lunedì 18 dicembre 2017

«Omnia possum in Eo qui me confortat»: tutto posso in Colui che mi sostiene (Phil. 4, 13).

IT ]

PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 5 maggio 1965

Le vocazioni ecclesiastiche

Diletti Figli e Figlie!

Il nostro desiderio sarebbe di salutarvi ad uno ad uno! Questo è nell’aspirazione dell’affetto, che tende naturalmente al colloquio personale; questo è nell’ordine della carità, la quale, mentre si rivolge alla moltitudine e vuole a tutti arrivare e fare di tutti una cosa sola, non per questo dimentica che ciascuno è persona, e che ciascuno è degno del suo proprio esclusivo ed ineffabile rapporto della parola: cor ad cor loquitur - come diceva il Newman -: il cuore parla al cuore.

Veniva a Noi questo pensiero meditando il Vangelo della scorsa domenica, il Vangelo del Buon Pastore, che presentando questa bella immagine, che potremmo dire virgiliana, sembra assimilare a un branco di pecore i seguaci del Vangelo, mentre in questa similitudine di unità e di autorità, propria della comunità ecclesiale, subito è marcata la personale individualità del gregge cristiano, là dove il Pastore nota che intercorre una conoscenza particolare fra il Pastore stesso e le sue pecorelle, che distinguono la voce di Lui, il Quale - è una precisazione non solo descrittiva e poetica, ma profondamente psicologica e mistica - il Quale «le chiama ciascuna per nome: vocat nominatim» (Io. 10, 4).

Naturalmente questa misteriosa conversazione fra il Pastore ed ogni singola anima è una prerogativa esclusiva di Cristo, ben a ragione definito «Re e centro di ogni cuore», ma segna un aspetto, offre un esempio, stabilisce un principio della vita pastorale della Chiesa. Dobbiamo sempre ricordarci di questo: che cosa è la Chiesa? È la convocazione dei fedeli, è l’umanità chiamata a comporre il gregge di Cristo, o, con un’altra immagine estremamente espressiva e notissima, il Corpo mistico di Cristo. Il termine stesso di «Chiesa», s’è detto tante volte, vuole dire assemblea chiamata ad unirsi a Cristo ed in Cristo.

E il Nostro pensiero andava volgendosi al tema, che il Concilio ha posto in evidenza, del Popolo di Dio, ch’è appunto la grande comunità convocata da Dio nel suo disegno di salvezza e di elevazione soprannaturale, tramite il ministero apostolico. La voce di Dio che chiama si esprime in due modi, diversi, meravigliosi e convergenti : uno interiore, quello della grazia, quello dello Spirito Santo, quello ineffabile del fascino interiore che la «voce silenziosa» e potente del Signore esercita nelle insondabili profondità dell’anima umana; e uno esteriore, umano, sensibile, sociale, giuridico, concreto, quello del ministro qualificato della Parola di Dio, quello dell’Apostolo, quello della Gerarchia, strumento indispensabile, istituito e voluto da Cristo, come veicolo incaricato di tradurre in linguaggio sperimentabile il messaggio del Verbo e del precetto divino. Così insegna con San Paolo la dottrina cattolica: «Quomodo audient sine praedicante?. . . Fides ex auditu»: come potranno intendere senza uno che parli predicando? . . . la fede nasce dall’ascoltare (Rom. 10, 14 e 17).

Vi diciamo questo, Figli e Figlie, anche per un’altra ragione: domenica scorsa la Chiesa nostra, da qualche anno, fissa su questo stupendo ordine di pensieri teologici e spirituali un suo pensiero pastorale, diventato assillante, quello delle vocazioni, e per vocazioni qui si intendono le chiamate libere e privilegiate al totale servizio e all’unico amore di Cristo nei posti specificamente determinati dalla santa Chiesa. Sono le vocazioni ecclesiastiche, sono le vocazioni religiose. Sono quelle che palesano un’iniziativa, un desiderio, una aspettativa di Cristo. Perché Cristo chiama. Come agli Apostoli, da Lui eletti ed educati, Gesù ripete ancor oggi: vieni e seguimi. È il Pastore che viene a colloquio personale, intimo, sconvolgente forse ed avvincente: chiama per nome, «nominatim»: Te io chiamo!

Voi sapete che oggi, mentre da un lato cresce il bisogno di chi si consacri all’amore e al culto di Dio e all’amore e al servizio dei fratelli, diminuisce - in molte regioni della Chiesa, anche in quelle che un tempo erano le più fiorenti e fertili di anime generose e pure, votate al Vangelo - diminuisce il numero di questi volontari della Croce e della Gloria di Cristo. La Chiesa viene a trovarsi in una dolorosa e talora pungente condizione: quella d’avere dinanzi a sé il mondo aperto per la sua missione, un mondo che sembra insensibile e repulsivo, e che in realtà attende ed implora: vieni a soccorrerci, adiuva nos (cfr. Act. 16, 9) e non può; non può per mancanza di uomini e di donne, che abbiano accettato di darsi a Cristo e alla salvezza del mondo. Gesù stesso, voi ricordate, sperimentò questa pena, che doveva essere poi perenne nel cuore dei suoi apostoli: «La messe è molta ma gli operai sono pochi» (Matth. 9, 37).
E qui il lamento di Gesù, diletti Figli e Figlie, si fa Nostro! La sua chiamata viene alle Nostre labbra, e suona ora così: rifletta ognuno che ha la grazia, la somma fortuna, d’appartenere alla Chiesa, d’essere un chiamato, d’avere una sua «vocazione» cristiana; e rifletta chi nella coscienza di questa sublime, ma comune chiamata avvertisse un invito più diretto e più profondo, più esigente e più soave, se il Signore non voglia qualche cosa di più della comune fedeltà, non voglia tutto, non voglia quel sacrificio che sembra annientare chi lo accetta e che dà invece a lui la nuova pienezza promessa ai generosi; quel centuplo, che già fin da questa vita terrena conferisce un’intima felicità incomparabile. La vocazione è una grazia che non è di tutti; ma può essere ancor oggi di molti. Di molti giovani, forti e puri; di molte anime che hanno l’ansia della bellezza superiore della vita, l’ansia della perfezione, la passione della salvezza dei fratelli; di molti spiriti, che nella loro stessa timidità ed umiltà sentono scaturire la forza che rende tutto facile e tutto possibile: «Omnia possum in Eo qui me confortat»: tutto posso in Colui che mi sostiene (Phil. 4, 13).

Preghiamo che sia così. Forse qualcuno, che ora ode questa Nostra umile voce di fuori, sente di dentro la voce regale di Cristo?

Preghiamo che sia così: la Nostra Benedizione è per quanti «ascoltano la parola di Dio e la custodiscono» (Luc. 11, 28).

O sacerdos, quis es tu?


Quando il Diacono Joseph Ratzinger divenne Sacerdote
Haec meditare: 1 Tim 4,15:
Dignità del Sacerdote: Sacerdos alter Christus: S.I.Crys. - Admiramini, gaudete: Christus facti sumus!: S.Aug.- Miraculum stupendum, magna, immensa, infinita, sacerdotis dignitas: coelum attingit, cum Angelis conversatur, cum Deo familiariter agit: S.Ephr.- Sacerdos, terrenus Deus, ad animas deificandas destinatus: S.Greg.Naz. Apol.1.- "Se incontrassi un Angelo e un Sacerdote saluterei il Sacerdote prima dell'Angelo": S. Francesco d'Assisi.

Santità del Sacerdote: Sancti estote, quia ego sanctus sum: Lev.11,44-45.- Estote perfecti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est: Mt 5,48. - In omni conversatione sancti sitis:1Pt 1,16.- Voluntas Dei sanctificatio vestra:1Thes.4,3.- Tu, o homo Dei, sectare justitiam, pietatem, fidem, caritatem, patientiam, mansuetudinem:1Tim.6,11.- Professio Clericorum vita coelestis. - Sanctitas una nos efficit quales vocatio divina exposcit: homines videlicet mundo crucifixos et quibus mundus ipse sit crucifixus: S. Pius X.

Vita di imitazione e unione con Gesù e Maria: Manete in Me: et ego in vobis: Ioan 15,4. Manete in dilectione mea: Ioan 15,9.- Si quis in Me non manserit mittetur foras... et arescet: Ioan 15,6 - Si quis Spiritum Christi non habet, hic non est eius: Rom.8,6.- Quicumque baptizati estis Christum induistis: Gal 3,27.- Hoc sentite in vobis quod et in Christo Iesu: Philip.2,5.- Christus... vita vestra: Colos 3,4.- Summum igitur studium nostrum sit in vita Iesu Christi meditari: Im. Chr.l.1.c.1.- Memor esto arrepti propositi e imaginem tibi propone Crucifixi... Qui se intente et devote in sanctissima vita et passione Domini exercet, omnia utilia et necessaria sibi abundanter inveniet: nec opus estut extra Iesum aliquid melius quaerat. O si Iesus Chrucifixus in cor nostrum veniret!: Im.Chr.l.1,c. 25.- "Quodcumque dixerit vobis, facite": Ioan 2,5- "Ecce ancilla Domini. Fiat mihi secundum verbum tuum": Luc 1,38.- "Magnificat...": Luc 1,46.
Spirito di orazione: Oportet semper orare et non deficere: Luc 18,1.- Horrendum est diem sine oratione transigere.- Servemus cor sursum ne putrescat in terra. Vere novit vivere qui recte novit orare: S. Aug.- Haec duo sunt sacerdotis opera: ut aut a Deo discat, legendo Scripturas divinas et saepius meditando: aut populum doceat quae ipse a Deo didicerit non ex proprio corde vel humano sensu: Orig. - Aliorum est servire Deo: nostrum est adhaerere: S.I.Chrys.- Cadentem genam pagina sancta suscipiat: S.Hier.- Attende studiose, rite, pie, religiose divinas laudes celebrare: non mente vaga, non vagis oculis, non indecenti corporis statu: Conc.Mediol. IV.- Nihil aliud dum psallitis, quam quod psallitis cogitate: S.Bonav.

Apostolato, frutto di vita interiore: Ego elegi vos, et posui vos ut eatis, et fructum afferatis: Ioan 15,16.- Qui manet in Me et ego in eo, hic fert fructum multum: quia sine Me nihil potestis facere: Ioan 15,5.- Quanta luce in quella parabola della vite e dei tralci!... I miei sforzi da soli non valgono nulla, assolutamente nulla: ma saranno utili e benedetti da Dio unicamente se, per mezzo d'una vera vita interiore, io li unisco costantemente all'azione vivificante di Gesù: Chautard.- "Omnia possum in Eo qui me confortat": Phil 4.13.

Buon esempio: Vos estis sal terrae... vos estis lux mundi... luceat lux vestra coram hominibus: et videant opera vestra bona et glorificent patrem vestrum: Matth 5,13-16. - Quidquid feceris, id sibi omnes faciendum putant: S.Hier. ad Eliod.- Non solum corrigetis orbem sancte recteque vivendo; sed etiam glorificare Deum ex vestra conversatione facietis: quemadmodum si contraria gesseritis, et homines perdetis, et nomen Dei blashemiis offendetis: S.I.Crys.- Cum pastor per abrupta graditur, consequens est ut grex in praecipitio feratur: S.Greg.M.-  Mores loquentis cogunt, non verba: Menander.- Non temere dico, sed ut affectus sum et sentio: non arbitror, inter sacerdotes, multos esse qui salvi fiant, sed multo plures qui pereant: quia quod alii peccant sacerdoti imputatur: S.I.Crys.- Omni cui multum datum est, multum quaeretur ab eo: Luc 12,48.
*
Vita boni sacerdotis crux est et dux paradisi. Incoeptum est: retro abire non licet, nec oportet. Eia, fratres, pergamus simul: Iesus erit nobiscum. Propter Iesum suscepimus hanc crucem, propter Iesum perseveremus in cruce. Erit adiutor noster, qui est dux noster et praecessor: Im.Chr. l 3, c.56.- Doce me, Domine, terrena despicere, praesentia fastidire, aeterna quaerere, coelestia sapere, honores fugere, scandala sufferre, omnem spem in te ponere, extra te nihil cupere, et super omnia Te ardenter amare. Ibid.c.44.
*
O Sacerdos, quis es tu? Non es a te, quia de nihilo; non es ad te, quia mediator ad Deum; non es tibi, quia sponsus Ecclesiae; non es tui, quia servus omnium; non es tu, quia Deus es. Quid ergo es? Nihil et omnia. O Sacerdos!
AMDG et DVM

****FAVOLA DI NATALE****

Il bambino senza scarpe

Era la notte Santa. Un povero calzolaio lavorava ancora nella sua unica stanza, dove viveva insieme alla moglie. Entro la mattina successiva, avrebbe dovuto consegnare un paio di scarpe per il figlio di un ricco signore.
- Hai già pensato a quello che potremo comprarci con il guadagno di questo lavoro? - chiese il calzolaio alla moglie.
- Sono piccole: ci daranno ben poco! - scherzò lei.
- Accontentiamoci! Meglio questo che niente!
Il calzolaio appoggiò le scarpe sul banco e se le guardò soddisfatto.
- Guarda che meraviglia! - esclamò. - E senti come sono calde con questa pelliccetta dentro!
- Un paio di scarpette degne di Gesù Bambino!
- Hai ragione - rispose il calzolaio mettendosi a spazzolarle.
- Allora, che cosa pensi di compare per il pranzo di domani? - riprese l'uomo dopo un attimo.
- Mah... pensavo a un cappone.
- Già, senza un cappone non sarebbe un vero Natale!
- Forse anche mezzo...
- D'accordo, e poi?
- Due fette di prosciutto.
- Sicuro: il prosciutto come antipasto. E poi?
- E poi il dolce.
- E poi la frutta secca...
- Giusto. E da bere?
- Una bottiglia di spumante.
- Sì, una bottiglia basterà, ma che sia buono!
A quel punto si sentì un colpo alla porta.
- Hanno bussato? - chiese l'uomo.
- Ma chi sarà a quest'ora? Forse il cliente...
- No, gliele devo portare io domattina.
- Allora sarà il vento.
Ma il rumore si sentì di nuovo. La donna aprì la porta ed ebbe un moto di sorpresa. Un bambino la guardava, con grandi occhi neri, dalla soglia della porta. I suoi capelli erano tutti spettinati e i suoi vestiti erano laceri e sporchi.
- Entra, piccolo - lo invitò la donna.
Il bambino entrò. Aveva le labbra bluastre dal freddo. Il calzolaio guardò subito i suoi piedini. - Ma tu sei scalzo! - gridò.
Il piccolo non parlò: guardò le scarpe, anzi le accarezzò con gli occhi, ma senza invidia.
L'uomo e la moglie guardarono prima i piedi nudi del bambino e poi le scarpe sul tavolo; quindi la donna fece un cenno al marito. Il calzolaio prese in mano le scarpe, le osservò contento e disse: - Prendile, te le regalo. Sono morbide e calde.
La moglie aiutò il bambino a infilarsele.
- Grazie - rispose sorridendo. - Sono le prime che porto. Ora però devo andare. Buona notte.
Il calzolaio e la moglie non ebbero neanche il tempo di salutarlo che il bambino era già sparito.
- E' fatta - esclamò l'uomo. - Ora niente più prosciutto, né cappone, né frutta, nè dolce.
- E neanche lo spumante! In fondo a me lo spumante non piace nemmeno.
- E io non digerisco il cappone! Anche del prosciutto posso farne a meno. E il dolce poi... C'è rimasta qualche noce e un po' di pane raffermo - disse la donna.
- Va benissimo. Passeremo un bel Natale.
Tutti e due pensavano al bambino. - Penso che gli siano piaciute molto le mie scarpe - aggiunse il calzolaio.
- Sì, mi sembrava molto contento.
In quel momento suonò la Messa di mezzanotte e la stanza si illuminò all'improvviso. Il calzolaio e la moglie furono abbagliati da quella luce; poi, quando riaprirono gli occhi, nel punto in cui il bambino aveva calzato le scarpe, videro spuntare miracolosamente un abete con una stella in cima. Dai rami penzolavano capponi, prosciutti, dolci, frutta secca e bottiglie di spumante.
Soltanto allora capirono chi fosse quel bambino e si inginocchiarono a ringraziare Dio.

domenica 17 dicembre 2017

Vedevo Maria «bella, bella, bella e fatta d'un subito più giovane» «Ella pare un angelo azzurro».


27. L'editto del censimento. Insegnamenti sull'amore allo sposo e sulla fiducia in Dio. 
Lc 2, 1-3

Vedo ancora la casa di Nazareth. La piccola stanza dove abitualmente sta Maria per i suoi pasti. Adesso Ella lavora intorno a della tela bianca. Posa il lavoro per accendere una lucerna, perché scende la sera ed Ella non vede più bene nella luce verdastra che entra dalla porta socchiusa sull'orto. Chiude anche la porta. 

Vedo che ormai è molto grossa nel corpo. Ma ancora tanto bella. Il passo è sempre svelto, e gentile ogni suo atto. Nessuna di quelle pesantezze che si notano nella donna quando è prossima a dare alla luce un bambino. Solo nel viso Ella è mutata. Ora è «la donna». Prima, al tempo dell'Annuncio, era una giovinetta dal visetto sereno e ignaro, un viso da bambino innocente. Dopo, in casa di Elisabetta, al momento della nascita del Battista, il suo viso si era già affinato in una grazia più matura. Adesso è il volto sereno, ma dolcemente maestoso, della donna che ha raggiunto la sua piena perfezione nella maternità. 

Non ricorda più la sua cara «Annunziata» di Firenze, padre. Quando era fanciulla, io ve la ritrovavo. Adesso il volto è più lungo e magro, l'occhio più pensoso e grande. Insomma è quello che è Maria anche ora in Cielo. Perché ora ha ripreso l'aspetto e l'età del momento in cui nacque il Salvatore. La sua è l'eterna giovinezza di chi non solo non ha conosciuto corruzione di morte, ma nemmeno appassimento di anni. Il tempo non l'ha toccata, questa Regina nostra e Madre del Signore che ha creato il tempo; e se nello strazio del tempo di Passione - strazio che per Lei è incominciato molto, molto avanti, potrei dire da quando Gesù ha iniziato l'evangelizzazione - Ella è apparsa invecchiata, questo invecchiamento era come un velo messo dal dolore sulla sua incorruttibile persona. 

Infatti, dal momento che Ella rivede Gesù risorto, Ella torna la creatura fresca e perfetta che era avanti questo strazio, quasi che, baciando le Piaghe Ss., abbia bevuto un balsamo di giovinezza che annulla l'opera del tempo e, più ancora che del tempo, del dolore. 

Infatti, anche otto giorni sono, quando ho visto la discesa dello Spirito Santo, il giorno di Pentecoste, io vedevo Maria «bella, bella, bella e fatta d'un subito più giovane» come scrivevo, e prima avevo scritto: «Ella pare un angelo azzurro». Gli angeli non hanno vecchiaia. Sono eternamente belli dell'eterna giovinezza, dell'eterno presente di Dio che riflettono in loro. 

La giovinezza angelica di Maria, angelo azzurro, si completa e raggiunge l'età perfetta - che Ella ha portato seco nei Cieli e che conserverà in eterno nel suo santo corpo glorificato, quando lo Spirito inanella la sua Sposa e l'incorona agli occhi di tutti - ora, e non più nel segreto di una stanza ignota al mondo, col solo testimone di un arcangelo. 
Ho voluto fare questa digressione perché mi pareva necessaria. Ora torno alla descrizione. 

Maria, dunque, ora si è fatta veramente «donna», piena di dignità e grazia. Anche il suo sorriso è mutato in dolcezza e maestà. Come è bella! Entra Giuseppe. Pare torni dal paese, perché entra dalla porta di casa e non da quella del laboratorio. Maria alza il capo e gli sorride. Anche Giuseppe le sorride. Ma pare che lo faccia a fatica, come chi è preoccupato. Maria l'osserva interrogativamente. Poi si alza per prendere il mantello che Giuseppe si sta levando e lo piega e ripone su una cassapanca.  

Giuseppe si siede presso la tavola. Appoggia un gomito su essa e il capo sulla mano, mentre con l'altra, soprappensiero, si pettina e spettina alternativamente la barba. 

«Hai qualche pensiero che ti cruccia?» chiede Maria. «Ti posso consolare?». 
«Tu mi consoli sempre, Maria. Ma questa volta ho un grande pensiero. - Per te». 
«Per me, Giuseppe? E che mai?». 
«Hanno messo un editto sulla porta della sinagoga. È ordinato il censimento di tutti i palestinesi. E bisogna andare a segnarsi nel luogo di origine. Noi si deve andare a Betlemme...». 
«Oh!» interrompe Maria, mettendosi una mano sul seno. 
«Ti scuote, vero? È penoso. Lo so». 
«No, Giuseppe. Non è questo. Penso... penso alle Sacre Scritture: (Genesi 35, 16-20; 48, 7; Numeri 24, 17; Michea 5, 1. Il sepolcro di Rachele al Cap 73) Rachele madre di Beniamino e moglie di Giacobbe dal quale nascerà la Stella, il Salvatore. Rachele sepolta a Betlemme di cui è detto: "E tu, Betlemme Efrata, sei la più piccola fra le terre di Giuda, ma da te uscirà il Dominatore ". Il Dominatore che è stato promesso alla stirpe di Davide. Egli nascerà là...». 

«Credi... credi d'essere già al tempo? Oh! Come faremo?». 

Giuseppe è completamente sgomento. Guarda Maria con due occhi pietosi. Ella se ne avvede. Sorride. A sé, sorride, più che a lui. Un sorriso che pare dica: «È un uomo, giusto, ma uomo. E vede da uomo. Pensa da uomo. Compatiscilo, anima mia, e guidalo a vedere da spirito». Ma la sua bontà la spinge a rassicurarlo. Non mente, ma storna il suo affanno. 

«Non so, Giuseppe. Il tempo è molto vicino. Ma non potrebbe il Signore rallentarlo per sollevare te da questa preoccupazione? Tutto Egli può. Non temere». 

«Ma il viaggio!... Chissà che folla! Troveremo buon alloggio? Faremo a tempo a tornare? E se... se dovrai esser Madre là, come faremo? Non abbiamo casa... Non conosciamo più nessuno…». 

«Non temere. Tutto andrà bene. Dio fa trovare un ricovero all'animale che genera. Vuoi che non lo faccia trovare per il suo Messia? Noi fidiamo in Lui. Non è vero? Sempre fidiamo in Lui. Quanto più è forte la prova e più fidiamo. Come due bambini mettiamo la nostra mano nella sua di Padre. Egli ci guida. Siamo tutt'affatto abbandonati a Lui. Guarda come ci ha condotti fin qui con amore. Un padre, anche il più buono, non potrebbe farlo con maggior cura. Siamo suoi figli e suoi servi. Compiamo la sua volontà. Nulla di male può accaderci. Anche questo editto è sua volontà. Cosa è mai Cesare? Uno strumento di Dio. Da quando il Padre decise di perdonare all'uomo, ha preordinato i fatti perché il suo Cristo nascesse in Betlemme. Essa, la più piccola città di Giuda, non era, e già la sua gloria era segnata. Perché questa gloria avvenga e la parola di Dio non sia smentita - e lo sarebbe se il Messia nascesse altrove - ecco che un potente è sorto, tanto lontano di qui, e ci ha dominato, ed ora vuole conoscere i sudditi, ora, mentre il mondo è in pace. - Oh! che è la nostra piccola fatica se pensiamo al bello di questo attimo di pace? Pensa, Giuseppe. Un tempo in cui non vi è odio nel mondo! Ma può esservi ora più felice per il sorgere della " Stella " la cui luce è divina e il cui influsso è redenzione? Oh! non aver paura, Giuseppe. Se le strade sono insicure, se la calca renderà difficile l'andare, gli angeli ci faranno difesa e sponda. Non a noi: al loro Re! Se non troveremo asilo, ci faranno tenda le loro ali. Nulla ci avverrà di male. Non ci può accadere: Dio è con noi». 

Giuseppe la guarda e ascolta beato. Le rughe della fronte si spianano, il sorriso torna. Si alza senza più stanchezza e pena. Sorride. «Tu benedetta, Sole dello spirito mio! Tu benedetta che sai vedere tutto attraverso la Grazia di cui sei piena! Non perdiamo tempo, allora. Perché bisogna partire al più presto e... tornare al più presto, perché qui tutto è pronto per il... per il...». 

«Per il Figlio nostro, Giuseppe. Deve esser tale agli occhi del mondo, ricordalo. Il Padre ha ammantato di mistero questa sua venuta e noi non dobbiamo alzarne il velo. Egli, Gesù, lo farà quando sarà l'ora..» La bellezza del volto, dello sguardo, della espressione, della voce di Maria quando dice questo «Gesù», non è descrivibile. È già l'estasi. 

E su questa estasi cessa la visione. 

Dice Maria: «Non aggiungo molto, perché le mie parole sono già insegnamento. Richiamo però l'attenzione delle mogli su un punto. Troppe unioni si mutano in disunioni per colpa delle mogli, le quali non hanno quell'amore che è tutto - gentilezza, pietà, conforto - verso il marito. 
Sull'uomo non pesa la sofferenza fisica che grava sulla donna. 
Ma pesano tutte le preoccupazioni morali. Necessità di lavoro, decisioni da prendere, responsabilità davanti ai poteri costituiti e alla famiglia propria... oh! quante cose non pesano sull'uomo! E quanto ha bisogno anche lui di conforto! 
Ebbene, l'egoismo è tale che al marito stanco, sfiduciato, avvilito, preoccupato, la donna aggiunge il peso di inutili, e talora ingiusti, lamenti. Tutto questo perché è egoista. Non ama. Amare non è soddisfare se stessi nel senso e nell'utile. Amare è soddisfare chi si ama, oltre il senso e l'utile, dando al suo spirito quell'aiuto di che ha bisogno per poter tenere aperte sempre l'ali nei cieli della speranza e della pace. 

Altro punto su cui richiamo l'attenzione. Ne ho già parlato. Ma insisto: la fiducia in Dio. La fiducia riassume le virtù teologali. Chi ha fiducia è segno che ha fede. Chi ha fiducia è segno che spera. Chi ha fiducia è segno che ama. Quando uno ama, spera, crede in una persona, ha fiducia. Altrimenti no. Dio merita questa nostra fiducia. Se la diamo a dei poveri uomini capaci di mancare, perché la si deve negare a Dio che non manca mai? 

La fiducia è anche umiltà. Il superbo dice: "Faccio da me. Non mi fido di costui perché è un incapace, un mentitore, un prepotente... ". L'umile dice: "Mi fido. Perché non mi dovrei fidare? Perché devo pensare che io sono meglio di lui?". E con più ragione così dice di Dio: "Perché devo diffidare di Colui che è buono? Perché devo pensare che io sono capace di fare da me?". Dio all'umile si dona. Ma si ritira a chi è superbo. 

La fiducia è anche ubbidienza. E Dio ama l'ubbidiente. L'ubbidienza è segno che noi ci riconosciamo figli di Lui e riconosciamo Dio per Padre. E un padre non può che amare quando è un vero padre. Dio ci è Padre vero e Padre perfetto. 

Terzo punto che voglio meditiate. Ed è sempre fondato sulla fiducia. Ogni evento non può accadere se Dio non lo permette. Sei dunque potente? Lo sei perché Dio l'ha permesso. Sei suddito? Lo sei perché Dio l'ha permesso. 
Cerca dunque, o potente, di non fare di questa tua potenza il tuo male. Sarebbe sempre " tuo male " anche se in principio pare sia male degli altri. Perché se Dio permette, non strapermette, e se tu passi il segno colpisce e ti frantuma. 
Cerca dunque, o suddito, di fare di questa tua condizione una calamita per attirare su te la celeste protezione. E non maledire mai. Lasciane a Dio la cura. A Lui, Signore di tutti, spetta di benedire e maledire i suoi creati. 

Va' in pace».

AMDG et BVM

Una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.

DE  - EN  - ES  - FR  - IT  - PL  - PT ]
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
OMELIA DEL SANTO PADRE 
BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Sabato, 24 dicembre 2011
(Video)Galleria fotografica

Cari fratelli e sorelle,

La lettura tratta dalla Lettera di san Paolo Apostolo a Tito, che abbiamo appena ascoltato, inizia solennemente con la parola “apparuit”, che ritorna poi di nuovo anche nella lettura della Messa dell’aurora: apparuit – “è apparso”. È questa una parola programmatica con cui la Chiesa, in modo riassuntivo, vuole esprimere l’essenza del Natale. Prima, gli uomini avevano parlato e creato immagini umane di Dio in molteplici modi. Dio stesso aveva parlato in diversi modi agli uomini (cfr Eb 1,1: lettura nella Messa del giorno). Ma ora è avvenuto qualcosa di più: Egli è apparso. Si è mostrato. È uscito dalla luce inaccessibile in cui dimora. Egli stesso è venuto in mezzo a noi. Questa era per la Chiesa antica la grande gioia del Natale: Dio è apparso. Non è più soltanto un’idea, non soltanto qualcosa da intuire a partire dalle parole. Egli è “apparso”. Ma ora ci domandiamo: Come è apparso? Chi è Lui veramente? La lettura della Messa dell’aurora dice al riguardo: “apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini” (Tt 3,4). Per gli uomini del tempo precristiano, che di fronte agli orrori e alle contraddizioni del mondo temevano che anche Dio non fosse del tutto buono, ma potesse senz’altro essere anche crudele ed arbitrario, questa era una vera “epifania”, la grande luce che ci è apparsa: Dio è pura bontà. Anche oggi, persone che non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l’ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona, o se il male non sia altrettanto potente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi incontriamo nel nostro cosmo. “Apparvero la bontà di Dio … e il suo amore per gli uomini”: questa è una nuova e consolante certezza che ci viene donata a Natale.

In tutte e tre le Messe del Natale la liturgia cita un brano tratto dal Libro del Profeta Isaia, che descrive ancora più concretamente l’epifania avvenuta a Natale: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine” (Is 9,5s). Non sappiamo se il profeta con questa parola abbia pensato a un qualche bambino nato nel suo periodo storico. Sembra però impossibile. Questo è l’unico testo nell’Antico Testamento in cui di un bambino, di un essere umano si dice: il suo nome sarà Dio potente, Padre per sempre. Siamo di fronte ad una visione che va di gran lunga al di là del momento storico verso ciò che è misterioso, collocato nel futuro. Un bambino, in tutta la sua debolezza, è Dio potente. Un bambino, in tutta la sua indigenza e dipendenza, è Padre per sempre. “E la pace non avrà fine”. Il profeta ne aveva prima parlato come di “una grande luce” e a proposito della pace proveniente da Lui aveva affermato che il bastone dell’aguzzino, ogni calzatura di soldato che marcia rimbombando, ogni mantello intriso di sangue sarebbero stati bruciati (cfr Is 9,1.3-4).

Dio è apparso – come bambino. Proprio così Egli si contrappone ad ogni violenza e porta un messaggio che è pace. In questo momento, in cui il mondo è continuamente minacciato dalla violenza in molti luoghi e in molteplici modi; in cui ci sono sempre di nuovo bastoni dell’aguzzino e mantelli intrisi di sangue, gridiamo al Signore: Tu, il Dio potente, sei apparso come bambino e ti sei mostrato a noi come Colui che ci ama e mediante il quale l’amore vincerà. E ci hai fatto capire che, insieme con Te, dobbiamo essere operatori di pace. Amiamo il Tuo essere bambino, la Tua non violenza, ma soffriamo per il fatto che la violenza perdura nel mondo, e così Ti preghiamo anche: dimostra la Tua potenza, o Dio. In questo nostro tempo, in questo nostro mondo, fa’ che i bastoni dell’aguzzino, i mantelli intrisi di sangue e gli stivali rimbombanti dei soldati vengano bruciati, così che la Tua pace vinca in questo nostro mondo.
Natale è epifania – il manifestarsi di Dio e della sua grande luce in un bambino che è nato per noi. Nato nella stalla di Betlemme, non nei palazzi dei re. 

Quando, nel 1223, San Francesco di Assisi celebrò a Greccio il Natale con un bue e un asino e una mangiatoia piena di fieno, si rese visibile una nuova dimensione del mistero del Natale. Francesco di Assisi ha chiamato il Natale “la festa delle feste” – più di tutte le altre solennità – e l’ha celebrato con “ineffabile premura” (2 Celano, 199: Fonti Francescane, 787). Baciava con grande devozione le immagini del bambinello e balbettava parole di dolcezza alla maniera dei bambini, ci racconta Tommaso da Celano (ivi). Per la Chiesa antica, la festa delle feste era la Pasqua: nella risurrezione, Cristo aveva sfondato le porte della morte e così aveva radicalmente cambiato il mondo: aveva creato per l’uomo un posto in Dio stesso. Ebbene, Francesco non ha cambiato, non ha voluto cambiare questa gerarchia oggettiva delle feste, l’interna struttura della fede con il suo centro nel mistero pasquale. Tuttavia, attraverso di lui e mediante il suo modo di credere è accaduto qualcosa di nuovo: Francesco ha scoperto in una profondità tutta nuova l’umanità di Gesù. Questo essere uomo da parte di Dio gli si rese evidente al massimo nel momento in cui il Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, fu avvolto in fasce e venne posto in una mangiatoia. 
La risurrezione presuppone l’incarnazione. Il Figlio di Dio come bambino, come vero figlio di uomo – questo toccò profondamente il cuore del Santo di Assisi, trasformando la fede in amore. “Apparvero la bontà di Dio e il suo amore per gli uomini”: questa frase di san Paolo acquistava così una profondità tutta nuova. Nel bambino nella stalla di Betlemme, si può, per così dire, toccare Dio e accarezzarlo. Così l’anno liturgico ha ricevuto un secondo centro in una festa che è, anzitutto, una festa del cuore.

Tutto ciò non ha niente di sentimentalismo. Proprio nella nuova esperienza della realtà dell’umanità di Gesù si rivela il grande mistero della fede. Francesco amava Gesù, il bambino, perché in questo essere bambino gli si rese chiara l’umiltà di Dio. Dio è diventato povero. Il suo Figlio è nato nella povertà della stalla. Nel bambino Gesù, Dio si è fatto dipendente, bisognoso dell’amore di persone umane, in condizione di chiedere il loro – il nostro – amore. 

Oggi il Natale è diventato una festa dei negozi, il cui luccichio abbagliante nasconde il mistero dell’umiltà di Dio, la quale ci invita all’umiltà e alla semplicità. Preghiamo il Signore di aiutarci ad attraversare con lo sguardo le facciate luccicanti di questo tempo fino a trovare dietro di esse il bambino nella stalla di Betlemme, per scoprire così la vera gioia e la vera luce.
Sulla mangiatoia, che stava tra il bue e l’asino, Francesco faceva celebrare la santissima Eucaristia (cfr 1 Celano, 85: Fonti, 469). Successivamente, sopra questa mangiatoia venne costruito un altare, affinché là dove un tempo gli animali avevano mangiato il fieno, ora gli uomini potessero ricevere, per la salvezza dell’anima e del corpo, la carne dell’Agnello immacolato Gesù Cristo, come racconta il Celano (cfr 1 Celano, 87: Fonti, 471). Nella Notte santa di Greccio, Francesco quale diacono aveva personalmente cantato con voce sonora il Vangelo del Natale. Grazie agli splendidi canti natalizi dei frati, la celebrazione sembrava tutta un sussulto di gioia (cfr 1 Celano, 85 e 86: Fonti, 469 e 470). Proprio l’incontro con l’umiltà di Dio si trasformava in gioia: la sua bontà crea la vera festa.

Chi oggi vuole entrare nella chiesa della Natività di Gesù a Betlemme, scopre che il portale, che un tempo era alto cinque metri e mezzo e attraverso il quale gli imperatori e i califfi entravano nell’edificio, è stato in gran parte murato. È rimasta soltanto una bassa apertura di un metro e mezzo. L’intenzione era probabilmente di proteggere meglio la chiesa contro eventuali assalti, ma soprattutto di evitare che si entrasse a cavallo nella casa di Dio. Chi desidera entrare nel luogo della nascita di Gesù, deve chinarsi. 
Mi sembra che in ciò si manifesti una verità più profonda, dalla quale vogliamo lasciarci toccare in questa Notte santa: se vogliamo trovare il Dio apparso quale bambino, allora 

dobbiamo scendere dal cavallo della nostra ragione “illuminata”. 

Dobbiamo deporre le nostre false certezze, la nostra superbia intellettuale, che ci impedisce di percepire la vicinanza di Dio. 

Dobbiamo seguire il cammino interiore di san Francesco – il cammino verso quell’estrema semplicità esteriore ed interiore che rende il cuore capace di vedere. 

Dobbiamo chinarci, andare spiritualmente, per così dire, a piedi, per poter entrare attraverso il portale della fede ed incontrare il Dio che è diverso dai nostri pregiudizi e dalle nostre opinioni: il Dio che si nasconde nell’umiltà di un bimbo appena nato. 

Celebriamo così la liturgia di questa Notte santa e rinunciamo a fissarci su ciò che è materiale, misurabile e toccabile. Lasciamoci rendere semplici da quel Dio che si manifesta al cuore diventato semplice. E preghiamo in quest’ora anzitutto anche per tutti coloro che devono vivere il Natale in povertà, nel dolore, nella condizione di migranti, affinché appaia loro un raggio della bontà di Dio; affinché tocchi loro e noi quella bontà che Dio, con la nascita del suo Figlio nella stalla, ha voluto portare nel mondo. Amen.

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