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venerdì 18 marzo 2016

PER MARIAM... AD IESUM! MARIA VALTORTA GLORIA D'ITALIA, ANZI UN DONO IMMENSO PER IL MONDO INTERO... CHE RICONOSCE LA VOCE DEL PASTORE..!


i
EL HOMBRE-DIOS





E IN LINGUA SPAGNOLA:


LIBROS MARIA VALTORTA 


EL EVANGELIO COMO ME FUE REVELADO Y 

OTROS



AMDG et BVM

mercoledì 20 maggio 2015

«E non ricordi che Aurea è da salvare?...

438. Maria Ss. con Maria d’Alfeo a Tiberiade per farsi cedere Aurea. Un incontro con Giuda Iscariota.

Tiberiade è già alle viste mentre le due pellegrine stanche procedono nel crepuscolo che cala.
«Fra poco sarà buio… E siamo ancora in mezzo alla campagna… Due donne sole… E vicino ad una città grande piena di… uh! Che gente! Belzebù! Belzebù per la più parte… », dice Maria d’Alfeo guardandosi intorno spaventata.
«Non temere, Maria. Belzebù non ci farà del male. Fa male solo a chi lo accoglie in cuore… ».
«Ma questi pagani l’hanno!… ».
«A Tiberiade non vi sono soltanto dei pagani. E anche fra i pagani ci sono dei giusti ».
«Che? Che? Non hanno il Dio nostro!… ».

Maria non ribatte perché comprende che è inutile. La buona cognata non è che una delle tante israelite che si credono esse sole depositarie della virtù… perché israelite.

Un silenzio in cui è solo rumore lo strascichio dei sandali calzanti i piedi stanchi e polverosi.
«Era meglio fare la strada solita… Quella la conoscevamo… era più battuta dalla gente… Questa… fra le ortaglie, solitaria… ignota… Ho paura, ecco! ».
«Ma no, Maria. Guarda. La città è lì, a due passi. E qui sono quieti orti dei coltivatori di Tiberiade, e lì è la riva, a due passi. Vuoi che andiamo sulla riva? Troveremo pescatori… Non c’è che da traversare queste ortaglie ».
«No, no! Ci allontaniamo di nuovo dalla città! E poi… I barcaioli sono quasi tutti greci, cretesi, arabi, egizi, romani… », e pare che nomini altrettanti classi infernali. Maria Ss. non può fare a meno di sorridere all’ombra del suo velo.

Procedono. La via si muta in viale. Perciò più ombra che mai… e più paura che mai di Maria d’Alfeo, che invoca Jeovè ad ogni passo che fa sempre più lento.
«Su, da forte! Sollecita, se hai paura! », la sprona Maria, che ad ogni invocazione ha risposto: «Maran Atà!».
Ma Maria d’Alfeo si ferma del tutto e chiede: «Ma perché sei voluta venire qui? Forse per parlare all’Iscariota? ».
«No, Maria. O per lo meno non precisamente per questo. Sono venuta per parlare alla romana Valeria… ».
«Misericordia! Andiamo a casa sua? Ah! no! Maria! Non lo fare! Io… io già non ti ci accompagno! Ma che ci vai a fare? Da quelle… da quelle… da quegli anatemi!… ».
Maria Ss. muta il dolce sorriso in una espressione seria e chiede: «E non ricordi che Aurea è da salvare? Mio figlio ha iniziato la sua liberazione. Io la compirò. È così che tu pratichi l’amore verso le anime? ».
«Ma non è d’Israele… ».
«In verità tu non hai capito ancora una parola della Buona Novella! Sei una discepola molto imperfetta… Non lavori per il tuo Maestro e mi dài tanto dolore ».

Maria d’Alfeo china il capo… Ma il suo cuore, pieno delle prevenzioni d’Israele ma congenitamente buono, prende il sopravvento e con uno scoppio di pianto abbraccia Maria e dice: «Perdonami! Perdonami! Non dirmi che ti do dolore e che non servo il mio Gesù! Sì, sì! Sono molto imperfetta, merito rimprovero… Ma non lo farò più… Vengo, vengo! Anche nell’Inferno se tu ci vai a strappare un anima per darla a Gesù…
Dammi un bacio, Maria, per dire che mi perdoni… ».
Maria la bacia e riprendono la via, svelte, rianimate dall’amore…

Eccole in Tiberiade, verso il porticciolo dei pescatori. Cercano la casetta di Giuseppe, il barcaiolo discepolo… La trovano. Bussano…
«La Madre del mio Maestro! Entra, o Donna! E Dio sia conte e con me che ti ospito. Entra anche tu e la pace sia con te, madre di apostoli ».
Entrano, mentre la moglie e la figlia giovinetta del barcaiolo accorrono a salutarle, seguite da una nidiatella di figli più piccoli…
E il parco cibo è presto preso, e Maria di Cleofe, stanca, si ritira insieme ai fanciulli della casa. Restano sulla terrazza alta, dalla quale si vede il lago – si sente, più che si veda, perché non c’è luna ancora – flottare contro il lido, Maria Ss., il barcaiolo e la moglie dello stesso, che si sforza a far buona compagnia ma che in
realtà dorme ciondolando il capo sul petto.

«È stanca!… », la scusa Giuseppe.
«Poveretta! Le donne di casa sono sempre stanche a sera ».
«Sì, lavorano loro. Non sono come quelle lì, che si danno il bello spasso! », dice con sprezzo il barcaiolo indicando delle barche illuminate che si staccano dalla riva fra canti e suoni. «Escono ora, loro! Comincia ora per loro la fatica! Quando le persone perbene dormono. E danneggiano i lavoratori, perché vanno a
fingere pesche nei luoghi migliori, mettendo in fuga noi che dal lago abbiamo il pane per la famiglia… ».
«Chi sono? ».
«Romane e loro simili. E nelle simili mettici Erodiade, la sua lussuriosa figlia e anche altre ebree… Perché di Marie di Magdala ne abbiamo molte… Voglio dire di Marie prima del pentimento…».
«Sono infelici… ».
«Infelici? Infelici siamo noi che non le lapidiamo per ripulire Israele da quelle che si sono corrotte e ci portano le maledizioni di Dio ».

Intanto altre barche si staccano e il lago rosseggia dei lumi delle barche dei gaudenti.
«Senti che puzzo di resine? Si ubriacano col fumo per prima cosa, poi fanno il resto nei banchetti. Sono capaci di andare alle sorgenti calde dell’altra sponda… In quelle Terme… Cose di Inferno succedono!
Torneranno all’alba, all’aurora, forse più tardi… ubriachi, coricati gli uni sugli altri come tanti sacchi, uomini e donne, e gli schiavi li porteranno dentro, nelle case, a smaltire l’orgia… Escono proprio tutte le belle barche, questa sera! Guarda! Guarda!… Ma io ho ira più coi giudei che ci si mescolano che con loro.
Loro… si sa! Animali senza ritegno. Ma noi!… Donna, lo sai che c’è qui Giuda l’apostolo? ».
«Lo so ».
«Non dà buon esempio, sai? ».
«Perché? Va con quelli?… ».
«No… ma… cattivi compagni… e una donna. Io non l’ho visto… Nessuno di noi lo vede così. Ma dei farisei ci hanno schernito dicendoci: “Il vostro apostolo ha cambiato maestro. Ora ha una donna ed è in buona compagnia di pubblicani” ».
«Non giudicare, Giuseppe, di ciò che hai solo sentito dire. Lo sai che i farisei non vi amano e non lodano neppure il Maestro ».
«Ciò è vero… Ma la voce circola… e nuoce… ».
«Come è sorta cadrà. Tu non peccare contro il fratello. Dove sta di casa? Lo sai? ».
«Sì. Presso un amico, credo. Uno che ha fondaco di vini e spezie. Il terzo fondaco al lato d’oriente del mercato, dopo la fonte… ».
«Tutte le romane sono uguali? ».
«Oh! su per giù!… Anche se non si fanno vedere fanno il male ».
«Chi sono quelle che non si fanno vedere? ».
«Quelle che sono venute da Lazzaro a Pasqua. Stanno più ritirate… voglio dire che non sempre vanno ai banchetti. Ma ci vanno però sempre a sufficienza per poter dire che sono immonde ».
«Ma dici così perché ne sei sicuro, o perché la tua prevenzione ebrea ti fa parlare? Esaminati proprio… ».
«Ecco… veramente… non so… Non le ho viste più nelle barche dei sozzi… Ma in barca ci vanno, di notte, sul lago ».
«Ci vai tu pure ».
«Certo! Se voglio pescare! ».
«Il calore è tanto! Solo sul lago di notte è refrigerio. Sono le tue parole mentre si cenava ».
«È vero ».
«E allora perché non pensare che esse pure vanno per questo sul lago? ».
L’uomo tace… Poi dice: « È tardi. Le stelle dicono che è la seconda vigilia. Io mi ritiro, Donna. Non vieni?».
«No. Resto qui in preghiera. Uscirò presto. Non mi stupire se non mi trovi all’alba ».
«Sei padrona di fare ciò che vuoi. Anna! Su! Andiamo a letto! », e scuote la moglie che dorme pesantemente.
Se ne vanno.

Maria resta sola… Si inginocchia e prega, prega, prega… ma non perde mai di vista le barche veleggianti, le barche dei signori, quelle che navigano tutte luminose fra fiori e canti e incensi… Molte vanno, vanno, vanno verso oriente, si fanno piccine nella lontananza, il rumore dei canti non arriva più. Resta una barca
solitaria, splendente al largo dello specchio d’acqua luminoso di luna calante davanti a Tiberiade. Veleggia lenta in su e in giù… Maria la osserva finché la vede volgere la prua verso la sponda.

Allora Maria sorge in piedi dicendo: « Signore, aiutami! Fa’ che sia… », e poi scende leggera la scaletta, entra piano in una stanza dalla porta socchiusa… Al bianco chiarore della luna è possibile distinguere un lettuccio. Maria si china su di esso e chiama: «Maria! Maria! Svegliati! Andiamo! ».
Maria d’Alfeo si desta e, imbambolata dal sonno, chiede sfregandosi gli occhi: « È già ora di andare? Come
si è fatto presto giorno! ». È tanto assonnata che non capisce neppure che non è luce d’alba ma di luna la tenue fosforescenza che entra dalla porta aperta. Se ne accorge però quando è fuori, sul piccolo pezzo di terreno coltivato che è davanti alla casa del
barcaiolo. «Ma è notte! », esclama.
«Sì. Ma faremo prima e usciremo prima da questa città… almeno spero. Vieni! Per di qui, lungo la riva. Fa’ presto! Prima che la barca tocchi terra… ».
«La barca? Quale barca? », Maria chiede. Ma corre dietro alla Vergine che va lesta sulla riva deserta, verso il moletto dove la barca dirige.
Giungono affannate qualche istante prima di essa… Maria aguzza lo sguardo. Esclama: «Lode a Dio! Sono loro. Ora tu vienimi dietro… perché bisogna andare dove esse vanno… Io non so dove abitano… ».
«Ma Maria… per pietà!… Ci prenderanno per delle meretrici!… ».

La purissima scrolla la testa e mormora: 
«Basta non esserlo. Vieni! », e la tira nella penombra di una casa.
La barca accosta e, mentre fa le manovre per accostare, si ferma una lettiga, in attesa lì presso, che viene portata avanti. Vi salgono due donne, mentre due restano a terra e camminano al fianco della lettiga, e la lettiga si mette in moto al passo cadenzato di quattro numidi vestiti di una cortissima tunica sbracciata che
appena li copre nel torso…
E Maria dietro, nonostante le proteste in sordina di Maria d’Alfeo: «Due donne sole!… Dietro quelli lì! Sono mezzi nudi… 
Ohibò!… ».
Pochi metri di cammino e poi la lettiga si ferma. Una donna scende, mentre il battistrada bussa ad un portone.
«Vale, Lidia! ».
«Vale, Valeria! Carezza Faustina per me. Domani sera leggeremo ancora nella quiete, mentre gli altri gozzovigliano… ».
Il portone si apre e Valeria, con la sua schiava o liberta, sta per entrare.
Maria si fa avanti e dice: «Domina! Una parola! ».
Valeria guarda le due donne avvolte in un manto ebreo, molto semplice e molto calato sul volto, e le crede mendicanti. Ordina: «Barbara, dà l’obolo! ».
«No, domina. Non chiedo denaro. Sono la Madre di Gesù di Nazaret e questa è mia parente. Vengo in suo Nome a farti una preghiera ».
«Domina! Tuo Figlio è forse… perseguitato… ».
«Non più del solito. Ma Egli vorrebbe… ».
«Entra, Domina. Non è degno che tu resti nella via come una mendica ».
«No. È presto detto, se tu mi ascolti in segreto… ».
«Via, voi tutti! », ordina Valeria alla schiava, o liberta che sia, e ai portinai. «Siamo sole. Che vuole il Maestro? Io non sono venuta per non nuocergli nella sua città. Lui non è venuto per non nuocermi, forse, presso lo sposo mio? ».
«No. Per mio consiglio. Mio Figlio è odiato, domina ».
«Lo so ».
«E ha conforto soltanto nella sua missione ».
«Lo so ».
«Non chiede onori né milizie, non aspira a regni né a ricchezze. Ma fa valere il suo diritto sugli spiriti ».
«Lo so ».
«Domina… Egli dovrebbe renderti quella fanciulla… Ma, non ti sia sdegno se lo dico, qui ella non potrebbe far di Gesù il suo spirito. Tu migliore delle altre… Ma intorno a te è… troppo vivo il fango del mondo ».
«È vero. Ebbene? ».
«Tu sei madre… Mio Figlio ha sensi di padre per ogni spirito. Soffriresti tu che la tua bambina crescesse in mezzo a chi la può rovinare?… ».
«No. E ho compreso… Ebbene… Dì a tuo Figlio queste parole: “In ricordo di Faustina, salvata nella carne, Valeria ti lascia Aurea perché Tu ne salvi lo spirito…”. È vero! Noi siamo troppo corrotti… per dare affidamento a un santo… Domina, prega per me! », e si ritira rapida prima che Maria possa ringraziarla. Si ritira, direi, piangendo…
Maria d’Alfeo è di stucco.
«Andiamo, Maria… Alla notte partiremo e domani sera saremo a Nazaret… ».
«Andiamo… L’ha ceduta come… come una cosa… ».
«Per loro è una cosa. Per noi è un’anima. Vieni. Guarda… Già imbianca il cielo là in fondo. Si può dire che non c’è notte in questo mese… ».


Vanno per la via non più in penombra che è loro aperta davanti, anziché per quella della riva. Una via dietro a una fila di casette modeste… Quando sono a metà di essa, da un angolo sbuca Giuda palesemente avvinazzato. Un Giuda reduce da chissà che festino, spettinato, le vesti sgualcite, il viso pesto.
«Giuda! Tu? In questo stato? ».
Giuda non fa in tempo a fingere di non conoscerla e non può fuggire… La sorpresa lo snebbia e lo inchioda dove è, senza reazione.
Maria gli si accosta, vincendo la ripugnanza che l’aspetto dell’apostolo le desta, e gli dice: « Giuda, disgraziato figlio, che fai? Non pensi a Dio? Alla tua anima? A tua madre? Che fai, Giuda? Perché vuoi essere peccatore? Guardami, Giuda! Non hai diritto di uccidere la tua anima… », e lo tocca cercando prendergli una mano.
«Lasciami stare. Sono un uomo, infine. E… sono libero di fare ciò che tutti fanno. Dì a Lui, che ti manda a spiarmi, che non sono ancora tutto spirito, e giovane sono! ».
«Non sei libero di rovinarti. Giuda! Abbi pietà di te stesso… Così facendo non sarai mai uno spirito beato… Giuda… Egli non mi ha mandata a spiarti. Egli prega per te. questo soltanto, ed io con Lui. In nome di tua madre… ».
«Lasciami stare », dice sgarbatamente Giuda. E poi, forse sentendo di essere villano, corregge: «Non merito la tua pietà… Addio… », e scappa via.
«Che demonio!… Lo dirò a Gesù », esclama Maria d’Alfeo. «Ha ragione il mio Giuda! ».
«Tu non dirai nulla a nessuno. Pregherai per lui. Questo sì… ».
«Piangi? Piangi per lui? Oh!… ».
«Piango… Ero felice di aver salvato Aurea… Ora piango perché Giuda è peccatore. Ma a Gesù, tanto afflitto, porteremo soltanto la notizia bella. E strapperemo con penitenze e preghiere il peccatore a satana… Come ci fosse figlio, Maria! Come ci fosse figlio!… Sei madre tu pure e sai… Per quella madre infelice, per quest’anima peccatrice, per il nostro Gesù… ».
«Sì, pregherò… Ma non penso che lo meriti… ».
«Maria! Non lo dire… ».
«Non lo dico. Ma… così è. Non andiamo da Giovanna? ».
«No. Ci verremo presto con Gesù… ».


Martirologio Romano: Presso Ostia nel Lazio, santa Aurea, martire. 20 maggio.

martedì 4 novembre 2014

Le parole giuste al momento giusto. DA I "QUADERNETTI" DI MARIA VALTORTA

Riflessioni e affermazioni provvidenziali fatte da Gesù  
l’8 maggio 1948
"Beati qui audiunt Verbum Dei"



8 Maggio 1948

Dice Gesù:



«Hanno paura della fine del mondo. L'hanno anche molti di quelli che crollano derisori il capo davanti ai miracoli della misericordia mariana. 





L'hanno perché non sanno il tempo. Ma è detto che la mia ultima venuta
sarà improvvisa e rapida come lampo che trascorre il cielo. 

Prima però devono venire i segni che ho detto. E i segni non saranno rapidi come la mia venuta, anzi saranno lunghi a compirsi, rallentati dalle preghiere delle anime dei giusti e delle anime vittime, alle quali si piega favorevole la mia misericordia per concedere tempo a tutti di ravvedersi.




Molti segni sono già in atto. Ma il loro giorno non è di 24 ore per voi, anche se è per Me più breve di un battito di ciglio. Io ho per misura l'eternità.




Un segno, non meditato, è la predicazione del vangelo del Regno a tutto il mondo, di tutta la mia Vita del Vangelo.




Ecco, nel Vangelo canonico è l'essenziale per credere e salvarsi; ma non è la completa conoscenza di Me. Dopo Me il Consolatore, Colui che dice tutto quello che ha udito e mi glorifica, continuò a completare il Vangelo perché ha ricevuto del mio e ve lo annunzia.
Nei secoli continua la predicazione della Rivelazione e c'è ancora tanto da dire. E più si avvicina la fine e grandi sono i bisogni, più il Vangelo si completa.





La tua fatica rientra in questo programma divino. Perché il tuo lavoro di piccolo Giovanni ha molto completato il "tutto il Vangelo" che deve essere conosciuto prima della fine, acciò le anime si riaccendano nella carità e si salvino, ed Io trovi ancora la fede nel mondo fra i perseveranti sino alla fine.




Per questo ho dolore e sdegno che sia posto ritardo alla divulgazione dell'opera che Io voglio sia data alle turbe come Pane di Sapienza e Vita.

Riguardo allo Stato d'Israele ti dico "No". Finché non mi riconosceranno per vero Messia non avranno vera pace. Più facile è che il fuoco nelle terre dell'Asia Minore prepari la strada alla venuta di Gog e Magog, o dell'Anticristo che in essi è già adombrato, che non venga la pace ad Israele, pervicace nel non volermi riconoscere come il vero Messia, Re del Regno di Dio e Figlio dell'Altissimo».




«Preparerà subito la strada all'Anticristo?».




«Non mettete mai il vostro tempo nelle profezie di Chi è eterno. Non dirvi l'ora è pietà. Vi spinge ad agire come fosse domani il giudizio.
Sta' in pace».

Da "I Quadernetti" di Maria Valtorta

<< Gesù... Perdono. >>

PREGHIERA DEL PAPA BENEDETTO XVI AL VOLTO SANTO

Signore Gesù,
come già i primi apostoli,
ai quali dicesti: “Che cercate ?”,
ed accolsero il tuo invito: “Venite e vedrete”,
riconoscendoti come il Figlio di Dio,
l’atteso e promesso Messia per la redenzione del mondo,
anche noi, discepoli tuoi di questo difficile tempo
vogliamo seguirti ed esserti amici,
attratti dal fulgore del tuo volto desiderato e nascosto.
Mostraci, ti preghiamo, il tuo volto sempre nuovo,
misterioso specchio dell’infinita misericordia di Dio.
Lascia che lo contempliamo
Con gli occhi della mente e del cuore:
volto del Figlio, irradiazione della gloria del Padre
e impronta della sua sostanza (cf. Eb 1, 3),
volto umano di Dio entrato nella storia
per svelare gli orizzonti dell’eternità.

Volto silenzioso di Gesù sofferente e risorto,
che amato ed accolto cambia il cuore e la vita.
“Il tuo volto, Signore, io cerco,
Non nascondermi il tuo volto” (Sal 27, 8s).
Nel corso di secoli e millenni quante volte è risuonata
Tra i credenti questa struggente invocazione del Salmista !
Signore, anche noi la ripetiamo con fede:
“Uomo dei dolori, davanti a cui si copre la faccia” (Is. 53,3),
non nasconderci il tuo volto !
Vogliamo attingere dai tuoi occhi,
che ci guardano con tenerezza e compassione.
La forza di amore e di pace che ci indichi la strada della vita,
ed il coraggio di seguirti senza timori e compromessi,
per diventare testimoni del tuo Vangelo,
con gesti concreti di accoglienza, di amore e di perdono.

Volto Santo di Cristo,
luce che rischiara le tenebre del dubbio e della tristezza,
vita che ha sconfitto per sempre il potere del male e della morte,
sguardo misterioso
che non cessa di posarsi sugli uomini e i popoli,
volto celato nei segni eucaristici
e negli sguardi di coloro che ci vivono accanto,
rendici pellegrini di Dio in questo mondo,
assetati d’infinito e pronti all’incontro dell’ultimo giorno.
Quando ti vedremo, Signore, “faccia a faccia (1Cor, 13,12),
e potremo contemplarti in eterno nella gloria del Cielo.

Maria, Madre del Volto Santo,
aiutaci ad avere “mani innocenti e cuore puro”,
mani illuminate dalla verità dell’amore
e cuori rapiti dalla bellezza divina,
perché, trasformati dall’incontro con Cristo,
ci doniamo ai poveri e ai sofferenti,
nei cui volti riluce l’arcana presenza
del tuo Figlio Gesù,
che vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen !
(Manoppello, 1 settembre 2007)
AMDG et DVM

mercoledì 2 luglio 2014

Domenica 6 Luglio 2014, XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 6 Luglio 2014, XIV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 11, 25-30.
In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.
Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 
Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. 
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 
Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». 
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 4 Capitolo 268 pagina 292.
(...) 
3 Giungono a Cafarnao quando gli apostoli sono già arrivati. Seduti sul terrazzo, all’ombra della pergola, intorno a Matteo, narrano le loro gesta al compagno che non è ancora guarito. Si voltano al lieve scalpiccio dei sandali sulla scaletta e vedono la testa bionda di Gesù emergere sempre più dal muretto della terrazza. Corrono a Lui che sorride… e restano di stucco vedendo che dietro a Gesù è un povero bambino. La presenza di Mannaen, che sale pomposo nella sua veste di lino candido - resa ancor più bella dalla cintura preziosa, dal mantello rosso fiamma di lino tinto, così lucido da parer seta, appena appoggiato alle spalle a fargli quasi strascico dietro le spalle, e dal copricapo di bisso tenuto da un sottile diadema d’oro, una lamina bulinata che gli taglia a metà la fronte spaziosa dandogli quasi un’aria da re egizio - trattiene una valanga di domande che gli occhi però esprimono ben chiare. Ma dopo i saluti reciproci, seduti ormai presso Gesù, gli apostoli chiedono: «E questo?» accennando al bambino.

«E questo è la mia ultima conquista. Un piccolo Giuseppe, legnaiuolo come il grande Giuseppe che mi fu padre. Perciò a Me carissimo, come Io carissimo a lui. Non è vero, bambino? Vieni qui, che ti faccio conoscere questi miei amici dei quali hai tanto sentito parlare. Questo è Simon Pietro, l’uomo più buono coi bambini che ci sia. E questo è Giovanni, un grande fanciullo che ti parlerà di Dio anche giocando. E questo è Giacomo suo fratello, serio e buono come un fratello maggiore. E questo è Andrea, fratello di Simon Pietro: andrai subito d’accordo con lui perché è mite come un agnello. E poi ecco Simone lo Zelote: questo ama tanto i bambini senza padre che credo girerebbe tutta la terra, se non fosse con Me, per cercarli. Poi ecco qui  Giuda di Simone e con lui Filippo di Betsaida e Natanaele. Vedi come ti guardano? Hanno bambini anche loro ed amano i bambini. E questi sono i miei fratelli Giacomo e Giuda. Essi amano tutto ciò che Io amo, perciò ti ameranno. Ora andiamo noi da Matteo, che spasima per il suo piede eppure non ha rancore per i bambini che, giocando sventatamente, lo hanno colpito con una selce aguzza. Non è vero, Matteo?».
«Oh! no, Maestro. È figlio della vedova?».
«Sì. È molto bravo, ma è rimasto molto triste».
«Oh! povero bambino! Ti farò chiamare Giacomino e giocherai con lui» e Matteo lo carezza attirandoselo con una mano vicino.
Gesù termina la presentazione con Tommaso che, pratico, la completa offrendo al bimbo un grappolo d’uva staccata dalla pergola.
«Ora siete amici» conclude Gesù, sedendo di nuovo mentre il bambino succhia la sua uva rispondendo a Matteo, che se lo tiene vicino.

4 «Ma dove sei stato tutto solo per tutta la settimana?».
«A Corozim, Simone di Giona».
«Questo lo so. Ma che ci hai fatto? Sei stato da Isacco?».
«Isacco l’Adulto è morto».
«E allora?».
«Non te lo ha detto Matteo?».
«No. Ha detto soltanto che eri a Corozim dal giorno dopo la nostra partenza».
«Matteo è più bravo di te. Egli sa tacere, e tu non sai frenare a tua curiosità».
«Non la mia, quella di tutti».
«Ebbene, sono andato a Corozim per predicare la carità in atto».
«La carità in atto? Che vuoi dire?» chiedono in molti.
«A Corozim c’è una vedova con cinque bambini ed una vecchia malata. L’uomo è morto all’improvviso al banco di lavoro, lasciando dietro di sé miseria e lavori incompiuti. Corozim non ha saputo trovare un briciolo di pietà per questa famiglia infelice. Io sono andato a finire i lavori e…».
Avviene un pandemonio. Chi domanda, chi protesta, chi brontola Matteo per averlo permesso, chi ammira e chi critica. E, purtroppo, chi protesta o critica è la maggioranza.
Gesù lascia che la burrasca si quieti così come si è formata e per tutta risposta dice:
«E ci tornerò dopodomani. E così farò finché ho finito. E voglio sperare che almeno voi comprendiate.  

5 Corozim è un nòcciolo serrato e mancante del germe. Siate almeno voi nòccioli col germe.
Tu, bambino, dàmmi la noce che Simone ti ha dato e ascolta anche tu.
Vedete questa noce? E prendo questa perché non ho altri gusci sotto le mani, ma per capire la parabola pensate ai nòccioli dei pinoli o delle palme, ai più duri, a quelli delle ulive, per esempio. Sono astucci serrati, senza fessure, durissimi, di un legno compatto. Sembrano scrigni magici che solo una violenza può aprire. Eppure, se uno di essi viene gettato nella terra, anche semplicemente a terra e il passante lo affonda, col passarvi sopra, quel tanto che esso si adagi nel suolo, che avviene? Che il forziere si apre e fa radici e foglie.  Come avviene da sé? Noi dobbiamo battere molto col martello per riuscirvi e invece, senza colpi, il nòcciolo si apre da sé. È dunque magico quel seme? No. Ha dentro una polpa. Oh! una cosa debole rispetto al duro guscio! Eppure, essa nutre una ancora più piccola cosa: il germe. E questo è la leva che sforza, apre, dà pianta con fronde e radici. Provate a seppellire dei nòccioli e poi attendete. Vedrete che alcuni nascono, altri no. Estraete quelli che non sono nati. Apriteli col martello e vedrete che sono semivuoti. Non è dunque l’umido del suolo né il calore quelli che fanno aprire il nòcciolo. Ma è la polpa, e più: l’anima della polpa, il germe che, gonfiando fa da leva e apre.

Questa è la parabola. Ma applichiamola a noi.
Che ho fatto che non andasse fatto? Ci siamo ancora capiti così poco da non comprendere che l’ipocrisia è peccato e che la parola è vento se non è convalidata dall’azione? Che vi ho sempre detto Io? “Amatevi gli uni con gli altri. L’amore è il precetto e il segreto della gloria”. E Io, che predico, dovrei essere senza carità? Darvi l’esempio di un maestro menzognero? No, mai!
Oh! amici miei. Il nostro corpo è il nòcciolo duro; nel nòcciolo duro è chiusa la polpa: l’anima; in essa è il germe che Io ho deposto. Esso è fatto di molti elementi. Ma il principale è la carità. Essa è che fa da leva per schiudere il nòcciolo e liberare lo spirito dalle costrizioni della materia ricongiungendolo a Dio, che Carità è.
La carità non si fa solo di parole o di denaro. Si fa la carità con la sola carità. E non vi paia uno scherzo di parole. Io non avevo denaro, e le parole non bastavano per questo caso. Qui vi erano sette persone sulle soglie della fame e dell’angoscia. La disperazione avanzava le sue branche nere per ghermire ed affogare. Il mondo si ritirava duro ed egoista davanti a questa sventura. Il mondo mostrava di non avere capito il Maestro nelle sue parole. Il Maestro ha evangelizzato con le opere. Io avevo capacità e libertà di farlo. E avevo il dovere di amare per tutto il mondo questi meschini che il mondo disama. Io ho fatto tutto questo.
Potete criticarmi ancora? O devo essere Io che - alla presenza di un discepolo che non si è scandalizzato di portare la sua persona fra la segatura e i trucioli per non abbandonare il Maestro e che, ne sono convinto, si sarà fatto più persuaso di Me vedendomi curvo sul legno di quanto non sarebbe stato persuaso vedendomi in trino, e di un bambino che a sentito Me per quello che sono, nonostante la sua ignoranza, la sventura che l’ottunde, e la sua assoluta verginità di conoscenza col Messia quale esso è in realtà - o devo essere Io che vi critico? Non parlate? Non vi mortificate soltanto, mentre Io alzo la voce a raddrizzare idee errate. E per amore lo faccio. Ma mettete in voi il germe che santifica e apre il nòcciolo. O sarete sempre degli esseri inutili. 

Quello che Io ho fatto, voi dovete essere pronti a fare. Per amore del prossimo, per portare a Dio un’anima, nessun lavoro vi deve pesare. Il lavoro, quale esso sia, non mai umiliante. Mentre umilianti sono le azioni basse, le falsità, le denunce bugiarde, le durezze, i soprusi, gli strozzinaggi, le calunnie, le lussurie. Queste mortificano l’uomo. Eppure si fanno senza vergognarsene, anche da parte di quelli che vogliono dirsi perfetti e che certo si sono scandalizzati di vedermi lavorare di sega e di martello.
Oh! Oh! Il martello! L’indegno martello, se è per mettere chiodi in un legno a formare un oggetto atto a dar da mangiare a degli orfanelli, come diverrà nobile! Il martello, ignobile se nelle mie mani e per fine santo, come non apparirà più tale, e come lo vorranno avere tutti quelli che ora si darebbero a gridare il loro scandalo per esso! Oh! uomo, creatura che dovresti essere luce e verità, come sei tenebra e menzogna!
Ma voi, voi almeno, comprendete cosa è il bene! Cosa è la carità. Cosa è l’ubbidienza. In verità vi dico che molti sono i farisei. E che non sono assenti fra quelli che mi circondano». 
«No, Maestro. Non lo dire! Noi… è perché ti amiamo che non vogliamo certe cose!…».

«È perché non avete ancora capito nulla.   7 Vi ho parlato della fede e della speranza, e credevo che non necessitasse parola novella per parlarvi della carità, perché Io tanto l’emano che dovreste esserne saturi. Ma vedo che la conoscete solo di nome, senza saperne la natura e la forma. Così come conoscete la luna.
Vi ricordate quando ho detto che la speranza è come il braccio trasverso del dolce giogo che sorregge la fede e la carità, ed è il patibolo dell’umanità e il trono della salvezza? Si? Ma non avete compreso le mie parole nel loro significato. E perché non me ne avete chiesto la spiegazione? Ve la do Io. È giogo perché obbliga l’uomo a tenere bassa la sua superbia stolta sotto il peso delle verità eterne. Ed è patibolo di questa superbia. L’uomo che spera in Dio suo Signore, di necessità umilia il suo orgoglio, che vorrebbe proclamarsi “dio”, e riconosce che egli è nulla e Dio è tutto, che egli può nulla e Dio può tutto, che egli-uomo è polvere che passa e Dio è eternità che eleva la polvere a superiore grado, dandogli premio di eternità. L’uomo si inchioda alla sua croce santa per raggiungere la Vita. E ve lo configgono le fiamme della fede, della carità, ma lo alza verso il Cielo la speranza che è fra questa e quella. Però, ritenete la lezione: se manca la carità, il trono è senza luce, e il corpo, schiodato da un lato, pende verso il fango, non vedendo più il Cielo. Annulla così gli effetti salutari della speranza, e finisce col rendere sterile anche la fede perché, staccati da due delle tre teologali virtù, si cade in languore e in gelo mortale.
Non rifiutate Dio neppure nelle minime cose. Ed è rifiutare Iddio respingere un aiuto al prossimo per orgoglio pagano.


La mia dottrina è un giogo che piega l’umanità colpevole ed è un maglio che rompe la scorza dura per liberarne lo spirito. È un giogo ed è un maglio, sì. Ma pure chi la accetta non sente la stanchezza che dànno tutte le altre dottrine umane e tutte le altre cose umane. Ma pure chi se ne fa colpire non sente il dolore di essere frantumato nell’io umano, ma prova un senso di liberazione. Perché cercate di liberarvene per sostituirla da tutto ciò che è piombo e dolore?
Voi tutti avete i vostri dolori e le vostre fatiche. Tutta l’umanità ha dolori e fatiche, superiori alle forze umane talora. Dal bambino come questo, che già porta sulle piccole spalle un grande peso che lo fa piegare e che leva il sorriso del fanciullo alle sue labbra e la spensieratezza alla sua mente che, sempre umanamente parlando, non sarà perciò mai più stata fanciulla, al vecchio che piega alla tomba con tutti i disinganni e le fatiche, e i pesi, e le ferite della sua lunga vita. Ma nella mia dottrina e nella mia fede è il sollievo da questi pesi accascianti. Perciò è detta la “Buona Novella”. E chi l’accetta e l’ubbidisce sarà beato dalla terra, perché avrà Dio a suo sollievo e le virtù a rendergli facile e luminoso il cammino, quasi fossero buone sorelle che, tenendolo per mano, con le lampade accese ne rischiarano la via e la vita e gli cantano le eterne promesse di Dio, fino a quando, piegando in pace il corpo stanco sulla terra, si risveglia in Paradiso.
Perché volete, o uomini, essere affaticati, desolati, stanchi, disgustati, disperati, quando potete essere sollevati e confortati? Perché anche voi, miei apostoli, volete sentire la stanchezza della missione, la sua difficoltà, la sua severità, mentre avendo la fiducia di un bambino potete solo avere ilare solerzia, luminosa facilità a compierla e comprendere e sentire che essa è severa solo agli impenitenti che non conoscono Dio, ma per i fedeli suoi è come mamma che sorregge sul cammino, indicando ai piedi incerti del pargolo i sassi e i pruni, i nidi di serpi ed i fossati, perché egli li conosca e non vi pericoli?


9 Voi ora siete desolati. La vostra desolazione ha avuto un inizio ben miserabile! Voi siete desolati prima della mia umiltà come di un delitto contro Me stesso. Ora siete desolati perché avete capito di avermi addolorato e di essere così lontani ancora dalla perfezione. Ma in pochi questa seconda desolazione è priva di superbia. Della superbia ferita dalla constatazione di essere ancora nulla, mentre per orgoglio vorreste essere perfetti. Abbiate solo l’umiltà volenterosa di accettare il rimprovero e di confessare che avete sbagliato, promettendo in cuor vostro di volere la perfezione per un fine sopraumano. E poi venite a Me. Io vi correggo, ma vi comprendo e compatisco.

Venite a Me, voi apostoli, e venite a Me voi tutti, uomini che soffrite per dolori materiali, per dolori morali, per dolori spirituali. Questi ultimi dati dal dolore di non sapervi santificare come vorreste per amore di Dio e con sollecitudine e senza ritorni al Male. La via della santificazione è lunga e misteriosa e talora si compie all’insaputa del camminatore, che procede fra le tenebre, col sapore del tossico in bocca, e crede di non procedere e di non bere liquido celeste, e non sa che anche questa cecità spirituale è un elemento di perfezione.

Beati quelli, tre volte beati quelli che continuano a procedere senza godimenti di luce e di dolcezze e non si arrendono perché nulla vedono e sentono, e non si fermano dicendo: “Finché Dio non mi dà delizie io non procedo”. Io ve lo dico: la strada più oscura diverrà luminosissima d’improvviso aprendosi su paesaggi celesti. Il tossico, dopo aver levato ogni gusto per le cose umane, si muterà in dolcezza di Paradiso per questi coraggiosi che stupiti diranno: “Come ciò? Perché a me tanta dolcezza e letizia?” Perché avranno perseverato e Dio li farà esultanti dalla terra di ciò che è il Cielo.

Ma intanto, per resistere, venite a Me voi tutti che siete affaticati e stanchi, voi apostoli e, con voi, tutti gli uomini che cercano Dio, che piangono per causa del dolore della terra, che si sfiniscono da soli, ed Io vi ristorerò. Prendete su voi il mio giogo. Non è un peso. È un sostegno. Abbracciate la mia dottrina come fosse una amata sposa. Imitate il Maestro vostro che non si limita a bandirla ma fa ciò che insegna. Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore. Troverete il riposo delle vostre anime, perché mitezza ed umiltà concedono il regno sulla terra e nei Cieli. Già ve l’ho detto che i trionfatori veri fra gli uomini sono coloro che li conquistano con l’amore, e l’amore è sempre mite e umile. Io non vi darei mai da fare delle cose superiori alle vostre forze, perché vi amo e vi voglio con Me nel mio Regno. Prendete dunque la mia insegna e la mia assisa, e sforzatevi ad essere simili a Me e quali la mia dottrina insegna. Non abbiate paura, perché il mio giogo è dolce e il suo peso è leggero, mentre infinitamente potente è la gloria di cui godrete se a Me fedeli. Infinita ed eterna…
10Vi lascio per qualche tempo. Vado col bambino presso il lago. Troverà degli amici… Poi spezzeremo il pane insieme. Vieni, Giuseppe. Ti farò conoscere i piccoli che mi amano».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/