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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
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Pazienza
Ritratto dell’uomo apostolico
di Cornelio A Lapide
40. I. Paolo fu di una pazienza ammirabile, adamantina e amplissima. La
pose nella sua anima, quasi come base di vita apostolica. A questo
riguardo, egli, dipingendo il perfetto uomo apostolico, scrive (2 Corinti 6,
4-10): «Diportiamoci in ogni cosa come ministri di Dio, con molta
pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie. Sotto le
battiture, nelle prigionie, nelle sedizioni, nelle fatiche: nelle vigilie, nei
digiuni, con purezza, con scienza, con longanimità, con soavità, con
Spirito Santo, con carità non simulata, con la parola della verità, con la
virtù di Dio, con le armi della giustizia a destra e a sinistra; in mezzo alla
gloria e all’ignominia, alla cattiva e alla buona fama; siamo trattati come
seduttori e siam veraci; come ignoti, e siam ben conosciuti; come
moribondi, ed ecco viviamo; siamo stimati castigati, ma non siam messi a
morte; siam creduti tristi, e siam sempre allegri; poveri, ma ne arricchiamo
tanti; possessori di niente, e invece possediamo ogni cosa».
San Girolamo (67) scriveva pertanto: «Il soldato di Cristo avanza
attraverso alla buona ed alla cattiva fama, a destra e a sinistra; non si
insuperbisce per la lode, né si avvilisce per il biasimo; non si gonfia per le
ricchezze, non si abbatte per la povertà; disprezza le cose liete e le tristi; il
sole non lo brucia di giorno, né la luna di notte».
Sull’esempio di Paolo si diportò sant’Atanasio, che per quarantasei anni
andò ramingo per tutto il mondo, e sostenne con invitta forza d’animo le
persecuzioni degli ariani. A lui perciò giustamente dà lode san Gregorio
Nazianzeno (68): «Atanasio fu diamante ai percotitori, calamita ai
diffidenti».
41. II. Paolo esercitò dappertutto e per tutta la vita questa pazienza, ed
esercitandola, l’aumentò immensamente. Perciò san G. Crisostomo (69) lo
antepone al santo Giobbe, «che è un mirabile atleta, il quale potrebbe
guardare faccia a faccia Paolo stesso, per la sua pazienza ed innocenza di
vita, per il testimonio di Dio, dopo quella fortissima lotta col diavolo, per
la vittoria che seguì alla lotta; ma Paolo, non per pochi mesi, ma per
moltissimi anni persevera nella lotta e si segnala assai di più, non perché si
raschi con un coccio il marcio della carne, ma perché incorre
frequentemente nella bocca di questo spirituale leone, e combatte contro
tentazioni innumerevoli, rimanendo più paziente di una pietra. Paolo, non
da tre o quattro amici, ma da tutti gli infedeli, e dai falsi fratelli dovette
sostenere obbrobrii; sputacchiato e maledetto da tutti».
E poco appresso continua: «Ma i vermi e le ferite causavano al santo
Giobbe crudeli e intollerabili dolori: io lo riconosco. Se però consideri che
san Paolo sopportò per lunghi anni le battiture, e, con la fame continua
anche la nudità, le catene, la prigionia, le insidie e i pericoli che gli
venivano dai domestici e dagli estranei, dai tiranni ed infine da tutto il
mondo; se poi aggiungi a ciò quello che certamente era per lui più
doloroso, ossia le pene per coloro che defezionavano, le sollecitudini per le
varie Chiese, le scottature che provava per ciascheduno degli scandalizzati;
allora potrai comprendere come quest’anima soffrendo tali cose fosse più
dura di ogni pietra, e superasse la resistenza dell’acciaio e del diamante».
Tre gradi di pazienza.
42. III. Tre sono i gradi di pazienza. Il primo è soffrire pazientemente; il
secondo, volentieri; il terzo, con gioia, gloriandosi delle sofferenze,
desiderando passioni e persecuzioni. In tutti e tre questi gradi, Paolo fu
eccellente: si gloriava difatti delle tribolazioni (Cfr. Romani 5, 3);
ringraziava, in esse, Iddio.
San Francesco Saverio, anche tra le più acerrime persecuzioni e
tribolazioni, ridondava di tante consolazioni divine, e, non potendosi più
contenere, esclamava: «Basta, o Signore; basta». Quando si trattava di
fatiche e di persecuzioni, le richiedeva dicendo: «Di più, o Signore; di più.
Non liberarmi da questa croce, se non per darmene una più pesante». Così
si legge nella sua Vita e negli Atti della sua canonizzazione.
Questa condotta l’aveva imparata ed attinta da san Paolo e da Giacomo,
che scrive: «Abbiate, o fratelli, come argomento di vera gioia le varie
tentazioni nelle quali urterete, sapendo che la prova della vostra fede
produce la pazienza. La pazienza poi ha l’opera perfetta» (Giacomo l, 2
s.). Paolo esulta tra le catene: «Io, dice, prigioniero di Cristo... » (Efesini
3, l); si gloria di più di questo titolo che se fosse coronato di diadema, dice
il Crisostomo.
Vedasi ciò che ho detto nel commento di questo passo. Anche san Pietro:
«Godete, dice, di partecipare ai patimenti di Cristo, perché cosi potete
rallegrarvi ed esultare, quando si manifesterà la gloria di lui» (l Pietro 4,
13)
Caratteristica dell’Apostolo: ogni genere di pazienza
43. IV. Paolo, mentre viene eletto da Dio Apostolo, viene pure costituito
capo di sofferenze, e di pazienza, affinché comprendessimo che il
distintivo dell’Apostolo è ogni genere di pazienza: «Egli è uno strumento
da me eletto a portare il mio nome davanti ai Gentili» (Atti 9, 15). E ne
aggiunge subito il motivo: «Io gli mostrerò quanto dovrà patire per il mio
nome» (Atti 9, 16). Vedasi quanto ho detto commentando questo passo.
Pertanto Paolo (l Corinti 4, 11.13) scrive: «Anche in questo momento noi
soffriamo la fame e la sete, e siamo ignudi, e presi a schiaffi, e non
abbiamo ove posarci; e ci affanniamo a lavorare con le nostre mani;
maledetti benediciamo, perseguitati sopportiamo, bestemmiati
supplichiamo». E: «I segni del mio apostolato, dice, sono stati manifestati
a voi con ogni sorta di pazienza, con miracoli e prodigi e virtù» (2 Corinti
12, 12).
Enumera ad una ad una le sue lotte, e si gloria di esse come di altrettanti
trofei: «Mi sono trovato in moltissimi travagli, dice, spessissimo nelle
carceri, oltre ogni limite nelle battiture, e spesso mi son trovato nei pericoli
di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno; tre
volte sono stato battuto con le Verghe; una volta sono stato lapidato; tre
volte ho fatto naufragio; ho passato una notte e un giorno nel profondo del
mare. Spesso in viaggio, tra i pericoli dei fiumi, pericoli dei malfattori,
pericoli da parte, dei miei connazionali, pericoli dai Gentili, pericoli nelle
città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli dai falsi fratelli. Nella
fatica, nella miseria, in molte vigilie, nella fame, nella sete, in molti
digiuni, nel freddo e nella nudità. Oltre a quello che mi vien dal di fuori,
ho anche l’affanno quotidiano, la cura di tutte le Chiese» ecc. (2 Corinti
11, 23.28).
44. V. Paolo, con ammirevole pazienza, sopportò i suoi rivali, gli invidiosi,
i detrattori, i calunniatori (Cfr. 2 Corinti, cap. 10 e 11). «Alcuni per picca,
dice, annunziano Cristo senza sincerità, credendo di aggiungere affanni
alle mie catene. Ma che me ne importa? O che sia per pretesto o con lealtà,
purché in ogni modo sia predicato Cristo, e ne godo e ne godrò, ecc.
Secondo quanto aspetto e quanto spero, non avrò da arrossire di nessuna
cosa, ma con tutta franchezza, come sempre, Cristo sarà glorificato nella
mia persona, sia con la vita, sia con la morte» (Filippesi l, 17.20). E: «Noi
siam tribolati in ogni maniera, ma non avviliti d’animo; siamo angustiati,
ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattuti, ma non
finiti» (2 Corinti 4, 8 s.). Giustamente san Gregorio (70) scrisse: “La
pazienza è un martirio nascosto nell’anima».
45. VI. Paolo sostenne e superò eroicamente molte infermità ed angustie
corporali, e spirituali, gravi e continue tentazioni della carne (71):
«Affinché la grandezza delle rivelazioni, dice, non mi facesse insuperbire,
m’è stato dato lo stimolo della mia carne, un angelo di Satana che mi
schiaffeggi. Tre volte ne pregai il Signore, perché si allontanasse da me.
Ed Egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia, perché la potenza si fa meglio
sentire nella debolezza. Volentieri adunque mi glorierò nelle mie
infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angustie
per Cristo, perché quando son debole, allora sono potente» (2 Corinti 12,
7-10).
<< ...tribolati in ogni maniera, ma non avviliti d’animo; siamo angustiati, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattuti, ma non finiti >> (2 Corinti 4, 8 s.)
AMDG et DVM
SAN LUIGI MARIA GRIGNION DE MONTFORT
Questo santo è tutto da scoprire. Ha vissuto
solo quarantatrè anni, Louis-Marie de Montfort, ma è stato “un atleta
della predicazione”, un “Apostolo di Maria”, “Colui che amava tanto i
poveri”.
Nacque in Bretagna, Francia nordoccidentale,
il 31 Gennaio 1673, a Montfort-la-Cane (oggi Montfort-sur-Meu).
Secondo di diciotto figli di Jean-Baptiste Grignion, avvocato, e Jeanne
Robert de la Vizeule, fin da bambino mostrò una forte disposizione alla
preghiera e alla contemplazione. Lo zio materno Alain, testimonierà che
da piccolo era “molto portato all’apostolato”.
Nel 1684, a 11 anni, Luigi Maria si iscrive al collegio dei Gesuiti di
Rennes, il paese d’origine della madre. Soggiorna in casa dello zio.
Sino al 1692, per otto anni, studia con profitto seguito da ottimi
insegnanti, come padre Camus e padre Gilbert.
Conduce una vita austera, conservando intatta la sua innocenza.
Per interessamento della pia signorina Montigny, si trasferisce a Parigi
nell’autunno del 1692 ed entra nel seminario di Saint-Sulpicio.
Completa gli studi di teologia ed il 5 Giugno 1700, a 27 anni, viene
ordinato sacerdote.
Incontra a Parigi Marie-Louise Trichet con la
quale fonda la Congregazione delle Figlie della Sapienza nel 1703. Ma il
suo desiderio era di dedicarsi alle missioni estere.
Diceva : “Che facciamo noi qui mentre ci sono tante anime che periscono
nel Giappone e nelle Indie per mancanza di predicatori e di catechisti?”.
Pieno di fervore, si reca a Roma. Il 6 Giugno
del 1706 viene ricevuto in udienza dal Santo Padre Clemente XI
(papa Albani).
Il pontefice in quel tempo era estremamente
preoccupato per la particolare situazione francese : giansenismo,
gallicanesimo, quietismo, turbavano la Chiesa. Il papa, amorevolmente,
lo esorta e lo convince ad esercitare il suo zelo nella stessa Francia,
che ne aveva bisogno, mettendosi a disposizione dei vescovi.
Gli conferisce il titolo di Missionario Apostolico e gli
dona un Crocifisso. Confortato dalla parola e dalla benedizione del Vicario
di Cristo, Luigi Maria rientra in Francia. Trova, però, difficoltà ed ostilità
da parte del vescovo di Poitiers. Si dirige altrove : veniva considerato un
prete stravagante ed originale, ma egli continuava, tenace e risoluto.
Si ritira per un certo tempo nei pressi di Montfort, in un antico
lebbrosario, Saint-Lazare con altri due compagni.
La gente accorre, arriva e Luigi Maria fa recitare il Rosario, fa cantare
lodi, e predicare la parola di Dio. Diceva : “L’Ave Maria ben detta è segno
di predestinazione. E’ una verità che io sono disposto a sottoscrivere con il
mio sangue”.
Il vescovo di Saint-Malo, mons.Vincenzo Francesco
Desmarets, giansenista, gli proibisce ogni ministero. Passa da un paese
all’altro, da una diocesi all’altra, e arriva, finalmente alla diocesi de La
Rochelle ove trascorre gli ultimi cinque anni della sua vita.
Qui, il vescovo, Etienne de Champflour, lo accoglie benevolmente.
Organizza un gran numero di missioni, diffondendo e introducendo
dovunque la recita del Rosario tra il popolo. Istituisce confraternite e
scuole. La povera gente lo cerca come predicatore e confessore.
“Egli tuonava, dal pulpito, contro tutti i vizi, ma era dolce e fermo insieme
nel tribunale della penitenza ; aveva un dono singolare per toccare i cuori
sia nel Confessionale che dalla cattedra. I grandi peccatori si rivolgevano
più a lui, per confessarsi, che a qualunque altro missionario”.
Anima di grande fervore mariano. “La Santa Vergine lo
aveva scelto per prima, come uno dei suoi più grandi favoriti ed aveva
stampato nella sua giovane anima quella tenerezza così singolare che egli
ha sempre avuto per Lei e che l’ha reso uno dei più grandi devoti alla
Madre di Dio che la Chiesa abbia avuto”.
Ci si può rendere conto di questa grande
devozione di san Luigi Maria di Montfort, leggendo il suo libro
scoperto e stampato dopo 130 anni dalla sua morte, nel 1842 :
“Trattato della vera devozione alla Santa Vergine”.
Morì, il nostro santo, il 28 Aprile 1716, a Saint-Laurent-sur-Sèvre : aveva
quarantatrè anni.
Prima di rendere l’anima, teneva stretto, in una
mano il Crocifisso datogli da Clemente XI, nell’altra una statuetta della
Madonna, dicendo : “Sono tra Gesù e Maria. Sono giunto al termine : è
finita, non peccherò più”.
La Vandea, regione francese dove San Luigi Maria di Montfort trasfuse
tutte le sue energie, passò alla Storia come la terra che seppe reagire alla
furia distruttrice giacobina della Rivoluzione Francese, difendendo “Trono
ed Altare”. Ancora dopo ottanta anni, nel 1793, la fede predicata e
trasmessa da S.Luigi Maria, restava solida e radicata nell’animo del
popolo della Vandea che aveva subito il martirio.
Papa Leone XIII lo proclama beato il 22 Gennaio
1888, Pio XII lo eleva agli altari il 20 Luglio 1947, Giovanni Paolo II trae
il motto del suo pontificato “Totus Tuus” proprio dai suoi scritti e lo
indica nella “Redemptoris Mater” come testimone e guida della spiritualità
mariana.
Gianni Mangano
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AVE MARIA PURISSIMA!
Dice Gesù:
«Daniele è colui che ha la medesima nota di Giovanni, e Giovanni è colui che raccoglie e amplifica la nota iniziale di Daniele. Ecco perché, piccolo Giovanni, a te piace tanto.
Come pesce in limpida peschiera, tu sei felice quando ti muovi nell’atmosfera del tuo Cristo, il quale avrà il suo supremo trionfo nell’ora in cui Satana, il suo figlio e i suoi cortigiani, saranno per sempre resi impotenti. E in Daniele vi è quest’atmosfera. Se Isaia è il pre-evangelista che parla del mio avvento[97] nel mondo per la salute del mondo, Daniele è il pre-apostolo, il pre-Giovanni che annuncia le glorie del mio eterno trionfo di Re della Gerusalemme imperitura.
Ora vedi come nelle quattro bestie descritte da Daniele siano anticipati i segni dei ministri diabolici dell’Apocalisse. I commentatori si sono affannati a dare un significato storico-umano a quei quattro mostri. Ma occorre spingere lo sguardo molto più avanti, e molto più in alto. Sollevatevi, quando meditate i libri santi, dalla Terra, staccatevi dal momento presente, spingete lo sguardo nel futuro e nel soprannaturale. Lì è la chiave del mistero.
Le quattro bestie: i quattro errori che precederanno la fine. I quattro errori che saranno quattro orrori per l’umanità e che partoriranno l’Orrore finale.
L’uomo era un semidio per la Grazia e per la Fede. Come aquila e come leone sapeva affrontare e vincere i pericoli del senso e sollevare se stesso a spaziare nel clima di Dio, là dove l’anima si congiunge in nozze soprannaturali col suo Signore in continui e rapidi congiungimenti di ardori, da cui scende sulla Terra ogni volta rinnovellata nella forza, nella gioia, nella carità che effonde sui fratelli e poi slancia nuovamente, ancor più impetuosamente, verso Dio, poiché ogni congiungimento è aumento di perfezione che si compie quando il congiungimento diviene eterno nel mio Paradiso.
L’ateismo strappò all’uomo le sue ali d’aquila e il suo cuore da semidio e lo fece animale camminante sul fango e portante sul fango, verso il fango, il suo pesante cuore tutto carne e sangue. Un pondo pesante più del piombo porta l’uomo nel suo “io” privo delle spirituali penne dello spirito, un pondo che lo curva, lo stende, lo sprofonda nel fango.
L’uomo era un semidio per la Carità vivente in lui. Amando Dio e la sua Legge, che è legge di Carità, egli possedeva Dio, e con Dio la Pace, che è un principale attributo di Dio, e con la pace tanto bene universale e singolo.
L’uomo respinse la Legge di Dio per assumere molte altre dottrine. Ma nessuna era ed è da Dio e perciò in nessuna è Carità vera. Onde l’uomo, che aveva abbracciato l’ateismo divenendo da aquila e leone semplice uomo, per un sortilegio infernale partorì se stesso divenuto orso, feroce divoratore dei suoi simili.
Ma orrore chiama orrore. Per scala ascendente. Sempre più grande l’orrore perché nei maledetti connubi con Satana l’uomo, che il Cristo aveva riportato alla sua natura di semidio, genera mostri sempre più mostri. E sono i figli del suo errare che si vende a Satana per averne terrestre aiuto.
Dall’uomo semidio venne l’uomo, dall’uomo l’orso, dall’orso il nuovo mostro feroce e falso come il leopardo, dotato da Satana di ali multiple per essere più veloce nel nuocere. Vi ho detto[98] che Satana è lo scimmiottatore di Dio. Anche esso dunque volle dare alla “sua” creatura, ormai sua creatura, all’umanità senza Fede e senza Dio, dare delle ali. Non di aquila, [ma] di vampiro perché fosse incubo dell’umanità stessa e fosse rapido nel suo correre ad abbattersi sulle parti di sé, vittime di sé, per suggerne il sangue.
Io, mistico pellicano, mi sono aperto il cuore per darvi il mio sangue. Satana fa dell’uomo, al quale Io ho dato il mio sangue, il vampiro che sugge parti di se stesso e si dà morte con tormento.
Non pare una leggenda di incubo? È invece la vostra realtà. Non è un mostro mitico. Siete voi che con fame diabolica divorate parte di voi stessi, svenandovi, mutilandovi per poi generare le nuove parti mentre divorate le già formate, con una continuità che ha in sé qualcosa di maniaco, ma di un maniaco diabolico.
La potenza voluta, spinta, imposta sino al delitto, è la terza bestia. Dato che è potenza umana, ossia vendutasi a Satana pur di esser sempre più potente, contro ogni legge divina e morale, essa genera il suo mostro che ha nome Rivoluzione e che, come è della sua natura, porta nelle protuberanze della sua mostruosità tutti i più biechi orrori delle rivoluzioni, naufragio sociale del Bene e della Fede. Onestà, rispetto, moralità, religione, libertà, bontà, muoiono quando questo mostro alita su una nazione il suo fiato d’inferno, e come pestifera emanazione esso si spande oltre i confini contagiando di sé popoli e popoli, sinché contagerà il mondo intero preparando sui brandelli delle vittime, da lei uccise e sbranate, sulle rovine delle nazioni ridotte a macerie, la culla per il mostro finale: l’Anticristo.
Ve l’ho detto[99] che esso sarà il figlio della lussuria dell’uomo, nato dal connubio della stessa con la Bestia. Ve l’ho detto. Non muto nel mio dire. Ciò che dico è vero. Lo conosco senza bisogno di leggerlo, lo ricordo senza bisogno di rileggerlo. È scritto nella mia mente di Dio davanti alla quale scorrono incessantemente, e l’uno sopra l’altro, senza che l’uno impedisca la visione dell’altro, tutti gli eventi dell’uomo nel tempo.
Esso Anticristo, perfezione dell’Orrore come Io fui perfezione della Perfezione, con le sue infinite armi, simboleggiate nelle dieci corna, nelle mascelle dentate di ferro, nei piedi feroci e infine nel piccolo corno, simbolo dell’estremo livore di cui Satana doterà il suo figlio per intossicare l’umanità mentre con la bocca di menzogna la sedurrà facendosi adorare per dio, tormenterà a dismisura coloro che, piccolo gregge fedele, mi resteranno seguaci. D’ora in ora il piccolo corno crescerà per nuocere, crescerà l’intelligenza satanica per far dire alla bocca le più turbatrici menzogne, crescerà in potenza come Io crescevo in sapienza e grazia, armato di occhi per leggere il pensiero degli uomini santi e ucciderli per esso pensiero.
Oh! i miei santi dell’ultimo tempo! Se eroico fu il vivere dei primi fra le persecuzioni del paganesimo, tre volte, sette volte, sette volte sette volte eroico sarà il vivere dei miei ultimi santi. Solo i nutriti con la midolla della Fede potranno aver cuor di leone per affrontare quei tormenti e occhi e penne d’aquila per affissare Me-Sole e volare a Me-Verità, mentre le tenebre li soverchieranno da ogni parte e la Menzogna cercherà persuaderli ad adorarla e credere in essa.
Dopo i precursori dell’Anticristo verrà l’Anticristo stesso. Il periodo anticristiano, simboleggiato dalla Bestia armata di dieci corna – i dieci servi, che si credono re, di Satana, dei quali tre (nota bene) saranno strappati e gettati nel nulla, ossia nel baratro dove non è Dio e perciò dove è il Nulla, l’opposto di Dio che è Tutto – culminerà nella nascita e crescita, fino alla sua potenza massima, dell’undecimo corno, ragione della caduta di tre precursori, e sede del vero Anticristo, il quale bestemmierà Dio come nessun figlio d’uomo mai fece, calpesterà i santi di Dio e torturerà la Chiesa del Cristo; crederà, poiché è figlio [del connubio] della superbia demoniaca con la lussuria umana, “di poter fare grandi cose, di mutare i tempi e le leggi” e per tre anni e mezzo sarà l’Orrore regnante sul mondo.
Poi il Padre dirà: “Basta” davanti al gran coro che, per il “rumore delle grandi parole” dei santi, si farà in Cielo; e la Bestia malvagia sarà uccisa e gettata nel pozzo d’abisso e con essa tutte le bestie minori per rimanervi con Satana, loro generatore, per l’eternità.
Io sarò chiamato allora dal Padre per “giudicare i vivi ed i morti” secondo [quanto] è detto nel Simbolo della Fede. E i “vivi”, coloro che hanno serbato vita in loro per aver serbato viva la Grazia e la Fede, erediteranno “il regno, la potenza e la magnificenza di Dio”. I morti dello spirito avranno la Morte eterna secondo che la loro volontà ha scelto di avere.
E non vi sarà più Terra e più uomo carnale. Ma solo vi saranno “figli di Dio”, creature affrancate da ogni dolore, e non vi sarà più peccato, e non vi saranno più tenebre, e non vi sarà più timore. Ma solo gioia, gioia, gioia immensa, eterna, inconcepibile agli uomini. Gioia di vedere Dio, di possederlo, di comprenderne il pensiero e l’amore.
Venite, o uomini, alla Fonte della vita. Io ve ne apro la sorgente. Attingetene, fortificatevi in lei per essere intrepidi nelle prove e per giungere ad immergervi completamente in essa, in Me, sorgente di beatitudine, nel bel Paradiso che il Padre mio ha creato per voi e nel quale il triplice Amore del Dio Uno e la Purezza della Madre “nostra” vi attendono, e con essi coloro che per esser stati fedeli hanno già conseguito la Vita.»
Dice poi Gesù a me:
«Quando Io ti vedo così attenta alle mie lezioni, mi sembri una scolara diligente e affezionata del suo maestro che per essa è lo “scibile” intiero. Quando invece da te scopri delle parti nuove, fai delle osservazioni (e questo nelle visioni), mi fai pensare ad un bambino buono che il suo padre tiene per la manina conducendolo davanti a ciò che vuole che il bambino veda per crescere nell’intelligenza, ma che nel contempo non interviene, per dare al suo piccolo la gioia di scoprire qualche cosa di nuovo e di sentirsi crescere nel concetto di sé.
Per fare questo, tu devi essere sempre sgombra di sollecitudini umane. Sempre più sgombra. Devi essere sempre più sicura per camminare disinvolta per i sentieri della contemplazione e sempre più tranquilla e fiduciosa in Me che ti tengo per mano.
Un papà non se ne fa accorgere, ma con mille arti amorose fa tanto finché la sua creatura vede quella data cosa che egli vuole che il bambino veda. Oh! Io sono il più amoroso dei padri e il più paziente dei maestri per i miei piccoli, e quando posso tenerne uno per mano, docile e attento, Io sono felice. Felice d’esser Maestro e Padre.
È tanto difficile che le mie creature mi mettano con fiducia la mano nella mia mano per essere condotte, istruite da Me, e per dirmi: “Ti amo sopra tutte le cose e con tutta me stessa!”. A quelle poche che sono così tutte “mie”, senza riserve, Io apro i tesori delle rivelazioni e delle contemplazioni e mi do senza riserva.
Però, Maria, siccome vi eleggo al ruolo di divulgatrici della mia Divinità, nelle sue diverse manifestazioni, presso coloro che hanno bisogno d’esser risvegliati e condotti ad intravvedere Dio, ricorda di essere scrupolosa al sommo nel ripetere quanto vedi. Anche una inezia ha un valore e non è tua, ma mia. Perciò non ti è lecito trattenerla. Sarebbe disonesto ed egoista. Ricordati che sei la cisterna[100] dell’acqua divina, alla quale essa acqua si versa perché tutti ne vengano ad attingere.
Per i dettati sei giunta alla fedeltà più fedele. Nelle contemplazioni osservi molto, ma nella fretta di scrivere, e per le tue speciali condizioni di salute e di ambiente, ti avviene di omettere qualche particolare. Non lo devi fare. Mettili in calce, ma ségnali tutti. Non è un rimprovero, è un dolce consiglio del tuo Maestro.
Giorni or sono mi hai detto: “Che gli uomini ti amino un poco di più, attraverso a me, giustifica e ripaga tutta la mia fatica e la mia vita; fosse anche un solo uomo che torna a Te per mezzo della tua ‘violetta nascosta’,[101] essa sarebbe felice”.
Più sarai attenta ed esatta e più sarà numeroso il numero di coloro che vengono a Me, e più grande la tua felicità spirituale presente e la tua felicità eterna futura.
Va’ in pace. Il tuo Signore è con te.»
[Segue, in data 25 e 26 gennaio, il capitolo 36 dell’opera L’EVANGELO]
http://www.valtortamaria.com/operaminore/quaderno/2/manoscritto/14/25-gennaio-1944
AVE MARIA PURISSIMA!
UN CARO SALUTO AGLI AMICI DEL BLOG
CON SANTI AUGURI PER IL 2022 p.C.
*
CAPITOLO 12. IL MISSIONARIO
È deciso: men corro pel mondo!
Sono preso da umor vagabondo
Per salvare il mio povero prossimo [Cantiques: 2ème ed. pag. 353]
Finalmente poteva dar libero sfogo al santo umor vagabondo che gli urgeva
nell'anima da anni.
Missionario! La superficialità distratta della nostra vita di oggi ci ha fatto
perdere la nozione precisa di questo vocabolo. Per capirlo occorrerebbe una
ricostruzione storica: descrivere i tempi andati nei quali la macchina non aveva
ancora asservito l'uomo e l'uomo, dominando il mestiere, se ne staccava a
piacere per attendere alla cultura dello spirito e alla salvezza dell'anima.
Quando un missionario di tempra veramente apostolica entrava in una città o
in un villaggio, quasi tutta la vita civile prendeva un tono di riposo: le
occupazioni materiali si sospendevano o si riducevano al minimo, perché
ciascuno potesse attendere alle cose dell'anima in modo intensivo. E il
missionario non era solo il prete che parla, come oggi, per dieci o quindici
giorni mezz'ora la mattina e mezz'ora la sera dal pulpito della chiesa, più
qualche istruzione di categoria; era invece un prete o una schiera di preti che
prendeva in mano un paese o una città per restaurarvi la vita religiosa nel suo
triplice aspetto parrocchiale, familiare e individuale. Il lavoro durava a volte
mesi interi. Troviamo per esempio S. Giovanni Eudes che fa nella città di
Rennes una missione - per sei mesi consecutivi. I cristiani si mettevano a
disposizione del missionario: tante volte si partivano da casa la mattina per
tempo con un tozzo di pane e un po' di companatico e passavano l'intera
giornata con lui che predicava, confessava, insegnava cantici, organizzava
processioni spettacolose preparate con pazienti prove generali.
Ci si spiega allora come alle volte invece della chiesa dovesse servire la piazza
o un prato alle adunanze della missione. Si comprende altresì come la missione
segnasse nella vita di un paese un avvenimento straordinario e come fosse
grave la fatica richiesta dal sacerdote che si dedicava a questo genere di lavoro
apostolico.
***
Luigi-Maria di Montfort scendeva nel campo missionario a 31 anni. L'avevano
preceduto in quel campo due intrepidi campioni, Michele Le Nobletz, del clero
secolare, e Giuliano Maunoir, gesuita; il loro nome risuonava ancora in
benedizione per le contrade della Bretagna.
Il Montfort riterrà il quadro generale di azione di questi due evangelizzatori, ma
vi infonderà uno spirito e una grandiosità tali, da dare un tono profondo ed
eroico di religiosità a quelle popolazioni e per la durata di secoli.
Al servizio delle missioni Luigi-Maria portava tutte le sue straordinarie capacità
di predicatore, di poeta, di artista, di santo. Ed ecco come si regolava quasi
sempre. Quindici giorni prima dell'apertura andava o mandava sul posto per
studiare l'ambiente e darvi una prima vigorosa. scaldata mobilitando preghiere
e parlando dell'importanza della missione.
Veramente a detta sua prima che si movesse lui c'era un altro che si metteva
in azione. «Quando mi accingo a dare una missione in qualche luogo il demonio
prende sempre le mosse innanzi a me». Il demonio servito da tanti accoliti in
carne ed ossa con tutto l'armamentario dei sette vizi capitali. «Ma quando
giungo io, continua il Montfort, sono sempre il più forte perché ho Maria e S.
Michele Arcangelo con me».
Giungeva nel paese al giorno fissato e quasi sempre in compagnia di altri
sacerdoti e religiosi, messisi volontariamente agli ordini di questo giovane
prete per la grande opera.
Lo accompagnava anche un robusto somaro carico delle armi del missionario:
qualche libro, foglietti a stampa di ricordi, e tutta una serie di stendardi vistosi,
da lui lavorati, e illustranti le verità della fede e i misteri del Rosario. Al primo
giungere della missione un Fratello coadiutore era mandato per le vie del paese
e per la campagna a battere un grosso tamburo e a cantare con tutta la forza
consentitagli dai polmoni, la strofetta:
All'erta, all'erta, all'erta!
La missione s'è aperta:
Tutti corriamo, amici,
Il Cielo a conquistar!
***
Come alloggio dei missionari il Montfort sceglieva una casa, quando offertagli
dalla carità e quando presa in affitto ed egli la chiamava «la Provvidenza».
Perché la Provvidenza doveva fornire il necessario non solo ai missionari, ma
anche a tutti i poveri del luogo durante la missione. Caratteristica questa delle
più commoventi dell'apostolato del nostro Santo e che metterà sotto gli occhi
attoniti del sudditi di Luigi XIV le più belle scene del ministero di Gesù.
Ascoltiamo un teste autorevole, il Sacerdote Des Bastières, uno dei più fedeli
compagni di fatica del Montfort.
«Tutte le missioni che ho avuto l'onore di fare con lui, e sono più di
quaranta, furono fatte a spese della Provvidenza, la quale lo ha sempre
rifornito con abbondanza di viveri, tanto che dopo averne ricavato il
necessario per sé e per i missionari, trovava ancora di che nutrire un
gran numero di poveri e vestirli. È vero che nei primi due o tre giorni
difettavamo di parecchie cose, ma non appena il Montfort aveva
dichiarato pubblicamente dal pulpito che lui e i missionari vivevano delle
elemosine dei fedeli e che essi davano gratuitamente le intenzioni di
tutte le loro Messe a quanti contribuivano al mantenimento, allora la
Provvidenza si dichiarava tanto apertamente in nostro favore che da ogni
parte ci arrivavano vettovaglie in modo sì abbondante che non solo
potevamo nutrirci noi, ma anche tutti i poveri della parrocchia e dei
dintorni. Spesso gli avanzi riempivano parecchie ceste, come avvenne nel
deserto, dopo la moltiplicazione dei pani. Ho visto talvolta avanzare fino
a cinquanta grossi pani dopo il pasto nostro e dei poveri i quali erano
sempre molto numerosi: ne ho contati fino a duecento al giorno in molte
parrocchie in cui ho fatto la missione». L'accenno alla moltiplicazione dei
pani fatto dal des Bastières dovette presentarglisi senza sforzo. «Due
cose, continua egli, mi hanno maggiormente colpito, sembrando mi
molto straordinarie: la prima che il Montfort ha fatto più di otto missioni,
nelle quali io l'ho accompagnato, in Parrocchie tanto povere, che i più
ricchi tra gli abitanti avevano appena un pezzo di pane per vivere.
Eppure erano questi i luoghi in cui la divina Provvidenza si manifestava
più liberale a nostro riguardo, poiché i missionari e i poveri erano trattati
meglio che altrove. La seconda cosa è che, essendo affidato d'ordinario a
me l'incarico di condurre i poveri al luogo in cui si dava loro da mangiare
e di servirli a tavola, mi è capitato cinque o sei volte di non aver neppure
un tozzo di pane da dar loro e non ve n'era neanche nella casa della
Provvidenza, alloggio dei missionari. Ne avvertii la prima volta il Montfort
ed egli non se ne mostrò affatto preoccupato: mi disse semplicemente di
condurli al posto solito, che la Provvidenza avrebbe provveduto ai loro
bisogni. Eseguii gli ordini senza sapere da dove ci potesse venire il pane.
Sarebbe venuto dal Cielo? Tuttavia li feci sedere a tavola benché non
avessi nulla da mettervi sopra e mi trovavo tanto mortificato perché
c'erano quasi duecento persone presenti, venute apposta per aver il
piacere di vedere il pranzo di quei poveri ch'erano affamati. Nell'attesa
feci fare una piccola lettura, durante la quale mi recai nella casa della
Provvidenza e rimasi sbalordito nel trovarvi gran quantità di pani ed altre
provvigioni venute chissà da che parte. Le feci tosto portare ai nostri
poveri che ebbero quel giorno doppia razione.
Qualcosa di simile è capitato, per quel che so io, altre cinque o sei volte»
[GRANDET, o. c. pag. 286-289].
Aiutato tanto visibilmente dalla Provvidenza, «il più povero prete di Francia,
dice il Blain, faceva più elemosine del più ricco prebendato» (§ LXVII).
Privando a volte se stesso del necessario, come quando una buona signorina
gli mandò un sarto per prendere la misura e fargli una talare della quale aveva
proprio bisogno. Rispose: «Il mio corpo può fare a meno di una veste nuova,
ma i membri di Gesù Cristo non possono fare a meno di nutrimento». E fece
pregare quella caritatevole persona di mutar pensiero e di dargli il
corrispondente in denaro per i poveri [) Cfr. BESNARD, ms. c., I pagg. 162-
163].
Ma questo padre dei poveri non si contentava di far «distribuire ogni giorno la
minestra a tutti i poveri e provvederli dì abiti confezionati da alcune pie
persone durante il corso della missione» [GRANDET, o. c. pag. 356]. Ci teneva
a dare lui stesso a quei suoi prediletti segni di una stima e di una tenerezza
che giungeva «fino all'eccesso». «Non solamente, scrive il primo biografo, il
Grignion amava teneramente ed abbracciava i poveri come propri figli e fratelli,
ma li onorava e rispettava come signori e padroni. Quando ne incontrava
qualcuno per le strade, lo salutava, e parlandogli si teneva a capo scoperto.
Li baciava, lavava loro i piedi, li faceva sedere a tavola alla propria destra e
serviva loro quanto vi era di meglio. Beveva spesso nel loro bicchiere e
mangiava i loro rifiuti. Abbracciava quelli ch'erano i più schifosi e pieni di
ulceri. Quando non aveva poveri con sé, si alzava da tavola e diceva: «Vado a
cercare il buon Gesù». Non si stomacava mai per il puzzo né per la deformità
loro, e se talvolta essi si mostravano restii a mettersi a tavola in un posto più
onorevole del suo o degli altri missionari, presi dal timore di cagionar pena,
egli li incoraggiava a sedersi come fossero stati figli di casa.
Quando erano storpi e non potevano camminare, se li caricava sulle spalle»
[GRANDET, o. c. pag. 354]. E il primo biografo, a farci intendere come
realmente si trattasse di eccesso, coglie dalla penna del confessore del Santo,
il P. de Latour, un episodio che urta violentemente la nostra sensibilità e
rappresenta un fuor di misura non solo per noi, ma, crediamo, anche per il
Montfort. «Trovò, scrive, un povero pieno di pidocchi e di ogni più ributtante
lordura, il quale non potendo sopportar più oltre il prurito di quegli insetti, si
era cavata la camicia e l'aveva buttata su di una siepe. Il Montfort ciò vedendo
andò subito a togliersi la sua propria camicia per darla a quel povero e si recò
prontamente a cercare quella di lui per indossarla così sporca com'era»
[GRANDET. o. c. pag. 457].
Fuor di misura, ripetiamo, anche per il Santo che, afferma il Besnard «egli si è
sempre attenuto alle leggi della decenza ecclesiastica» [BESNARD, ms. c. I,
16] e il Grandet, a sua volta, ci assicura che «non era mai sudicio» [GRANDET,
o. c. pag. 352].
Tutto per creare un'atmosfera infuocata di sacrificio e di carità, la più propria
alla fecondazione della divina semenza ch'egli andava spargendo, la parola del
Vangelo.
Fa' o Madre che viviamo nella
grazia dello Spirito Santo