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PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 5 maggio 1965
Le vocazioni ecclesiastiche
Diletti Figli e Figlie!
Il nostro desiderio sarebbe di salutarvi ad uno ad uno! Questo è nell’aspirazione dell’affetto, che tende naturalmente al colloquio personale; questo è nell’ordine della carità, la quale, mentre si rivolge alla moltitudine e vuole a tutti arrivare e fare di tutti una cosa sola, non per questo dimentica che ciascuno è persona, e che ciascuno è degno del suo proprio esclusivo ed ineffabile rapporto della parola: cor ad cor loquitur - come diceva il Newman -: il cuore parla al cuore.
Veniva a Noi questo pensiero meditando il Vangelo della scorsa domenica, il Vangelo del Buon Pastore, che presentando questa bella immagine, che potremmo dire virgiliana, sembra assimilare a un branco di pecore i seguaci del Vangelo, mentre in questa similitudine di unità e di autorità, propria della comunità ecclesiale, subito è marcata la personale individualità del gregge cristiano, là dove il Pastore nota che intercorre una conoscenza particolare fra il Pastore stesso e le sue pecorelle, che distinguono la voce di Lui, il Quale - è una precisazione non solo descrittiva e poetica, ma profondamente psicologica e mistica - il Quale «le chiama ciascuna per nome: vocat nominatim» (Io. 10, 4).
Naturalmente questa misteriosa conversazione fra il Pastore ed ogni singola anima è una prerogativa esclusiva di Cristo, ben a ragione definito «Re e centro di ogni cuore», ma segna un aspetto, offre un esempio, stabilisce un principio della vita pastorale della Chiesa. Dobbiamo sempre ricordarci di questo: che cosa è la Chiesa? È la convocazione dei fedeli, è l’umanità chiamata a comporre il gregge di Cristo, o, con un’altra immagine estremamente espressiva e notissima, il Corpo mistico di Cristo. Il termine stesso di «Chiesa», s’è detto tante volte, vuole dire assemblea chiamata ad unirsi a Cristo ed in Cristo.
E il Nostro pensiero andava volgendosi al tema, che il Concilio ha posto in evidenza, del Popolo di Dio, ch’è appunto la grande comunità convocata da Dio nel suo disegno di salvezza e di elevazione soprannaturale, tramite il ministero apostolico. La voce di Dio che chiama si esprime in due modi, diversi, meravigliosi e convergenti : uno interiore, quello della grazia, quello dello Spirito Santo, quello ineffabile del fascino interiore che la «voce silenziosa» e potente del Signore esercita nelle insondabili profondità dell’anima umana; e uno esteriore, umano, sensibile, sociale, giuridico, concreto, quello del ministro qualificato della Parola di Dio, quello dell’Apostolo, quello della Gerarchia, strumento indispensabile, istituito e voluto da Cristo, come veicolo incaricato di tradurre in linguaggio sperimentabile il messaggio del Verbo e del precetto divino. Così insegna con San Paolo la dottrina cattolica: «Quomodo audient sine praedicante?. . . Fides ex auditu»: come potranno intendere senza uno che parli predicando? . . . la fede nasce dall’ascoltare (Rom. 10, 14 e 17).
Vi diciamo questo, Figli e Figlie, anche per un’altra ragione: domenica scorsa la Chiesa nostra, da qualche anno, fissa su questo stupendo ordine di pensieri teologici e spirituali un suo pensiero pastorale, diventato assillante, quello delle vocazioni, e per vocazioni qui si intendono le chiamate libere e privilegiate al totale servizio e all’unico amore di Cristo nei posti specificamente determinati dalla santa Chiesa. Sono le vocazioni ecclesiastiche, sono le vocazioni religiose. Sono quelle che palesano un’iniziativa, un desiderio, una aspettativa di Cristo. Perché Cristo chiama. Come agli Apostoli, da Lui eletti ed educati, Gesù ripete ancor oggi: vieni e seguimi. È il Pastore che viene a colloquio personale, intimo, sconvolgente forse ed avvincente: chiama per nome, «nominatim»: Te io chiamo!
Voi sapete che oggi, mentre da un lato cresce il bisogno di chi si consacri all’amore e al culto di Dio e all’amore e al servizio dei fratelli, diminuisce - in molte regioni della Chiesa, anche in quelle che un tempo erano le più fiorenti e fertili di anime generose e pure, votate al Vangelo - diminuisce il numero di questi volontari della Croce e della Gloria di Cristo. La Chiesa viene a trovarsi in una dolorosa e talora pungente condizione: quella d’avere dinanzi a sé il mondo aperto per la sua missione, un mondo che sembra insensibile e repulsivo, e che in realtà attende ed implora: vieni a soccorrerci, adiuva nos (cfr. Act. 16, 9) e non può; non può per mancanza di uomini e di donne, che abbiano accettato di darsi a Cristo e alla salvezza del mondo. Gesù stesso, voi ricordate, sperimentò questa pena, che doveva essere poi perenne nel cuore dei suoi apostoli: «La messe è molta ma gli operai sono pochi» (Matth. 9, 37).
E qui il lamento di Gesù, diletti Figli e Figlie, si fa Nostro! La sua chiamata viene alle Nostre labbra, e suona ora così: rifletta ognuno che ha la grazia, la somma fortuna, d’appartenere alla Chiesa, d’essere un chiamato, d’avere una sua «vocazione» cristiana; e rifletta chi nella coscienza di questa sublime, ma comune chiamata avvertisse un invito più diretto e più profondo, più esigente e più soave, se il Signore non voglia qualche cosa di più della comune fedeltà, non voglia tutto, non voglia quel sacrificio che sembra annientare chi lo accetta e che dà invece a lui la nuova pienezza promessa ai generosi; quel centuplo, che già fin da questa vita terrena conferisce un’intima felicità incomparabile. La vocazione è una grazia che non è di tutti; ma può essere ancor oggi di molti. Di molti giovani, forti e puri; di molte anime che hanno l’ansia della bellezza superiore della vita, l’ansia della perfezione, la passione della salvezza dei fratelli; di molti spiriti, che nella loro stessa timidità ed umiltà sentono scaturire la forza che rende tutto facile e tutto possibile: «Omnia possum in Eo qui me confortat»: tutto posso in Colui che mi sostiene (Phil. 4, 13).
Preghiamo che sia così. Forse qualcuno, che ora ode questa Nostra umile voce di fuori, sente di dentro la voce regale di Cristo?
Preghiamo che sia così: la Nostra Benedizione è per quanti «ascoltano la parola di Dio e la custodiscono» (Luc. 11, 28).