sabato 19 maggio 2018

Imitazione di Maria


MARIA MEDIATRICE DELLA GRAZIA 

 1) Cari fratelli, siate fedeli servitori di Gesù Cristo e amanti devoti della sua Madre Santissima, la Vergine Maria, se volete essere eternamente felici con loro nel cielo. 

Sarete cari a Dio e alla Benedetta sua Madre, se sarete umili di cuore, casti di corpo; se sarete modesti nel parlare, prudenti, timorati, controllati; se non darete a nessuno occasione di scandalo o di giuste lamentele. 

2) Giova molto alla vostra salvezza, all'onore di Dio e alla lode della Beata Vergine, che siate devoti nella preghiera, impegnati nello studio e nel lavoro, mansueti nei rimproveri, sobri nel mangiare, castigati nel guardare e corretti in tutto il vostro comportamento. 

Pertanto, se desiderate lodare degnamente e venerare adeguatamente la Beata Vergine, comportatevi da figli di Dio: con semplicità, senza malizia, senza cattiveria, senza menzogne, senza ira, senza contrasti, senza mormorazioni, senza sospetti; sopportando per Gesù e Maria ogni contrarietà con carità fraterna, con umiltà e pazienza a imitazione della vita dei santi, per la vostra stessa pace e per l'edificazione degli altri. Ma soprattutto per godere la gloria della Santa Trinità. 

Infatti, tutte le cose amare diventano dolci e le pesanti leggere, quando l'amore per Gesù e il ricordo della sua Santa Madre penetrano l'intimo del cuore. Se qualcuno vuole sperimentarlo, basta che pensi frequentemente a loro, ne parli, ne legga, canti e preghi.

SAN PIETRO CELESTINO V

Risultati immagini per San Celestino V
San Celestino V - Pietro di Morrone Eremita e Papa
Isernia, 1215 - Rovva di Fumone, Frosinone, 19 maggio 1296

(Papa dal 29/08/1294 al 13/12/1294)


Pietro da Morrone, sacerdote, condusse vita eremitica. Diede vita all’Ordine dei “Fratelli dello Spirito Santo” (denominati poi “Celestini “), approvato da Urbano IV, e fondò vari eremi. Eletto papa quasi ottantenne, dopo due anni di conclave, prese il nome di Celestino V e, uomo santo e pio, si trovò di fronte ad interessi politici ed economici e a ingerenze anche di Carlo d’Angiò. Accortosi delle manovre legate alla sua persona, rinunziò alla carica, morendo poco dopo in isolamento coatto nel castello di Fumone. Giudicato severamente da Dante come “ colui che per viltade fece il gran rifiuto “, oggi si parla di lui come di un uomo di straordinaria fede e forza d’animo, esempio eroico di umiltà e di buon senso.



Patronato: Isernia
Etimologia: Celestino = venuto dal cielo, dal latino
Martirologio Romano: A Fumone vicino ad Alatri nel Lazio, anniversario della morte di san Pietro Celestino, che, dopo aver praticato vita eremitica in Abruzzo, celebre per fama di santità e di miracoli, ottuagenario fu eletto Romano Pontefice, assumendo il nome di Celestino V, ma nello stesso anno abdicò dal suo incarico preferendo ritirarsi in solitudine. 




Al secolo si chiamava Pietro Angeleri ed era nato verso il 1215 a Isernia (Campobasso) da modesti contadini, penultimo di dodici figli. Dalla madre, rimasta vedova, fu avviato agli studi ecclesiastici, ma siccome si sentiva attratto dalle austerità della vita monastica, a vent'anni Pietro si fece benedettino a Faifoli (Benevento), che lasciò dopo pochi anni per vivere da eremita in una grotta sul monte Palleno. Dopo tre anni fu ordinato sacerdote a Roma. Ritornò a condurre vita eremitica sul Monte Morrone, nei pressi di Sulmona, assetato di preghiera, di quotidiani digiuni e macerazioni.

Ben presto incominciarono ad accorrere a lui dei discepoli coi quali si stabilì sulla Maiella, attorno all'oratorio dello Spirito Santo, e costituì nel 1264, con l'approvazione di Urbano IV, gli Eremiti di San Damiano, detti poi Celestini, viventi secondo la regola benedettina interpretata con molta severità. 
Quando venne a sapere che al Concilio di Lione (1274) si volevano limitare i nuovi ordini, vi si recò in persona. Giunse che il concilio era già finito, però fu ricevuto dal Beato Gregorio X che confermò la sua congregazione (1275) costringendo così i vescovi a restituire i beni di cui si erano già appropriati. Beneficati dal Cardinale Latino Malabranca OP. e da Carlo II, re di Napoli, i religiosi di Pietro Morrone moltiplicarono i monasteri e incorporarono abbazie in decadenza come quelle di Santa Maria di Faifoli e San Giovanni in Piano di cui il fondatore fu successivamente abate.

A motivo della grande attrattiva che sentiva per la solitudine, Pietro di Morrone si ritirò ancora una volta a vita eremita sulla Maiella (1284), lasciando ad altri la direzione di 36 monasteri popolati da circa 600 monaci e oblati. Visse nella sua cella fino a tredici mesi di seguito senza uscirne. Ogni anno faceva quattro quaresime. Riservava alla preghiera tutti i mercoledì e venerdì. Negli altri giorni riceveva i numerosi laici che andavano a consultarlo. Non contento di prodigare ai visitatori buoni consigli, organizzò per essi una pia associazione, con l'impegno di recitare ogni giorno un certo numero di Pater, amarsi vicendevolmenteevitare il peccato e visitare i poveri e i malati, per soccorrere i quali non esitò a far vendere i calici e gli ornamenti preziosi delle chiese del suo Ordine.

Alla morte di Niccolò IV (1292) la Santa Sede rimase vacante per ventisette mesi perché gli undici elettori erano divisi tra i due partiti dei Colonna e degli Orsini, e il re Carlo II di Napoli (+1309), figlio e successore di Carlo D'Angiò, fratello di S. Luigi IX, re di Francia, brigava perché fosse scelto un cardinale di suo gradimento. L'elezione di Pietro da Morrone, la cui storia sembra una leggenda, è la più strana che si ricordi. 

Nella primavera del 1294 il re di Napoli si era recato a Perugia e aveva parlamentato con i cardinali radunati in conclave. Di lì era passato a Sulmona ove concesse dei privilegi ai seguaci del Morrone il quale, poco dopo, scrisse una lettera al cardinale Latino in cui minacciava terribili castighi da parte di Dio se, entro quattro mesi, il sacro Collegio non avesse eletto il papa. Tutti avevano sentito parlare dell'eremita come di un taumaturgo, ma nessuno lo conosceva di vista. Convinti che fosse la persona più adatta a governare la Chiesa, su proposta del cardinal Latino gli diedero il voto.

Una commissione di prelati e di notai fu mandata sulle montagne della Maiella per chiedere al Morrone se voleva accettare. I legati trovarono in una spelonca un vecchio di oltre ottant'anni, pallido, emaciato dai digiuni, vestito di ruvido panno e calzato di pelli d'asino. Gli comunicarono l'elezione al papato, ma egli l'accettò soltanto perché pressato dai confratelli. La notizia dello straordinario avvenimento giunse alla corte di Carlo II, che si precipitò a Sulmona nell'intento di rendere l'eletto docile strumento dei suoi interessi. Contrariamente al parere dei cardinali, che lo invitarono a Perugia per sottrarlo alle suggestioni dell'Angioino, egli decise di fermarsi un po' di tempo all'Aquila ove, sull'esempio di Cristo, volle entrare seduto su di un asino, scortato da Carlo II e da suo figlio, che sorreggevano le briglie.

Davanti la chiesa dì Santa Maria di Collemaggio che Pietro aveva fatto costruire (1287), il 29-8-1294 ricevette in testa la tiara già di Innocenzo III, e il nome di Celestino V. Ben presto però si dileguarono le speranze riposte in lui, ignaro di latino, digiuno di scienze teologiche e giuridiche, privo di esperienza politica e diplomatica. Il pontefice, sordo ai consigli dei cardinali, s'impigliò ogni giorno più nelle reti che ambiziosi principi e astuti legulei gli tesero. Cominciò a dispensare favori spirituali senza discernimento, specialmente alle chiese del suo Ordine; pensò di mutare in Celestini gli altri monaci; cercò di obbligare i benedettini di monte Cassino a indossare la tonaca grìgia dei suoi religiosi; permise ai Francescani Spirituali di separarsi dagli altri sotto il nome di "Poveri Eremiti" non considerando in essi che l'austerità della vita. "Nella sua pericolosa semplicità" (L. Muratori) concesse al re di Napoli il prelievo di due decime sui beni della Chiesa francese e inglese perché potesse finanziare le sue spedizioni militari; la nomina di suo figlio Luigi, di ventun anni, all'arcivescovado di Lione; la nomina di dodici cardinali, di cui sette francesi, due napoletani, e nessuno romano.

In ottobre Celestino V decise di abbandonare l'Aquila, ma invece di prendere la via di Roma, contro il parere dei cardinali, si lasciò trascinare a Napoli dal re suo amico e protettore. I curiali durante i cinque mesi del suo pontificato approfittarono della sua inesperienza per trafficare e vendere grazie e privilegi, mentre i furbi ridevano dicendo che il papa comandava "nella pienezza della sua semplicità". Non volendo perdere nulla delle sue abitudini claustrali, in avvento, in un angolo del Castello Nuovo, Celestino V si fece costruire in legno una colletta in cui passare la quarantena in preparazione al Natale. Jacopone da Todi frattanto gl'indirizzava le sue frecciate poetiche: "Che farai, Pier di Morrone? - sei venuto al paragone. - Vedremo l'operato - che in cella hai contemplato. - Se il mondo è da te ingannato, - seguirà maleditione". Colpito dal disordine che s'infiltrava nella Chiesa a motivo della sua incapacità amministrativa, Celestino V si rese conto di non essere all'altezza del suo compito, motivo per cui si sentiva gemere, in preda ai rimorsi: "Dio mio, mentre regno sulle anime, ecco che perdo la mia".

Consultò allora esperti canonisti, tra cui Benedetto Gaetani, e tutti gli risposero che il papa poteva abdicare per sufficienti motivi. Appena i napoletani ebbero sentore che un papa così buono e così facile a lasciarsi ingannare stava per abbandonarli, invasero Castel Nuovo. Celestino V riuscì a calmarli a stento con vaghe promesse e l'autorizzazione di fare preghiere e processioni per chiedere a Dio più luce. Dopo aver preparato con il Gaetani l'atto di rinuncia al potere pontificale e una costituzione che riconosceva al pontefice la facoltà di dimettersi, il giorno di S. Lucia convocò il concistoro, ordinò ai presenti di non interromperlo, poi con voce alta e ferma lesse la sua rinuncia libera e spontanea al potere delle somme chiavi "per causa di umiltà, di perfetta vita e preservazione di coscienza, per debolezza di salute e difetto di scienza, per ricuperare la pace e la consolazione dell'antico vivere'". Fra le lacrime degli astanti depose le insegne papali per rivestirsi del suo vecchio saio. Bene ha scritto E. Casti in occasione del VI centenario dell'incoronazione di Celestino V; "L'abdicazione di lui non fu ne una viltà, ne un atto di eroismo; fu il semplice compimento dello stretto dovere che incombe a chiunque ha assunto un ufficio sproporzionato alle proprie forze. Il dovere morale di restare al suo posto non poteva obbligare perché in contrasto con l'interesse più imperioso del bene comune".

Il 24 dicembre fu eletto papa il cardinal Gaetani col nome di Bonifacio VIII. Uno dei suoi primi atti fu di annullare tutti i favori accordati dal suo predecessore il quale bramava far ritorno al suo eremo, mentre il papa voleva che lo seguisse in Campania per impedire eventuali scismi o ribellioni.

Di mala voglia egli si mise in cammino con l'abate di Monte Cassino. Giunto a San Germano approfittò della sosta per farsi dare un cavallo e fuggire a Monte Morrone, dove per due mesi rimase nascosto alle ricerche dei messi papali. Tentò in seguito la fuga in Grecia, ma una tempesta lo sospinse sul litorale di Vieste. Tradotto nel castello di Fumone vi morì il 19-5-1296 cantando salmi. Clemente V lo canonizzò nel 1313. Le sue reliquie sono venerate a L'Aquila, nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio.

Elogiò la maglietta dove stava scritto “Il mio papa è Benedetto XVI”

VOLETE CAPIRE LA LEGA DI SALVINI? LEGGETE BENEDETTO XVI. UN SUO GRANDE LIBRO PIENO DI SAPIENZA (E ANCHE DI RIFLESSIONI POLITICHE)

May 12, 2018

Un paio di anni fa Matteo Salvini – a Pontida – elogiò la maglietta dove stava scritto “Il mio papa è Benedetto XVI”. Lo fece in implicita polemica con il migrazionismo di Bergoglio.
Salvini ricordò l’insegnamento di papa Ratzinger e Giovanni Paolo II secondo cui prima del diritto di emigrare, va riaffermato il diritto di non emigrare. E va difesa l’identità dei popoli.
Ma molto più vasta di questo particolare tema è la sovrapposizione fra le battaglie politiche della sua Lega e l’insegnamento di Benedetto XVI (e di Giovanni Paolo II).
Lo mostra clamorosamente l’ultimo libro appena uscito del papa emerito, “Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio” (Cantagalli).Va premesso che è un libro ricchissimo di riflessioni e spunti che immediatamente ci ricorda il fascino e la vastità del pensiero di Ratzinger.
Un pensiero che giganteggia se confrontato con la miseria e la superficialità conformista dello zoppicante eloquio bergogliano, il quale non va oltre i banali slogan “politically correct” graditi dai padroni del vapore.
In questa sede perciò non proverò nemmeno a riassumere le tante e meravigliose pagine di Benedetto XVI che spaziano da Kant a Solzenicyn, dal primato della coscienza a Sacharov, da Popper a Sartre, dalla meditazione sulla musica di Bach per la Passione di Cristo in relazione al “Venerdì Santo del XX secolo” alla concezione dello Stato dei primi cristiani, dal crocifisso di Grünewald (il celebre Altare di Isenheim) a Marx e Lenin.
Ognuno potrà deliziarsi di queste pagine ratzingeriane che sono luminose e vaste come una bella vallata della campagna toscana.
Qui invece vorrei considerare questo libro come se fosse un vero e proprio intervento sull’attualità politica, anzitutto quella italiana ed enucleare i temi e i pensieri che – pur rappresentando un potente suggerimento per tutti – costituiscono per Matteo Salvini e la Lega un contributo autorevole a certe loro battaglie.
Anzitutto la questione islamica. In questo volume non viene riproposto il mitico discorso di Ratisbona (è stato pubblicato altrove), ma è comunque preziosa l’apologia che – in dialogo con Marcello Pera – Benedetto XVI fa dei diritti umani come “forza riconosciuta dalla ragione universale in tutto il mondo contro le dittature di ogni tipo”: se nel Novecento questa affermazione riguardava solo i sistemi totalitari atei oggi – dice il papa – riguarda soprattutto “gli Stati fondati sulla base di una giustificazione religiosa, così come li incontriamo soprattutto nel mondo islamico”.

Tutto questo libro di Benedetto XVI – in linea col discorso di Ratisbona – è un’apologia della ragione e della vera laicità che è stata partorita dal cristianesimo (in opposizione alla divinizzazione del potere imperiale dell’antichità).
Un altro tema che arricchisce la prospettiva politica del leader leghista è la polemica di Benedetto XVI con l’attuale Europa la cui tecnocrazia cerca di imporre un pensiero unico positivista che però rappresenta il suicidio dell’Europa.
Perché – come ricorda il papa – “il patrimonio culturale dell’Europa” è molto più vasto e, storicamente, proprio “sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura (…). La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa”.
Da cui viene la responsabilità di battersi “per la dignità inviolabile dell’uomo”. Questo triplica incontro “ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico”.
Ma oltre ad abbattere il mito ideologico dell’Europa relativista di Maastricht, Benedetto XVI demolisce l’altra divinità del momento: i mercati. Una divinità osannata e adorata a cui vengono sacrificati gli Stati e i popoli.
Contro la religione mercatista il libro ripropone il Messaggio del 1° gennaio 2013 dove, nell’imperversare della crisi economica, Benedetto XVI prospetta “un nuovo modello economico” in cui la “massimizzazione del profitto” ceda il passo al primato del bene comune.
Chiede dunque agli Stati di riprendere l’iniziativa in campo economico con “politiche di sviluppo industriale e agricolo” (quindi Keynes, che è reso impossibile dalla moneta unica in Europa) e poi chiede la “fondamentale e imprescindibile strutturazione etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali in modo da non arrecare danno ai più poveri”.
Che significa rivendicare il primato degli Stati e dei popoli sui mercati. Oggi è un pensiero rivoluzionario.
Benedetto XVI è così anticonformista e indigesto per il potere globale che, nel recente libro intervista “Ultime conversazioni”, si è permesso una elegante stroncatura di Obama e un significativo apprezzamento per il leader russo:
“(Con Putin) abbiamo parlato in tedesco, lo conosce perfettamente. Non abbiamo fatto discorsi profondi, ma credo che egli – un uomo di potere – sia toccato dalla necessità della fede. E’ un realista. Vede che la Russia soffre per la distruzione della morale. Anche come patriota, come persona che vuole riportarla al ruolo di grande potenza, capisce che la distruzione del cristianesimo minaccia di distruggerla. Si rende conto che l’uomo ha bisogno di Dio e ne è di certo intimamente toccato. Anche adesso, quando ha consegnato a papa Francesco l’icona, ha fatto prima il segno della croce e l’ha baciata.
Si può dire che, insieme alla Costituzione e al Vangelo, Salvini alla prossima manifestazione può sventolare il libro di Benedetto XVI, una grande riflessione politica.
.
Antonio Socci
Da “Libero”, 12 maggio 2018

Traditi sottomessi invasi

October 1, 2017

Siamo di fronte a una prospettiva apocalittica: l’estinzione degli italiani, la loro sparizione dalla storia a causa di un crollo demografico che sta diventando irrimediabile. Intanto i nostri politici fischiettano con noncuranza, nella contesa delle poltrone, mentre lasciano che un fiume di migranti, di diversa cultura e religione, sbarchi e si insedi nella penisola e mentre, da tempo, hanno deliberato una cessione di poteri che fa venir meno l’indipendenza nazionale e la sovranità popolare. Con la sudditanza ai mercati finanziari, con la perdita di sovranità monetaria (per l’euro) e di sovranità politica (per l’Unione europea dopo Maastricht) si è assestato un durissimo colpo allo stato sociale e all’economia italiana e si riduce progressivamente lo stato nazionale a un fantasma. Nel quale infatti gli elettori e i cittadini percepiscono di contare sempre meno.
Antonio Socci compie un affascinante viaggio nella storia d’Italia mostrando che il tradimento delle élite e la “chiamata dello straniero” hanno “ferito” per molti secoli la nostra storia nazionale. Il popolo italiano ha sempre reagito esprimendo la sua straordinaria genialità, che ha illuminato il mondo, in tutti i campi del sapere, della vita e dell’arte (e anche con i suoi santi). Soprattutto la nostra grande letteratura ha tenuto viva l’identità nazionale e il grido di protesta per i tanti eserciti stranieri che hanno trasformato il “Bel Paese” nel loro campo di battaglia. In particolare ha tenuto desto il senso di appartenenza a una storia millenaria e a un’identità che affonda le sue radici nei popoli italici preromani e nella Roma classica e cristiana. Radici culturali e identità nazionale che oggi una pervasiva ideologia tenta di delegittimare, di offuscare o addirittura di negare. Questo libro è anche un’accorata dichiarazione d’amore all’Italia e un’esortazione a non accettare la sua liquidazione e il tramonto dell’Occidente.
UN DURO ATTO D’ACCUSA
CONTRO LA LIQUIDAZIONE
DEL NOSTRO PAESE
E PER LA SUA RINASCITA.
AMDG et DVM

venerdì 18 maggio 2018

Se non per la Novena, almeno per l'Ottava di Pentecoste approfittiamo di questi spunti di JNSR


Risultati immagini per la Pentecoste dello Spirito Santo nel Cenacolo
Terzo mistero glorioso: 
la Pentecoste dello Spirito Santo nel Cenacolo

Dieci ECCELLENTI spunti contemplativi 
per la recita meditativa delle dieci Ave Maria:

 

1. Gesù aveva promesso ai Suoi discepoli il battesimo di fuoco dello Spirito Santo, una volta ritornato al Padre. Egli lo ha ripetuto loro più volte, l’ultima proprio prima della sua Ascensione. 
Nel Cenacolo Maria, circondata dagli Apostoli, di cui è loro Maestra nella fede, insegna loro che il dono di Dio è in misura della nostra fiducia, della nostra attesa, della nostra purezza. 

Ella sa che è necessaria la forza insistente e perseverante della preghiera per strappare tutto al Cielo. 
Gli Apostoli sono rinnovati completamente da un’umiltà acquistata a caro prezzo nella prova della Passione. 
Essi sono interamente purificati dal perdono di Gesù e confidano in Lui, assolutamente certi che Gesù è Dio. L’indomani, dopo l’orazione e la meditazione su questo avvenimento dell’Ascensione, Maria fa loro cominciare la prima novena del Cristianesimo.

2. Gli Apostoli si pongono il problema dell’elezione del dodicesimo Apostolo, per colmare il vuoto lasciato da Giuda. 
Maria si rifiuta di designarlo. 
E’ compito di Pietro, capo della Chiesa. Egli riunisce i discepoli e chiede loro di designare due tra loro che giudicano degni di quella carica. Essi si accordano su  Giuseppe e Mattia.

3. Pietro e gli Apostoli pregano solennemente l’Altissimo di fare la scelta. 
I discepoli prendono nel cortile dei sassolini bianchi e dei sassolini neri in numero uguale, li mettono in un sacco vuoto e decidono che i bianchi sarebbero stati per Mattia e gli altri per Giuseppe. 

Pietro traccia sul sacco un gesto di benedizione e, pregando con gli occhi al cielo, vi immerge la mano e ne estrae un sassolino: esso è bianco. Mattia viene eletto. Pietro e gli Apostoli lo abbracciano davanti ad una piccola folla che acclama.

4. Maria e i dodici Apostoli sono in preghiera nel cenacolo la domenica mattina, 10 giorni dopo l’Ascensione. Ella sa certamente, anche se non è mai stato confermato, che il momento della Pentecoste è arrivato: “Un brontolio molto potente e armonioso”…”sempre più potente, riempie la terra delle sue vibrazioni”…”gli Apostoli alzano la testa sbalorditi”…”solo Giovanni non si spaventa, poiché vede la pace e la gioia luminosa che si manifestano sul volto di Maria, che alza la testa, sorridendo ad una cosa conosciuta a Lei sola, e che scivola poi in ginocchio, aprendo le braccia: le due ali azzurre del Suo manto così aperto si stendono su Pietro e Giovanni, che l’hanno imitata, inginocchiandosi vicino a Lei”.

5.  Tutti i presenti al Cenacolo vedono lo Spirito Santo in questo modo: “Poi ecco la luce, il fuoco, lo Spirito Santo”…”sotto la forma di un globo ardente brillantissimo nella stanza chiusa”…”Essa plana un istante a circa tre palmi al di sopra della testa di Maria”…”attualmente scoperta, poiché Essa ha alzato le braccia come per invocarla ed ha gettato la testa all’indietro con un grido di gioia, con un sorriso d’Amore senza limiti”.

6. Lo Spirito Santo si divide sugli Apostoli dopo l’incoronazione di Maria: “Dopo quest’istante, in cui tutto il fuoco dello Spirito Santo, tutto è l’Amore, è raccolto al di sopra della Sua Sposa, il Globo Santissimo si divide in tredici fiamme armoniose e molto scintillanti”…”e scende per baciare la fronte di ogni Apostolo”. 
“Ma la fiamma che scende su Maria non è una fiamma indirizzata sulla sua fronte”…”ma una corona che contorna e cinge, come un diadema, la sua testa verginale, coronando come Regina la Figlia, la Madre, la Sposa di Dio, la Vergine incorruttibile, la tutta Bella, l’eterna Amata e l’eterna Bambina”.

7. “Lo Spirito Santo fa brillare le sue fiamme attorno alla testa dell’Amata”…”Il fuoco resta così qualche tempo…e poi si dissolve…Della sua discesa resta come ricordo un profumo che nessun fiore terrestre può emanare…il profumo del Paradiso”…

”Maria resta estasiata. Incrocia solamente le braccia sul suo petto, chiude gli occhi, abbassa la testa…Ella continua il suo colloquio con Dio”…”Giovanni dice indicandola: “E’ l’altare. E’ sulla sua gloria che si è posata la gloria del Signore”.

8. Ascoltate gli Apostoli, saturati dalla forza dell’Amore, dalla certezza e dalla scienza dello Spirito Santo. 
“Andiamo a predicare il Signore e che le sue opere e le sue Parole siano conosciute fra i popoli”, dice Pietro; 
“Andiamo! Andiamo! Lo Spirito di Dio arde in me”, dice Giacomo il Minore. 
“Andiamo ad evangelizzare le genti”, dice un altro e tutti partono per Gerusalemme: la loro antica paura è scomparsa.

9.  Il fuoco dell’Amore divino ha effetti opposti: Esso riempie di forza e di sapienza tutti coloro che credono in Gesù in misura pari alla forza della loro fede, in misura pari alla speranza della loro attesa. Così avviene per i discepoli e per molti abitanti di Gerusalemme, che si sono tenuti distanti dalla Passione. 
Suscita invece dei rimorsi in coloro che sono caduti nell’indifferenza, ma non in coloro che si sono induriti nel rifiuto. 
Gli aguzzini, Malco e molti altri muoiono, fulminati dalla loro ostinazione. E ciò che ci attende alla fine dei tempi durante i tre giorni di buio.    

10. E’ così che gli Apostoli, predicando il Signore, vengono ascoltati e compresi dalle folle di Gerusalemme, che si fanno battezzare in massa, a migliaia per volta. 
Dopo questa terza decina della discesa dello Spirito Santo, non manchiamo di pregare Dio Spirito Santo di rinnovare in tutti i suoi sette doni della Cresima, la quale fa di ogni cristiano un soldato di Cristo, infondendogli la pienezza di ciò che aveva ricevuto in germe nel Battesimo: la saggezza, l’intelligenza, il consiglio, la pietà, la forza, la scienza ed il timore di Dio, cioè il timore di dispiacer-Gli, poiché tutti questi doni sono finalizzati all’Amore ed alla conoscenza di Dio.

AMDG et DVM

ALLORA confessiamoci con grande profitto e fiducia ferrea

Risultati immagini per S. Giovanni Nepomuceno

S. Giovanni Nepomuceno è il martire del sigillo sacramentale.

Nacque nel 1330 a Nepomuk, in Boemia. Cominciò gli studi ecclesiastici nella città di Praga e fu consacrato sacerdote dall’arcivescovo di quella città.

Appena ordinato, si diede con zelo alla sacra predicazione, e il re Venceslao lo volle come predicatore di corte. Non passò molto tempo che l’arcivescovo, per dargli un premio volle eleggerlo canonico della cattedrale e l’imperatore lo propose alla sede vescovile di Leitometitz. Spaventato il buon canonico di tanti onori e responsabilità, riuscì a persuadere il sovrano a ritirare la sua proposta.
La moglie di Venceslao, la piissima Giovanna di Baviera, conosciutolo, lo elesse per suo confessore e direttore di spirito. La buona regina passava ore intere dinanzi al Santissimo Sacramento, fuggiva anche l’ombra del peccato ed era a tutti esempio di grande virtù. 
Però il re, corrotto, sospettava che Giovanna gli fosse infedele e la tormentava spesso per conoscere ciò che esisteva solo nella sua mente. Riuscendo naturalmente infruttuose tutte le sue investigazioni, e non essendo ancora convinto dell’innocenza della consorte, deliberò di interrogare il suo confessore e farsi rivelare da lui, o per amore o per forza, quanto la regina gli diceva in confessionale.

Chiamato a sé Giovanni, lo interrogò in belle maniere e con promesse di onori gli intimò di parlare.
Il Santo rabbrividì alla proposta e rispose con coraggio che in quella richiesta non poteva assolutamente obbedirlo. Dopo essere stato minacciato della prigionia, e anche di peggio, fu richiamato dopo qualche giorno a svelare quanto gli era stato ordinato. Ma Giovanni si mostrò inflessibile sia quella volta che una terza, quando il re lo invitò a un pranzo.

All’ennesimo fermo rifiuto il re ordinò ai suoi sgherri di gettarlo nel fiume Moldava che passa per Praga. Di notte, perché non vi fosse il pericolo di una sommossa del popolo.
Giovanni venne condotto sul ponte della città e, tra il sesto e il settimo pilastro (dove ancora una croce ricorda il delitto), venne gettato nella corrente. Era l’anno 1383.

Il mattino seguente però sulle sponde del fiume galleggiava un cadavere circondato da una luce misteriosa. Fu tratta alla riva e si riconobbe Giovanni. Tutta la città fu sottosopra appena chiarito il mistero e conosciuto l’autore del misfatto.
Con una processione, il corpo fu portato alla vicina chiesa di S. Croce, mentre ogni persona, piangente, accorreva a baciargli i piedi e a raccomandarsi alla sua intercessione.

Autore: Antonio Galuzzi
AMDG et DVM