martedì 5 novembre 2019

Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.


“LA PASSIONE” DI GIBSON, OVVERO “LA SANTA MESSA”

[31]Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.
[32]Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me>>.
Gv. 12,31

 “Cari figli! Oggi vi invito in un modo speciale a prendere la croce nelle mani e a meditare sulle piaghe di Gesù. Chiedete a Gesù di guarire le vostre ferite, che voi, cari figli, avete ricevuto durante la vostra vita a causa dei vostri peccati o a causa dei peccati dei vostri genitori. Solo cosi capirete, cari figli, che al mondo è necessaria la guarigione della fede in Dio creatore. Attraverso la passione e la morte di Gesù in croce, capirete che solo con la preghiera potete diventare anche voi veri apostoli della fede, vivendo nella semplicità e nella preghiera la fede che è un dono. Grazie per avere risposto alla mia chiamata!”
Messaggio dato dalla Madonna a Medjugorje il 25 marzo 1997


Mentre assistevo al film capolavoro del regista cattolico Gibson (una rarità di questi tempi, soprattutto se teniamo conto del coraggio di proclamarsi cristiano in un “ambientino” in cui è facile vendere l’anima al diavolo per carriere, popolarità e prebende) riflettevo, tra una commozione e l’altra, sulla eterna riproposizione degli avvenimenti che hanno riguardato nostro Signore.

Quanti, dimostrando ignoranza evangelica, hanno gridato all’antisemitismo del film, senza magari averlo visto, non si sono accorti o hanno finto di non vedere che il film, come del resto il Vangelo, evidenziano l’avversione nei confronti di Gesù da parte di tutto il mondo, cominciando dagli ebrei per espandersi, mediante i romani, a tutti i popoli della terra. Il film di Gibson, magistralmente interpretato dal Medjugorjno James Caviezel[1], mostra infatti le persecuzioni, le violenze, le derisioni, gli oltraggi sia delle autorità civili e religiose, sia del popolo, sia dei romani; simboli del mondo intero.

Se esaminiamo con attenzione i personaggi notiamo che la passione di Gesù perdura anche ai nostri giorni. Infatti pure oggi Gesù, che con una sola Parola avrebbe potuto distruggere il mondo oppure con una sola Parola avrebbe potuto convincere gli accusatori della sua innocenza, subisce avversioni, tradimenti, insulti, derisioni ed oltraggi; anche oggi la Sua Parola (cioè Lui stesso! Gv. 1,1 seg.) viene costantemente crocifissa. Se al posto dei protagonisti dell’epoca inseriamo certi sacerdoti (e anche certe gerarchie!) dei nostri tempi, certi cristiani, gli atei, i dissacratori, gli empi, quanti difendono o giustificano i nemici della Croce ecc., constatiamo che  la passione di Gesù continua senza sosta. E non si tratta solo di una persecuzione spirituale, ma anche fisica; pensiamo, infatti, alle dissacrazioni eucaristiche che avvengono in occasione delle messe nere o di altri riti diabolici, oppure alle persecuzioni fisiche e morali che i discepoli di Cristo patiscono anche ai nostri giorni. La Madonna da Medjugorje nel suo messaggio del 5 aprile 1984 ha affermato “Cari figli, questa sera vi chiedo in particolare di onorare il Cuore del mio Figlio Gesù. Pensate alle ferite inferte al Cuore di mio Figlio, quel Cuore offeso con tanti peccati. Questo Cuore viene ferito da ogni peccato grave.” Quindi ogni volta che Gesù riceve delle percosse non dobbiamo pensare soltanto ai peccati commessi da altri nel lontano passato, ma dobbiamo essere convinti d’essere anche noi  molte volte causa di sofferenze provocate al Signore mediante i nostri tradimenti, il nostro disinteresse, le nostre idolatrie ed i nostri peccati in generale.

Gibson ha poi messo bene in risalto la figura di satana quale tentatore ed ispiratore dell’odio più spietato nei confronti del Salvatore. La presenza del demonio (che a tratti evidenzia la crudeltà e la mostruosità della sua natura ormai corrotta) nei momenti salienti del film sottolinea l’opera continua e perversa dell’imperatore della morte, sconfitto dalla Crocifissione e dalla Resurrezione del Signore. L’urlo lancinante di satana alla fine del film ne evidenzia magistralmente la definitiva sconfitta, anche se perdura fino alla fine del mondo la sua opera perversa tesa a condurre quante più anime all’inferno.

Il film di Gibson, nel quale sono inseriti degli effetti musicali coinvolgenti, mostra poi i frutti della “Passione” che converte vari peccatori sia ebrei sia romani; anche in questo caso simboli del mondo intero.

L’inserimento nel film degli episodi evangelici e delle amorevoli predicazioni di Colui che ha dato liberamente ed incomparabilmente la sua vita per amore di ciascuno di noi, in contrapposizione con la sofferenza provocata dall’odio umano ispirato da satana, fanno del film uno strumento eletto di evangelizzazione. Le scene di indicibile sofferenza (in contrasto con quelle riservate ai due malfattori che non hanno subito le violenze fisiche e gli oltraggi riservati all’innocente ed amorevole Gesù) rese magistralmente dal medjugorjno protagonista devono far riflettere sul significato del Crocifisso; ma soprattutto devono far meditare quanti lo avversano e quanti agevolano le istanze di rigetto del Crocifisso (compresi certi avvocati che si proclamano cattolici!). Se si allontana l’emblema dell’amore di Dio per l’umanità, il suo posto viene prontamente occupato da satana il quale, spesso strisciante come un serpente oppure nascosto, lo sostituisce prontamente con tutto quanto ne consegue: violenze, soprusi, angherie, provocazioni, insulti  ecc.
Il film di Gibson non rappresenta soltanto la “Passione” di nostro Signore, ma può essere considerato la rappresentazione della Santa Messa. Non mi sarei stupito, infatti, se alla fine del film una voce fuori campo avesse pronunciato le seguenti parole “la messa è finita, andate in pace”. In quella pace che soltanto Gesù può dare “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace. Non come la dá  il mondo, io la dò a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore” (Gv. 14,27); non certo “la pace” che possono donare altri personaggi religiosi come Maometto, Budda ecc.! Chi ha visto o vedrà questo film potrà capire i motivi per cui padre Pio si fermava spesso in visione durante la celebrazione Eucaristica e molte volte piangeva assistendo in visione alle sofferenze del nostro caro Gesù. A Gibson va poi riconosciuto il merito d’aver evidenziato anche la passione corredentrice di Maria (invecchiata di circa dieci anni a causa della Passione del Figlio!), “toccata con mano” a Medjugorje. Senza l’intervento della Regina dell’universo e sposa dello Spirito Santo sia il protagonista del film sia il regista sia gli altri bravi attori non avrebbero potuto rendere la Passione di nostro Signore viva, attuale e coinvolgente!

Il film sottolinea inoltre la presenza trinitaria (la lacrima di Dio Padre, la figura di Gesù e l’effusione dello Spirito Santo con il particolare respiro-effusione finale di Gesù), che contraddistingue la nostra religione rivelata da tutte le altre e fa giustizia della serpeggiante teoria del “Giuda si è salvato”. Qualcuno potrebbe contestare la lacrima di Dio Padre (soprattutto quanti diffondono l’idea di un Dio crudele!). Se però leggiamo con attenzione le parole del profeta Ezechiele (31,15 seg.) riferite alla caduta di Lucifero “Così dice il Signore Dio: - Quando scese negli inferi io feci far lutto: coprii per lui l'abisso, arrestai i suoi fiumi e le grandi acque si fermarono ; per lui feci vestire il Libano a lutto e tutti gli alberi del campo si seccarono per lui. Al rumore della sua caduta feci tremare le nazioni, quando lo feci scendere negli inferi con quelli che scendono nella fossa. Si consolarono nella regione sotterranea tutti gli alberi dell'Eden, la parte più scelta e più bella del Libano, tutti quelli abbeverati dalle acque. Anch'essi con lui erano scesi negli inferi fra i trafitti di spada, quelli che in mezzo alle nazioni erano il suo braccio e dimoravano alla sua ombra. A chi credi di essere simile per gloria e per grandezza fra gli alberi dell'Eden? Anche tu sarai precipitato insieme con gli alberi dell'Eden nella regione sotterranea; giacerai fra i non circoncisi insieme con i trafitti di spada. Tale sarà il faraone e tutta la sua moltitudine -. Parola del Signore Dio” le quali  dimostrano la tristezza di Dio per la rovina dell’Angelo portatore di luce, a maggior ragione possiamo capire il dolore di Dio Padre per la Passione del Figlio. L’oscurità che avvolge la scena del deicidio simboleggia da un lato l’apparente sconfitta di Gesù (distrutta dalla Resurrezione) e dall’altro lato il lutto di Dio Padre.

E’ un film che tutti i cristiani, tutti i sacerdoti, tutti i catechisti dovrebbero vedere per meglio comprendere le differenze tra Gesù (vero uomo e vero Dio, fondatore e capo del cristianesimo) ed i vari personaggi religiosi che vanno tanto di  moda oggi (anche in certi ambienti cattolici che, invece di Gesù, preferiscono parlare del massone Che Guevara!). Ma è un film che dovrebbero vedere tutti in generale in quanto costituisce sicuramente uno strumento eletto di  evangelizzazione. Grazie al film di Gibson possiamo meglio capire il valore della Santa Messa alla luce della profezia di Isaia “Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? E` cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà  salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte. Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Is. 53,1 seg.)

Riguardo poi a certi falsi moralisti antipassione riporto un illuminante articolo di Carlo Climati.


FALSI MORALISTI ANTI-PASSIONE
di Carlo Climati
www.carloclimati.com
Il film di Mel Gibson "La Passione di Cristo" sta suscitando molte polemiche. Ciò che colpisce, negli articoli e nei commenti pubblicati sui giornali, è la critica ricorrente che viene fatta alla violenza del film. Si tratta, secondo me, in molti casi, di una critica non sincera e spesso dettata dai pregiudizi.
Viene da chiedersi: ma dove erano i moralisti anti-Passione quando certi cantanti di rock satanico venivano a suonare in Italia con i loro show aggressivi e blasfemi? Dove erano, questi signori, quando centinaia di film sanguinari e violenti riempivano gli schermi dei nostri cinema? E perché questi improvvisati difensori della purezza e del buon gusto non dicono nulla quando la pornografia (quella vera!) invade le edicole, perfino sotto gli occhi dei bambini?
Mi permetto di manifestare un sospetto. "La Passione" di Mel Gibson suscita tante polemiche, semplicemente, perché è un film che parla di Gesù. E questo dà fastidio.
L'ondata di moralismo anti-Passione è, in realtà, solo ipocrisia. Se, davvero, vogliamo preoccuparci della violenza, facciamolo per quella violenza stupida, commerciale e gratuita che viene costantemente proposta ai giovani attraverso i mezzi di comunicazione più disparati: da certi video musicali a certi videogiochi, da alcuni fumetti a certi cartoni animati.

Tutto questo è il segnale di un pericoloso rovesciamento culturale. E' una metafora dei nostri tempi. Viviamo, sempre di più, in un mondo "al contrario", dove la morte e la violenza, invece di impaurire, diventano elementi d'attrazione.
Pensiamo ai tanti film dell'orrore che hanno per protagonisti mostri, demoni e maniaci assassini. Propongono una serie di omicidi senza fine, nelle forme più orribili e brutali.
L'aspetto più inquietante di queste pellicole è che il male non viene mai sconfitto definitivamente. Alla fine di ogni storia, riaffiora sempre. Il maniaco assassino viene puntualmente ucciso in ogni film. Ma poi, alla fine, risorge ed è pronto ad uccidere di nuovo. Tornerà nel film successivo e continuerà a colpire, in una spirale di violenza senza fine.

Il messaggio lanciato ai giovani  da certi film dell'orrore è profondamente pessimista. Spinge a credere che il male non si possa sconfiggere una volta per tutte.
E' un concetto radicalmente anticristiano. L'idea della continua "resurrezione" dell'assassino (e quindi, del male) sembra voler prendere il posto dell'unica e vera resurrezione, che è quella annunciata da Gesù. Sembra voler rappresentare la vittoria del pessimismo sull'ottimismo del Vangelo.
Ho citato questo esempio, tra i tanti che si potrebbero fare, per mettere in luce il falso moralismo dei critici anti-Passione, perennemente urlanti contro Mel Gibson e colpevolmente silenziosi di fronte ai vari film sanguinari, dischi di rock satanico e programmi televisivi-spazzatura.
Un po' di coerenza in più, a volte, sarebbe utile.

Carlo Climati







[1] JIM CAVIEZEL, PROTAGONISTA DEL FILM DI MEL GIBSON “LA PASSIONE DI CRISTO’ IN VISITA A MEDJUGORJE
Jim Caviezel, protagonista dell´ultimo film di Mel Gibson “La passione di Cristo’ ha promosso una proiezione privata della versione non definitiva di questo film il 6 dicembre a Medjugorje.
Durante quello stesso fine settimana, il film è stato visto in Vaticano anche dai membri della Segreteria di Stato, dai componenti del consiglio papale, dai mezzi di comunicazione e dai membri della congregazione per la dottrina della fede. Tutti hanno espresso il loro unanime appoggio al film.
Nell´intervista con fra Mario Knezovic per a stazione radio “Mir’ Medjugorje, Jim e sua moglie Kerri Caviezel hanno parlato della loro esperienza a Medjugorje e di quelle durante la realizzazione del film.
Qui di seguito una parte dell´intervista:

Jim Caviezel: “Ho sentito parlare per la prima volta di Medjugorje quando facevo la quinta o la prima media. Prima si diceva che era come le apparizioni di Fatima, Guadalupe, Lourdes, ma subito dopo si disse che il vescovo aveva dichiarato che non fossero vere. Come cattolico devoto, ho accettato quello che lui diceva. Molti anni dopo ho conosciuto mia moglie, ci siamo sposati e dopo alcuni anni lei si recò a Medjugorje. Mentre lei era lì, io ero in Irlanda a girare il film «Il conte di Monte Cristo». Mi telefonò in Irlanda; sentii la sua voce diversa, ma subito pensai: Chi sono io per interferire nella tua esperienza spirituale? Mi disse che Ivan Dragicevic sarebbe venuto in Irlanda…. Sono andato con lei varie volte e una volta, durante un´apparizione, ho sentito una presenza fisica. Ivan mi ha detto due cose che mi hanno colpito molto: «Jim, l´uomo trova il tempo per quello che ama», e «l´uomo non trova il tempo per Dio perché non lo ama». Poi mi ha parlato di come pregare col cuore. Per me è stato come l´inizio di una missione: pregare sempre col cuore.
Kerri Caviezel: «Io facevo la seconda media quando il nostro sacerdote ci fece vedere un film nel quale comparivano i ragazzi durante le loro apparizioni. Ci fu detto che era tutto vero. Eravamo in una comunità cattolica mista nella quale c´erano soprattutto croati ed italiani. Mia nonna è al cento per cento croata. Non mi sembrava difficile credere. Dovevo avere quindici anni quando venni qui. Appena arrivata, mi accorsi subito che era tutto vero, per quello che provavo nel cuore. Non ho visto segni, né nulla di simile; sebbene sia stata sempre cattolica, nella confessione non ho mai provato nulla di simile a quello che ho avvertito qui. E´ stata un´incredibile guarigione!’

A proposito dell´esperienza del ruolo di Gesù Cristo nel film hanno detto:
Jim Caviezel: «Sono arrivato a questa parte attraverso Medjugorje, attraverso la Madonna. Durante la preparazione ho utilizzato tutto quello che Medjugorje mi ha insegnato. Mel Gibson ed io siamo andati a Messa insieme tutti i giorni. I giorni nei quali non potevo andare a Messa, facevo la comunione. All´epoca sentii dire che il Papa si confessava tutti i giorni e pensai che anch´io dovevo confessarmi più spesso. Non volevo che Lucifero potesse esercitare un controllo su quello che facevo. Pecchiamo con le opere, ma anche con le omissioni. Il mio peccato di omissione continuo è quello di non amare a sufficienza. Così la confessione era la preparazione all´eucarestia. Ivan Dragicevic e sua moglie Laureen mi hanno dato un pezzettino di Croce. La porto sempre con me. Proprio per questo sui miei vestiti è stata realizzata una speciale tasca. Porto con me anche le reliquie di Padre Pio, S. Antonio di Padova, S. Maria Goretti e S. Denis, santo protettore degli attori. Ho anche digiunato. Leggo sempre i messaggi. Ogni giorno mi vedevano col rosario in mano.»
Kerri Caviezel: «Quando ho visto per la prima volta la croce su di lui, quando era truccato, non sembrava mio marito, ma Cristo. Hanno adattato il trucco all´immagine della Sacra Sindone di Torino, per ottenere proprio quel volto. Era così realistico che sembrava davvero di vedere il Cristo: alcuni erano pieni di rispetto, altri indifferenti ed altri ancora lo prendevano in giro. E´ accaduto ad entrambi: abbiamo capito nel nostro piccolo come poteva essere. Tutto questo ha influenzato la nostra vita; penso che Jim abbia compreso il peso del suo ruolo. Non farà mai nulla di più importante di questo nella sua vita.» 


AMDG et DVM

domenica 3 novembre 2019

Il suicidio dell'alterare la Fede nella Liturgia...

Il suicidio dell'alterare la Fede nella Liturgia...



 di Padre Paul Kramer
Il titolo “Il suicidio dell’alterare la fede nella Liturgia” non è mio. Viene da un discorso di Papa Pio XII, che vide la possibilità di un’imminente crisi nella fede e parlò di una Chiesa dubitante come Pietro una volta dubitò, riferendosi al rinnegamento di S. Pietro di Nostro Signore nella notte della sua passione.
Un metodo degli eretici per attaccare la Chiesa è di infiltrare la gerarchia Cattolica e quindi cambiare la Liturgia per tacitare la sua esplicita professione di fede, facendo apparire la Liturgia sostenere dottrine eretiche. Papa Pio XII avvisò di questo pericolo, “Il suicidio dell’alterare la fede nella Liturgia”.

Molti preti e fedeli non vedono nessun problema col nuovo Rito della Messa. Considerano sé stessi fedeli alla tradizione e sono apertamente antimodernisti.
Ma le astuzie del demonio sono così grandi che essi sono così ingannati da aderire alla posizione modernista senza rendersene conto. E’ come il trattamento fatto alle rane: se le mettete nell’acqua calda saltano fuori immediatamente, ma se le mettete nell’acqua fredda e la riscaldate lentamente, non si rendono conto dell’innalzamento della temperatura fino a quando è troppo tardi. Sono state cotte.

Ho visto questo in molti vescovi cattolici. Venticinque, trent’anni fa erano lealmente arci-conservatori, ritenendo le tradizioni apostoliche della Chiesa; ma questi uomini non si accorsero che quasi nessun di loro la pensava più in quel modo. Vivevano in un’illusione.
Non ho intenzione di fare dei nomi adesso, alcuni di questi vescovi sono già stati giudicati da Gesù Cristo. Non c’è bisogno che io dia ora un giudizio su di loro. L’errore, troppo spesso, è di pensare alla tradizione apostolica in termini di dogmi e considerare la fede e la morale e ogni altra cosa come una semplice questione di disciplina che può essere cambiata, secondo la volontà del legislatore, sia egli vescovo o Papa. Quando S. Paolo parla di tradizione egli non parla semplicemente di dogma. Nella 2.a ai Tessalonicesi S. Paiolo dice: “Tieni salda la tradizione che hi ricevuto da noi, sia a parole che per lettera”. Ci sono entrambe le tradizioni orali e scritte. Ma egli non si riferisce solo all’insegnamento. Egli stesso lo dice chiaramente con una delle più famose espressini del Nuovo Testamento. S. Paolo dice, “Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”. Quindi spiega ciò che ha ricevuto. Ciò che descrive è la Santa Messa. Che il Signore, prima di soffrire, prese il pane e dicendo, “Questo è il mio corpo dato per voi. Questo è il calice del mio sangue”, ecc. Allora quando S. Paolo dice, “Tieni salda la tradizione” e “Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”, si riferisce esplicitamente alla Santa Messa. 

C’è così poca comprensione nella Chiesa sulla dottrina a riguardo della Liturgia che è stata quasi completamente oscurata. Nella Summa di S. Tommaso non c’è quasi nulla a riguardo della Liturgia. La ragione di ciò è del tutto ovvia per chi conosce la storia dello sviluppo della dottrina. Se un punto diventa controverso, è allora che che i teologi producono una grande quantità di scritti e di parole sull’argomento. Ma se una dottrina non è messa in q2uestione, allora non viene detto molto a riguardo. Le controversie Cristologiche dei primi tempi e lo sviluppo della dottrina della tansubstanziazione – in quale modo c’è la Presenza Reale di Gesù Cristo sotto le specie del pane e del vino – provocò una grande quantità di scritti. La cosa che fu meno discussa fu la dottrina della liturgia, per il fatto che era così bene e universmente intesa. 
La liturgia fu un sacro patrimonio tramandato da generazione in generazione nella Chiesa. Il processo del tramandare è ciò che noi chiamiamo tradizione. La tradizione, essendo stata stabilita, diventa consuetudine. La liturgia si sviluppa gradualmente, come fanno gli esseri umani, in un modo naturale organico fino a che raggiunge la maturità. Essa raggiunge la completa durata del suo sviluppo ed è quando lo sviluppo finisce. Allora la forma della liturgia resta fissa e subisce, da allora in poi, piccolissime variazioni. 
Nella vita della tradizione, ci sono sempre sviluppi secondari e secondari cambiamenti e, dopo un periodo di tempo, la liturgia necessita di essere rifinita ancora. Ed è quando si ha la revisione della liturgia intrapresa dal Romano Pontefice. Dopo secoli di sviluppo, il Rito Romano era al massimo livello e non necessitava più di essere rifinito e modificato. Questo è ciò che fece Papa S. Pio V. 

Una delle idee più sbagliate della Chiesa post-conciliare è l’aver pensato che Paolo VI fece ciò fece S. Pio V. In effetti, stiamo per vedere che egli fece qualcosa di esattamente all’opposto. 
La prima domanda a cui dobbiamo rispondere, comunque, è cosa ha a che fare il cambio della liturgia col messaggio di Fatima. E la risposta, naturalmente, è che esso ha tutto a che fare col messaggio di Fatima. Il Vescovo Cosme do Amaral, ex Vescovo di Leiria-Fatima, al Politecnico di Vienna, nel 1984, parlò del terzo segreto come se trattasse dell’apostasia, della perdita della fede, in interi continenti. Cosa ha a che fare il cambio della liturgia con la perdita della fede? Vedremo che ha tutto a che fare con la perdita della fede. Padre Alonso parlò del terzo segreto come se si trattasse delle mancanze della più alta gerarchia della Chiesa e tendenti a rendere giustizia a coloro che nella Chiesa sono chiamati Tradizionalisti. Il ruolo della tradizione nella Liturgia
Uno degli argomenti principali che sostengono i Cattolici Tradizionali è quello di sottolineare l’importanza del Rito Romano della Messa in opposizione al Rito di Paolo VI. Appena accenni alle carenze nel Rito di Paolo VI, i così detti conservatori diventano molto agitati. Diranno “Ma il rito di Paolo VI fu promulgato dall’intera Chiesa e ha la protezione dell’infallibilità. Come osi dire che c’è qualche difetto nel nuovo Rito della Messa quando lo Spirito Santo dà protezione al Papa quando promulga i riti per l’intera Chiesa? 
Ciò che impedisce a questa gente di comprendere è che non hanno letto molto attentamente la documentazione della cosiddetta promulgazione del Messale di Paolo VI, che è chiamata fraudolentemente Messale Romano per il Fatto che il Rito della Messa ivi contenuto non è il Rito Romano della Messa. Non è la liturgia Romana. E’ ciò che il grande architetto del nuovo Rito della Messa, Mons. Annibale Bugnini, chiamò una nuova creazione. Il suo braccio destro, Joseph Gelineau, S.J., disse del nuovo rito, “Dobbiamo parlare francamente. Il Rito Romano non esiste più. E’ stato distrutto”. Lui lo dovrebbe sapere. Fu uno dei principali distruttori. 
Qui c’è qualcosa di veramente divertente da considerare: il Canone 846 del Nuovo Codice di Diritto Canonico, il Codice del 1983 promulgato da Giovanni Paolo II, dice che i ministri devono amministrare i Sacramenti secondo il loro proprio Rito. Questa legge riflette semplicemente la dottrina della fede Cattolica. E’ un infallibile insegnamento del magistero Cattolico a riguardo del regolamento della Sacra Liturgia. Questo è stato oscurato e dimenticato. Prima di tutto prendiamo in considerazione il significato de “il loro proprio Rito” del Codice del Diritto Canonico. Per i Cattolici Bizantini, che usano la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo, perché sono di Rito Bizantino, il loro proprio Rito è il rito è la Liturgia Bizantina. Questo è il motivo per cui il Concilio di Firenze decretò, sotto Papa Eugenio IV, che quelli che sono di Rito Orientale devono confezionare la Santa Eucaristia secondo l’uso della loro Chiesa, come quelli che sono di Rito Romano devono confezionarla in accordo all’uso della Chiesa Romana. 
Ora questo non fu una dichiarazione arbitraria. E’ radicato nella dottrina che la legge della consuetudine governa la liturgia. Ma cosa c’è di così sacro nella consuetudine? Perché la consuetudine governa la liturgia? Perché la consuetudine è stata fondata dalla tradizione, e la legge della tradizione è basata sulle Sacre Scritture. 

S. Paolo non fece nessuna innovazione nella liturgia che ricevette. “Ho trasmesso ciò che ho ricevuto”. Così la Sacra Scrittura stabilisce la regola della tradizione; la tradizione stabilisce i costumi; e quindi il Concilio di Firenze nel fare la sua solenne definizione applicò il principio che la consuetudine governa la liturgia quando definì che coloro che appartengono alla Chiesa Greca devono usare pane lievitato e quelli che appartengono alla Chiesa Romana usare pane non lievitato. Il Canone 27 del Nuovo Codice di Diritto Canonico spiega che la consuetudine è la miglio interprete della legge. Così quando guardiamo alla legge liturgica nello spirito della tradizione canonica, bisogna dirlo, comprendiamo autenticamente la legge come si volle fosse intesa, allora deve essere capita secondo quella tradizione che ha stabilito le consuetudini ecclesiastiche e liturgiche. Questo è il motivo per cui la consuetudine è così importante nel determinare il senso, il significato, della legge. 
Tra gli antichi Padri abbiamo S. Giovanni Crisostomo, che disse in pochissime parole: “E’ tradizione? Non chiedere altro”. 
Tra i Dottori medievali non troviamo molti pronunciamenti, ma ciò che troviamo è unanimemente insegnato come S. Pier Damiani ed altri che insistono che non devi cambiare i punti di riferimento. Ciò che è stato tramandato non deve essere alterato. A tal punto che se anche il Papa dovesse fare dei cambiamenti le consuetudini universali della Chiesa, non deve essere seguito. Un libro che parla in modo specifico della consuetudine, un trattato teologico scritto dal grande Papa Innocenzo III, dice che se il Papa fa dei cambiamenti nella consuetudine universale della Chiesa, non deve essere seguito. Ora abbiamo così tanti vescovi che insistono affinché I preti e I fedeli aderiscano a questo nuovo Rito di Paolo VI perché, pretendono, che esso fu decretato da un Papa e quindi, in umile obbedienza, dobbiamo accettarlo; che non saremmo Cattolici leali se insistiamo nell’adesione al vecchio Rito. 
   Ma noi abbiamo qui l’insegnamento dei Padri e Dottori della Chiesa che insistono ad aderire alla tradizione liturgica della Chiesa. Abbiamo qui uno dei più grandi Papi che dice che se un Papa osasse fare tali cambiamenti, non deve essere seguito. E si va oltre. Il Cardinal Torquemada fu nominato teologo ufficiale del Concilio di Firenze da Eugenio IV, e confermò il principio che la consuetudine governa la liturgia. Il Cardinal Torquemada spiega citando Innocenzo III – in quel libro che ho menzionato, che se il Papa dovesse attentare a cambiare le consuetudini della Chiesa, specialmente i Riti liturgici, se dovesse cercare di cambiare le cerimonie liturgiche della Chiesa, commetterebbe un atto scismatico. 
   Un secolo dopo, il grande Suarez, che fu detto essere tra i più pii ed eccellenti Dottori da Paolo V, spiegò che “se il Papa dovesse cercare di cambiare la liturgia, cadrebbe nello scisma”. Questo è l’insegnamento pontificale dai due più grandi teologi dei loro rispettivi secoli. Fu riconosciuto che ciò che insegnarono è veramente un’espressione della mente dei successori di Pietro nel loro Magistero. Ora tutto ciò ci conduce a quel giorno del 1969 il 19 di novembre. Paolo VI, nell’udienza del mercoledì, annuncia che si sta cambiando la liturgia nella Chiesa Latina. A breve la Messa si celebrerà in modo diverso da come è stata celebrata prima. Ed egli nota quanto ciò sia strano per il fatto che la Messa è considerata come la tradizionale ed intoccabile espressione del nostro culto religioso e della nostra fede. 
   Evidentemente Paolo VI non considerò approfonditamente questo punto. Perché?, avrebbe dovuto chiedere. Perché la Messa è considerata essere la tradizionale ed intoccabile espressione del nostro culto religioso? La risposta a questa domanda consiste nel fatto che è l’infallibile insegnamento della fede Cattolica che ci dice che siamo tenuti ad abbracciare e aderire ai Riti tradizionali della nostra rispettiva Chiesa. 
  Una volta parlai con un prete di questa questione e prima ancora che potessi parlare per entrare nell’argomento , disse “questo non può essere materia di fede perché la Messa Tridentina, il Rito Romano, non esisteva neppure alla morte dell’ultimo apostolo. E allora come può essere la Messa Tridentina una materia di legge divina?” Ed è allora che dissi, “risponderò alla tua domanda. La legge di Dio è espressa nell’infallibile professione di fede. La Professione di Fede Tridentina obbliga tutti i Cattolici ad aderire alla liturgia tradizionale, i Riti ricevuti ed approvati. Perché sono detti ricevuti ed approvati? Perché sono stati approvati così come sono stati consacrati dalla tradizione, l’autorevole trasmissione dei Riti. Essi sono veramente il patrimonio che abbiamo ricevuto attraversi i secoli dal veicolo della tradizione. Non è autentica liturgia se non è stata ricevuta attraverso il veicolo della tradizione. 
   E ciò perché la legge di Dio, come è definita dalla Chiesa e spiegata da S. Paolo, è che la liturgia deve essere trasmessa dal veicolo della tradizione. Paolo VI ... , non comprendendo che questa è materia di Fede Divina e Cattolica solennemente professata nella Professione di Fede Tridentina, annunciò che la liturgia stava per essere cambiata. Ci sarebbero stati grandi variazioni nella liturgia. E come può essere questo, per il fatto che la Messa, come lo stesso Montini ammise,è considerata essere intoccabile, espressione tradizionale del nostro culto religioso e della nostra fede? Quando parliamo di perdita della fede stiamo parlando di Nostra Signora di Fatima nel terzo segreto, possiamo vedere che questo punto è già stato oscurato. 
Sin dalla Riforma Protestante c’è stata una tale enfasi sulla chiarezza dottrinale nel confutare le false dottrine dei Protestanti che l‘insegnamento della Chiesa a riguardo della liturgia è stato trascurato. Ed essendo stato trascurato, fu dimenticato. Ed allora quando furono fatti i cambiamenti, furono messi in pratica da coloro che, in posizione di alta autorità, trascurarono l’insegnamento della Chiesa nel fare questi cambiamenti.Ed è per questo che il terzo segreto tratta della negligenza dei pastori della gerarchia superiore della Chiesa. 

La “Promulgazione” della Nuova Messa? 
Prima di affrontare il Scrosanctum Concilium del Vaticano II, devo sottolineare che se leggiamo scrupolosamente il decreto del Missale Romanum di Paolo VI, ci accorgeremo che Paolo VI non decretò mai, né mai promulgò, che il nuovo Rito della Messa rimpiazzasse il vecchio Rito. In realtà, Egli non promulgò assolutamente mai in modo appropriato la Messa. 
     In una delle mie conversazioni col recente Vescovo Salvador Lazo gli feci notare, “Sua Eccellenza, dovete essere molto astuto quando leggete questi documenti perché sono veramente ingannevoli Sembrano insinuare ed implicare una cos senza veramente affermarla. Sembrano decretare una legge, ma se leggete attentamente, non decretano nulla”. Il Vescovo Lazo mi rispose, “ma Roma il Vaticano, i capi della Curia Romana, i dicasteri, loro sono i nostri Padri Spirituali. I nostri rapporti con loro sono di filiale pietà verso i nostri Padri Spirituali. Perciò non ci aspettiamo di dover leggere i loro documenti così attentamente.” E si arrabbiò molto perché disse “approfittano della nostra filiale pietà e ci ingannano”. 
   Alla fine della sessione del Vaticano II, alcuni Vescovi chiesero al Segretario del Concilio Card. Pericle Felici il motivo del richiamo alle “note teologiche” del Concilio. Il Card. Felici rispose “bisogna distinguere in accordo agli schemi e ai capitoli quelli che sono già stati oggetto di definizioni dogmatiche nel passato; perché per le dichiarazioni che presentano un carattere di novità,dobbiamo fare delle riserve”. Nel cosiddetto, Messale Romano, del Vaticano II, che non contiene il Rito Romano ma il Rito di Palo VI, vedrete che alla fine del documento Paolo VI dice molto solennemente “quanto abbiamo decretato avrà forza di legge il seguente 30 novembre”. Ora chi legge, legge che, come fu fatto più di trent’anni fa, “quanto abbiamo decretato avrà forza di legge il prossimo novembre. Ciò significa che questo messale sta per diventare legge della Chiesa. Questo è il messale che dobbiamo usare da prossimo novembre”. Questa fu l’impressine che vollero creare. 

Ma essi non avrebbero preso la responsabilità di legiferare veramente questo. Rileggete l‘intero documento. Rileggetelo ancora. Cosa è decretato? Cosa veramente decreta questo documento? Cosa dichiarò così solennemente che avrebbe avuto forza di legge il prossimo novembre? Ci sono esattamente due decreti in quella costituzione apostolica, 'Missale Romanum', di Paolo VI. Egli decreta che tre nuove preghiere eucaristiche devono essere stampate in questo libro. Egli decreta poi quali debbano essere le parole della consacrazione e che devono apparire in ciascuna delle quattro preghiere eucaristiche. Sono le uniche cose che egli decreta nell’intero documento, il cosiddetto Messale Romano, leggetelo attentamente. Vedrete che non c’è nient’altro decretato nell’intero documento. Non viene promulgato nessun nuovo Rimodellamento della Messa in quel documento.

Osservate la Quo Primum Tempore di S. Pio V; quello è promulgare. “Quindi, in perpetuo, questo messale deve essere usato da tutti i preti in tutte le chiese di Rito Romano, in tutte le case religiose, ad eccezione di quei Riti che sono più vecchi di 200 anni, tutti gli altri messali devono essere quindi completamente deposti”. Questo è ciò che si chiama legislazione. 

Il Missale Romanum di Paolo VI presenta semplicemente un libro e decreta su alcune nuove preghiere che devono essere stampate nel libro; non cè niente in esso di natura disciplinare. Non si prescrive che il nuovo messale debba essere usato, e neanche si permette di usarlo, a nessuno. Non esiste una qualsiasi autorizzazione per l’uso di quel nuovo messale di Palo VI. Chi è sottoposto all’uso di questo messale? Non una sola parola. Chi può usare questo messale? Dove può usarlo? Non una parola. Ecco perché siamo alla presenza di un ordinamento veramente strano. Nel titolo del documento si legge ‘promulgazione’. Leggiamo il testo del documento e ci accorgiamo che non è stato promulgato nulla. Provate solo a immaginare se la solenne definizione dell’assunzione della Beata Vergine Maria al Cielo mancasse di un passaggio chiave dove Pio XII dice noi definiamo, noi stabiliamo, noi dichiariamo che è un dogma, un doga rivelato dalla fede Cattolica che la Beata Vergine Maria, alla fine della sua vita fu assunta, corpo e anima, in Cielo. Cosa sarebbe il valore dogmatico, la forza dogmatica del documento? Sarebbe assolutamente privo di valore. Non sarebbe una definizione se non avesse queste frasi. Non importa quale sia il titolo del documento, non importa di quante pagine di solenne linguaggio sia composto il documento, se quella sentenza dove viene fatta la reale definizione non appare in quel documento,allora il documento è invalido e vuoto.Per definizione, è niente. E’ privo di valore. Riguarda la stessa natura di una legge che una legge deve essere prescritta nelle sue parole. In altre parole, la legge deve comandare, deve imporre un obbligo verso quelli che sono soggetti alla legge. Deve essere chiaro chi sono quelli soggetti alla legge. Deve essere esattamente chiaro cosa viene comandato. Se queste cose no si trovano in un precetto o in una legge, allora semplicemente non è una legge, perché manca ciò che costituisce la vera essenza, la vera sostanza di una legge. Una legge che non comanda ai soggetti di fare o di non fare qualcosa è come una definizione che non definisce. “Lex dubia lex nulla”. “Lex dubia non obligat”, perché una legge deve chiaramente dare un precetto – imporre un’obbligazione legale a coloro su coloro che sono specificati essere i soggetti. 
Il Missale Romanum semplicemente fallisce questo fine. Non una legge che riguarda la disciplina della Chiesa. Esso non comanda né autorizza nessuno ad usare il messale di Paolo VI. Questo è il motivo per cui troviamo una seconda promulgazione. 

Il Missale Romanum si autodefinisce nel titolo una promulgazione. 
Girate la pagina dopo aver raggiunto la fine del documento e trovate una promulgazione della Sacra Congregazione del Culto Divino firmata dal Card. Gut, che promulga il nuovo messale appena dopo che fu promulgato, almeno così si pretendeva, da Paolo VI nel Missale Romanum. Molto strano davvero. Non è possibile per un Cardinale Prefetto di una Congregazione Romana, quand’anche autorizzato dal Papa, sovraprescrivere e abrogare il solenne decreto di un Romano Pontefice in una costituzione apostolica. Ciò è chiaro anche nel Codice di Diritto Canoico de 1983. E’ l’incarnazione di un antico principio legale che è stato nella tradizione canonica della Chiesa per secoli e secoli.: “inferior non potest tollere legem superioris”. Ma la promulgazione del Card. Gut non cercò solamente di sopprimere il messale di S.Pio V. Si spinse al punto tale da permettere solamente l’uso del nuovo messale, dichiarando che i vescovi sono coloro ai quali sarà data l’autorità di dire quando il nuovo messale può essere usato. Questo è successo nonostante fosse già uscita la promulgazione del nuovo messale. E’ solo un permesso. E deve essere attivato dai vescovi. 
E’ in errore, quindi, chiunque dica che il messale di Paolo VI fu promulgato dalla Chiesa universale di Rito Latino. E’ semplicemente falso. Fu così solo in apparenza.     Ma le frasi chiave che avrebbero costituito una legge, una vera promulgazione di una legge della disciplina universale della Chiesa, no la si trova da nessuna parte nella costituzione apostolica del Missale Romanum. 

Quindi, i preti indottrinati dall’Opus Dei portano un argomento privo di basi quando dicono “Bene, Padre, come può essere difettosa? Come ci può essere qualcosa di sbagliato nella nuova Messa visto che è stata promulgata dalla Chiesa Universale?” Questo è un errore di fatto. Non fu mai promulgata dall’intera Chiesa. Fu solo permessa in via eccezionale. La nuova Messa è difettosa? Certamente sì. 
Il Concilio vaticano II decreta come deve essere svolta la revisione della liturgia. Cito le testuali parole della Sacrosantum Concilium. “Deve essere rivista prudentemente alla luce della tradizione”. Il principio base della tradizione nello sviluppo della liturgia è che sia una crescita graduale organica, come il bambino che cresce fino a diventare adulto. Se a un essere umano noi gli tagliamo la testa e gli trapiantiamo la testa di qualcun altro, questa non sarà più uno sviluppo organico naturale. Ma furono fatte grosse amputazioni alle venerabili usanze liturgiche della Chiesa Romana. 
Il Concilio decreta che “devessere presa la dovuta cura per preservare la sostanza dei Riti liturgici”. – Sacrosanctum Conciluim, 23. 
Allora la riforma fu compiuta e avviata e la testa del Concilio (che fu il corpo costituito da Paolo VI per rivedere la liturgia), Monsignor Bugnini, dichiara che è in verità una nuova creazione; e il suo braccio destro, Padre Gelineau, dice che il Rito Romano è stato distrutto, che non esiste più. Mi piacerebbe sapere cos’è successo alla dovuta cura per preservare la sostanza dei Riti! Una Liturgia Ecumenica Un altro della banda dei vandali liturgici fu Padre Carlo Braga. Il Concilio decretò che la liturgia deve dev’essere aggiornata in accordo alle prime norme dei Santi Padri. Come dicono i riformatori liturgici che crearono il nuovo Rito, essi fecero le loro variazioni con ciò che padre Braga chiamò “una nuova dimensione ecumenica e” pesate bene queste parole “una nuova fondazione della teologia Eucaristica”. Non più la teologia del Concilio di Trento, la dottrina di s, Tommaso d’Aquino. Ma una nuova fondazione della teologa Eucaristica. 
E mentre li analizziamo uno ad uno, ci accorgiamo che cambiamenti fatti nella liturgia riflettono esattamente quelli intrapresi dalla Riforma Protestante nel 16° secolo. Non sembra che sia qualcosa di più che una semplice coincidenza il fatto che i cambiamenti fatti nella liturgia furono esattamente quelli fatti dai Riformatori Protestanti? E che se veniva trovata qualsiasi cosa che era offensiva per i Protestanti, qualsiasi cosa di più cara alla dottrina tradizionale dell’ Eucaristia Cattolica della Santa Messa, veniva ridotta di tono o completamente eliminata dalla liturgia, al punto che uno degli osservatori Protestanti al Vaticano II, che aiutava e dava consigli nel fare la nuova liturgia, disse che “I Protestanti Evangelici potrebbero in tutta tranquillità usare questo nuovo Rito della Messa”. Il “Nuovo fondamento” della teologia Eucaristica è chiaramente Protestante. Ma se parliamo di restaurazione della liturgia secondo la norma originale dei Santi Padri, il significato di ciò è espresso dalle parole do Leone XIII, dove spiega nella Orientalum Dignitas, che la Chiesa permette e provvede a qualche innovazione nella forme esteriori, specialmente quando queste sono conformi a quelle dell’antichità, vale a dire, specialmente quando questi cambiamenti sono nella natura della restaurazione. Questo è esattamente quanto fece S. Pio V. Egli restaurò la liturgia secondo le norme degli antichi Padri. Questa fu l’espresso volere del Concilio di Trento in accordo alle usanza degli antichi Padri. 
Il Sacrosanctum Concilium usò quella quasi identica espressione – in accordo alle prime norme dei Santi Padri. Ciò chiarisce benissimo che è illegale apportare radicali cambiamenti nella liturgia che riflettono una dottrina Protestantizzata della Messa e dei Sacramenti in generale, e della Santa Eucaristia in particolare. 
    
    La necessità di preservare la sostanza dei Riti liturgici è una materia di fede. Come ho sottolineato, è nella Professione di Fede Tridentina che i Cattolici sono obbligati a tener stretti, ad abbracciare, a ricevere ed ammettere quei Riti che sono quelli ricevuti ed approvati della Sacra Liturgia usati nella Chiesa Cattolica nella solenne amministrazione dei Sacramenti. A volte coloro che vorrebbero difendere la nuova liturgia si riferiranno a qualche teologo come Tanqueray, o altri, che dicono che i Riti non possono essere cambiati da nessuno eccetto il Papa. Devo porre la domanda: Possono i Papi aver sbagliato nella loro solenne professione per 600 anni? Il primissimo atto fatto da un Papa iniziando da S. Agatone fu quello di fare una solenne dichiarazione e giuramento all’atto dell’incoronazione a Romano Pontefice nel quale giurava solennemente e solennemente dichiarava di non avere il potere e che non avrebbe comunque cambiato la disciplina e i Riti della Chiesa. Invocando l’ira di Dio su sé stesso se avrebbe osato o permesso che fossero cambiati. Ma questo non significa che nella liturgia non può essere mai assolutamente cambiato nulla? Come ho sottolineato, secondo l’insegnamento di Leone XIII, dei cambiamenti che hanno principalmente la natura della restaurazione, possono essere fatti. Sviluppi minori sono permessi. 
E spetta all’autorità del Papa restaurare la liturgia, preservare la liturgia, come fu insegnato da Pio XI. E’ dovere dei Papi preservare la liturgia e proteggerla dalle contraffazioni. Per 600 anni, quel solenne Giuramento di Professione fu fatto da un Papa dopo l’altro, dai giorni di S. Agatone fino a Bonifacio VIII. E’ stato spiegato da vari Papi che il Papa ha il potere di modificare la disciplina della Chiesa, in accordo alle attuali necessità della Chiesa. Ma fare delle modifiche è un cosa. Fare drastiche alterazioni, abolire completamente tutto e rimpiazzarlo con qualcos’altro, è qualcosa che i Papi, per 600 anni, hanno solennemente professato di non avere il potere di fare
*Bonifacio VIII non fece quel giuramento d’incoronazione a causa della situazione politica del tempo. C’era tensione tra il Papa e Filippo il Bello, di Francia, che alla fine attaccò l’esercito del Papa, assediò Bonifacio VIII, e infine lo sottopose a violenza fisica. Bonifacio VIII non voleva dare nessuna apparenza di aver bisogno del consenso e dell’approvazione di nessun governatore secolare, così non firmò il giuramento di incoronazione e non lo inviò ai monarchi regnanti dei suoi tempi. Lo giudicava imprudente. Non fu perché non era d’accordo col giuramento, che esso non fu più usato, ma perché la situazione politica di quel periodo storico necessitava di un cambio di politica. 
Ciò nonostante, questa è una dottrina della Chiesa, e il giuramento di incoronazione è un documento della tradizione della Chiesa che i Papi non hanno assolutamente il potere di abolire un Rito ricevuto ed approvato e sostituirlo con un altro. 
E’ definito dalla Chiesa, quindi è legge di Dio. 
Bisogna aderire ai tradizionali Riti ricevuti. 
Questa è professione di fede. Questo è il motivo per cui il Concilio di Trento, Sessione 7, Canone 13, dichiara la proposizione, “Se qualcuno dichiara che i Riti ricevuti e approvati della Chiesa Cattolica abitualmente usati nella solenne amministrazione dei Sacramenti possono essere cambiati con altri nuovi Riti da un qualsiasi pastore della Chiesa, sia anatema”. E’ chiarissimo che questo anatema dichiara che è un’eresia dire che qualche pastore della Chiesa Cattolica, qualsiasi esso sia, ha il potere di revisionare la sacra liturgia, I Riti tradizionali, cambiando gli usuali Riti in nuovi Riti. 

Quando al Sinodo di Pistoia del 1786, si propose la semplificazione della liturgia, l’uso completo del vernacolare, e la recita del Canone della Messa ad alta voce, Pio VI condannò queste proposizioni. 
Queste riforme proposte al Sinodo di Pistoia sono esattamente le stesse cose che furono proposte al Concilio Vaticano II. A questo punto quelli che, sviati per la lealtà al Concilio, iniziano a sospettare i Cattolici Tradizionali di non essere completamente ortodossi diranno “Ma come osi a discutere il Concilio Vaticano II? E’ il Papa assieme a tutti i vescovi che ha emesso questi decreti. Come puoi dissentire da questo? Tu non sei leale all’autorità della Chiesa”. /La risposta è moto semplice. Ho usato l’espressione del Card. Ratzinger che di coloro dice che convertono il Concilio Vaticano II in un “super dogma”/. 

E’ un dato di fatto, che la politica ufficiale del Concilio Vaticano II fu del tutto chiaramente dichiarata dall’arcivescovo Pericle Felici, che a quel tempo era il Segretario Generale del Concilio. Nelle sue funzioni di Segretario Generale, quando i Padri conciliari gli chiesero a riguardo del peso teologico – per usare termini più precisi la nota teologica – del Concilio. 
Egli disse qualcosa che non deve mai essere dimenticato. “Dobbiamo distinguere negli schemi e nei capitoli quelli che sono già stati oggetto di definizioni dogmatiche nel passato; di conseguenza per quelle dichiarazioni che hanno un nuovo carattere, dobbiamo fare delle riserve. Molto chiara, molto precisa, la politica del Concilio Vaticano II riguardo sé stesso fu che:  quelle proposizioni e dottrine che hanno un carattere di novità non sono imposte, sotto nessuna obbligazione, ai fedeli. E’ il Concilio stesso che lascia ai fedeli il diritto il diritto di avere riserve, e ciò vale a dire che non devono acconsentire ad ogni cosa che il Concilio ha detto, ma solo a quelle che sono state precedentemente definite. Ed è a quelle che noi aderiamo. Allora abbiamo il diritto di mettere in discussione alcune delle riforme della liturgia anche se sono richieste dal Concilio Vaticano II. 
Ciò che è più ovvio a coloro che hanno ancora una comprensione Cattolica della liturgia della Chiesa è che la liturgia non può essere ambigua. Non può suggerire eresie. 
Se guardiamo l’articolo 7 delle Istruzioni Generali del Nuovo Messale, esso definisce cos’è la Santa Messa secondo il creatore del Nuovo Rito. Ora i liberali sottolineano che “Quella definizione fu tolta. Essa fu rimossa”. Ma è come chiudere la porta della stalla quando i buoi sono già scappati, perché essi riformarono la liturgia secondo quella definizione protestante della Messa. E se osservate bene le varie parti del nuovo Rito della Messa, vi accorgerete che suggeriscono l’eresia dei Protestanti. Non ha ora l’intenzione di analizzare punto per punto queste parti, in quanto esiste un’esauriente letteratura per coloro che sono interessati. 

Ma ciò che ha bisogno di essere messo in risalto è che su due punti la nuova liturgia fallisce. Primo, non è l’usuale Rito ricevuto come ci richiede la Chiesa Cattolica. Il Canone 846 prescrive l’aderenza a quei Riti che sono i propri Riti, vale a dire i nostri Riti abituali. Come Cattolici Romani il nostro proprio Rito è il Rito Romano, no qualche nuovo miscuglio che alcuni burocrati hanno creato a Roma e che hanno cercato di imporcelo. In quanto Cattolici Romani, il Rito Romano appartiene a noi, proprio come il Rito Bizantino appartiene ai Cattolici Bizantini. Questi non possono essere cambiati perché la professione di fede ci obbliga a restare attaccati ai nostri propri tradizionali, Riti liturgici. Secondo, le ambiguità e i richiami Protestanti del nuovo Rito sono ben documentate, (furono sottolineati dai Card. Ottaviani e Bacci durante il regno di Paolo VI). Mostrarono che il nuovo Rito non era ciò che Pio XII dichiarò che la liturgia deve essere: un’esplicita professione della Fede Cattolica. Sono le ambiguità, le distorsioni, le tendenze all’eresia che il nuovo Rito della Messa ha portato a ciò che Suor Lucia si riferiva in relazione al Terzo Segreto di Fatima: “il diabolico disorientamento della Chiesa post-conciliare”
Pio XI dichiarò che la Messa è il più importante organo dell’ordinario Magistero della Chiesa. 

Quando la liturgia verrà restaurata a una chiara e non equivoca professione di Fede Cattolica, allora i fedeli cesseranno di vivere nelle nebbie della confusione che sono state causate dal fallimento dei loro pastori e dalla negligenza della gerarchia superiore nel ritenere e confermare in modo chiaro e senza equivoci la Fede Cattolica. Ma mediante lo spargimento di confusione, ambiguità ed equivoci, hanno portato a ciò che è espresso nel segreto di Fatima – rivelato da niente meno che dall’ex Vescovo di Fatima – l’apostasia, la perdita della Fede in interi continenti.

AMDG et DVM

Sant'Alfonso Maria De Liguori: Curam illius habe.

Sant'Alfonso Maria De Liguori

Da: Opere, classe I, Opere ascetiche Vol. XVI: Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell'anno Vol. II Torino 1827 pag. 136-146.

Sermone XLI. per la Domenica duodecima dopo Pentecoste 

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ABUSO DELLA DIVINA MISERICORDIA


 Curam illius habe. Luc. 10 35.


Nel vangelo odierno si dice, che un certo uomo cadde in mano de' ladroni, i quali dopo averlo spogliato, gli diedero molte ferite, e lo lasciarono mezzo vivo. Passando colà un Samaritano, lo vide, e n'ebbe compassione; onde prima gli fasciò le ferite, e poi lo condusse in uno alloggiamento, e lo raccomandò caldamente all'ostiere che ne avesse la cura: Curam illius habe. Queste parole oggi io dico ad alcuno, se mai si trovasse fra voi, uditori miei, che tiene impiagata l'anima di peccati, e che in vece di attendere a curarla, sempre più l'aggrava di ferite co' nuovi peccati, abusandosi della misericordia di Dio, che per sua bontà ancora lo mantiene in vita, affinchè si emendi, e finalmente non perda l'anima. E così ti dico, fratello mio, curam illius habe, abbi cura, abbi compassione dell'anima tua che sta troppo inferma: Miserere animae tuae. Eccl. 30. 24. Sta inferma, e quel ch'è peggio, sta vicina a morire colla morte eterna dell'inferno; mentre chi troppo si abusa della divina misericordia, è prossimo a restare abbandonato dalla misericordia di Dio; e questo sarà l'unico punto del presente discorso. 

1. Dice s. Agostino, che in due modi il demonio inganna i cristiani, desperando et sperando [«col disperare e collo sperare» N.d.R.]. Dopo che l'uomo ha commessi molti peccati, il nemico lo tenta a diffidare della misericordia di Dio, mettendogli davanti il rigore della divina giustizia. Prima non però di peccare gli dà animo a non temere del castigo dovuto a chi pecca, mettendogli davanti la divina misericordia. Onde il Santo consiglia: Post peccatum spera misericordiam; ante peccatum pertimesce justitiam. [«Dopo il peccato spera nella misericordia (di Dio); prima del peccato temi la (Sua) giustizia.» N.d.R.]. Dopo il peccato, se tu disperi del perdono di Dio, tu l'offendi con un nuovo e maggior peccato; ricorri alla sua misericordia, ch'egli ti perdonerà. Ma prima del peccato, temi della giustizia, e non ti fidare della sua misericordia; mentre chi si abusa della misericordia di Dio per offenderlo, non merita che Dio gli usi misericordia. Scrive l'Abulense: chi offende la giustizia, può ricorrere alla misericordia; ma chi offende ed irrita contro di sè la misericordia, a chi ricorrerà?

2. Quando tu vuoi peccare, dimmi, chi ti promette la misericordia di Dio? non certamente te la promette Iddio, ma te la promette il demonio, affinchè tu perda Dio, e ti danni. Cave (dice s. Gio. Grisostomo ) ne unquam canem illum suscipias, qui misericordiam Dei polliceturHom. 50. ad pop. [«Bada di non accogliere quel cane (il demonio) che promette la misericordia di Dio.» N.d.R.] Se per lo passato hai offeso Dio, peccatore mio, spera e trema; se vuoi lasciare il peccato, e lo detesti, spera, giacch'egli promette il perdono a chi si pente del male fatto; ma se tu vuoi seguitare la mala vita, trema, che il Signore non ti aspetti più, e ti mandi all'inferno. A che fine aspetta Dio il peccatore? acciocchè siegua ad ingiuriarlo? no, l'aspetta affinchè lasci il peccato, e così possa egli usargli pietà, e perdonarlo. Propterea expectat Dominus, ut misereatur vestri. Isa. 30. 18. [«Per questo aspetta il Signore, affin di usarvi pietà.» N.d.R.] Ma quando il Signore vede, che quegli del tempo che gli dà per piangere le colpe commesse, se ne avvale per moltiplicarle; allora dà di mano al castigo, gli taglia i passi, facendolo morire come si trova in peccato, acciocchè morendo finisca di offenderlo. Ed allora chiama a giudicarlo lo stesso tempo che gli avea dato a far penitenza. Vocavit adversum me tempus. Thren. 1. 15. Ipsum tempus (scrive s. Gregorio) ad judicandum venit. [Thren. (Lam.) I, 15: «Ha chiamato contro di me il tempo.» — «Lo stesso tempo viene in giudizio» N.d.R.]

 3. Oh inganno comune di tanti poveri cristiani, che si dannano! perchè difficilmente si trova un peccatore così disperato che dica; io mi voglio dannare: peccano i cristiani, e si vogliono salvare, dicendo; Dio è di misericordia, farò questo peccato, e poi me lo confesserò. Ecco l'inganno; o per meglio dire ecco la rete, colla quale il demonio strascina tante anime all'inferno: Pecca, perchè poi te lo confessi. Ma sentite quel che dice Dio: Et ne dicas: miseratio Domini magna est, multitudinis peccatorum meorum miserebitur. Eccli. 5. 6. [«E non dire: La bontà del Signore è grande: Egli avrà misericordia de' molti peccati miei.» N.d.R.] Non dire, dice Dio, la pietà del Signore è grande; e perchè? udite le parole che soggiunge la Scrittura: Misericordia enim, et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius. Ibid. v. 7. [«Imperocchè la misericordia e l'ira da lui si partono speditamente: e l'ira di lui tien l'occhio fisso sul peccatore.» N.d.R.] La misericordia di Dio differisce dalle miserazioni di Dio: la misericordia di Dio è infinita, ma gli atti di questa misericordia, che sono le miserazioni, sono finiti. Iddio è misericordioso, ma ben anche è giusto. Scrive s. Basilio, che i peccatori vogliono considerare Dio per metà, stimandolo solamente misericordioso, che perdona, e non giusto che castiga; del che il Signore se ne lagnò un giorno con s. Brigida: Ego sum justus et misericors; peccatores tantum misericordem me existimant. [«Io sono giusto e misericordioso; ma i peccatori mi ritengono solamente misericordioso.» N.d.R.] E questo è quel che dice s. Basilio: Bonus est Dominus, sed etiam justus; nolimus Deum ex dimidia parte cogitare. [«Il Signore è buono ma anche giusto; non dobbiamo considerarlo solo per metà.» N.d.R.] Dio anch'è giusto, e l'esser giusto importa ch'egli castighi gl'ingrati. Diceva il p. Giovanni Avila, che il sopportare chi si serve della misericordia di Dio per più offenderlo, non sarebbe misericordia, ma mancamento di giustizia. La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non a chi lo disprezza, come cantò la divina Madre: Et misericordia ejus timentibus eum. Luc. 1. 50. [«E la misericordia di lui di generazione in generazione sopra coloro, che lo temono.» Cfr. Sal. CII, 17: «Misericordia autem Domini ab aeterno: et usque in aeternum super timentes eum. — Ma la misericordia del Signore ab eterno (dall'eternità), e fino in eterno sopra color, che lo temono.» N.d.R.]

4. Ma Dio (dice quel temerario) già mi ha usate tante misericordie, perchè non ho da sperare, che me le usi anche per l'avvenire? Rispondo: te le userà, se vuoi mutar vita; ma se vuoi seguire ad offenderlo, Dio dice, che vorrà vendicarsi di te con farti cadere all'inferno: Mea est ultio, et ego retribuam in tempore, ut labatur pes eorum. Deut. 32. 35. [«A me  si spetta il  farne vendetta, e io renderò a suo tempo quel, che lor è dovuto, e i piedi mancheran sotto ad essi.» N.d.R.] E Davide ci avvisa: Nisi conversi fueritis... arcum suum vibrabit. Psalm. 7. 13. [«Se non vi convertirete... Egli tenderà il suo arco.» N.d.R.] Il Signore tiene l'arco teso, ed aspetta che tu ti converta; ma se non vuoi convertirti, scoccherà finalmente contra di te la saetta, e tu resterai dannato. Oh Dio! alcuni non vogliono credere all'inferno, se proprio non vi arrivano! Ma quando i miseri vi saranno arrivati, non vi sarà per essi più misericordia. Potrai forse tu, cristiano mio, lamentarti della misericordia di Dio, dopo che Dio ti ha usate tante misericordie, con aspettarti tanto, tempo? Tu dovresti star sempre colla faccia a terra per ringraziarnelo, dicendo: Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti. Thren. 3. 22. [È per misericordia del Signore che noi non siamo consunti. N.d.R.] Se le offese che tu hai fatte a Dio, le avessi fatte ad un tuo fratello carnale, nè pure ti avrebbe sofferto; Iddio ti ha sofferto con tanta pazienza, ed ora ti torna a chiamare; se poi ti manda all'inferno, ti farà torto? Quid ultra (dice Dio) debui facere, vineae meae, et non feci? Isa. 5. 4. [«Che altro avrei dovuto fare per la mia vigna, che non ho fatto?» N.d.R.] Empio, dirà, che più dovea io fare per te, e non l'ho fatto?

5. O falsa speranza de' cristiani, che ne manda tanti all'inferno! Sperant, ut peccent! Vae a perversa spe! [«Sperano per poter peccare! Guai a chi spera in tal maniera perversa!» N.d.R.] dice s. Agostino, in Psalm. 144. Non già sperano, che Dio perdoni loro i peccati, di cui si pentono; ma sperano, che seguitando a peccare, Dio usi lor misericordia; sicchè fanno che la misericordia di Dio serva loro di motivo per seguire a peccare! Oh speranza maledetta, speranza ch'è l'abbominazione di Dio! Et spes illorum abominatio. Job. 11. 20. [«E la loro speranza sarà abominio» N.d.R.] Questa speranza farà che Dio li castighi più presto; siccome un padrone non differirebbe il castigo ad un servo, che l'offendesse, perchè il padrone è buono: così appunto, dice s. Agostino (tract. 33. in Joan.), fa e dice il peccatore, fidando sulla bontà di Dio: Bonus est Deus, faciam quod mihi placet. [«Dio è buono, perciò farò ciò che mi piace.» N.d.R.] Ma oh quanti ne ha ingannati questa vana speranza, dice lo stesso s. Agostino! Dinumerari non possunt, quantos haec inanis spei umbra deceperit. [«Sono innumerevoli coloro che sono stati ingannati da questo spettro di vana speranza» N.d.R.] Scrive s. Bernardo, che Lucifero per ciò fu così presto castigato da Dio, perchè ribellandosi sperò di non esserne castigato. Ammone, figlio del re Manasse, vedendo che il padre era stato da Dio perdonato de' suoi peccati, anch'egli colla speranza del perdono si rilasciò a peccare; ma per Ammone non vi fu misericordia. Dice s. Gio. Grisostomo, che anche per ciò Giuda si perdè, perchè fidato alla benignità di Gesù Cristo lo tradì: Fidit in lenitate Magistri. [«Confidò nella mansuetudine del Maestro» N.d.R]

6. Chi pecca colla speranza del perdono, dicendo, appresso mi pentirò, e Dio mi perdonerà; costui, dice, s. Agostino, irrisor est, non poenitens. [«non è penitente, ma si vuol far beffe di Dio.» N.d.R.] All'incontro dice l'Apostolo, che Iddio non si fa burlare: Deus non irridetur. Gal. 6. 7. Sarebbe un burlare Dio, offenderlo sempre che piace, e sempre volerne il perdono. Quae enim seminaverit homo, haec et metet, siegue a dire s. Paolo, ibid. v. 6. [«Quello che l'uomo avrà seminato, quello ancor mieterà». N.d.R.] Chi semina peccati, non può sperare altro che l'odio di Dio, e l'inferno. An divitias bonitatis ejus (esclama lo stesso Apostolo), et patientiae, et longanimitatis contemnis? Rom. 2. 4. Così (dice) tu disprezzi, o peccatore, le ricchezze della bontà, della pazienza e della tolleranza che Dio ha per te? dice, divitias, perchè le misericordie che Dio ci usa in non castigarci dopo il peccato, son ricchezze per noi più preziose di ogni tesoro. Ignoras (seguita a dire) quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit? Ibid. Non lo conosci, che il Signore non già ti aspetta, ed è con te così benigno, acciocchè tu seguiti a peccare; ma acciocchè tu pianga le offese che gli hai fatte? Altrimenti, dice s. Paolo, tu colla tua ostinazione ed impenitenza ti accumuli un tesoro d'ira nel giorno dell'ira, quale sarà il giorno del giudizio di Dio sovra di te: Secundum autem duritiam tuam, et impoenitens cor, thesaurizas tibi iram in die irae, et revelationis justi judicii Dei. Ibid. v. 5. [Rom. II, 4-5: «Disprezzi tu forse le ricchezze della bontà e pazienza e tolleranza di lui? Non sai tu, che la bontà di Dio ti guida a penitenza? Ma tu colla tua durezza e col cuore impenitente ti accumuli un tesoro d'ira pel giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio.» N.d.R.]

7. Alla durezza poi del peccatore seguirà l'abbandono di Dio, che dirà per quell'anima imperversata nel peccato, come disse per Babilonia: Curavimus Babylonem, et non est sanata; derelinquamus eam. Jer. 51. 9. [«Abbiam medicata Babilonia, e non è guarita; abbandoniamola.» N.d.R.] E come Iddio abbandona il peccatore? o gli manda una morte improvisa, e lo fa morire in peccato; o pure lo priva di quelle grazie che gli bisognerebbero per convertirsi da vero; lo lascia colla sola grazia sufficiente, con cui potrebbe colui salvarsi, ma non si salverà: la mente ottenebrata, il cuore indurito, il mal abito fatto, renderanno la sua conversione moralmente impossibile; e così resterà, non assolutamente, ma moralmente abbandonato. Auferam sepem ejus, et erit in direptionem. Isa. 5. 5. [«Toglierò via la sua siepe, ed ella sarà devastata.» N.d.R.] Quando il padrone della vigna scassa la siepe, e permette di entrarvi chi vuole, che segno è? è segno, che l'abbandona. Così fa Dio, quando abbandona un'anima; le toglie la siepe del santo timore, il rimorso della coscienza, e la lascia nelle sue tenebre; ed allora vi entreranno tutti i vizi. Posuisti tenebras, et facta est nox; in ipsa pertransibunt omnes bestiae sylvae. Psalm. 103. 20. [«Tu ordinasti le tenebre, e si fe' notte: nel tempo di essa vanno attorno le bestie selvagge.» N.d.R.] E 'l peccatore abbandonato in quel profondo di peccati disprezzerà tutto, ammonizioni, scomuniche, grazia di Dio, castighi, inferno, si burlerà della stessa sua dannazione. Impius, cum in profundum peccatorum venerit, contemnit. Prov. 18. 3. [«L'empio, quando è caduto nel profondo de' peccati, non ne fa caso.» N.d.R.]

8. Dimanda Geremia: Quare via impiorum prosperatur. Jer. 12. 1. E poi risponde: Congrega eos quasi gregem ad victimam. Ib. v. 3. [«Per qual motivo tutto va a seconda (= tutto va bene) per gli empj? ... Radunali qual gregge al macello.» N.d.R.] Povero quel peccatore, che in questa vita è prosperato! è segno che Dio vuol pagargli temporalmente qualche sua opera moralmente buona, ma poi lo tiene riserbato come vittima della sua giustizia per l'inferno, dove come zizzania maledetta sarà gittato ad ardere per tutta l'eternità, secondo quel che disse Gesù Cristo: In tempore messis dicam messoribus: colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum. Matth. 13. 30. [«Sterpate in primo luogo la zizzania, e legatela in fastelli per bruciarla.» N.d.R.]
9. Sicchè il non esser castigato un peccatore in questa vita, è il suo maggior castigo, minacciato da Dio agli ostinati per Isaia (26. 10.): Misereamur impio, et non discet justitiam. [«Abbiasi compassione dell'empio, ed ei non imparerà la giustizia.» Mons. Antonio Martini commenta: «Se si avrà compassione dell'empio, se non si darà di mano a' gastighi , egli non farà un passo verso la via della giustizia: egli vive da empio nella terra dei santi, nella tua Chiesa, dove tanti trova e mezzi ed ajuti per vivere da giusto: per questo egli sarà escluso dalla salute, e non vedrà la gloria di Dio, nè il celeste suo regno.» N.d.R.

Dice s. Bernardo su questo testo: Misericordiam hanc ego nolo; super omnem iram miseratio istaSerm. 42. in Cant. [«Non voglio una tale misericordia; una simile miserazione surclassa (= è peggio di) qualsiasi ira» N.d.R.] E qual maggior castigo, che l'esser abbandonato in mano del peccato, sì che permettendo Dio, ch'egli cada di peccato in peccato, dovrà finalmente andare a patir tanti inferni, quanti peccati ha commessi, giusta quel che disse Davide: Appone iniquitatem super iniquitatem... deleantur de libro viventium. Psalm. 68. 28. [«Aggiungi iniquità alle loro iniquità... sieno cancellati dal libro de' viventi.» N.d.R.] Sulle quali parole scrive il Bellarmino: Nulla poena major, quam cum peccatum est poena peccati. [«Non v'è castigo maggiore di quando il peccato è castigo del peccato» N.d.R.] Meglio sarebbe stato per un tal peccatore, che fosse morto nel primo peccato, perchè morendo poi col cumulo di tante iniquità aggiunte, avrà tanti inferni, quanti sono i peccati fatti. Così avvenne ad un certo commediante in Palermo, chiamato Cesare, il quale, passeggiando un giorno con un suo amico, gli disse che il p. Lanusa Missionario gli avea predetto, che Dio davagli 12. anni di vita, tra' quali se non avesse mutato vita, avrebbe fatta una mala morte. Ora io (soggiunse) ho camminato per tante parti del mondo, ho avute più infermità, una specialmente mi ridusse all'ultimo; ma in questo mese in cui compiscono  i 12. anni [= in cui hanno compimento, terminano i dodici anni N.d.R.], mi sento meglio che in tutti gli anni passati. Indi l'invitò di venir a sentire una nuova commedia da lui composta. Ma che avvenne? nel giorno della commedia (che fu a' 24. di novembre nel 1668.) mentre stava egli per uscire in iscena, gli venne un moto apopletico, e morì di subito, spirando tra le braccia di una donna commediante, e così infelicemente finì per lui la scena di questo mondo.

10. Veniamo a noi, e concludiamo il discorso. Fratello mio, ti prego di dare un'occhiata a tutti gli anni scorsi della tua vita; vedi quante offese gravi hai fatte a Dio, e vedi quante misericordie egli ti ha usate, quanti lumi ti ha dati, quante volte ti ha chiamato a mutar vita! Oggi con questa predica ti ha tornato a chiamare, e parmi che ti dica: Quid ultra debui facere vineae meae, et non feci? Isa. 6. 4. [«Che altro avrei dovuto fare per la mia vigna, che non ho fatto?» N.d.R.] Che più dovea fare per te, e non ho fatto? Che dici, che rispondi? vuoi darti a Dio, o vuoi seguitare ad offenderlo? Pensa, dice s. Agostino, che il castigo ti è stato differito, ma non già perdonato: O arbor infructuosa, dilata est securis, noli esse secura, amputaberis. [«O albero sterile, il colpo d'ascia è solo differito, non esser tanto sicuro di te: sarai abbattuto.» N.d.R.] Se più ti abusi della divina misericordia, amputaberis, presto ti verrà il castigo. Che aspetti? aspetti che proprio Dio ti mandi all'inferno? Il Signore sinora ha taciuto, ma egli non tace sempre; quando giungerà il tempo della vendetta, ti dirà: Haec fecisti, et tacui. Existimasti, inique, quod ero tui similis? Arguam te, et statuam contra faciem tuam. Psalm. 49. 21. [«Queste cose hai fatte, ed io ho taciuto. Hai creduto, o iniquo, ch'io sia per essere simile a te: ti riprenderò, e te porrò di contro alla tua faccia. Ecco la parafrasi di questo versetto di Mons. A. Martini: «La mia pazienza, che aspettava il tuo ravvedimento, tu l'hai interpretata empiamente, come se nulla a me dispiacessero le tue scelleraggini: ma il tempo è venuto, ch'io ti faccia vedere quanto tu t'ingannasti: ti rinfaccio la tua malvagità, e te stesso con tutti i tuoi vizj porrò sotto de' tuoi propri occhi, ti farò conoscere la orribile tua deformità, la quale ti empierà di confusione e di disperazione. Una tal vista de' propri peccati dinanzi al tribunale del Signore sarà talmente insopportabile pei peccatori, che allora diranno ai monti: cadete sopra di noi, e alle colline: seppelliteci, Luc. XXIII. 30.


 Vedi Isai. II. 19.» N.d.R.] Ti porrò innanzi agli occhi le grazie fatte, che tu hai disprezzate, ed elle stesse ti giudicheranno e condanneranno. Via su non resistere più a Dio, che ti chiama; e trema, che questa chiamata d'oggi sia l'ultima per te. Presto confessati, ed ora fa una ferma risoluzione di mutar vita; perchè non serve confessarsi, e poi tornare da capo. Ma io (tu dici) non ho forza di resistere alle tentazioni. Ma senti quel che dice l'Apostolo: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod non potestis. 1. Cor. 10. 13. Dio è fedele; non mai permetterà, che tu sii tentato sovra le tue forze. E se tu da per te non hai forze da resistere al demonio, cercale a Dio, e Dio te le darà. Petite, et accipietis. Jo. 16. 24. Laudans invocabo Dominum, et ab inimicis meis salvus ero, dicea Davide. Psalm. 17. 4. E s. Paolo diceva: Omnia possum in eo qui me confortat. Phil. 4. 13. [«Chiedete, ed otterrete» — «Lodero, e invocherò il Signore; e sarò liberato dai miei nemici.» — «Tutte le cose mi sono possibili in colui, che è mio conforto.» N.d.R.] Io non posso nulla, ma col divino aiuto posso tutto. E così ancora tu raccomandati a Dio nelle tentazioni, e Dio ti darà forza di resistere, e non caderai.
AMDG et DVM