I MISTERI DEL
"DE GLORIA OLIVAE"
Nel
recente libro di Peter Seewald su Benedetto XVI è presente una domanda curiosa
al papa emerito che ha a che fare con la profezia dei papi di S. Malachia.
“Lei
conosce la profezia di Malachia, che nel medioevo compilò una lista di futuri
pontefici, prevedendo anche la fine del mondo, o almeno la fine della Chiesa.
Secondo tale lista il papato terminerebbe con il suo pontificato. E se lei
fosse effettivamente l’ultimo a rappresentare la figura del papa come l’abbiamo
conosciuto finora?”.
“Tutto
può essere” risponde Ratzinger “Probabilmente
questa profezia è nata nei circoli intorno a Filippo Neri. A
quell’epoca i protestanti sostenevano che il papato fosse finito e lui voleva
solo dimostrare con una lista lunghissima che non era così. Non per questo però
si deve dedurre che finirà davvero”
A parte
il fatto che la domanda contiene di per se un errore in quanto il motto De
Gloria Olivae non annuncia la fine del papato, è invece interessante la
risposta del papa emerito che è allo stesso tempo seria ed ironica. San Filippo
Neri era un santo romano famoso per predicare ai giovani e per aver istituito
gli oratori. Per quale motivo avrebbe dovuto dedicarsi alla composizione di un
simile testo?
Non si
capisce bene se Ratzinger creda o meno a questa profezia, tuttavia non è la
prima volta che nel suo entourage viene fuori il tema.
Già a
Luglio infatti, in un’intervista concessa da Mons. Gaenswein ad EWTN,
l’intervistatore chiese cosa ne pensasse della profezia di S. Malachia (la
attribuì anche lui a S. Filippo Neri) e al fatto che Francesco risulterebbe
essere l’ultimo papa.
Anche in
questo caso c’è un errore di fondo. Dopo il De Gloria Olivae c’è infatti una
predizione generale che descrive la tribolazione della Chiesa, sul cui trono
siederà un Romano Pietro, ma senza specificare quanto tempo comprenderà e se ci
saranno più papi che vivranno questa tribolazione.
Già in
passato ho avuto modo di affrontare il tema e di mettere in relazione l’ultimo
motto latino sia con la predizione dei 4 papi di Garabandal (prima dell’inizio
del tempo delle profezie) sia con la visione di Fatima del vescovo vestito di
bianco. Tutte e tre le profezie (Fatima, Garabandal e Malachia) infatti sembrano
concordare sull’inizio della tribolazione o della via crucis con la fine del
pontificato di Benedetto XVI. E visto come tale fine è avvenuta c’è da credere
che sia proprio così. Come Mons. Gaenswein ha più volte detto, il Cielo stesso
ha testimoniato i tempi con il pauroso fulmine sulla cupola di S. Pietro.
La
risposta del segretario di Benedetto XVI è stata comunque più diretta:
“Guardando
alla profezia e considerando come questa abbia sempre avuto dei riferimenti ai
papi storici ammetto onestamente che mi da i brividi. Tuttavia non è parte del
Libro della Rivelazione e a nessuno è richiesto di crederle. Ma da una
prospettiva storica si dovrebbe dire: beh è una chiamata a stare all’erta.”
In
precedenti articoli ho cercato di dimostrare come sia probabile che l’estensore
di questa profezia sia stato lo stesso Nostradamus, contemporaneo di S.
Filippo Neri. A differenza del Santo di Roma il veggente francese ha spesso
concentrato la sua attenzione sulla Chiesa e la successione dei papi (basta vedere
il Vaticinia Nostradami). In più, almeno con un papa (Pio IV), ha avuto una
corrispondenza “profetica”.
Riflettendo
nei giorni scorsi sull’ultimo motto latino, il De Gloria Olivae, oltre a tutto
quanto ho già esposto in precedenza, mi sono soffermato a considerare ulteriori
aspetti. L’attribuzione classica è quella con l’ordine di S. Benedetto tramite
il ramo degli Olivetani. Mi chiedevo se per caso non si nascondesse nell’ordine
Olivetano qualche altro riferimento al pontificato di Benedetto XVI.
Con mia
grande sorpresa ho trovato interessanti coincidenze.
–
I monaci Olivetani a differenza dei Benedettini classici indossano un abito
bianco.
–
Prendono il nome dal principale monastero, quello della Vergine di Monte
Oliveto. Questo monte ricorda il Monte degli Ulivi, dove cominciò la passione
di Gesù Cristo. Nella visione di Fatima il vescovo vestito di bianco (Benedetto
XVI) comincia la Via Crucis della Chiesa.
–
L’Ordine raggiunse la massima diffusione nel ‘500, al tempo di Nostradamus.
–
L’Ordine si espanse soprattutto in Italia e in Francia.
–
Ma la cosa più importante è che l’Ordine Olivetano era l’unico ad avere l’Abate
“a tempo” e non eletto a vita. Curioso davvero alla luce di un papa eletto a
vita e che invece sceglie di far posto ad un successore.
Nelle
quartine Nostradamus gioca a volte con la parola “monaco” in riferimento a
Benedetto XVI (San Benedetto monaco e Monaco di Baviera dove Ratzinger è stato
vescovo). Ma nella quartina 812 compare anche “l’abate di Foix” che potrebbe
avere un riferimento con il papa emerito. Un abate di Foix, Paolo, frequentava
la corte di Caterina de’ Medici al tempo di Nostradamus. Visse fino al tempo in
cui l’abazia fu distrutta dai protestanti nelle guerre di religione, nel 1580.
Nella 812 Nostradamus descrive un abate di Foix che fugge travestito da
popolano. Potrebbe trattarsi di una duplice profezia: la prima riferita
all’abate Paolo (forse si travestì per fuggire), la seconda ad un papa che allo
stesso modo dovrà fuggire nel nascondimento.
Potrebbe
essere il papa emerito o anche un suo successore identificabile con la parola
“abate”.
Di certo
il motto malachiano De Gloria Olivae mostra sorprendenti nuove corrispondenze
con Benedetto XVI.
Remox
Andrè
MITI E LEGGENDE NELLA STORIA DELL’ULIVO
Di
seguito ti parliamo dell’Ulivo e dei suoi 6.000 anni di storia
La storia dell’ulivo e delle sue caratteristiche è
profondamente legata a quella dell’umanità; nelle origini di questo prezioso
liquido dorato, l’olio extravergine d’oliva, storia e mitologia
si intrecciano strettamente, fino a confondersi.
Comparsa per la prima volta probabilmente nell’Asia
occidentale, la pianta dell’ulivo si diffuse in tutta l’area mediterranea, dove
il suo culto fu consacrato da tutte le religioni.
Fin dai tempi più remoti l’ulivo fu considerato un
simbolo trascendente di spiritualità e sacralità. Sinonimo di fertilità e
rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo e delle guerre, simbolo di
pace e valore, l’olivo rappresentava nella mitologia, come nella religione, un
elemento naturale di forza e di purificazione.
E’ ormai accertato che la coltivazione dell’ulivo ha
origini ad almeno 6.000 anni fa: ne fanno fede racconti tradizionali, testi
religiosi e rinvenimenti archeologici.
Probabilmente
la pianta ebbe il suo habitat originario in Siria ed i primi che pensarono a
trasformare una pianta selvatica in una specie domestica furono senza dubbio
popoli che parlavano una lingua semitica.
Dalla Siria facile fu il suo trapianto in Grecia dove
trovò una inaspettata fortuna e applicazione che la resero, poi, indispensabile
ai popoli antichi del Mediterraneo.
A conferma della millenaria storia dell’ulivo
ricordiamo come la tradizione pone di fronte all’antica Gerusalemme il “Monte
degli Ulivi”, o come la bellezza di questa pianta sia cantata spesso nell’
“Antico Testamento” (v. libro del profeta Osea dove il Dio d’Israele è
paragonato alla magnificenza dell’olivo). Sono circa settanta le citazioni che
se ne fanno nella bibbia.
D’altra parte che questo fosse un simbolo è chiarito
anche dall’episodio della colomba che torna all’arca di Noè tenendo nel becco
un rametto d’olivo. Lo stesso nome di Gesù, christos, vuol dire semplicemente
unto. La Bibbia racconta che fu un Angelo a dare a Seth, il figlio di Adamo,
tre semi da mettere fra le labbra del padre dopo la sua morte. Dalle ceneri di
Adamo germogliarono così un cedro, un cipresso e un olivo.
Nella tradizione cristiana, da secoli, viene usato
olio d’oliva per la celebrazione di alcuni Sacramenti, Cresima, ordinamento
sacerdotale, Estrema Unzione. Ed è un rametto di olivo benedetto che viene
distribuito a tutti i fedeli la Domenica delle Palme, in ricordo della
resurrezione e come simbolo pace.
Nell’antica Grecia agli Ateniesi vincitori venivano
offerti una corona di ulivo ed un’ampolla d’olio; mentre gli antichi Romani
intrecciavano ramoscelli di ulivo per farne corone con le quali premiare i
cittadini più valorosi.
Sappiamo che ad Atene fu sacro alla dea Athena e
costituisce fatto indubbiamente interessante che esso sia stato considerato sacro
da molte popolazioni e forse non soltanto per il suo apporto calorico, ma per
la sua stessa natura di pianta resistente e longeva.
L’olio spremuto dalle olive non era soltanto,
nell’antichità, una risorsa alimentare; era usato anche come cosmetico e come
coadiuvante nei massaggi.
Inoltre, gli atleti, in particolare coloro che si
dedicavano alla lotta, usavano cospargere i muscoli di purissimo olio, sia per
il riscaldamento degli stessi, sia per contrastare la presa degli avversari.
I Romani, che coltivarono l’olivo a partire dal 580
A.C., ne fecero un uso che si potrebbe qualificare smodato; Gaio Plinio Secondo
afferma che esistono quindici specie di olivo, e ne elenca i pregi, oggi si
denominano i vari cultivar con nomi diversi, come taggiasca, casalina, nebiot,
gargnan, trillo, carpellese, punteruolo, augellina, cellina del Nardò,
colombino, ciccinella, moraiola, leccina, monopolese, ogliarolo del Gargano e
tante altre che spesso prendono il nome dalla località in cui crescono.
Nelle culture occidentali la parola olio può
sicuramente essere ricondotta alla parola latina oleum e alla greca elaion, sin
ancora all’antica semitica ulu.
In un pur breve excursus
storico non possiamo dimenticare che la cultura
dell’olio di oliva è giunta sino a noi, attraverso il Medioevo, per opera di
alcuni Ordini religiosi, fra cui in particolare i Benedettini ed i Cistercensi.
Benedettini, devoti al credo della preghiera e del lavoro, persuadevano
contadini ed operai agricoli a non abbandonare le terre ma a dedicarsi a
colture redditizie quali l’olivo.
Il grande animatore dei Cistercensi fu Bernardo
Chiaravalle, detto: “l’ultimo dei padri della Chiesa”. I suoi monaci
insegnarono ai contadini, delusi dallo stato di semi-schiavitù in cui si
trovavano, a dissodare i campi, a piantare colture da reddito, a rendersi
indipendenti come fattori di produzione.
Non si videro forse mai tanti oliveti e vigne come dal
Mille al Quattrocento, gli anni d’oro dei monaci Benedettini e Cistercensi
AMDG et DVM
alle 21:20
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