sabato 29 ottobre 2022

P. Giovan Taulero

Buon  giorno, amico

Il P. Giovan Taulero (appresso il P. Sangiurè Erar. to 3, e’l P. Nieremb. Vita Div.) narra di se stesso,

che avendo egli pregato per molti anni il Signore a mandargli chi gli insegnasse la vera vita spirituale,

un giorno udì una voce, che gli disse: Va alla tal Chiesa, ed alla porta trova un misero mendico,

scalzo, e tutto lacero; lo saluta: Buon giorno, amico. Il povero risponde: Signor maestro, io non mi

ricordo giammai d’aver avuto un giorno cattivo. Il Padre replicò: Iddio vi dia una felice vita. Ripigliò

quegli; Ma io non sono stato mai infelice. E poi soggiunse: Udite, Padre mio, non a caso io ho detto

non aver avuto alcun giorno cattivo, perchè quando ho fame, io lodo Dio; quando fa neve, o pioggia

io lo benedico: se alcuno mi disprezza, mi scaccia, se provo altra miseria, io sempre ne do gloria

al mio Dio. Ho detto poi, che non sono stato mai infelice, e ciò anch’è vero, poich’io sono avvezzo

a volere tutto ciò, che vuole Dio senza reserba; perciò tutto quel, che m’avviene o di dolce, o di

amaro, io lo ricevo dalla sua mano con allegrezza, come il meglio per me, e questa è la mia felicità.E

se mai, ripigliò il Taulero, Dio vi volesse dannato, voi che direste? Se Dio ciò volesse (rispose il

mendico), io coll’umiltà, e coll’amore mi abbraccierei col mio Signore, e lo terrei sì forte, che se

egli volesse precipitarmi all’Inferno, sarebbe necessitato a venir meco, e così poi mi sarebbe più

dolce essere con lui nell’inferno, che posseder senza lui tutte le delizie del cielo. Dove avete trovato

voi Dio, disse il Padre? E quegli: Io l’ho trovato, dove ho lasciate le creature. Voi chi siete? E’l

povero: Io sono Re. E dove sta il vostro Regno? Sta nell’anima mia, dove io tengo tutto ordinato,

le passioni ubbidiscono alla ragione, e la ragione a Dio. Finalmente il Taulero gli domandò, che

cosa l’avea condotto a tanta perfezione? E’ stato (rispose) il silenzio, tacendo cogli uomini per

parlare con Dio; e l’unione, che ho tenuta col mio Signore, in cui ho trovata, e trovo tutta la mia

pace. Tale in somma fu questo povero per l’unione, ch’ebbe colla divina volontà; egli fu certamente

nella sua povertà più ricco, che tutti i Monarchi della terra, e ne’suoi patimenti più felice che tutti

i mondani colle loro delizie terrene.

AMDG et DVM

venerdì 28 ottobre 2022

SAN GIUDA TADDEO, APOSTOLO

 

San Giuda Taddeo Apostolo

28 ottobre

sec. I

Il santo che si festeggia oggi assieme a Simone «il cananeo», pur appartenendo al gruppo dei 12 apostoli, non va confuso con l'omonimo apostolo traditore di Gesù, l'Iscariota. Si tratta infatti di Giuda fratello di Giacomo, detto Taddeo, che significa «magnanimo». Un nome ben conosciuto dalla tradizione ebraica quello di Giuda: era stato, infatti, di uno dei figli di Giacobbe e dalla tribù di Giuda sarebbe uscita la stirpe dello stesso Messia. Inoltre, nel secondo secolo avanti Cristo, Giuda Maccabeo era stato un eroe della rivolta giudaica contro Antioco IV. Secondo il racconto dell'evangelista Giovanni al capitolo 14 durante l'ultima cena Giuda Taddeo domanda a Gesù: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui», è la risposta di Gesù. Dopo l'Ascensione, anche Giuda Taddeo, secondo la tradizione, andò a portare nel mondo l'annuncio di Cristo. Secondo qualcuno, egli avrebbe evangelizzato la Mesopotamia; secondo altri la Libia. Forse anch'egli è morto martire e sarebbe stato sepolto in Persia. (Avvenire)

Patronato: Casi disperati

Etimologia: Giuda = zelatore di Dio, lodata, dall'ebraico

Emblema: Barca, Bastone, Lancia

Martirologio Romano: Festa dei santi Simone e Giuda, Apostoli: il primo era soprannominato Cananeo o “Zelota”, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di Giacomo, nell’ultima Cena interrogò il Signore sulla sua manifestazione ed egli gli rispose: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».



Il suo legame con Gesù
Giuda Taddeo è nato a Cana di Galilea, in Palestina, figlio di Alfeo (o Cleofa) e Maria Cleofa.
Suo padre Alfeo era fratello di San Giuseppe e sua madre cugina di Maria Santissima. Perciò Giuda Taddeo era cugino di Gesù, sia da parte di padre che da parte di madre. Alfeo (Cleofa) era uno dei discepoli a cui Gesù apparve nel cammino di Emmaus il giorno della risurrezione. Maria Cleofa era una delle pie donne che avevano seguito Gesù fin dalla Galilea e che rimasero ai piedi della croce, nel Calvario, insieme a Maria Santissima.
Giuda Taddeo aveva quattro fratelli: Giacomo, Giuseppe, Simone e Maria Salome. Uno di essi, Giacomo, fu anche lui chiamato da Gesù per essere apostolo. Il rapporto della famiglia di San Giuda Taddeo con Nostro Signore Gesù Cristo stesso, da ciò che è possibile percepire dalle Sacre Scritture, è il seguente.
Tra i fratelli, Giacomo fu uno dei dodici apostoli e divenne il primo vescovo di Gerusalemme. Di Giuseppe si sa che era conosciuto come il Giusto. Simone, un altro fratello di San Giuda, fu il secondo vescovo di Gerusalemme, successore di Giacomo.
Maria Salome, l'unica sorella, era madre degli apostoli San Giacomo Maggiore e San Giovanni Evangelista. Egli era chiamato Giacomo Minore per distinguersi da un altro apostolo, San Giacomo, che essendo più grande veniva chiamato Maggiore.
Si suppone che vi sia stata molta convivenza tra San Giuda Taddeo, suo cugino Gesù e i suoi zii Maria e Giuseppe. Fu certamente questa fraterna convivenza, oltre alla parentela molto prossima, che portò San Marco (Mc 6, 3) a citare San Giuda Taddeo e i suoi fratelli come "fratelli" di Gesù.

Citazioni nella Bibbia
La Bibbia parla poco di San Giuda Taddeo. Essa racconta tuttavia, un fatto molto importante: egli fu scelto da Gesù per essere uno dei suoi apostoli.
Quando i vangeli nominano i dodici discepoli scelti, appaiono sempre i nomi Giuda o Taddeo nell'elenco degli apostoli.
Il nome di Giuda compare anche negli Atti degli Apostoli (At 1,13). Oltre a queste citazioni, suo nipote San Giovanni Evangelista (Gio 14, 22) lo cita tra coloro del collegio apostolico che erano presenti alla Santa Cena, il giovedì santo.
Fu in quell'occasione che, quando Gesù parlava agli apostoli delle meraviglie dell'amore del Padre e assicurava loro una speciale manifestazione di sé stesso, San Giuda Taddeo non si contenne e chiese: "Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?" E fu allora che Gesú gli rispose affermando che ci sarebbero state manifestazioni di Lui a tutti coloro che avrebbero custodito la Sua parola e che sarebbero rimasti fedeli al suo amore.
In questo fatto dell'Ultima Cena, San Giuda Taddeo dimostra la sua generosa compassione verso tutti gli uomini.

La vita di San Giuda Taddeo
Dopo che gli Apostoli ricevettero lo Spirito Santo, nel Cenacolo a Gerusalemme, la Chiesa di Dio si espanse, ed ebbe inizio l'evangelizzazione dei popoli.
San Giuda Taddeo iniziò la sua predicazione in Galilea. Dopo partì per Samaria e verso altre popolazioni giudaiche. Egli prese parte al primo Concilio di Gerusalemme, che avvenne nel 50.
Più tardi evangelizzò la Siria, l'Armenia e la Mesopotamia (attuale Iran), dove guadagnò la compagnia di un altro apostolo, Simone lo "zelota", che già evangelizzava l'Egitto.
La predicazione e la testimonianza di San Giuda Taddeo si realizzò in modo energico e vigoroso. Egli attrasse e conquistò i pagani di altre religioni, che così si convertirono in gran numero al cristianesimo.
La sua adesione a Nostro Signore Gesù Cristo era completa e incondizionale. Di ciò egli diede testimonianza con la donazione della propria vita. Questo glorioso Apostolo di Gesù dedicò la sua vita all'evangelizzazione. Fu instancabile in questo compito, predicando il Vangelo e convertendo molte anime. I pagani, a cui ciò non piaceva , iniziarono a istigare il popolo contro di lui.
San Giuda Taddeo e San Simone furono arrestati e portati al tempio del sole. Lì si rifiutarono di rinnegare Gesù Cristo e di prestare culto alla dea Diana.
Fu in quell'occasione che San Giuda disse al popolo: "Affinché veniate a conoscenza che questi idoli che voi adorate sono falsi, da essi usciranno i demoni che li romperanno". In quello stesso istante due demoni ripugnanti distrussero tutto il tempio e sparirono. Indegnato, il popolo, incitato dai sacerdoti pagani, si scagliò contro gli apostoli furiosamente.
San Giuda Taddeo fu trucidato da sacerdoti pagani in maniera crudele, violenta e disumana.
San Giuda Taddeo, apostolo e martire, è rappresentato nelle sue immagini mentre tiene in mano un libro che simbolizza la parola di Dio che egli annunciò, e un'alabarda, una specie di lancia che fu lo strumento utilizzato nel suo martirio.
Le sue reliquie attualmente sono venerate nella Basilica di San Pietro, a Roma. La sua festa liturgica è celebrata il 28 ottobre, probabile data del suo martirio avvenuto nel 70 d.c.
In Brasile, la devozione a San Giuda Taddeo è relativamente recente. Essa sorse all'inizio del XX secolo, raggiungendo presto una grande popolarità. Egli è invocato come il santo dei disperati e degli afflitti, il santo delle cause senza soluzione, delle cause perse.

Lettera di San Giuda Taddeo
Secondo la tradizione ecclesiastica, San Giuda Taddeo è ritenuto l'autore della lettera canonica che porta il suo nome. Tutto indica che questa lettera fu indirizzata agli ebrei cristiani della Palestina, poco dopo la distruzione della città di Gerusalemme, quando la maggior parte degli Apostoli erano già morti. Il breve scritto di San Giuda Taddeo è un severo avvertimento contro i falsi maestri, ed un invito a mantenere la purezza della fede.
Si capisce che "La lettera di San Giuda" fu scritta da un uomo appassionato e preoccupato con la purezza della fede e con la buona reputazione del popolo cristiano. L'autore afferma di aver voluto scrivere una lettera diversa, ma avendo sentito i punti di vista errati di falsi professori della comunità cristiana, scrisse urgentemente questa lettera per avvertire la Chiesa ad essere cauta nel loro riguardo.


Autore: 
Araldi del Vangelo


Fonte:
www.it.arautos.org

Suor Maria Consolata Betrone, Venerabile

 

Con S. Maria Consolata: 

la preghiera del cuore

Gesù, Maria vi amo,
salvate anime.

cestino

L'importanza di questa invocazione, corta ma potentissima si può capire dalle parole che Gesù ha ispirato a Suor M. Consolata Betrone e che leggiamo nel suo diario:

Non ti chiedo che questo: un atto d'amore continuo,
Gesù, Maria vi amo, salvate anime.

Dimmi, Consolata, che preghiera più bella puoi farmi?
Gesù, Maria vi amo, salvate anime:
amore e anime! Che cosa vuoi di più bello?

Ho sete del tuo atto d'amore! Consolata, amami tanto, amami solo, amami sempre! Ho sete di amore, ma dell'amore totale, di cuori non divisi. Amami tu per tutti e per ciascun cuore umano che esiste... Ho tanta sete d'amore... Dissetami tu... Lo puoi... Lo vuoi! Coraggio e avanti!

Sai perché non ti permetto tante preghiere vocali? Perché l'atto d'amore è più fecondo. Un "Gesù ti amo" ripara mille bestemmie. Ricorda che un atto perfetto d'amore decide l'eterna salvezza di un'anima. Quindi abbi rimorso a perdere un solo
Gesù, Maria vi amo, salvate anime.

Sono meravigliose le parole di Gesù che esprimono la sua gioia per questa invocazione e ancora di più per le anime che con essa possono raggiungere la salvezza eterna... Questa consolante promessa la ritroviamo molte volte negli scritti di Suor M. Consolata invitata da Gesù a intensificare e a offrire il suo amore:

Non perdere tempo perché ogni atto d'amore rappresenta un'anima. Di tutti i doni, il dono maggiore che tu possa offrirmi è una giornata ripiena d'amore.

Io desidero un incessante Gesù, Maria vi amo, salvate anime da quando ti alzi a quando ti corichi.

Gesù non può essere più esplicito e Suor M. Consolata così si esprime:

Appena mi sveglio al mattino incominciare subito l'atto d'amore e a forza di volontà non interromperlo più sino a quando sarò addormentata la sera, pregando che durante il mio sonno l'Angelo mio custode preghi lui in vece mia... Mantenere questo proposito costantemente rinnovandolo mattina e sera.

Passare bene la mia giornata. Sempre unita a Gesù con l'atto d'amore; Egli trasfonderà in me la sua pazienza, fortezza e generosità.

L'atto d'amore che Gesù vuole incessante non dipende dalle parole che si pronunciano con le labbra ma è un atto interiore, della mente che pensa ad amare, della volontà che vuole amare, del cuore che ama. La formula Gesù, Maria vi amo, salvate anime vuol essere semplicemente un aiuto.

E, se una creatura di buona volontà, mi vorrà amare, e farà della sua vita un solo atto d'amore, da quando si alza a quando si addormenta, (col cuore s'intende) Io farò per quest'anima delle follie... Ho sete d'amore, ho sete di essere amato dalle mie creature. Le anime per giungere a Me, credono che sia necessaria una vita austera, penitente. Vedi come mi trasfigurano!

Mi fanno temibile, mentre Io sono solamente Buono! Come dimenticano il precetto che Io vi ho dato "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima ecc...".
Oggi, come ieri, come domani, alle mie creature Io chiederò solo e sempre amore.



graffa

Sogni di Don Bosco (San Giovanni Bosco)


 

153 - La modestia cristiana. Sulla purezza (1887) MB XVIII, 465 -

 La notte scorsa ho fatto un sogno. 

- Vorrà dire che ha avuto una visione. 

- Chiamala come vuoi, ma queste cose fanno crescere in modo spaventoso la responsabilità di Don Bosco in faccia a Dio. È vero però che Dio è così buono! - Così dicendo, piangeva. 

- Che cosa ha veduto in quel sogno? chiese Don Lemoyne. 

- Ho veduto il modo di avvisare i giovani studenti e il modo di avvisare gli artigiani; i mezzi per conservare la virtù della castità; i danni che toccano a chi viola questa virtù. Stanno bene, e a un tratto muoiono. Ah morire per il vizio! Fu un sogno di una sola idea, ma come splendida e come grande! Io però, adesso non posso fare un lungo discorso, non ho le forze per esprimere questa idea...

AVE MARIA PURISSIMA!

FILOCALIA


 

SULLE QUATTRO VIRTÙ DELL’ANIMA

Le forme della sapienza sono quattro. Prudenza, cioè conoscenza delle cose

che vanno fatte e di quelle che non vanno fatte, e stato di veglia

dell’intelletto. Temperanza, cioè avere un sentire integro, in modo da poter

mantenere se stessi estranei a ogni opera, pensiero e parola non graditi a

Dio. Fortezza, cioè forza e costanza nelle fatiche e nelle prove secondo Dio.

Giustizia, cioè distribuzione che assegna a tutto ciò in eguale misura.

Queste quattro virtù capitali provengono così dalle tre potenze

dell’anima: dal pensiero - cioè dall’intelletto - due, prudenza e giustizia,

cioè discernimento; dalla potenza concupiscibile la temperanza, e da quella

irascibile la fortezza. Ciascuna di esse sta in mezzo tra due passioni contro

natura. 

La prudenza sta al di sopra dell’alterigia e al di sotto della stoltezza.

La temperanza, al di sopra della stupidità e al di sotto della sfrenatezza. 

La fortezza, al di sopra della temerarietà e al di sotto della paura. 

La giustizia, al di sopra dell’insufficienza e al di sotto della sovrabbondanza. 

Le quattro

virtù sono un’immagine dell’uomo celeste, e le otto passioni un’immagine

dell’uomo terrestre. Dio conosce con esattezza tutte queste cose, come

conosce le cose passate, presenti e future, e in parte le conosce chi,

conforme alla grazia, impara da Dio le opere sue ed ottiene di essere a

immagine e somiglianza di lui. 

Chi infatti dice di conoscerle come si deve,

soltanto per averne udito parlare, mente. Poiché l’intelletto dell’uomo non

può mai ascendere al cielo senza Colui che ve lo conduce per mano e

neppure, se non è asceso e non ha contemplato, può dire ciò che non ha

visto. Ma se uno ha ascoltato qualcosa dalla Scrittura, deve dire soltanto

quello che gli viene dall’aver udito, con riconoscenza, e deve confessare il

Padre del Verbo, come disse il grande Basilio. Senza presumere di avere la

conoscenza, deve restare al di sotto di ciò che non conosce. Il presumere,

infatti, non concede di divenire ciò che si presume, dice san Massimo.

Esiste una ignoranza lodevole, come dice il Crisostomo, che è quella di

sapere che non si sa. E c’è un’ignoranza che supera ogni ignoranza, che è

quella di non sapere che si ignora. C’è anche una falsa conoscenza che

consiste nel credere di sapere, mentre non si sa nulla, come dice l’Apostolo.


SULLA CONOSCENZA PRATICA

Vi è una conoscenza verace e un’ignoranza assoluta: ma il meglio è la

conoscenza pratica. Poiché che cosa giova all’uomo avere anche tutta la

conoscenza, e anzi riceverla per grazia da parte di Dio, come Salomone - ed

è impossibile che vi sia mai un altro come lui - se poi se ne va al castigo

eterno? Che gli giova, se con le opere e una fede salda non riceve piena

certezza mediante la testimonianza della coscienza di essere liberato dal

castigo futuro, perché non ha da condannare se stesso per aver trascurato

qualcosa che, per quanto gli era possibile, doveva fare, come dice san

Giovanni il Teologo: Se il cuore non ci condanna, abbiamo franchezza nei

confronti di Dio? Ma in realtà, come dice san Nilo, non ci condanna perché

la coscienza stessa è stata ingannata, resa fiacca per l’oscuramento delle

passioni, come dice anche il Climaco. Infatti, soltanto la malvagità oscura

l’intelletto - dice il grande Basilio - e la presunzione lo rende cieco e non gli

concede di diventare ciò che presume. Ma che diremo allora di quelli che,

schiavi delle passioni, credono di avere una coscienza pura? Tanto più se

guardiamo l’apostolo Paolo, che aveva in sé il Cristo, e che dice a fatti e a

parole: Non ho coscienza di nulla - di una colpa, cioè - ma non per questo

sono giustificato.

Poiché, per grande insensibilità, siamo in molti a credere di essere

qualcosa mentre non siamo nulla. Ma, dice l’Apostolo, quando dicono:

«Pace», allora viene su di loro la rovina: perché non avevano pace, ma

parlavano credendo di aver pace, dice il Crisostomo, per la loro grande

insensibilità. San Giacomo, il fratello di Dio, dice, di questi tali, che sono

divenuti immemori del loro peccato, e così un gran numero di superbi non

si accorgono di essere tali, dice il Climaco, presumendo di possedere

l’impassibilità.

Anch’io dunque, tremando per la paura di essere ancora dominato dai

tre giganti del diavolo di cui ha scritto san Marco l’Asceta - cioè la

noncuranza, l’oblio e l’ignoranza - e nel timore che, ignorando la mia

misura, io mi ritrovi fuori dalla retta via - come dice sant’Isacco - ho scritto

la presente raccolta. Poiché se uno odia il rimprovero manifesta in modo

evidente la passione della superbia, dice il Climaco mentre chi ad esso

aderisce, è sciolto dai lacci. Anche Salomone dice: Se uno stolto ricerca la

sapienza, ciò gli sarà computato come sapienza. Ho perciò messo in

principio anche i nomi dei libri e dei santi per non dire ad ogni parola di chi

è e così allungare il discorso. I santi padri hanno spesso scritto le parole

delle sacre Scritture così come stanno. Questo ha fatto Gregorio il Teologo

con le parole di Salomone, e molti altri allo stesso modo. Anche il

Logotèta, Simeone Metafraste, ha detto a proposito del Crisostomo: «Non

è giusto lasciare le sue parole per dire le mie». Eppure lo avrebbe potuto,

perché tutti i padri hanno ricevuto dallo stesso Spirito santo. Invece per

certe parole gli stessi padri indicano l’autore quasi adornandosi di queste

citazioni per amore dell’umiltà, preferendo le parole delle Scritture; altre le

lasciano anonime perché essendo tante, il discorso si prolungherebbe

troppo.

AMDG et DVM