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domenica 3 novembre 2019

Sant'Alfonso Maria De Liguori: Curam illius habe.

Sant'Alfonso Maria De Liguori

Da: Opere, classe I, Opere ascetiche Vol. XVI: Sermoni compendiati per tutte le domeniche dell'anno Vol. II Torino 1827 pag. 136-146.

Sermone XLI. per la Domenica duodecima dopo Pentecoste 

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ABUSO DELLA DIVINA MISERICORDIA


 Curam illius habe. Luc. 10 35.


Nel vangelo odierno si dice, che un certo uomo cadde in mano de' ladroni, i quali dopo averlo spogliato, gli diedero molte ferite, e lo lasciarono mezzo vivo. Passando colà un Samaritano, lo vide, e n'ebbe compassione; onde prima gli fasciò le ferite, e poi lo condusse in uno alloggiamento, e lo raccomandò caldamente all'ostiere che ne avesse la cura: Curam illius habe. Queste parole oggi io dico ad alcuno, se mai si trovasse fra voi, uditori miei, che tiene impiagata l'anima di peccati, e che in vece di attendere a curarla, sempre più l'aggrava di ferite co' nuovi peccati, abusandosi della misericordia di Dio, che per sua bontà ancora lo mantiene in vita, affinchè si emendi, e finalmente non perda l'anima. E così ti dico, fratello mio, curam illius habe, abbi cura, abbi compassione dell'anima tua che sta troppo inferma: Miserere animae tuae. Eccl. 30. 24. Sta inferma, e quel ch'è peggio, sta vicina a morire colla morte eterna dell'inferno; mentre chi troppo si abusa della divina misericordia, è prossimo a restare abbandonato dalla misericordia di Dio; e questo sarà l'unico punto del presente discorso. 

1. Dice s. Agostino, che in due modi il demonio inganna i cristiani, desperando et sperando [«col disperare e collo sperare» N.d.R.]. Dopo che l'uomo ha commessi molti peccati, il nemico lo tenta a diffidare della misericordia di Dio, mettendogli davanti il rigore della divina giustizia. Prima non però di peccare gli dà animo a non temere del castigo dovuto a chi pecca, mettendogli davanti la divina misericordia. Onde il Santo consiglia: Post peccatum spera misericordiam; ante peccatum pertimesce justitiam. [«Dopo il peccato spera nella misericordia (di Dio); prima del peccato temi la (Sua) giustizia.» N.d.R.]. Dopo il peccato, se tu disperi del perdono di Dio, tu l'offendi con un nuovo e maggior peccato; ricorri alla sua misericordia, ch'egli ti perdonerà. Ma prima del peccato, temi della giustizia, e non ti fidare della sua misericordia; mentre chi si abusa della misericordia di Dio per offenderlo, non merita che Dio gli usi misericordia. Scrive l'Abulense: chi offende la giustizia, può ricorrere alla misericordia; ma chi offende ed irrita contro di sè la misericordia, a chi ricorrerà?

2. Quando tu vuoi peccare, dimmi, chi ti promette la misericordia di Dio? non certamente te la promette Iddio, ma te la promette il demonio, affinchè tu perda Dio, e ti danni. Cave (dice s. Gio. Grisostomo ) ne unquam canem illum suscipias, qui misericordiam Dei polliceturHom. 50. ad pop. [«Bada di non accogliere quel cane (il demonio) che promette la misericordia di Dio.» N.d.R.] Se per lo passato hai offeso Dio, peccatore mio, spera e trema; se vuoi lasciare il peccato, e lo detesti, spera, giacch'egli promette il perdono a chi si pente del male fatto; ma se tu vuoi seguitare la mala vita, trema, che il Signore non ti aspetti più, e ti mandi all'inferno. A che fine aspetta Dio il peccatore? acciocchè siegua ad ingiuriarlo? no, l'aspetta affinchè lasci il peccato, e così possa egli usargli pietà, e perdonarlo. Propterea expectat Dominus, ut misereatur vestri. Isa. 30. 18. [«Per questo aspetta il Signore, affin di usarvi pietà.» N.d.R.] Ma quando il Signore vede, che quegli del tempo che gli dà per piangere le colpe commesse, se ne avvale per moltiplicarle; allora dà di mano al castigo, gli taglia i passi, facendolo morire come si trova in peccato, acciocchè morendo finisca di offenderlo. Ed allora chiama a giudicarlo lo stesso tempo che gli avea dato a far penitenza. Vocavit adversum me tempus. Thren. 1. 15. Ipsum tempus (scrive s. Gregorio) ad judicandum venit. [Thren. (Lam.) I, 15: «Ha chiamato contro di me il tempo.» — «Lo stesso tempo viene in giudizio» N.d.R.]

 3. Oh inganno comune di tanti poveri cristiani, che si dannano! perchè difficilmente si trova un peccatore così disperato che dica; io mi voglio dannare: peccano i cristiani, e si vogliono salvare, dicendo; Dio è di misericordia, farò questo peccato, e poi me lo confesserò. Ecco l'inganno; o per meglio dire ecco la rete, colla quale il demonio strascina tante anime all'inferno: Pecca, perchè poi te lo confessi. Ma sentite quel che dice Dio: Et ne dicas: miseratio Domini magna est, multitudinis peccatorum meorum miserebitur. Eccli. 5. 6. [«E non dire: La bontà del Signore è grande: Egli avrà misericordia de' molti peccati miei.» N.d.R.] Non dire, dice Dio, la pietà del Signore è grande; e perchè? udite le parole che soggiunge la Scrittura: Misericordia enim, et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius. Ibid. v. 7. [«Imperocchè la misericordia e l'ira da lui si partono speditamente: e l'ira di lui tien l'occhio fisso sul peccatore.» N.d.R.] La misericordia di Dio differisce dalle miserazioni di Dio: la misericordia di Dio è infinita, ma gli atti di questa misericordia, che sono le miserazioni, sono finiti. Iddio è misericordioso, ma ben anche è giusto. Scrive s. Basilio, che i peccatori vogliono considerare Dio per metà, stimandolo solamente misericordioso, che perdona, e non giusto che castiga; del che il Signore se ne lagnò un giorno con s. Brigida: Ego sum justus et misericors; peccatores tantum misericordem me existimant. [«Io sono giusto e misericordioso; ma i peccatori mi ritengono solamente misericordioso.» N.d.R.] E questo è quel che dice s. Basilio: Bonus est Dominus, sed etiam justus; nolimus Deum ex dimidia parte cogitare. [«Il Signore è buono ma anche giusto; non dobbiamo considerarlo solo per metà.» N.d.R.] Dio anch'è giusto, e l'esser giusto importa ch'egli castighi gl'ingrati. Diceva il p. Giovanni Avila, che il sopportare chi si serve della misericordia di Dio per più offenderlo, non sarebbe misericordia, ma mancamento di giustizia. La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non a chi lo disprezza, come cantò la divina Madre: Et misericordia ejus timentibus eum. Luc. 1. 50. [«E la misericordia di lui di generazione in generazione sopra coloro, che lo temono.» Cfr. Sal. CII, 17: «Misericordia autem Domini ab aeterno: et usque in aeternum super timentes eum. — Ma la misericordia del Signore ab eterno (dall'eternità), e fino in eterno sopra color, che lo temono.» N.d.R.]

4. Ma Dio (dice quel temerario) già mi ha usate tante misericordie, perchè non ho da sperare, che me le usi anche per l'avvenire? Rispondo: te le userà, se vuoi mutar vita; ma se vuoi seguire ad offenderlo, Dio dice, che vorrà vendicarsi di te con farti cadere all'inferno: Mea est ultio, et ego retribuam in tempore, ut labatur pes eorum. Deut. 32. 35. [«A me  si spetta il  farne vendetta, e io renderò a suo tempo quel, che lor è dovuto, e i piedi mancheran sotto ad essi.» N.d.R.] E Davide ci avvisa: Nisi conversi fueritis... arcum suum vibrabit. Psalm. 7. 13. [«Se non vi convertirete... Egli tenderà il suo arco.» N.d.R.] Il Signore tiene l'arco teso, ed aspetta che tu ti converta; ma se non vuoi convertirti, scoccherà finalmente contra di te la saetta, e tu resterai dannato. Oh Dio! alcuni non vogliono credere all'inferno, se proprio non vi arrivano! Ma quando i miseri vi saranno arrivati, non vi sarà per essi più misericordia. Potrai forse tu, cristiano mio, lamentarti della misericordia di Dio, dopo che Dio ti ha usate tante misericordie, con aspettarti tanto, tempo? Tu dovresti star sempre colla faccia a terra per ringraziarnelo, dicendo: Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti. Thren. 3. 22. [È per misericordia del Signore che noi non siamo consunti. N.d.R.] Se le offese che tu hai fatte a Dio, le avessi fatte ad un tuo fratello carnale, nè pure ti avrebbe sofferto; Iddio ti ha sofferto con tanta pazienza, ed ora ti torna a chiamare; se poi ti manda all'inferno, ti farà torto? Quid ultra (dice Dio) debui facere, vineae meae, et non feci? Isa. 5. 4. [«Che altro avrei dovuto fare per la mia vigna, che non ho fatto?» N.d.R.] Empio, dirà, che più dovea io fare per te, e non l'ho fatto?

5. O falsa speranza de' cristiani, che ne manda tanti all'inferno! Sperant, ut peccent! Vae a perversa spe! [«Sperano per poter peccare! Guai a chi spera in tal maniera perversa!» N.d.R.] dice s. Agostino, in Psalm. 144. Non già sperano, che Dio perdoni loro i peccati, di cui si pentono; ma sperano, che seguitando a peccare, Dio usi lor misericordia; sicchè fanno che la misericordia di Dio serva loro di motivo per seguire a peccare! Oh speranza maledetta, speranza ch'è l'abbominazione di Dio! Et spes illorum abominatio. Job. 11. 20. [«E la loro speranza sarà abominio» N.d.R.] Questa speranza farà che Dio li castighi più presto; siccome un padrone non differirebbe il castigo ad un servo, che l'offendesse, perchè il padrone è buono: così appunto, dice s. Agostino (tract. 33. in Joan.), fa e dice il peccatore, fidando sulla bontà di Dio: Bonus est Deus, faciam quod mihi placet. [«Dio è buono, perciò farò ciò che mi piace.» N.d.R.] Ma oh quanti ne ha ingannati questa vana speranza, dice lo stesso s. Agostino! Dinumerari non possunt, quantos haec inanis spei umbra deceperit. [«Sono innumerevoli coloro che sono stati ingannati da questo spettro di vana speranza» N.d.R.] Scrive s. Bernardo, che Lucifero per ciò fu così presto castigato da Dio, perchè ribellandosi sperò di non esserne castigato. Ammone, figlio del re Manasse, vedendo che il padre era stato da Dio perdonato de' suoi peccati, anch'egli colla speranza del perdono si rilasciò a peccare; ma per Ammone non vi fu misericordia. Dice s. Gio. Grisostomo, che anche per ciò Giuda si perdè, perchè fidato alla benignità di Gesù Cristo lo tradì: Fidit in lenitate Magistri. [«Confidò nella mansuetudine del Maestro» N.d.R]

6. Chi pecca colla speranza del perdono, dicendo, appresso mi pentirò, e Dio mi perdonerà; costui, dice, s. Agostino, irrisor est, non poenitens. [«non è penitente, ma si vuol far beffe di Dio.» N.d.R.] All'incontro dice l'Apostolo, che Iddio non si fa burlare: Deus non irridetur. Gal. 6. 7. Sarebbe un burlare Dio, offenderlo sempre che piace, e sempre volerne il perdono. Quae enim seminaverit homo, haec et metet, siegue a dire s. Paolo, ibid. v. 6. [«Quello che l'uomo avrà seminato, quello ancor mieterà». N.d.R.] Chi semina peccati, non può sperare altro che l'odio di Dio, e l'inferno. An divitias bonitatis ejus (esclama lo stesso Apostolo), et patientiae, et longanimitatis contemnis? Rom. 2. 4. Così (dice) tu disprezzi, o peccatore, le ricchezze della bontà, della pazienza e della tolleranza che Dio ha per te? dice, divitias, perchè le misericordie che Dio ci usa in non castigarci dopo il peccato, son ricchezze per noi più preziose di ogni tesoro. Ignoras (seguita a dire) quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit? Ibid. Non lo conosci, che il Signore non già ti aspetta, ed è con te così benigno, acciocchè tu seguiti a peccare; ma acciocchè tu pianga le offese che gli hai fatte? Altrimenti, dice s. Paolo, tu colla tua ostinazione ed impenitenza ti accumuli un tesoro d'ira nel giorno dell'ira, quale sarà il giorno del giudizio di Dio sovra di te: Secundum autem duritiam tuam, et impoenitens cor, thesaurizas tibi iram in die irae, et revelationis justi judicii Dei. Ibid. v. 5. [Rom. II, 4-5: «Disprezzi tu forse le ricchezze della bontà e pazienza e tolleranza di lui? Non sai tu, che la bontà di Dio ti guida a penitenza? Ma tu colla tua durezza e col cuore impenitente ti accumuli un tesoro d'ira pel giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio.» N.d.R.]

7. Alla durezza poi del peccatore seguirà l'abbandono di Dio, che dirà per quell'anima imperversata nel peccato, come disse per Babilonia: Curavimus Babylonem, et non est sanata; derelinquamus eam. Jer. 51. 9. [«Abbiam medicata Babilonia, e non è guarita; abbandoniamola.» N.d.R.] E come Iddio abbandona il peccatore? o gli manda una morte improvisa, e lo fa morire in peccato; o pure lo priva di quelle grazie che gli bisognerebbero per convertirsi da vero; lo lascia colla sola grazia sufficiente, con cui potrebbe colui salvarsi, ma non si salverà: la mente ottenebrata, il cuore indurito, il mal abito fatto, renderanno la sua conversione moralmente impossibile; e così resterà, non assolutamente, ma moralmente abbandonato. Auferam sepem ejus, et erit in direptionem. Isa. 5. 5. [«Toglierò via la sua siepe, ed ella sarà devastata.» N.d.R.] Quando il padrone della vigna scassa la siepe, e permette di entrarvi chi vuole, che segno è? è segno, che l'abbandona. Così fa Dio, quando abbandona un'anima; le toglie la siepe del santo timore, il rimorso della coscienza, e la lascia nelle sue tenebre; ed allora vi entreranno tutti i vizi. Posuisti tenebras, et facta est nox; in ipsa pertransibunt omnes bestiae sylvae. Psalm. 103. 20. [«Tu ordinasti le tenebre, e si fe' notte: nel tempo di essa vanno attorno le bestie selvagge.» N.d.R.] E 'l peccatore abbandonato in quel profondo di peccati disprezzerà tutto, ammonizioni, scomuniche, grazia di Dio, castighi, inferno, si burlerà della stessa sua dannazione. Impius, cum in profundum peccatorum venerit, contemnit. Prov. 18. 3. [«L'empio, quando è caduto nel profondo de' peccati, non ne fa caso.» N.d.R.]

8. Dimanda Geremia: Quare via impiorum prosperatur. Jer. 12. 1. E poi risponde: Congrega eos quasi gregem ad victimam. Ib. v. 3. [«Per qual motivo tutto va a seconda (= tutto va bene) per gli empj? ... Radunali qual gregge al macello.» N.d.R.] Povero quel peccatore, che in questa vita è prosperato! è segno che Dio vuol pagargli temporalmente qualche sua opera moralmente buona, ma poi lo tiene riserbato come vittima della sua giustizia per l'inferno, dove come zizzania maledetta sarà gittato ad ardere per tutta l'eternità, secondo quel che disse Gesù Cristo: In tempore messis dicam messoribus: colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum. Matth. 13. 30. [«Sterpate in primo luogo la zizzania, e legatela in fastelli per bruciarla.» N.d.R.]
9. Sicchè il non esser castigato un peccatore in questa vita, è il suo maggior castigo, minacciato da Dio agli ostinati per Isaia (26. 10.): Misereamur impio, et non discet justitiam. [«Abbiasi compassione dell'empio, ed ei non imparerà la giustizia.» Mons. Antonio Martini commenta: «Se si avrà compassione dell'empio, se non si darà di mano a' gastighi , egli non farà un passo verso la via della giustizia: egli vive da empio nella terra dei santi, nella tua Chiesa, dove tanti trova e mezzi ed ajuti per vivere da giusto: per questo egli sarà escluso dalla salute, e non vedrà la gloria di Dio, nè il celeste suo regno.» N.d.R.

Dice s. Bernardo su questo testo: Misericordiam hanc ego nolo; super omnem iram miseratio istaSerm. 42. in Cant. [«Non voglio una tale misericordia; una simile miserazione surclassa (= è peggio di) qualsiasi ira» N.d.R.] E qual maggior castigo, che l'esser abbandonato in mano del peccato, sì che permettendo Dio, ch'egli cada di peccato in peccato, dovrà finalmente andare a patir tanti inferni, quanti peccati ha commessi, giusta quel che disse Davide: Appone iniquitatem super iniquitatem... deleantur de libro viventium. Psalm. 68. 28. [«Aggiungi iniquità alle loro iniquità... sieno cancellati dal libro de' viventi.» N.d.R.] Sulle quali parole scrive il Bellarmino: Nulla poena major, quam cum peccatum est poena peccati. [«Non v'è castigo maggiore di quando il peccato è castigo del peccato» N.d.R.] Meglio sarebbe stato per un tal peccatore, che fosse morto nel primo peccato, perchè morendo poi col cumulo di tante iniquità aggiunte, avrà tanti inferni, quanti sono i peccati fatti. Così avvenne ad un certo commediante in Palermo, chiamato Cesare, il quale, passeggiando un giorno con un suo amico, gli disse che il p. Lanusa Missionario gli avea predetto, che Dio davagli 12. anni di vita, tra' quali se non avesse mutato vita, avrebbe fatta una mala morte. Ora io (soggiunse) ho camminato per tante parti del mondo, ho avute più infermità, una specialmente mi ridusse all'ultimo; ma in questo mese in cui compiscono  i 12. anni [= in cui hanno compimento, terminano i dodici anni N.d.R.], mi sento meglio che in tutti gli anni passati. Indi l'invitò di venir a sentire una nuova commedia da lui composta. Ma che avvenne? nel giorno della commedia (che fu a' 24. di novembre nel 1668.) mentre stava egli per uscire in iscena, gli venne un moto apopletico, e morì di subito, spirando tra le braccia di una donna commediante, e così infelicemente finì per lui la scena di questo mondo.

10. Veniamo a noi, e concludiamo il discorso. Fratello mio, ti prego di dare un'occhiata a tutti gli anni scorsi della tua vita; vedi quante offese gravi hai fatte a Dio, e vedi quante misericordie egli ti ha usate, quanti lumi ti ha dati, quante volte ti ha chiamato a mutar vita! Oggi con questa predica ti ha tornato a chiamare, e parmi che ti dica: Quid ultra debui facere vineae meae, et non feci? Isa. 6. 4. [«Che altro avrei dovuto fare per la mia vigna, che non ho fatto?» N.d.R.] Che più dovea fare per te, e non ho fatto? Che dici, che rispondi? vuoi darti a Dio, o vuoi seguitare ad offenderlo? Pensa, dice s. Agostino, che il castigo ti è stato differito, ma non già perdonato: O arbor infructuosa, dilata est securis, noli esse secura, amputaberis. [«O albero sterile, il colpo d'ascia è solo differito, non esser tanto sicuro di te: sarai abbattuto.» N.d.R.] Se più ti abusi della divina misericordia, amputaberis, presto ti verrà il castigo. Che aspetti? aspetti che proprio Dio ti mandi all'inferno? Il Signore sinora ha taciuto, ma egli non tace sempre; quando giungerà il tempo della vendetta, ti dirà: Haec fecisti, et tacui. Existimasti, inique, quod ero tui similis? Arguam te, et statuam contra faciem tuam. Psalm. 49. 21. [«Queste cose hai fatte, ed io ho taciuto. Hai creduto, o iniquo, ch'io sia per essere simile a te: ti riprenderò, e te porrò di contro alla tua faccia. Ecco la parafrasi di questo versetto di Mons. A. Martini: «La mia pazienza, che aspettava il tuo ravvedimento, tu l'hai interpretata empiamente, come se nulla a me dispiacessero le tue scelleraggini: ma il tempo è venuto, ch'io ti faccia vedere quanto tu t'ingannasti: ti rinfaccio la tua malvagità, e te stesso con tutti i tuoi vizj porrò sotto de' tuoi propri occhi, ti farò conoscere la orribile tua deformità, la quale ti empierà di confusione e di disperazione. Una tal vista de' propri peccati dinanzi al tribunale del Signore sarà talmente insopportabile pei peccatori, che allora diranno ai monti: cadete sopra di noi, e alle colline: seppelliteci, Luc. XXIII. 30.


 Vedi Isai. II. 19.» N.d.R.] Ti porrò innanzi agli occhi le grazie fatte, che tu hai disprezzate, ed elle stesse ti giudicheranno e condanneranno. Via su non resistere più a Dio, che ti chiama; e trema, che questa chiamata d'oggi sia l'ultima per te. Presto confessati, ed ora fa una ferma risoluzione di mutar vita; perchè non serve confessarsi, e poi tornare da capo. Ma io (tu dici) non ho forza di resistere alle tentazioni. Ma senti quel che dice l'Apostolo: Fidelis autem Deus est, qui non patietur vos tentari supra id quod non potestis. 1. Cor. 10. 13. Dio è fedele; non mai permetterà, che tu sii tentato sovra le tue forze. E se tu da per te non hai forze da resistere al demonio, cercale a Dio, e Dio te le darà. Petite, et accipietis. Jo. 16. 24. Laudans invocabo Dominum, et ab inimicis meis salvus ero, dicea Davide. Psalm. 17. 4. E s. Paolo diceva: Omnia possum in eo qui me confortat. Phil. 4. 13. [«Chiedete, ed otterrete» — «Lodero, e invocherò il Signore; e sarò liberato dai miei nemici.» — «Tutte le cose mi sono possibili in colui, che è mio conforto.» N.d.R.] Io non posso nulla, ma col divino aiuto posso tutto. E così ancora tu raccomandati a Dio nelle tentazioni, e Dio ti darà forza di resistere, e non caderai.
AMDG et DVM