amano».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

lunedì 30 giugno 2014

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte prima (a cura di Gemma)


LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte terza

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quarta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte sesta

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte settima (a cura di Gemma)

Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei" (Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga, 16 gennaio 2010)

Ratzinger: "Il mio Concilio: ricordi dell'attuale Pontefice" (Reset e Repubblica) 

Joseph Ratzinger presenta se stesso: discorso di Presentazione alla Pontificia Accademia delle Scienze

Joseph Alois Ratzinger nasce in Baviera nella diocesi di Passau, a Marktl an Inn , il 16 aprile 1927 alle 4.15, Sabato Santo, da Joseph e Maria.

Viene battezzato il mattino successivo con l’acqua appena benedetta della “notte pasquale”. Come ricorda nella sua biografia, “La mia vita” , l’essere il primo battezzato della nuova acqua è sempre stato per lui un segno di benedizione, “un importante segnale premonitore di una vita fin dall’inizio immersa nel mistero pasquale”.
Indiscrezione della stampa tedesca, vuole che i genitori si siano conosciuti con l’aiuto di un annuncio pubblicato dal padre Joseph su una rivista cattolica. La madre Maria, ex cuoca, ha origini sud-tirolesi. Il padre viene descritto come uomo severo ma giusto, severità compensata dalla calorosa cordialità della mamma Maria.
Ha due fratelli, Maria e Georg, più grandi rispettivamente di 5 e 3 anni.
Marktl si trova vicinissimo ad Altotting, l'antico santuario mariano risalente all'epoca carolingia, luogo di grandi pellegrinaggi per la Baviera e l'Austria occidentale.
Il padre, gendarme, nei dieci anni successivi, deve spesso trasferirsi e, come dice lui stesso, “non è per nulla facile dire dove io sia di casa”.

Solo due anni dopo, si stabilisce a Tittmoning, piccola città sul Salzach, il cui ponte fa anche da confine con l’Austria (“Tittmoning, dall’architettura così marcatamente salisburghese, è rimasto il paese dei sogni della mia infanzia”).Di quel periodo racconta: “sentivamo che il nostro sereno mondo infantile non era affatto incastonato in un paradiso. Nelle adunanze pubbliche, mio padre doveva intervenire sempre più di frequente contro le violenze dei nazisti. Sentivamo molto chiaramente l’enorme preoccupazione che gravava su di lui e che egli non riusciva a scrollarsi di dosso nemmeno nei piccoli gesti di ogni giorno”. Così alla fine del 1932, dal momento che a Tittmoning si era esposto parecchio, decide di trasferirsi ad Aschau sull’Inn. A Tittmoning il piccolo Joseph riceve la Cresima dalle mani del Cardinale Michael Faulhaber, Arcivescovo di Monaco. Alla vista del porporato il cresimando Ratzinger disse: «Anch’io, un giorno, diventerò cardinale!». Il fratello Georg, pero', smorzo' subito quella frase che si sarebbe rivelata profetica: «Vabbè, due settimane fa volevi fare l’imbianchino!».

Ad Aschau la famiglia Ratzinger abita nel primo piano della villa di un contadino con annesso giardino e stagno dove il piccolo Joseph mentre gioca sta quasi per annegare.

La vita della famiglia procede secondo i ritmi della locale comunità cattolica e sempre presente e vivo è, fin dall’infanzia, l’interesse per la liturgia che accompagnerà Joseph Ratzinger per tutta la vita (”l’inesauribile realtà della liturgia cattolica mi ha accompagnato attraverso tutte le fasi della mia vita”…“ogni nuovo passo che mi faceva entrare più profondamente nella liturgia era per me un grande avvenimento”) .

Nel 1937, in seguito al pensionamento del padre, la famiglia si trasferisce a Traunstein , località a 30 km da Salisburgo, diventato in pratica il suo vero paese d’origine.

Il fratello Georg sviluppa grande passione per la musica e per primo entra in seminario, Maria frequenta la scuola media delle francescane, il piccolo Joseph fa spesso lunghe passeggiate col padre al quale in quel periodo si avvicina di più.

I bambini a casa durante i giochi si immedesimano spesso nella parodia del sacerdote e un aneddoto riportato in una biografia vuole che durante una “processione” prendano accidentalmente fuoco le trecce della sorella.
Nel 1939, su consiglio del parroco, entra anche lui nel seminario di Traunstein. Della fase iniziale di quell’esperienza dice: “ io sono tra quelle persone che non sono fatte per la vita in internato. A casa avevo vissuto e studiato in grande libertà, così come volevo, costruendomi un mio mondo infantile. Trovarmi a contatto in una sala studio con circa sessanta altri ragazzi era per me una tortura”, così come le due ore di sport odierne, essendo poco dotato per le attività sportive , più piccolo d’età e nettamente inferiore per forza fisica di tutti gli altri.
E’ il primo della classe ma non è malvisto dai compagni perché li lascia copiare. Legge "con fervore Goethe, Schiller gli appare un po' troppo moralista", scrive poesie sulla vita quotidiana e la natura e da lezioni di recupero.
Nello stesso anno, a settembre, scoppia la guerra e nel 1943, a 16 anni, insieme agli altri seminaristi della sua classe, viene reclutato nei servizi di contraerea a Monaco (“è quasi superfluo ricordare che il periodo trascorso presso la contraerea causò delle situazioni imbarazzanti, soprattutto per un individuo così poco incline alla vita militare come me”) e alla fine assegnato ai servizi telefonici e dispensato dalle esercitazioni militari. Nel settembre 44 viene congedato ma, a casa, trova la chiamata al servizio lavorativo del Reich. (“Quelle settimane di servizio lavorativo sono rimaste nella mia memoria come un ricordo opprimente”. I superiori sono in gran parte provenienti dalla cosiddetta Legione Austriaca, “persone fanaticamente ideologizzate, che ci tiranneggiavano con violenza”. Racconta di essersi salvato in quel periodo dall’arruolamento volontario dichiarando insieme a qualcun altro, di essere intenzionato a diventare sacerdote cattolico. (“Venimmo coperti di scherni e insulti e ricacciati indietro, ma queste umiliazioni ci erano molto gradite, dal momento che ci liberavano dalla minaccia di questo arruolamento falsamente volontario e da tutte le sue conseguenze”). Sospesi i lavori, viene rimandato a casa ma di lì a poco arriva la chiamata alle armi con destinazione alla caserma di fanteria di Traunstein per il corso di addestramento. Da lì il trasferimento a varie località nei dintorni, anche se viene più volte esonerato dal servizio per malattia.
Durante l'arruolamento forzato, non sparo' mai nemmeno un colpo anche a causa di una ferita al pollice della mano sinistra, la cui cicatrice è tuttora visibile.

Secondo una biografia di un autore tedesco il giovane Ratzinger rischio' di morire di setticemia per quel taglio. Il medico militare consiglio' l'amputazione del dito, ma, grazie soprattutto alle cure della madre, non fu necessario procedere all'operazione.

Alla fine di aprile del 45 diserta e torna a casa ma all’arrivo degli americani, identificato come soldato, viene internato come prigioniero di guerra. Di quei giorni ricorda: “mi infilai in tasca un grosso quaderno e una matita – una scelta apparentemente poco pratica, mentre in realtà, quel quaderno si rivelò per me una meravigliosa compagnia, poiché, giorno dopo giorno, vi potei segnare pensieri e riflessioni di ogni genere; arrivai persino a cimentarmi con la composizione di esametri greci”. A giugno, viene rilasciato in libertà e torna a casa (“la Gerusalemme celeste in quel momento non mi sarebbe potuta apparire più bella”) e col ritorno anche del fratello Georg si ricostituisce l’unità familiare. (“I mesi successivi in cui potemmo gustare la ritrovata libertà , che ora avevamo imparato a stimare nel suo giusto valore, sono tra i più bei ricordi della mia vita”).
In quel periodo, insieme ad altri, partecipa con entusiasmo alla ricostituzione del seminario semidistrutto, adibito ad ospedale militare e comincia ad appassionarsi allo studio della teologia (“di libri, nella Germania distrutta ed economicamente prostrata, non era possibile acquistarne. Ma dal parroco e in seminario potevamo ricevere qualcosa in prestito, cercando così di muovere i primi passi sul terreno sconosciuto della teologia e della filosofia”)

domenica 29 giugno 2014

– Buongiorno, signor parroco e compagnia.


Carissimo Amico/a

«Andavo per un sentiero incassato ed ombroso della mia campagna, narra un sacerdote contemporaneo, quando incontrai, dietro una macchia, una vecchina che custodiva le sue pecore, curva sul bastone:– Buongiorno, Catina.
– Buongiorno, signor parroco e compagnia.
– Ma come, nonnina? Sono solo, dove vede la compagnia?
Si raddrizza, e vedo il suo viso solcato di rughe e gli occhi chiari ancora belli. Mi dice seriamente:
– E che ne fa dell'angelo custode?
– Scusi, nonna. Stavo per dimenticare l'angelo custode; grazie di avermelo ricordato».


Cinque volte la giorno


Monsignor Roncalli, il futuro Papa Giovanni XXIII, scriveva ad una delle sue nipoti, religiosa, chiamata suor Angela: «Il tuo nome di religione deve incoraggiarti ad intrattenere rapporti familiari con il tuo angelo custode, ed altresì con tutti gli angeli custodi delle persone che conosci ed a cui vuoi bene nella Santa Chiesa e nella tua Congregazione. Che consolazione sentire presso di sè questo celeste custode, questa guida dei nostri passi, questo testimone delle nostre azioni più intime. Io stesso recito la preghiera «Angelo di Dio, che sei il mio custode» almeno cinque volte al giorno, e spesso mi intrattengo spiritualmente con lui, sempre nella calma e nella pace» (3 ottobre 1948).

All'uomo di oggi, abituato alle discipline scientifiche, ripugna ammettere l'esistenza di quel che non cade sotto i sensi e sfugge alla sperimentazione. Eppure il 'Credo' che recitiamo a Messa afferma che Dio è il Creatore del cielo e della terra, delle cose visibili ed invisibili. La professione di fede del Concilio Latera-
nense IV (1215) afferma che Dio ha, «fin dal principio del tempo, creato dal nulla l'uno e l'altro ordine di creature, quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli ed il mondo terrestre; e poi l'essere umano, partecipe dell'uno e dell'altro, composto di anima e di corpo». Questo è l'insegnamento costante della Chiesa.
L'esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede, vale a dire una verità rivelata da Dio. La fede nelle verità che Dio ci ha voluto rivelare è più certa di qualsiasi conoscenza umana, poichè si basa sulla testimonianza stessa di Dio, che non può nè ingannarsi nè ingannarci. La Scrittura, Parola di Dio (conservata, trasmessa e spiegata dalla Chiesa), afferma chiaramente l'esistenza degli angeli. Esistono fin dalla creazione (ved. Giobbe 38, 7, ove gli angeli sono chiamati «figli di Dio») e lungo tutta la storia della salvezza: chiudono il paradiso terrestre, proteggono Lot, salvano Agar ed il suo bambino, trattengono la mano di Abramo; la legge viene comunicata per mano loro, guidano il popolo di Dio, annunciano nascite e vocazioni, assistono i profeti, per citare soltanto alcuni esempi. In particolare, è l'angelo Gabriele che annuncia la nascita del Precursore (San Giovanni Battista) e quella dello stesso Gesù (ved. Catechismo della Chiesa Cattolica [CCC], 332).

Cristo è il Re degli angeli. Sono stati creati da lui e per lui (ved. Col. 1,16). Dall'Incarnazione all'Ascensione, la sua vita è circondata dall'adorazione e dal servizio degli angeli. Cantano quando nasce, ed annunciano ai pastori la Buona Novella dell'Incarnazione. Proteggono l'infanzia di Cristo, lo servono nel deserto, lo confortano durante l'Agonia. Fanno conoscere alle pie donne la Risurrezione. Al ritorno di Cristo, saranno lì, al servizio del suo giudizio (ved. CCC, 333).

La vita di tutta la Chiesa e di ciascun uomo beneficia del potente aiuto degli angeli. Dall'infanzia fino alla morte, la vita umana è circondata dalla loro protezione e dalla loro intercessione. «Ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita» (San Basilio, PG 29, 656B).


Un bellissimo segreto


«La fede ci insegna, diceva Papa Giovanni XXIII che nessuno di noi è solo. Non appena l'anima è creata da Dio per un nuovo essere umano, soprattutto quando la grazia dei sacramenti lo avvolge con la sua luce ineffabile, un angelo, che fa parte delle sante falangi degli spiriti celesti, viene chiamato per rimanergli accanto durante tutto il suo pellegrinaggio terrestre. Nel corso di una conversazione che ebbi con l'illustre Pontefice Pio XI, lo sentii esporre un bellissimo segreto, per confermare che la protezione dell'angelo custode dà sempre gioia, aggiusta tutte le difficoltà, riduce gli ostacoli. Quando mi capita, mi confidava Pio XI, di dover parlare con qualcuno che so negato per il ragionamento e con cui è necessario far appello ad una certa forma di persuasione, raccomando allora al mio angelo custode di informare di tutto l'angelo custode della persona che devo incontrare. In questo modo, una volta realizzata l'intesa fra i due spiriti superiori, il colloquio si svolge nelle migliori condizioni e si trova facilitato» (9 settembre 1962).

Padre Pio aveva l'abitudine di dire ai suoi amici: «Quando avete bisogno della mia preghiera, rivolgetevi al mio angelo custode, tramite il vostro». Infatti, gli angeli custodi sono messaggeri sicuri e veloci. Un aneddoto illustrerà questa verità: un pullman di pellegrini, in viaggio alla volta di San Giovanni Rotondo, luogo di residenza di Padre Pio, affronta, di notte, sugli Appennini, uno spaventoso temporale. Dapprima presi dal panico in mezzo ai lampi, i passeggeri si ricordano del consiglio del Padre, ed invocano il suo angelo. Grazie al suo soccorso, escono indenni dal frangente. Il giorno dopo, prima ancora che avessero il tempo di raccontargli le peripezie del viaggio, il religioso li accoglie sorridendo: «Ebbene, figlioli miei, questa notte mi avete svegliato e costretto a pregare per voi...». L'angelo custode aveva fedelmente eseguito la sua missione.
Il compito degli angeli non è solo quello di distogliere da noi i mali fisici. Ci guidano verso la pratica di tutte le virtù, sulla via che conduce alla perfezione. Sono sempre occupati a procurarci l'eterna salvezza ed a ferci vivere nell'amicizia di Dio. In questa loro opera, il loro amore per noi è puro, forte e costante. Fedeli alla loro missione, non diminuiscono il loro impegno e non ci abbandonano, anche se abbiamo la grande sventura di distoglierci da Dio attraverso il peccato grave. Così, come raccomanda San Bernardo: «Abbiamo una devozione ed una riconoscenza particolare per simili custodi: non manchiamo di amarli, di onorarli, tanto quanto possiamo, tanto quanto dobbiamo... Tutte le volte che ci sentiamo spinti da qualche tentazione violenta, e minacciati da qualche grande prova, invochiamo l'Angelo che ci custodisce, che ci guida, che ci assiste nelle nostre necessità e nelle nostre afflizioni... Prendiamo, insomma, l'abitudine di intrattenerci con i nostri buoni Angeli, in una familiarità particolare. Pensiamo a loro; rivolgiamoci a loro, con preghiere fervide e continue, poichè ci sono sempre vicini per difenderci e consolarci» (Sermone 12 sul Salmo 90, nn. 7, 9 e 10).


Rifiuto totale


Se la Rivelazione divina ci dà la consolazione di esser circondati da angeli potenti che ci proteggono, essa ci mostra anche altri spiriti, che sono i nostri nemici, impegnati a distoglierci da Dio con tutti i mezzi.
Questi spiriti, chiamati demoni o diavoli, il cui capo è Satana o Lucifero, sono angeli che Dio aveva creato buoni come gli altri: «Il diavolo e gli altri demoni sono stati creati da Dio naturalmente buoni, ma da se stessi si sono trasformati in malvagi», afferma il Concilio Lateranense IV. La Scrittura parla infatti di un peccato di questi angeli (ved. 2 Pt 2, 4). Tale peccato consiste nella libera scelta di questi spiriti creati, che hanno radicalmente ed irrevocabilmente rifiutato Dio ed il suo regno. Così sono incorsi nella dannazione eterna. È il carattere irrevocabile della scelta degli angeli, e non un difetto della misericordia divina, a far sì che il loro peccato non possa esser perdonato. «Non c'è possibilità di pentimento per essi dopo la caduta, come non c'è possibilità di pentimento per gli uomini dopo la morte», dice San Giovanni Damasceno (De fide orthodoxa, 2, 4).

Fin dall'inizio dell'umanità, i demoni si sono sforzati di ispirare agli uomini il loro proprio spirito di ribellione contro Dio, per farli cadere nell'inferno. Si trova un riflesso della loro ribellione nelle parole rivolte dal tentatore ai nostri progenitori: Diventerete come Dio (Gen. 3, 5). Così, Satana porta l'uomo a trasgredire i divini comandamenti. Si sforza di far nascere la ribellione in colui che soffre (ved. Giobbe 1, 11; 2, 5-7); è all'origine della morte, che è entrata nel mondo insieme al peccato (ved. Sap. 2, 24). Nemico di Dio e della verità, si accanisce soprattutto ad impedire la predicazione della verità evangelica. Secondo Origene, Lucifero è rappresentato nell'Antico Testamento dal Faraone d'Egitto che, oberando gli Ebrei di lavoro e vietando loro di offrire il sacrificio a Dio, vuole impedire alle anime di alzare gli occhi al cielo, assorbendole nel desiderio e nella preoccupazione delle cose terrene. Perchè vuole soprattutto che nessuno cerchi il Creatore, che nessuno si ricordi del cielo, che è la vera patria di ciascuno (ved. Homiliae in Exodum, 2).


Il padre della menzogna


Fra i nomi che il Signore dà al demonio, nel Vangelo, quello che lo caratterizza forse maggiormente è quello di padre della menzogna (Giov. 8, 44). Esso è infatti l'ingannatore per eccellenza. Offre agli uomini una felicità illusoria e passeggera (ricchezze; onori; lussuria, sotto varie forme: masturbazione, fornicazione, adulterio, libera unione, contraccezione, omosessualità, ecc.). Per ingannare meglio, si sforza di passare inosservato, di far credere che non esiste, come ci ricorda Papa Giovanni Paolo II: «Le impressionanti parole dell'Apostolo San Giovanni: Tutto il mondo giace sotto il potere del maligno (1 Giov. 5, 19), alludono alla presenza di Satana nella storia dell'umanità, una presenza che aumenta man mano che l'uomo e l'umanità si allontanano da Dio. L'influenza dello spirito maligno può «nascondersi» in modo più profondo e più efficace: farsi ignorare corrisponde ai suoi «interessi». L'abilità di Satana nel mondo è quella di portare gli uomini a negare la sua esistenza in nome del razionalismo o di un qualsiasi altro sistema di pensiero che cerca tutte le scappatoie possibili per non ammettere la sua opera» (3 agosto 1986). Papa Paolo VI diceva, il 15 novembre 1972: «Una delle più grandi necessità della Chiesa, oggi, è quella di difendersi contro quel male che chiamiamo il demonio... È il nemico numero uno, il tentatore per eccellenza. Sappiamo che quest'essere oscuro ed inquietante esiste veramente e che è sempre all'opera con una scaltrezza traditrice. È il nemico occulto che semina l'errore e l'infelicità nella storia umana... È il seduttore perfido ed astuto che sa insinuarsi in noi attraverso i sensi, l'immaginazione, la concupiscenza, la logica utopistica, i contatti sociali disordinati, per introdurre nei nostri atti deviazioni tanto nocive quanto apparentemente conformi alle nostre strutture fisiche o psichiche, o alle nostre aspirazioni istintive e profonde».
Certo, non bisogna vedere il diavolo dappertutto; tutti i peccati non sono direttamente dovuti alla sua azione: la nostra natura decaduta ed il mondo che ci circonda, in quanto sottomesso al potere del demonio (ved. 1 Giov. 5,19), ci portano sufficientemente al male da soli. «È comunque vero, tuttavia, che colui che non bada a se stesso con un certo rigore, si espone all'influenza del mistero di iniquità di cui parla San Paolo e compromette la propria salvezza» (Paolo VI, ibid.). Ma se Dio concede qualche potere al demonio sulla terra, se gli permette di tentarci, è per darci l'occasione di vincerlo, di guadagnare meriti per il cielo, e perchè Egli può far nascere il bene dal male.
Il combattimento contro il diavolo assume talvolta aspetti spettacolari come nella vita di Sant'Antonio il Grande.


Le lotte del Signore


Antonio è un giovane Egizio del terzo secolo. Avendo sentito, un giorno, i consigli di Gesù al giovane ricco: Se vuoi essere perfetto, va'vendi quanto hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi (Matt. 19, 16-21), distribuisce ai poveri tutti i suoi beni e si consacra ad una vita da asceta, nella preghiera continua e nell'esercizio delle virtù.
Ma il diavolo non è d'accordo. Prova, prima di tutto, a fargli abbandonare il suo modo di vita austero, attraverso il ricordo dei suoi beni, la preoccupazione per la sorella, l'amore del denaro, il desiderio di gloria e degli altri piaceri della vita; infine, l'apparente asprezza della virtù, e le dure fatiche che essa esige. Ma, vedendo che non ottiene nulla, affronta il giovane con suggestioni oscene. Questi, raddoppia le preghiere ed i digiuni. Il Nemico assume allora l'aspetto di una donna, per sedurlo, ma egli pensa a Cristo che ha nel cuore: medita ora sulla nobiltà della filiazione divina attraverso la grazia, ora sulla minaccia del fuoco che non si estingue e sul tormento del verme che non muore (ved Marco 9, 47), e vince così la tentazione.

Il demonio non si dà per vinto. Con il permesso divino, tormenta fisicamente Sant'Antonio, produce un chiasso orribile, che spaventa i testimoni, ed affligge il corpo del generoso atleta di Cristo di piaghe e dolori talmente vivi, che ne rimane come morto. Altre volte, è sotto l'apparenza di bestie feroci che gli spiriti maligni lo assalgono: leoni, orsi, leopardi, tori, serpenti, scorpioni, lupi... Sferzato e pungolato da essi, Antonio prova dolori sempre più violenti. Il che non gli impedisce di prendersi gioco degli assalitori: «Se aveste un qualsiasi potere, basterebbe che uno solo di voi venisse, ma il Signore vi ha tolto la forza, allora provate a spaventarmi con il numero. È un segno della vostra debolezza, il fatto che imitiate l'aspetto delle bestie feroci».
Queste dimostrazioni spettacolari del demonio non devono impressionarc al punto da produrre nelle nostre anime sentimenti di terrore, poco compatibili con la fiducia dovuta al Cuore di Gesù. Il diavolo non ha assolutamente nessun potere senza il permesso di Dio, che non lascerà mai che il nostro Nemico ci tenti al di là delle nostre forze. Secondo il paragone di San Cesario, il demonio è simile ad un cane legato alla catena. Può abbaiare molto forte, far baccano, ma non può mordere, cioè nuocere alla nostra anima, salvo se consentiamo volontariamente alla tentazione (Sermone, 121). D'altro canto, la potenza degli angeli che ci custodiscono prevale ampiamente su quella degli spiriti maligni.

Dopo i furiosi assalti che ha subito vittoriosamente, Antonio è riconfortato da una visione di Nostro Signore. Il monaco gli dice: «Dove eri, Signore? Perchè non sei apparso fin dall'inizio per far cessare i miei dolori? – Ero accanto a te, Antonio, aspettavo di vederti lottare. Poichè hai resistito, e con l'aiuto della mia grazia non sei stato vinto, sarò sempre il tuo soccorso e ti renderò celebre ovunque». Riconfortato nell'anima e nel corpo, il santo si rialza e riprende la sua vita da asceta, aspettando nuove prove e nuove vittorie (ved. Vita di Sant'Antonio, di Sant'Atanasio).

Le lotte sostenute dal Padre dei monaci contro il demonio, sotto un aspetto straordinario, rappresentano quelle che dobbiamo noi stessi condurre nella vita di tutti giorni, in modo meno spettacolare. Il demonio tenta talvolta proponendo piaceri sensuali. Altre volte, immerge l'uomo nelle tenebre, lo turba, lo assorbe in questioni basse e terrene, lo porta alla tristezza, alla diffidenza, alla pigrizia, allo scoraggiamento ed alla disperazione. Quest'ultimo modo di tentazione è abituale nei riguardi di quelle anime che progrediscono nel servizio di Dio. Per vincere le tentazioni, bisogna reagire concedendo più tempo e maggior attenzione alla preghiera o alla meditazione, facendo qualche piccolo sacrificio ed esaminando con cura la propria coscienza. Lungi dal nuocere, le suggestioni diaboliche diventano allora occasione di merito e di progresso nella virtù.


Un angelo di luce


Capita anche che il demonio si presenti a noi in modo seducente, come successe a Padre Maria Eugenio (1894-1967). Questo carmelita predicava un giorno un ritiro in un convento di Carmelitane. Lo si avverte che una suora di clausura desidera incontrarlo nel parlatorio. Vi si reca e si trova di fronte ad una religiosa che assomiglia perfettamente a Santa Teresa di Gesù Bambino. Essa comincia a fare un'infinità di complimenti al Padre, elogiandolo per le sue prediche, assicurandogli che diventerà un gran predicatore, ecc. Più essa parla, e più egli si sente male a suo agio. Si decide a farle una domanda: «Sorella, che cos'è l'umiltà?» A queste parole, la religiosa sparisce come per incanto; Padre Maria Eugenio riconosce allora il demonio. Così talvolta, esso si trasforma in angelo di luce e suggerisce dapprima all'anima pensieri buoni e santi, ma che si concludono con il turbamento, l'inquietudine e l'orgoglio. La vigilanza sui nostri pensieri, anche buoni, e l'umiltà sono mezzi sicuri per premunirci contro tali stratagemmi infernali. Il fatto di aprire la propria anima ad una guida spirituale può pure essere di gran soccorso (ved. Sant'Ignazio, Esercizi Spirituali, 326).

Dio custodisce e governa con la sua provvidenza tutto ciò che ha creato. Si cura di tutto, dalle minime cose fino ai più grandi eventi del mondo e della storia. Il suo disegno è quello di farci giungere all'eterna beatitudine, nel suo regno, dove condivideremo la sua stessa vita in una felicità perfetta. Per questo, si serve di tutte le creature. Fa parte del suo disegno provvidenziale far concorrere al nostro bene gli assalti dei demoni ed i soccorsi degli angeli buoni. Preghiamo dunque la Santa Vergine, che ha schiacciato la testa del serpente, San Giuseppe, Terrore dei demoni, San Michele e gli angeli custodi, di aiutarci a discernere le tentazioni diaboliche ed a seguire solo le ispirazioni celesti. Così, guidati dallo Spirito Santo, potremo compiere, un giorno dopo l'altro, la volontà divina.
È la grazia che chiediamo a Dio, per Lei e per tutti coloro che Le sono cari. Non dimentichiamo i Suoi defunti nelle nostre preghiere.
Dom Antoine Marie osb

AVE MARIA PURISSIMA!

sabato 28 giugno 2014

A Roma il natale dei santi Apostoli Piétro e Pàolo




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A Roma il natale dei santi Apostoli Piétro e Pàolo, i quali patirono
nello stesso anno e nello stesso giorno, sotto Nerone
Imperatore. Il primo di questi, nella medesima Città, crocifisso col
capo rivolto verso la terra, e sepolto nel Vaticàno presso la via Trionfale,
è celebrato con venerazione di tutto il mondo; l'altro decapitato
e sepolto sulla via Ostiènse, è venerato con pari onore.

In Cipro santa Maria, madre di Giovanni, soprannominato Marco.
Nel castello d'Argenton, in Frància, san Marcéllo Martire, il
quale, per la fede di Cristo, fu decapitato insieme con Anastàsio,
uomo militare.

A Génova il natale di san Siro Vescovo.

A Narni san Cassio, Vescovo di quella città, del quale racconta
san Gregorio Papa, che non passava quasi alcun giorno della sua
vita, nel quale non offrisse a Dio onnipotente ostie propiziatorie.
A questo conformava anche la sua vita, perchè, distribuendo in
elemosine tutto quello che aveva, nel tempo del sacrificio si profondeva
tutto in lacrime. Finalmente, nel giorno natalizio degli
Apostoli, in cui ogni anno era solito recarsi a Roma, nella stessa
città di Narni, dopo aver celebrato la Messa e dato a tutti il corpo
del Signore e la pace, passò a Dio.

Nel territorio di Sens santa Benedétta Vergine.