giovedì 19 ottobre 2017

NOVELLA AMENA DI UN VECCHIO SOLDATO DI NAPOLEONE I

NOVELLA AMENA DI UN VECCHIO SOLDATO DI NAPOLEONE I



INDEX
Capo I. I due amici.
Capo II. La confessione e le pratiche di pietà.
Capo III. L'indomani e la vittoria di tre nemici.
Varietà. Fatto contemporaneo. Breve cenno sulla vita e sul martirio di due cattolici Annamiti.
Indice



Capo I. I due amici.



            Era un giorno festivo, ed una moltitudine di giovanetti si trastullavano con piacevole ricreazione, quando sopravvenne una dirotta pioggia, che li costrinse tutti a rifugiarsi sotto ad un porticato che cingeva il giardino di ricreazione. Allora si radunarono tutti attorno ad un prete, e gli dissero: oggi la nostra ricreazione va fallita, voi solo potete farci stare allegri raccontandoci qualche bella storia. Ma qualche storia molto lunga, perchè la pioggia sembra voler compiere la giornata. {3 [227]}

            Sì, miei cari giovani, rispose il sacerdote, mi trattengo di buon grado con voi, ed ho molte cose a raccontarvi, tutte piacevoli, tutte curiose. La storiella che sono per raccontare certamente vi tornerà di vero gradimento. Io l'ho letta non è gran tempo in un piccolo libro; ascoltatela. Essa riguarda a due amici nominati uno Trombetta, l'altro Civile, ambidue di Normandia, che è un paese della Francia.

            Civile è uomo piccolo e quasi calvo, ha il naso lungo, la barba un po' rossa. Egli si leva al mattino, si corica alla sera, mangia tre volte al giorno, prende tabacco e ne perde la metà; ne offre a tutti e specialmente a suoi amici, perchè egli ha degli amici in gran quantità a cagione del suo carattere piacevole ed allegro.

            Egli va alla pesca dei gamberi e dei ranocchi, parla molto ed ha letto molto. Racconta con maraviglia la storia del passo del diavolo, storia sconosciuta a tutti i dotti, il che prova che i sapienti ignorano ancora qualche cosa. Civile non è ammogliato, {4 [228]} se ne consola assai, perchè ama la vita di buon garzone, e desidera di vivere senza fastidio. Ama di parlare famigliarmente e senza soggezione; il suo discorso è franco, pulito, ma sempre pieno di novità, spesso viene alle prese co' suoi amici, che non vedono le cose come lui; tuttavia lo vedono sempre di buon occhio. Per intimo amico ha un certo Trombetta, vecchio soldato in ritiro, vero bamboccio, ma di uno spirito giusto, franco e leale.

            Civile va alla messa ed alla predica; Trombetta ne fa di meno. Civile va a confessarsi; Trombetta trova che ciò è cosa fastidiosa. Questi vanta i libri di Voltaire e compagnia, quegli li rigetta. Tutti i giorni vengono a discorsi mordaci ed offensivi, e sono sempre amici inseparabili.

            Civile non sa tener la lingua a posto; Trombetta gli risponde senza riserva. Voi ne potrete giudicare dalla conversazione seguente.

            Trombetta. - Ho letto in un libro, in cui si dice che non vi è Dio, ed io sono di questo parere. {5 [229]}

            Civile. - Se tu avessi letto nel medesimo libro, che tu sei una bestia, lo crederesti tu? Io scommetto che no, e tu avresti ragione. Ma rispondimi: Donde viene un uovo?

            Tromb. - Ah! ah! questa è bella! Un uovo per provare che vi è un Dio? Un uovo viene da una gallina.

            Civ. - Donde viene la gallina?

            Tromb. - Oh che discorso mi fai! Sei veramente lepido! La gallina viene dall'uovo.

            Civ. - Esistette prima l'uovo o prima la gallina?

            Tromb. - Per Bacco. Cominciò ad esistere la gallina che ha fatto l'uovo.

            Civ. - Chi ha fatto la prima gallina?

            Tromb. - No, m'inganno, è l'uovo che ha cominciato ad esistere il primo.

            Civ. - Chi ha dunque creato il primo uovo?

            Tromb. - Il primo uovo l'ha creato ... l'ha ... l'ha

            Civ. - Eccoti nel sacco. Va finchè vuoi dall'uovo alla gallina, dalla gallina all'uovo, ma poi bisogna che tu {6 [230]} vada al Creatore che abbia creato o l'uovo o la gallina. Dimmi ancora: Chi ha fatto il cielo, la terra, il mare, tutto l'universo? Forse sarai più istrutto in queste cose?

            Tromb. - Per certo queste cose furono fatte ..., dal caso, tutto si è fatto di per sè.

            Civ. - Bel ragionamento! Che caso singolare! Sapresti chi ha fatto il tuo orologio?

            Tromb. - Bella questione? Egli è un orologiere.

            Civ. - Chi ha fatta la tua casa?

            Tromb. - L'ha fatta il muratore.

            Civ. - Chi ha fatto il tuo vestito?

            Tromb. – Eh ... Eh! L'ha fatto il sarto.

            Civ. - Tutti questi piccoli oggetti hanno bisogno di un artigiano, che ne disponga tutte le parti; e la massa immensa della terra, la vasta estensione delle acque, il cielo colle sue stelle luminose non avranno un Creatore? Bisogna proprio avere il cervello ammalato per osar solo a manifestar simili idee. E tu soldato dell'impero, {7 [231]} che diresti a chi ti assicurasse che le vittorie e le conquiste di Napoleone furono l'opera del caso, e che il suo genio, la sua presenza non ci entrarono per nulla?

            Tromb. - Io invierei costui al manicomio, perchè egli è uno stupido o un pazzo.

            Civ. - Ora dimmi: questo bell'universo, e queste stelle che risplendono, e questo mare sì maestoso, tutto ciò sarà effetto del caso e non avrà alcun autore? In buona coscienza puoi tu credere questa bestialità?

            Tromb. - Per verità io vedo, che non è tanto facile ad aggiustarsi tale affare. Ma vedi, negando quello che nego, io non ho più bisogno di religione, perche ti assicuro che la religione mi è molto incomoda, io la lascio volentieri alle donne.

            Civ. - Tu ti metti dunque superiore alle donne. Oh stranezza! La religione non è buona che per le donne: e perchè non lo sarà eziandio per gli uomini? Forse gli uomini sono esseri separati, creati da Dio per non {8 [232]} soggettarsi alla sua legge, per non rendergli l'onore che gli è dovuto? Forse Iddio ha fatto una legge per la donna, e non l'ha fatta pell'uomo? Forse egli disse alla donna: tu mi adorerai, ed all'uomo tu mi bestemmierai? Forse disse alla donna: osserva la mia legge, ed all'uomo: va a gettarti nel fango dei vizi? Simile linguaggio in un Essere perfetto e giusto non sarebbe la negazione di ogni perfezione e di ogni giustizia? Dunque Colui che ha fatto l'uomo e la donna, ha fatto eziandio una legge per l'uno e per l'altra: questa legge è la religione, e l'uno e l'altra la devono praticare.

            Tromb. - Tatà tatà, con questa tua lingua vuoi imbrogliarmi. Lascia adunque in disparte la religione; a me basta essere un uomo onesto.

            Civ. - Che gran filosofo sei tu mai! a me basta essere un uomo onesto! che cosa intendi per uomo onesto? Tu conosci il signor Lantì, che da sabato è in prigione. Egli dice che è un uomo onesto, e che non ha {9 [233]} rubato l'orologio di Carlo che gli fu trovato nella sua saccoccia. Tu conosci il giovane Ardicaro, che si vanta di aver commesso ogni specie di misfatto, digli adunque che non è un onest'uomo, egli ti caverà gli occhi. Chi adunque potrebbe far dire ad un ladro che non è un uomo onesto?

            Tromb. - Io non l'intendo così: Uomo onesto è colui che fa il suo dovere.

            Civ. - Ma un uomo che fa il suo dovere è colui che essendo mercante non vende con frode, colui che non ruba al suo vicino, colui che lavora in coscienza, e che non fa trequarti di giorno per un'intiera giornata.

            Ma colui che batte sua moglie o che la lascia morir di fame; colui che invece di lavorare il lunedì, come gli altri giorni, va a dissipar all'osteria ciò che ha guadagnato nel corso della settimana, e che priva così la sua famiglia del frutto del suo lavoro, fa egli il suo dovere? Rispondimi. E colui che cerca di recar danno al suo vicino, fargli perdere 1'onore e la {10 [234]} riputazione, colui che vanta il furto, il saccheggio, fa egli il suo dovere ? Colui che cerca di turbare la società, fa ciò che deve fare? Ciò non ostante quelli che agiscono così pretendono di essere uomini onesti. Ancor una cosa. Dirai tu onesto quel padre e quella madre di famiglia che non istruiscono i loro ragazzi, che loro non insegnano che vi è un Dio a conoscere amare e servire?

            Tromb. - Altolà tu mi fai una predica.

            Civ. - Ma infine dei conti dimmi se ho torto, e in qual cosa io l'abbia? Vedo bene che ti metto alle strette.

            Tromb. - Io non voglio dire che tu abbi torto, ma vorrei trovare un mezzo per togliermi d'impaccio la religione; essa è cosa assai incomoda, non è vero?

            Civ. - La religione è cosa incomoda. È presto detto vagamente, ma veniamo ai fatti. Tu mi conosci e sai certamente che io non sono il diavolo più malvagio.

            Tromb. - Ah questo è vero, l'ho {11 [235]} sempre detto: sebbene tu sia un divoto, tuttavia ti ho sempre conosciuto per un galantuomo.

            Civ. - Sebbene io sia un galantuomo, ho il mio carattere come un altro, i miei difetti come un altro e se io non avessi la religione sarei come un demonio. Tu dici che la religione è incomoda a praticarsi. Non voglio negartelo, ma la  contentezza di sapere che si compie un obbligo ricompensa di gran lunga la pena che si prova. Sai tu quando io sono allegro e contento? Egli è quando, avendo ricevuto qualche affronto, ho represso il movimento del mio braccio che si piegava con violenza sopra la faccia di colui, che mi aveva insultato. Egli è quando ho resistito a colui che mi voleva strascinare in luoghi cattivi per scialacquare il mio danaro, e perdere il mio onore. Egli è quando ho guadagnato la mia giornata al lunedì come gli altri giorni, senza averla spesa all'osteria. La qual cosa produce il doppio nella mia borsa, o caro amico! Egli è quando non ho {12 [236]} avuto rossore di andar alla Messa, di far magro al venerdì ed al sabbato.

            Tromb. - Oibò. Non è ciò che entra nel corpo che macchia l'anima.

            Civ. - Ecco un bel ragionamento: Veramente non è ciò che entra nel corpo che macchia l'anima; ma la disobbedienza alla legge, ecco il male. Quando un soldato disprezza la consegna ...

            Tromb. - Lo si mette in prigione.

            Civ. - Dunque la violazione della legge è un delitto, e come vi è una legge che comanda l'astinenza dal grasso in certi giorni, così il volerne usare è un rompere la legge, e per conseguenza rendersi colpevole.

            Tromb. - Affè che questo è vero, io mi sarei creduto un scellerato di fare la minima disobbedienza ai voleri di Napoleone. Comincio a vedere che non è da uomo onesto il dispregiare la legge di Dio. Se tu continui ancora qualche tempo i tuoi discorsi, tu finirai col farmi divoto, poichè, vedi, sotto alle vecchie carcasse di soldato {13 [237]} ho ancora un cuor buono, e un'anima che sente, ma ...

            Civ. – Ma ... ma ... ma che? ... io ti voglio stringere ben da vicino, rispondimi: Vi è un Dio?

            Tromb. - Per verità bisogna ben concederlo.

            Civ. - Ha egli creato tutto?

            Tromb. - Bisogna bene che sia lui il Creatore, perciocchè io non sarei capace di fare il piede d'una pulce, siccome neppure il può l'imperatore dei Turchi.

            Civ. - Se egli ha creato tutti, ha diritto di comandare a tutti?

            Tromb. - Certamente tocca al padrone di comandare.

            Civ. - Se egli può comandare, vale a dire, se può far delle leggi, bisognerà sottometterci?

            Tromb. - Credo di si; senza di ciò sarebbe inutile il farle.

            Civ. - Ebbene l'osservanza della legge forma il dovere d'ogni uomo; il disprezzo della legge forma il delitto. Ciò non ostante appartiene ai disegni della Sapienza divina di lasciare all'uomo {14 [238]} la libertà di sottomettersi; ma egli ha promessso al fedele osservatore una ricompensa, ed al violatore ostinato una punizione. Ti par cosa giusta?

            Tromb. - Ciò mi pare cosa assai ragionevole.

            Civ. - Or bene la ricompensa si chiama Cielo o una felicità senza fine dopo questa vita, e la punizione si chiama Inferno o un supplizio senza fine.

            Tromb. - L'Inferno, l'Inferno! Niuno è mai ritornato per dirci come sia fatto questo inferno.

            Civ. - Chi entra nell'inferno non esce mai più. Quindi anche tu se ci vai nemmeno ci potrai ritornare; egli è perciò che ti dico di guardarti bene dal cadervi. Tu hai concesso che vi è un Dio; chi dice Iddio, dice un essere perfetto, incapace d'ingannarci. Ora ascolta la sua parola: Alla fine del mondo allorchè giudicherà tutte le nazioni della terra dirà ai buoni: Venite, entrate nel gaudio eterno. Ai peccatori dirà: andate al fuoco eterno, donde {15 [239]} non si uscirà mai più. Ti paiono chiare queste parole?

            Tromb. - È tutto chiaro; anzi queste parole mi fanno paura. Ma Dio è troppo buono per condannare tanta gente all'inferno.

            Civ. - Ciò è vero; ma non è egli che condanna, sei tu medesimo. Egli ti ha data la libertà di obbedire alla sua legge o di dispregiarla; Egli ti ha avvertito, che se tu la osserverai, avrai in premio una ricompensa eterna; se tu non l'obbedirai, subirai un castigo eterno. Sei tu libero presentemente di scegliere e di prendere la strada che conduce ad una di queste due vite future? se tu scegli la strada dell'Inferno dispregiando le leggi di Dio, come vuoi tu pervenire alle porte del Cielo? È lo stesso come se tu volendo montare sopra il tuo granaio, tu prendessi la scala che mena in cantina. Vedi adunque chiaramente che non è Dio che ti condannerà, ma sono i tuoi peccati medesimi.

            Tromb. - Se fosse un Parroco che mi parlasse così, io direi che egli fa {16 [240]} il il suo mestiere; ma che papà Civile parli così, è cosa veramente strana.

            Civ. - E perchè ciò? Tu sai ch'io li amo, sebbene spesso non andiamo d'accordo; e quando un amico vede un altro amico prendere una strada che mena ad un precipizio non è egli in dovere di gridare: fermati che ti rompi il collo! Appunto perchè ti amo come un fratello, io ti parlo in questa guisa. Perciò vorrei vederti fortunato al presente e nella vita avvenire. Questa è vera fratellanza, almeno così la intendo io. Tu mi dici che avvisandoli di una falsa strada che tu prendi, un Parroco farebbe il suo mestiere. Tu converrai almeno che questo è un mestiere nobile qual si è quello di adoperarsi a procurare la felicità a' suoi fratelli. In questa maniera tu convieni che un prete è il migliore dei nostri amici, poichè egli passa la sua vita studiando i mezzi di renderci felici. Vedi come egli si adopera per istruire fanciulli, e qual cura egli si dà per insegnar loro la strada della vera felicità. Se noi siamo infermi, con quale sollecitudine non {17 [241]} corre egli verso di noi, comunque la malattia sia contagiosa o no! Vedi con quale zelo viene in soccorso del povero e del mendico! Quante lacrime egli non terge tutti i giorni! e ciò non ostante quale ne è spesso la ricompensa? il disprezzo e l'oltraggio!


Capo II. La confessione e le pratiche di pietà.



            Civ. - Questo prete, di cui parliamo, tu lo vedi a passare ore intiere al tribunale della Penitenza per riconciliarci con Dio ...

            Tromb. - Olà fermati! la confessione è stata istituita dai preti.

            Civ. - Taci, questa bestialità non è di tua invenzione, sta attento. È lungo tempo che gli empi hanno detto e dicono ciò, ma eglino hanno dimenticato di citare il nome del'prete o dei preti che avevano fatto questa scoperta; e dopo ciò quelli che hanno ripetuto questa medesima rancida frase, non hanno ancor potuto trovare il suo nome. Si {18 [242]} conosce il nome di tutti gli eretici, di tutti i novatori. Ella è cosa veramente particolare che solamente il prete inventore della confessione sia rimasto sconosciuto. A parlare schiettamente l'autore di questo ritrovato non ha inventato la polvere. Bisognerebbe convenire d'altronde che egli sia stato molto stupido quel prete a propagare una cosa così noiosa per lui, poichè lo obbliga a passare la metà della sua vita ascoltando le miserie del cuore umano, cosa certamente poco piacevole. Vi sono degli uomini più sapienti di Voltaire, dei nobili guerrieri, degli uomini illustri, e questi uomini hanno creduto alla confessione, si sono serviti della confessione; il medesimo vostro caporale, egli medesimo che non è un minchione, ne fa uso, e se ciò fosse stato un'invenzione umana, credi tu che eglino se ne sarebbero serviti?

            Tromb. - Pel mio caporale io rispondo bene.

            Civ. - Ed io rispondo per Voltaire medesimo, perciocchè egli credeva si poco che la confessione avesse avuto un {19 [243]} prete per autore, che egli è morto in disperazione perchè non potè ottenere che gli fosse mandato un confessore, che i suoi crudeli amici rifiutavano di lasciare entrare alle sue replicate istanze. Che dici tu di ciò? Rispondimi adunque.

            Tromb. - Per verità non è tanto facile il rispondere.

            Civ. - Ebbene io conosco l'inventore della confessione; Egli è Dio medesimo.

            Tromb. - E la prova?

            Civ. - Ah! una prova non sarà molto lunga. G. Cristo essendo comparso in mezzo a' suoi discepoli dopo la sua Risurrezione loro disse: Come il Padre mandò me, così io mando voi; ricevete lo Spirito Santo, i peccati sono rimessi a quelli a cui voi li rimetterete, e saranno ritenuti a quelli a cui voi li riterrete.

            Ti par ciò chiaro? Ora perchè i preti, successori degli Apostoli, possano sapere quando debbano rimettere o ritenere i peccati, bisogna che li conoscano; ma come possono conoscerli se {20 [244]} loro non sono manifestati per mezzo della Confessione? Tirate la conseguenza: dunque la confessione viene da Dio medesimo.

            Tromb. - Ma sì, questo va bene, però ... perciocchè ... a che serve la confessione?

            Civ. - Se tutti andassero come si deve a confessarsi, tu non avresti bisogno di chiudere la porta di tua casa a doppia chiave; perciocchè colui che va a confessarsi sa che vi è il male da evitare e per conseguenza sta lontano dal furto.

            Tu non avresti più a temere la frode nelle botteghe dove vai a comperare; nè temeresti più la vendetta del nemico, perciocchè se egli andasse a confessarsi, egli saprebbe che deve deporre il suo odio alla presenza di quel Dio che ha perdonato a' suoi medesimi carnefici dalla croce. Egli è già qualche cosa il non aver più a temere gli uomini perversi.

            A che serve la confessione? dici tu: va a farne la prova io credo che tu ne abbia alquanto bisogno. Vediamo {21 [245]} un poco: sei tu tranquillo con un peso come tu hai sulla coscienza? Deponi il tuo fardello e vedrai che da vizioso come tu sei, tu diventerai buono e virtuoso, e l'allegrezza ritornerà nell'anima tua. La confessione t'insegnerà a correggere il vizio e praticare la virtù. Ella ti insegnerà a conservare la pace del cuore; ti farà diventare l'amico di Dio, ti preparerà a comparire dinanzi al tuo Giudice al fine della tua vita. La confessione è il più grande benefizio della Provvidenza. Dio prevedeva che l'uomo sarebbesi abusato della libertà che egli ci ha donato di scegliere o il bène od il male. Egli non ha voluto che sbagliata la strada fossimo perduti senza speranza di rimetterci per la strada del Cielo. Ha voluto lasciarci una tavola dopo il naufragio; ha voluto, ad una semplice confessione accompagnata da pentimento, accordare un generoso perdono, e la reintegrazione nella sua amicizia; Egli ha voluto lasciarci un mezzo per rimetterci sulla strada che conduce alla felicità dopo di aver battuto quella che {22 [246]} mena al precipizio. Ora vedi tu a che serva la confessione?

            Tromb. - Ma io conosco uno che si confessa e non diventa migliore.

            Civ. - Ciò è colpa sua e non colpa della confessione. Perchè taluno abusa del vino è egli una ragione che il vino vale niente? È poi vero realmente che taluno si confessi e non diventi migliore? Io potrei negartelo, ma esaminiamo insieme. In costui, per esempio, tu vedi atti di collera, egli va a confessarsi e non diventa migliore; ma prima di giudicare così sarebbe stato mestieri osservare gli sforzi che egli ha fatto per reprimere i nuovi atti di collera, tu vedrai che se prima cadeva come dieci, dopo cade come uno: Non è questo un miglioramento?

            Un tale bestemmia tutti i giorni, dopo la confessione ricade una volta nel medesimo peccato durante una settimana od un mese: non è egli divenuto migliore? Come tu ben vedi invece di 30 bestemmie egli ne ha una sola.

            Io potrei passare a rassegna tutti i difetti di quel tale, e provarti che se {23 [247]} gli sfugge una colpa, che ti fa gettare tante grida egli certamente avrà fatto qualche sforzo per emendarsi, e sarà eziandio diminuito il numero de' suoi peccati.

            Il tuo discorso non ha fondamento di ragione. La confessione non rende l'uomo impeccabile, essa diminuisce poco a poco i peccati, e poco a poco mediante un uso frequente li distrugge.

            Tu che parli così cavallerescamente, dove andrai tu a cercare un uomo probo, integro, un marito fedele? Certamente tra quelli che si vanno a confessare. In qual classe di persone collocherai tu un ladro, un crapulone, una donna infedele? certamente fra le persone che non vanno a confessarsi. E nell'applicazione vorresti tu vecchio empio come sei, vorresti tu una moglie che non vada a confessarsi? Certamente che no; e perchè ciò? Lo so ben io il perchè: perchè tu sei persuaso che la confessione contribuirà moltissimo a preservare tua moglie da certi delitti che in caso contrario avresti molto a temere. {24 [248]}
Tromb. - Debbo assicurarti nella mia franchezza di vecchio soldato, che le tue ragioni mi paiono giuste: ma io non ho bisogno di confessarmi; io non ho nè ucciso, nè rubato, nè fatto torto ad alcuno.

            Civ. - Ci sono solamente questi tre delitti al mondo? tu mi hai conceduto che Dio aveva fatto delle leggi e che bisognava sottometterci a quelle.

            Tromb. - Ciò è vero.

            Civ. - Ebbene la prima legge di Dio è di adorarlo. Come stai tu su questo punto? Lo preghi, lo ringrazi, lo adori? Il 2° comando proibisce di nominarlo invano. Che te ne pare di questo precetto, tu vecchio bizzarro che hai sempre il nome di Dio sulle labbra per nominarlo invano, quando non lo bestemmii? Il 3° comanda di santificare le feste. Vai tu alla messa, alla predica, ai vespri, e quando ci vai lo fai per pregare o forse con qualche cattiva intenzione. Il 4° precetto comanda di onorare e ubbidire al padre, alla madre ed agli altri superiori; non avrai forse avuto tu occasione di disobbedire {25 [249]} al tuo vecchio padre o alla tua madre? Il 5° proibisce l'omicidio. Tu hai detto che non hai nè ucciso nè rubato; ma non hai forse tu ucciso l'anima di qualche giovanetto con qualche cattivo discorso, con qualche cattivo consiglio? Non rubasti forse l'onore e la riputazione del tuo prossimo? Se noi facciamo ancora passare a rassegna tutti gli altri precetti della divina legge avvi il 6° che comanda la castità e la modestia; il 7° che comanda di non toccare la roba altrui; l'8° che proibisce la bugia ed il falso testimonio. Ci sono ancora i precetti della Chiesa, e i vizi capitali. Potrai ancor tu asserire d'aver nulla da confessare?

            Tromb. - Mio caro Civile, tu mi sbalordisci, hai ragione. Ma i divoti non sono migliori degli altri.

            Civ. - Intendiamoci: i falsi divoti, gl'ipocriti, quelli che hanno l'aria senza la canzone, te lo concedo; ma che un vero divoto non sia migliore d'un altro, io te lo nego formalmente, e tu stesso ne sarai giudice severissimo. Tu osserverai le più piccole sue azioni; ciò che {26 [250]} appresso di te pare una gentilezza ti sembrerà un mostro presso di lui. Tu ravvisi un'imperfezione che sfugge quasi necessariamente alla fragilità umana, e tu non vedi come la religione gli faccia vincere altri gravi difetti. La religione non distrugge i peccati tutto ad un colpo, essa li diminuisce a poco a poco. Vedi il nostro amico Carlo; tu lo conoscevi quando era giovane, egli era un vero diavolo, e dopo che è divenuto buon cristiano, che gran cangiamento! Va ancora con uomini cattivi? è forse di continuo arrabbiato? Dacchè egli non spende più il suo danaro all'osteria, e lo mette nella sua casa, vedi quanto la sua moglie è fortunata, mentre che ella può dar pane a' suoi ragazzi, e far onore agli affari di sua famiglia.

            Tromb. - Ciò è vero, poichè tu e lui siete due buoni fanciulli, e se tutti i divoti fossero tali ...

            Civ. - Se tu conoscessi i veri divoti, come conosci noi, vedresti che coloro i quali tu chiami veri buoni fanciulli, vedresti che tali sono divenuti per la {27 [251]} Religione, per quella Religione che io vorrei farti praticare.

            Tromb. - Io non ho il tempo, è troppo difficile, d'altronde non voglio diventar bigotto.

            Civ. - Eccoti del serio e del comico! Tu non hai tempo! Hai tempo di mangiare?

            Tromb. - Che vai tu dicendo? chi non mangia non vive.

            Civ. - Hai tempo per andare a fare la tua partita di quando in quando all'osteria?

            Tromb. - È questo il mio piacere.

            Civ. - Potresti tu farne a meno?

            Tromb. - Potrei farne a meno certamente qualora ne fosse il caso.

            Civ. - Dunque tu hai un tempo che potresti impiegare in pratiche religiose. È troppo difficile: tu dici, ma questa parola non è italiana, nè degna di un soldato. Il soldato quando vuole può. Io ti provo che tu perdi la ragione.

            Tromb. - Vediamo.

            Civ. - Hai tu fatta la tua prima comunione?

            Tromb. - Si l'ho fatta, e dopo? {28 [252]}

            Civ. - Trovavi tu la religione difficile a quell'epoca?

            Tromb. - Io non ci pensava.

            Civ. - Gli anni che seguivano e ne' quali tu osservavi le leggi di Dio, quali difficoltà incontravi tu?

            Tromb. - Nissuna, le cose andavano da loro medesime.

            Civ. - E perchè ora, se tu vuoi, non potrebbe essere egualmente così? Forsechè la religione ha cangiato dopo la tua giovinezza. Non ci sono le medesime leggi da osservare, i medesimi vizi da fuggire? E due.

            Tu non vuoi diventar bigotto; tu hai ragione perchè coloro che tu chiami con tal nome non hanno che l'esteriore di religione e non si appigliano che a pratiche le quali non hanno che l'apparenza di religione. Ma osservare i comandamenti, fare la preghiera del mattino e della sera; andare alla Messa alla predica ed ai vespri la Domenica, confessarsi, amare i suoi fratelli, rendere loro servigio e simili, diresti tu essere ciò un bigottismo? Ecco ciò che tu facevi essendo giovine; ti credevi {29 [253]} forse un bigotto in quel tempo? e tre.

            Tromb. - Io non mi sono mai creduto un bigotto anche quando io praticava la religione, ma ora io sarei posto in burla.

            Civ. - Tu non hai paura di essere burlato ora che vivi come un cane, e tu temi di essere burlato se tu fai il contrario; ma sei tu dunque ...? E quando si ridesse di te, cesseresti tu di essere ciò che sei, il bravo Trombetta, il re dei galantuomini?

            Tromb. - No, per fede mia.

            Civ. - E tu coraggioso come sei ti spaventi di alcune dicerie; una parola, un ridere sardonico ti allontanerà dal tuo dovere!! tu che sei stato soldato?

            Tromb. - Si, parola d'onore e me ne vanto.

            Civ. - Arrossiresti tu di osservare la consegna?

            Tromb. - Per chi mi prendi tu? (Egli si alza tutto infiammato di collera).

            Civ. - Non offenderti, io sono contento di vederti prendere il serio per la consegna di soldato, e tu avrai poi {30 [254]} vergogna di osservare la consegna di Dio?

            Tromb. - Hai ragione, l'arrossire è cosa indegna d'un soldato.

            Civ. - Alla buon'ora.

            Tromb. - Ma io non voglio far il singolare, bisogna fare come gli altri.

            Civ. - Ma sciagurato! Far il suo dovere, osservare la legge, obbedire alla sua consegna, sarà forse fare l'uomo singolare? Vediamo, che hai tu a rispondere?

            Tromb. - Bisogna fare come gli altri.

            Civ. - Se gli altri fanno delle bestialità, è questa una ragione per farne anche tu? Perchè gli altri si avviano per una falsa strada, è questa una ragione per cui tu li debba seguire? Se gli altri rubano, maledicono, perdono il lor onore, il lor danaro, la riputazione, bisogna fare come essi fanno? Se tu hai veduto i tuoi compagni voltar le spalle al nemico, avresti tu detto: bisogna fare come gli altri?

            Tromb. - Ah no certo! per mille bombe non avrei ciò fatto.

            Civ. - Soldato di Francia, tu ti saresti {31 [255]} regolato degnamente, e come soldato di Dio tu vuoi voltare le spalle? Ti par cosa da valoroso?

            Tromb. - Bene! Hai ragione, io son giusto con tutti, e concedo una cosa quando mi par vera; ma bisogna che passi la gioventù! Sebbene io sia vecchio, io ripeto ancora questo antico proverbio.

            Civ. - Che passi la gioventù nel disordine, è ciò che vuoi dire? A bere a ubbriacarsi, a disonorarsi, a far debiti; questa è una bella gioventù. Forsechè la legge di Dio non obbliga in ogni tempo, e nella gioventù, e nell'età matura, e nella vecchiaia? Forsechè la legge di Dio cangia secondo l'età della vita?

            Tromb. - Per verità il mio buon senso mi obbliga di confessare che tu non hai torto.

            Civ. - Se non ho torto, dunque io ho ragione, e se io ho ragione, tu hai torto di non seguitare la strada che io t'insegno e che tu seguivi altre volte.

            Tromb. - Ciò, verrà, e lo farò più {32 [256]} tardi; certamente non voglio morire senza Confessione.

            Civ. - Soldato della patria, rimetterai tu gli ordini del tuo capitano al più tardi?

            Tromb. - Ciò potrei farlo, ma la prigione mi aspetterebbe! ...

            Civ. - Soldato di Dio, tu disprezzi la sua consegna; perchè egli è buono, e non punisce immediatamente, tu gli rispondi: più tardi! Ma chi ti ha promesso questo più tardi? Il nostro amico Luigi diceva come tu, ed un colpo di piede di cavallo l'ha tolto di vita prima che il suo più tardi venisse.

            Tromb. - Ah! ciò è vero; il povero diavolo! Che sventura per la sua famiglia!

            Civ. - E per lui, la sua anima era preparata a comparir davanti a Dio?

            Tromb. - Affè egli era come sono io un po' bamboccio.

            Civ. - E se Iddio ti mandasse una morte repentina, quando faresti la confessione che tu rimandi al più tardi?

            Se questa notte Dio richiamasse l'anima tua, saresti tu preparato? Sei {33 [257]} sicuro di aver un anno, un giorno, un minuto solamente? Dio non ci ha forse avvisati di tenerci sempre preparati, assicurandoci che sarebbe venuto al momento, in cui meno ci avremmo pensato? E se egli venisse prima che giugnesse il tuo più tardi? ...

            Tromb. - Ti assicuro che quanto hai detto finora mi sembra giusto, e se io non temessi di essere chiamato Pulcinella ...

            Civ. - Come, tu, vecchio soldato, tu hai saputo affrontar le palle del nemico, ed ora temi un motteggio? Questo motteggio incatenerà la tua libertà e ti farà indietreggiare? E tu sei Francese, e porti la decorazione de' valorosi!

            Tromb. - Tu mi fai bollire il sangue nelle vene, corpo di Napoleone, io vile! Sì io lo sarei, lo vedo benissimo, se un motteggio mi facesse temere. Io mi dilettava di sentire il rimbombo dei cannoni, e il fischio delle palle intorno le mie orecchie ... Tu mi prendi per l'onore, ed io ...

            Civ. - Io ti prendo pel sentimento che deve animar ogni uomo, e il ricco e {34 [258]} il povero, il contadino e l'abitante delle città, ogni francese. L'onore chiama al dovere, e il dovere chiama all'ubbidienza alle leggi di Dio ed alle leggi del governo.

            Tromb. - Orsù, è abbastanza fatto, la croce che brilla sul mio petto resterà senza macchia; io non ho mai dato indietro in vita mia, nè comincerò oggi dinanzi ad un nuovo dovere che tu mi hai fatto veder chiaro come li luce del giorno. Io ho cuore e volontà. Conosci tu un buon diavolo d'un Curato?

            Civ. - Non saprei sceglierne un migliore del nostro.

            Tromb. - Ebbene quando ci andrò?

            Civ. - Questa sera.

            Tromb. - È inteso per questa sera; io amo la puntualità negli affari. Domani avrai di mie notizie.


Capo III. L'indomani e la vittoria di tre nemici.



            Quel buon sacerdote voleva differir il termine del racconto per altra domenica, ma quei giovanetti erano talmente {35 [259]} ansiosi di sapere il risultato di Trombetta, che niuno si muoveva di posto. - Giacchè, diceva il prete, vi vedo così attenti, voglio appagare questo vostro desiderio, e terminarvi la storia dei due amici. - Il giorno seguente Trombetta si recò con premura dal solito amico, e come fu in casa sua prese a parlar così:

            Tromb. - In fede mia io sono fuor di me per contentezza.

            Civ. - Raccontami, come andò la cosa, come fosti accolto?

            Tromb. - Fedele alla mia promessa ieri ho veduto il tuo Curato; parola d'onore che io non mi aspettava una si amabile accoglienza. Mi sono presentato a lui, e nella semplicità del linguaggio gli dissi: Signor Curato, io vorrei confessarmi, io non so bene nè dove cominciare, nè dove finire, io mi affido a voi. Allora ecco che mi salta al collo, e mi colma di segni d'amicizia. Io era coperto di rossore. Ho cominciato senza sapere, egli mi ha fatto star seduto durante più della metà di mia confessione; mi ha dato una {36 [260]} norma da seguire per un altro giorno. Avrei bensì alcune riforme a fare, alcune abitudini a superare, ma gliene ho promesso il sacrifizio, e parola d'onore gli terrò la promessa.

            Ti dico schiettamente che ora vedo che le ragioni che io dava per dispensarmi dalla pratica della confessione non erano che boria e studiate maniere di rifiutare o di non eseguire ciò che ripugna alquanto. Qualche volta si vorrebbe effettuare, ma è sempre il primo passo che costa molto, perciò si rimanda sempre la cosa all'indomani. Ciò è simile alla condotta del parrucchiere che oggi fa la barba per danaro e dimani per niente, e quel domani non viene mai. Egli è per evitare le importunità che ho detto: Andiamo senza dilazione, avanti, corriamo! Io sono contento come un re. Fede di galantuomo, tu sei un buon diavolo, e un vero amico; io ti stringo la mano di tutto cuore.

            Civ. - Questa è la fratellanza a foggia di papà Civile. Se tu la trovi di tuo gusto mettila in pratica verso {37 [261]} alcuni vecchi compagni tuoi amici. Fa d'indurli a darti parola, mandali dal signor Curato, eh! viva Iddio buono! Saranno tutti contenti.

            Tromb. - Sii tranquillo, io sono troppo contento per non far loro conoscere la cagione della mia gioja. Bisogna che io procuri di farne loro gustare una parte.

            A tali parole quei giovanetti esclamarono: Trombetta è poi sempre stato fedele alle promesse?

            Voi ne giudicherete, disse il prete, dopochè avrete udito l'aneddoto seguente.

            Volendo Trombetta metter in pratica quanto aveva promesso in riguardo ai suoi amici, acconsentì di andar seco loro ad un pranzo. Sempre sciolto nel suo parlare, e diffidente di nissuno Trombetta si arrende all'invito. Si comincia il pranzo con allegria; si parla di cose indifferenti; poco a poco la conversazione cade sopra cose di religione; si parla dei divoti, dei bigotti e dei pulcinella. Ciascuno lancia il suo scherzo, la sua millanteria. Le smascellate {38 [262]} risa riempiono la sala e si succedono senza interruzioni. Trombetta solo si tace. Intanto il sangue comincia andargli nella faccia, di poi impallidisce, di poi rosseggia di nuovo. Che fare contro a tanti spensierati, tutti contro di lui?

            Tutto ad un tratto la serenità risplende ne' suoi occhi: Voi avete ragione, o compagni; abbasso i bigotti, abbasso i falsi divoti. Bravo, bravo, esclamarono tutti! Alla salute del bravo Trombetta. Evviva l'allegria!

            Tromb. - Oh altolà, amici, ciò non è tutto. Se vi è tra di noi un falso divoto, un bigotto, o un impostore, non vi sono qui per lui che due uscite, o la porta o la finestra.

            A queste risentite parole proferite da una voce forte e decisa con aria minacciosa, quegli amici sconcertati si tacquero, e non sapevano più con qual piede camminare. Forse Trombetta ride? Usa gentilezze? Egli è forse animato dai sentimenti che i suoi gesti e la sua voce annunziano?

            Trombetta volendoli cavar tutti d'imbroglio, {39 [263]} va bene, dice tra se stesso, se io avessi avuto l'aria di far loro riverenza, il mio affare era spedito: sembrava che io burlassi; ciò è curioso; mi servirà di regola per altra volta. Olà, miei amici, forse abbiamo tutti perduta la lingua?

            In questo momento due convitati escono insieme per andar a prendere alcune bottiglie; di poi entrano cantando canzoni di allegria: la bottiglia è il mio Signore, - a lei, dono tutto il cuore. - Ogni affetto a lei sarà. Cantando in questa maniera andavano saltellando per la sala.

            Tromb. - Grazie, miei amici, loro disse, oggi abbiam bevuto abbastanza, il resto un altro giorno ...

            Le risa beffarde ricominciano, i bisbigli moltiplicano. Uno de' più araiti si alza. Orsù facciamo un brindisi a nostro torno: alla salute degli amici!

            Sì, sì, sì, alla salute degli amici, grida papà Trombetta, che avea fatto empire il suo bicchiere fino all'orlo.

            Bene, dissero gli altri, noi gli teniamo il bicchiere. Intanto si portano {40 [264]} più fiaschi: le bottiglie spariscono in un baleno; i bicchieri si rinnovano ad ogni momento, ma quello di papà Trombetta è sempre pieno e non mai vuoto. Intanto egli ride e facezia più forte degli altri.

            I convitati vedendo la sua astinenza continuata, non sanno a qual partito appigliarsi per giungere a sommergere nel vino la ragione del vecchio militare, colui che altre volte con tutta facilità si lasciava mettere in ciampanelle.

            Chi sa dove sia andato, con chi abbia parlato questo vecchio bamboccio? Com'è possibile, egli altre volte sì debole per una bottiglia, ora egli è si costante e sì forte contro di essi?

            Coraggio, dissero tra di loro, il caffè è il suo Dio: andiamolo a prendere colà. Si recano le tazze e si riempiono. Trombetta accetta con piacere la sua tazza, ma tuttociò non è ancora l'affare dei congiurati. Trombetta si accorge delle loro trame; e per compiacenza non ne beve che alcune gocciole. Gli amici vedendo il caffè nel piattello {41 [265]} ordinario, facendo la cosa con molta riservatezza, passano a servire con ogni sorta di liquori, specialmente di quelli che sapeano tornare di maggior gusto al nostro militare; ma egli se ne lascia versare in piccola quantità nel bicchierino, e senza gustarne ride e parla di tutt'altra cosa.

            Costretto come un povero diavolo ad essere vinto da un divoto, e senza aver parola a dire, il più coraggioso della brigata va gridando: Orsù, vecchio valoroso, bisogna bere con me, altrimenti ti spezzo la pipa. Oh, oh! dice tranquillamente Trombetta, va dunque a sederti, e non incommodarti per sì piccolo affare.

            - Ah ! Credi forse che io burli? Eccoti una prova del contrario; e ciò dicendo gli lancia un forte pugno sopra la faccia.

            Trombetta agile come un fulmine si alza, si slancia sopra il suo aggressore, e con una mano gagliarda lo prostra a terra, e mettendogli il piede sopra la gola, si dispone a fargli passare un quarto d'ora in quell'atteggiamento: {42 [266]} allorchè ricordandosi che egli era Cristiano, e che perciò egli doveva perdonare: Basta, gli dice, io potrei fiaccarti come una mela cotta, ma alzati, io ti perdono.

            Dammi la mano, gli dice il suo avversario, tu sei un buon ...

            Bravo, bravo, si grida da tutte parti.

            Da questo momento tutto è finito; Trombetta senza boria e senza ostentazione aveva dimostrato ciò che egli era, e che niuna cosa avrebbe potuto fargli cangiare risoluzione. Allora fu lasciato tranquillo, lo amarono, e lo stimarono più che prima.

            Ecco là un uomo forte, si andava dicendo, il quale non ha pelo sulla lingua, e che va francamente pei fatti suoi. Diffatto in questo giorno Trombetta aveva saputo vincere tre vizi capitali: il rispetto umano, non lasciandosi abbattere dagli schiamazzi de' suoi amici; l'ubbriachezza, non cedendo alle istanze importune de' suoi compagni malgrado le antiche sue abitudini, la vendetta, perdonando generosamente e di buon cuore un insulto {43 [267]} grossolano, di cui poteva a suo arbitrio vendicarsi.

            Dopo una giornata di vivi combattimenti contro alle antiche sue abitudini entrato egli in se stesso andavasi dimandando: io altre volte così debole, donde mi è venuta la forza, di cui oggi ho fatta prova? Dio solo, egli diceva, Dio solo è capace di questo prodigio. In questa maniera egli ringraziava Iddio colla fervorosa preghiera della sera dei favori segnalati concessigli in quella giornata, supplicandolo di continuargli l'efficace sua assistenza in tutte le circostanze, in cui egli avrebbe avuto bisogno di soccorso.

            Così e colla preghiera e col soccorso della grazia di Dio egli riformò a poco a poco le sue cattive inclinazioni, e seppe far tacere i suoi antichi nemici, e colla energia del suo carattere giunse a vincere la colpevole abitudine del bere eccessivamente, e perdere il suo tempo all'osteria. Nulla fu cangiato nelle sue occupazioni ordinarie: ciò che faceva prima, continuò a farlo dipoi, solamente migliorò i suoi costumi. {44 [268]} Per esempio, miratelo in chiesa, sapendo che è alla presenza di Dio, egli dice tra se stesso: se io fossi alla presenza dell'Imperatore, certamente non farei il buffone, e se io avessi bisogno di qualche cosa, non ometterei l'occasione per dimandarla. Con questi pensieri sia che assista alla messa, sia che faccia le sue preghiere ordinarie egli vuol far tutto coll'attenzione possibile. Pregare senza pensarci è lo stesso, egli diceva, come se io pronunziassi alla rinfusa fucile, bollito, lanterna.

            Se egli riceve un insulto, vivo come la polvere, l'ira gl'infiamma il volto; ma fermo come una colonna, egli richiama alla memoria la promessa fatta, e lo perdona.

            Se egli sente una lingua malvagia a dir male di questo o di quell'altro, egli impone silenzio, o se sono superiori che parlano, egli si tace, strofina le sopracciglia, frega i baffi, o volge ad altro la conversazione. È forse invitato a bere? Si arrende quando non può far altrimenti, ma quando eccede {45 [269]} il necessario, è finita per lui, nissuno è capace di fargli inghiottire un bicchiere di più.

            Nemmeno pensatevi, che egli lasci uscire dalla sua bocca una parola sconcia, o canzoni disoneste; egli sa che il padrone, il quale comanda, ha gli occhi per vedere, le orecchie per udire; egli non vede che la fatta promessa, e si astiene dalle parole equivoche e da espressioni meno oneste.

            Voi fareste più facilmente camminare una mosca colla briglia, che fargli mancare alla legge di astinenza. Se le istanze di quei tali che altre volte, egli chiamava suoi amici, gli fanno montare la senapa al naso, io non sono adunque più un uomo, dice tra se stesso! Forse in tutta mia vita io ebbi più timore d'un archibugio che della mitraglia? E un riso beffardo mi farà paura? Coraggio, la mia decorazione non sarà portata da un codardo. Viva la promessa.

            Se egli prova difficoltà nella pratica delle virtù, egli sa che nulla avvi senza pena. I suoi colpi di spada, e le palle {46 [270]} alloggiate nella sua carcassa, come egli dice, senza biglietto d'alloggio, gli ricordano che la croce la quale brilla sul suo petto non si ottiene senza dure e pericolose fatiche. E certamente la compagnia eterna dei rimorsi e del fuoco da una parte, di una felicità senza fine nell'altra meritano al certo di rifletterci due volte, e dovrebbero senza difficoltà esserci di stimolo a soffrire qualsiasi pena della presente vita e superare tutti gli ostacoli che si incontrano nella pratica della legge di Dio, e le stupide ironie di quelli che sono abbastanza vili per abbandonare le fatte promesse.

            Fategli dunque dire una parola contro la verità, egli ha il massimo disprezzo per colui che ha la viltà di tradire il suo pensiero. Nè credetevi che egli sia perciò austero, od abbia la faccia lunga un metro; al contrario è d'una gajezza particolare, racconta storielle da farvi tener le coste pel ridere. Se voi lo andate a vedere, siate certi che vi offrirà un buon bicchiere di vino, facendovi vedere il suo bel {47 [271]} Napoleone. Ma senza soggezione alcuna egli vi mostrerà anche il suo bel crocifisso, e la sua bella immagine della Santissima Vergine.

            Un giorno fra le altre cose diceva ad un suo amico: papà Civile è un amico prezioso. Senza quest'uomo io resterei nell'abisso di Satanasso. Peccato che una natura così buona, così forte, e così energica, non possa rendersi comune a tutti gli uomini del mondo.

            Ecco ciò che vale la scelta d'un amico, non di quelli che vi stanno appresso e vi ascoltano finchè avete danari nella borsa, ma di quelli che voi siete sicuri di trovare fedeli in ogni condizione della vostra vita sia felice sia sventurata, poichè un vero amico deve amare il suo amico e pel presente e per l'avvenire: questa è la vera fratellanza.

            Miei cari giovani, se voi troverete qualche moralità nascosta in questa storia, sappiatevene approfittare. L'avere cattivi amici è un gran male, chi può avere un vero amico egli ha un tesoro. {48 [272]}


Varietà. Fatto contemporaneo. Breve cenno sulla vita e sul martirio di due cattolici Annamiti.



            Nella Cocincina l'anno 1859 mentre le armi francesi e spagnuole combattevano vittoriosamente per l'umanità contro quei barbari persecutori della civiltà e del cattolicismo parecchi cristiani soffrirono intrepidi il martirio. Di due fra questi abbiamo i particolari in una relazione scritta da un missionario per ordine del suo vescovo e dal medesimo approvata. Questi due campioni della fede sono il sacerdote Pietro Qui ed Emanuele Phung.

            Pietro ne' suoi primi anni di studio si fece ammirare e lodare dai vescovi e missionarii per la sua pietà e pel suo senno. Era eccellente musico e si {49 [273]} compiaceva di cantare le glorie di Maria per cui aveva tenerissima predilezione. «Maria mia Madre, ah! quanto ti amo.» Scriveva un giorno nella sua ingenua schiettezza figliale. Fu ordinato sacerdote il mese di settembre del 1858 in età di circa trent'anni. Fatto sacerdote il suo zelo per la salute delle anime sembrava non aver limiti, ed il suo desiderio pel martirio era grande come può rilevarsi da quel che scrisse ad un missionario in risposta all'avviso datogli di non esporsi senza profitto ai pericoli: «È vero, Padre, io sono circondato da molti pericoli, ma Dio non vuole ancora che io cada nelle mani del nemico; i miei peccati ne sono senza fallo la cagione ed io mi vedo privo del bene di patire pel suo nome. Giova sottomettersi. Nostro Signore fu caricato della croce; perchè non posso io essere caricato della canga[1] e della catena? Ma non sono per anche degno d'andar fregiato {50 [274]} di tali insegne.» Egli ardeva di desiderio di esser martire e l'ha lasciato scritto con note di musica unite alle seguenti espressioni che egli cantava; «Perchè non avrò io la lieta sorte di combattere e morire per la gloria di Dio? Siami la catena una collana preziosa! ed il ferro braccialetti alle mani! Ahimè, i miei compagni ottengono la palma ed io solo rimango qua come una sentinella dimenticata! O mio Dio, fate dunque che io sia martire!»

            La sua brama che ognor più infiammavasi all'udire le torture dei compagni non andò molto che fu contentata. Egli infatti venne arrestato nella notte del 7 gennaio nella casa del gran catechista Emanuele Phung.

            Avrebbe forse potuto fuggire perchè all'aspetto suo di giovanetto niuno l'avrebbe creduto sacerdote, ma preferì di restare al pericolo per soccorrere quelli che erano in punto di cadere nelle mani degli inimici. Pietro Qui carico di enorme canga fu condotto alla prefettura dove il governatore gli offerse la libertà se voleva apostatare; ma il {51 [275]} giovine sacerdote sdegnato santamente rispose con intrepidezza: Sappiate, o gran Mandarino, essere omai inutile farmi cotali proposte; mi lascierei, anzichè consentirvi, mettere in pezzi.» Il suo cuore lu straziato quando seppe che alcuni de' suoi trentadue compagni per paura cedettero. Avrebbe voluto confortarli, ma il governatore conosciuti i veri ed i falsi campioni della fede avevali disgiunti, chiudendo nella gran carcere dei delinquenti quelli di cui non aveva speranza di vincere la costanza. Varii interrogatorii subì il giovane sacerdote, ma fu sempre assistito dallo Spirito Santo nelle sue risposte. Nei sette mesi di carcere dura che sofferse fu l'esempio, la guida, il sostegno di dieci altri confessori della fede suoi compagni di prigionia, ed ebbe la consolazione di rilevarne due dalla caduta nell'apostasia, i qual con intrepidezza poi sostennero la loro parte della croce del Salvatore.

            Fra i dieci compagni di Pietro Qui eravi il grande catechista Emanuele Phung. Egli era in età di 62 anni ed {52 [276]} aveva una numerosa famiglia e senza essere letterato poteva stare a fronte di qualsivoglia dotto. Era d'indole stabile, di portamento altero, di tuono alto; al vederlo l'avresti detto un generale d'armata. La sua gran fede poteva sola raddolcire l'aspro suo carattere e ciò nondimeno era da tutti rispettato senza eccettuare i pagani. Anche il vice prefetto ed il capo di circondario avevano sempre dovuto chiudere gli occhi davanti la propaganda religiosa di cui era l'anima da 14 anni non solo nel suo villaggio, ma nei dintorni ancora. Cavaliere senza paura, confidandosi in Dio ed anche un poco nel suo saper fare le cose, non ha temuto di fabbricare intorno alla propria casa la più bella chiesa della contrada, un convento delle figlie di Maria, una casa pel Missionario ed un collegio. Non ignorava a qual pericolo l'esponesse tutto quel pio contrabbando epperciò vegliava continuamente. Chi sa quante volte egli protesse il missionario nel suo nascondiglio e le suore nel loro convento? Era di una calma e coraggio {53 [277]} incomparabile, quando tutti tremavano al primo segno d'allarme egli solo restava impavido e dava cuore a' suoi. Animato da straordinario zelo pel culto esteriore e non potendo mostrare in pubblico il suo ospite Europeo, avrebbe voluto avere sempre nella propria casa il sacerdote del paese incaricato del distretto. Quando il sacerdote era assente la vigilia delle grandi feste andava in persona a cercarlo nelle altre cristianità affinchè la sua non fosse priva di messa. Gli è accaduto di spargere lacrime quando in giorno di festa non aveva potuto avere un sacerdote per celebrare i santi misteri. Aveva inoltre cura specialissima e ben guidata nel procurare gli ultimi sacramenti ai fedeli in pericolo di morte. Ma quello che è più degno d'ammirazione in un capo, la cui voce ed il portamento autorevole faceva tremare e chinare tutte le teste davanti a se, è il riunire con meritoria compiacenza tutti i fanciulli della parochia, ed assiso in mezzo di loro insegnare parola per parola il catechismo con una pazienza {54 [278]} quasi direi incompatibile colla sua indole vivace ed altera.

            Emanuele Phung aveva già l'atto tesoro pel cielo ed il Signore voleva coronarlo della corona dei martiri. La sua bella chiesa minacciando rovina egli aveva radunato i catechisti che s'imposero di fabbricarne una a proprie spese; questa fu l'occasione della sua cattura, perchè tre malvagi l'accusarono presso il vice prefetto della fabbricazione della nuova chiesa; ma prevenuto da Emanuele ebbe la compiacenza di non vedere altro che una fabbrica comune rimandando i delatori ben bastonati.

            Questi malvagi non soffersero in pace l'onta, ma andarono dal governatore accusando Emanuele di tenere sotto la sua protezione un missionario Europeo, un sacerdote del paese ed un convento di monache. Tosto furono mandati il gran giudice con 300 satelliti. Emanuele conobbe la cosa e pose in salvo il Missionario europeo e ritornando cadde nelle mani dei satelliti. Uno di essi afferrandolo pei capelli {55 [279]} gridò con voce tonante: «distenditi a terra affinchè ti leghiamo, o ti spacco la testa.» Fu forza cedere, ed eccolo ai piedi dei nemici per essere legato.

            Chi ha conosciuto Emanuele, uomo naturalmente altero, e sempre assuefatto a vedere tutte le volontà cedere alla sua tien per certo che quell’umiliazione sopportata con ispirito di fede gli guadagnò il cielo. Condotto alla prefettura, rispose francamente e dignitosamente d'essere cristiano e a nulla valsero le minacce e le promesse contro la sua fede, la quale gli faceva soffrire con contentezza e privazioni e carcere e tormenti.

            Finalmente giunse l'ora del premio per Emanuele e per Pietro; perchè il dì 30 luglio del 1859 giunse un editto imperiale che condannava Pietro Qui maestro della religione perversa, come si esprimeva l'editto, ad aver tronca la testa immantinente, ed Emanuele Phung settatore incorreggibile della medesima religione ad essere strangolato. Il giorno era quasi finito {56 [280]} e la esecuzione della sentenza fu procrastinata fino al domani. Sul farsi dell'alba la porta del carcere si aperse e per ordine del capitano di guardia due satelliti si accostarono al sacerdote ed al catechista cui diedero un forte pugno sul petto e poi strascinaronli fuori del carcere. I due confesssori della fede conobbero ben tosto che loro non rimaneva che poco tempo da vivere in questo mondo. Pietro Qui chiese ed ottenne di mettersi la sua veste lunga ci il suo turbante per andare alla morte come ad una festa. Emanuele fu condotto per l'ultima volta alla presenza del governatore che così l'interrogò: Vuoi tu far ritorno alla tua famiglia e vivere tranquillo ed onorato? Abbandona quella religione per cui sei condannato alla morte.» Emanuele non esitò a rispondere: Se l'alto mandarino vuol mandarmi a casa assolto, bene sta; e se vuole tronenrmi la testa è padrone; ma io non posso rinunziare alla mia santa religione.» Portarono allora una tavola sulla quale in grandi caratteri era scritta la sentenza {57 [281]} seguente: «Le Van Phung, che già fu il primo aggiunto al podestà del suo villaggio, ha osato insegnare una dottrina perversa. Nascondeva inoltre libri ed altre cose del suo culto. Di più ha fabbricato una chiesa e vi raccoglieva il popolo per la predicazione e la preghiera. È stato convinto di tutti questi fatti e persiste tuttavia nel niego ostinato di rinunciare a questa religione. Per conseguenza noi dichiariamo che Le Van Phung è ribelle alla legge, ed ordiniamo che sia strangolato senza misericordia.» In quanto a Pietro Qui si contentarono di attaccargli al collo una tavoletta ove era scritto il suo nome e le parole: Ultimo supplizio senza indicare per qual motivo lo conducessero alla morte. Legarono loro i gomiti dietro la schiena. Mentre si preparava loro il supplizio cercavano di farsi animo. Il Padre diceva ad Emanuele: «Ècco l'ora che Dio ci serbava per l'ultimo combattimento; patiamo per lui con coraggio e di buon animo.» Ed Emanuele rispondeva con sorriso: Come sono felice di soffrire la morte {58 [282]} per Gesù.» La scorta parti ed il sacerdote si avanzò il primo colmo di giubilo e tutto assorto nella preghiera. Emanuele lo seguì da vicino nella stessa attitudine e passarono in mezzo a doppia fila di soldati armati di lancie. Per via Emanuele vide sua moglie ed i suoi figli stretti insieme che dirottamente piangevano, ed egli loro diede l'ultimo addio dicendo: Ecco io vi abbandono: serbate la pace tra voi, e specialmente siate fedeli alla nostra santa religione.» Giunti vicino ad un grand'albero chiesero ed ottennero un po' di riposo ed in questo mentre furono visti a parlare e pregare insieme. Emanuele si confessò e ricevette l'ultima assoluzione che purgava del tutto l'anima sua pronta a comparire davanti a Dio. Ripigliarono il cammino per pochi minuti, poi la scortasi fermò; erano giunti al luogo del supplizio. Pietro Qui si trasse il turbante e gettollo ad un giovine cristiano il quale l'aveva servito in carcere e si disponeva in quell'ora a rendergli gli ultimi servizi. Emanuele vedendo il suo primogenito {59 [283]} fra la moltitudine alzò la voce e disse queste ultime parole: Figliuol mio, ciò che tu farai per me, voglio che il faccia anche pel Padre. Sei il solo qui che possa aver cura del suo corpo. Bada di non abbandonarlo.»

            Voleva ancora parlare ma gli fu turata la bocca con un fazzoletto. Lo fecero distendere a terra bocconi; gli legarono le mani ad un palo, i piedi ad un altro; gli misero al collo il capestro e subito due satelliti tirarono i due capi della corda. Il suo martirio era consumato, e la sua anima volava in seno a Dio per riunirsi con quella del compagno Pietro ehe era stato decollato nella stessa ora.

            Il martirio del giovane sacerdote fu oltremodo crudele ed egli potè mostrare un sovrumano coraggio poichè il glorioso campione della fede rimase saldo sulle ginocchia senza far udire il minimo lamento, sebbene il carnefice segandogli il collo con mano tremante spingendo e tirando a se la sua lunga spada non abbia potuto al primo ed al secondo segamento troncargli la testa {60 [284]} e solo al terzo segamento fu compiuto il glorioso martirio. Il suo corpo cadde a terra privato del capo e vi rimase con quello del compagno dalle 9 del mattino fino alle 4 di sera secondo l'ordine dato. Le loro preziose reliquie furono raccolte e portate via. Si trovò in pugno chiuso di Pietro Qui una statuetta di ottone di M. V. SS., che teneva attaccata con un filo d'argento ad un dito. Che bella prova della sua tenera divozione e fiducia in Maria! Emanuele aveva sul petto un crocifisso sospeso al collo con una calenetta. Tutti questi oggetti cogli strumenti del martirio e col turbante di Pietro furono raccolti e posti in mano del missionario. Il corpo del sacerdote fu sepolto nella chiesa di Nang-Gu dopo essere stato riunito colla testa e vestito degli abiti sacerdotali esposto un giorno ed una notte alla venerazione dei fedeli, che corsero premurosi in folla a pregare intorno alla sua bara ed a procurarsi bambagia inzuppata del suo sangue.

            Il corpo di Emanuele fu portato alla sua famiglia e fu sepolto nella chiesa {61 [285]} nuova, monumento della sua fede e del suo zelo per la.gloria di Dio. La sua sepoltura si fece in fretta e senza pompa perchè il nemico stava in vigilanza. Ma a che giovano gli onori della terra a colui che è glorificato in cielo? Ciò nondimeno Iddio farà spuntare il giorno che si potranno onorare degnamente le gloriose spoglie di quell'uomo che insegnò coll'esempio come si possa conciliare un carattere altero coll'umiltà, il comando e l'autorità nelle cose di questa terra colla docilità e fede nelle cose della religione, la cura della famiglia e dei soggetti nel temporale, collo zelo per le anime e lo splendore del culto.

            I due campioni della fede che ora già fanno corona in cielo al Martire dei martiri G. C. ci ottengano quella fede viva che è necessaria per superare i numerosi scogli cui andiamo incontro in questi tristissimi tempi, ci ottenga una divozione sincera alla B. V. come essi ebbero in questa vita, acciocchè come essi possiamo un dì volare a riceverne il premio fra i beati in Cielo. {62 [286]}


Indice


Capo I I due amici
pag 3
Capo II La confessione e le pratiche di pietà
 18
Capo III L'indomani e la vittoria di tre nemici
 35


Varietà. Fatto contemporaneo. Breve cenno sulla vita e sul martirio di due cattolici Annamiti
 49


            Con approvaz. della Revisione Ecclesiastica. {63 [287]} {64 [288]}

ESPOSTA DAL SACERDOTE BOSCO GIOVANNI

TORINO
TIP. DELL'ORAT. DI S. FRANC. DI SALES
1862. {1 [225]} {2 [226]}

[1]La canga è un gran tavolato con un foro nel mezzo da poter contenere il collo di chi la porta.

martedì 17 ottobre 2017

BREVE STORIA DELLA FAMIGLIA FRANCESCANA

Vita di S. Francesco 
(Breve prospetto cronologico) 

SOMMARIO: 1. Infanzia e giovinezza (1182-1201) - 2. Guerriero (1201-1205). - 3. Mendico e solitario (1205). - 4. I lebbrosi e gli assalti del diavolo (1205). - 5. Il Crocifisso di S. Damiano (1206). - 6. L’ira del padre (1206-1207). - 7. Rinunzia all’eredità (1206-1207). - 8. L’araldo del gran Re (1206-1207). - 9. Il mendicante e il muratore (1207-1208). - 10. La chiamata del Vangelo (1208-1209). - 11. I primi discepoli (1208-1210). - 12. A Rivotorto (1209). - 13. Prima approvazione della Regola (1209-1210). - 14. Pacificatore e maestro di spirito (1210) - 15. Nuovi compagni e s. Chiara (1210-1212). - 16. Vita attiva o contemplativa? (1212-1213). - 17. Verso il Marocco e incontro con s. Domenico (1213-1215). - 18. L’indulgenza della Porziuncola (1216). - 19. Missioni all’Estero e Cardinale protettore (1217-1219). - 20. Capitolo delle stuoie. – Terz’ordine e Regola non bollata (1220-1221). - 21. La grande casa da studio (1222). - 22. Fonte Colombo e il presepe (1223). - 23. Le stimmate (1224). - 24. Il cantico di Frate Sole (1225-1226). - 25. La morte (1226-1230). 


1. Infanzia e giovinezza (1182-1201) 

 Nell’anno del Signore 1160 Federico I, Barbarossa, rilascia il ‘Diploma di Pavia’ creando la Contea di Assisi, nella cui cittadina capitale (Assisi) nacque Francesco: da Pietro di Bernardone e da Madonna Pica nel 1181 o 1182. Non erano di sangue nobile, ma ricchi di sostanze. Gli fu messo nome Giovanni; ma il padre, ritornando dalla Francia, glielo cambiò in Francesco. Dopo il battesimo, un misterioso pellegrino chiese di vedere il piccolo Francesco; avutolo fra le sue braccia, gli tracciò un segno di croce sulla spalla, predicendo di lui grandi cose. Da piccolo fu educato ed istruito da un prete della chiesa di San Giorgio. Cresciuto negli anni, attese col padre alla mercatura. Aveva una grande passione per la cavalleria, vestiva elegantemente, era molto caritatevole con i poveri. Solo, una volta rimandò indietro, forse sbadatamente, a mani vuote un mendico; ma si pentì subito, lo raggiunse 13 e gli diede un’abbondante elemosina. Anche con gli amici era molto prodigo e gentile; essi lo consideravano il re delle feste. Per le bellezze della natura sentiva, poi, un’attrattiva particolare. 

2. Guerriero (1201-1205) 

 Nel 1198 i cittadini di Assisi distrussero la rocca della città e ne cacciarono nobili e militari. Nel 1201 e 1202 Francesco combatté per la difesa di Assisi contro i nobili fuorusciti alleatisi con Perugia e fu fatto prigioniero. Dopo un anno di prigionia ritornò in Patria; ma tosto una grave malattia lo colpiva, prostrandone le forze. Riavutosi completamente, ricercò le liete brigate e il vestire sfarzoso. Una notte, in seguito ad un atto di generosità, con cui si spogliava delle sue splendide vesti per darle ad un nobile cavaliere decaduto e mal vestito, ebbe un sogno: gli parve di vedere il fondaco del padre ripieno di lucenti armi; mentre una voce gli diceva che esse sarebbero appartenute a lui e ai suoi cavalieri. Si riaccese in lui l’amore per la cavalleria e, nella speranza di diventare ben presto cavaliere, si arruolò (1205) nell’esercito di Gualtiero III di Brienne per andare a combattere nelle Puglie. A Spoleto fu colpito dalla febbre e dovette fermarsi: sentì, tra il sogno e la veglia, la voce di Dio, che lo invitava a desistere dalla sua impresa guerresca e ritornare in patria dove gli avrebbe manifestato più espressamente la sua volontà. Ritornò ad Assisi, tra le burle e gli scherni dei compagni, ma con l’animo mutato: non più la febbre della gloria, ma lo tormentava ora il desiderio della solitudine. 

3. Mendico e solitario (1205) 

 Una sera (1205) aveva invitato i suoi amici ad una grande cena; dopo di che l’allegro corteo uscì, cantando per le vie della città. Ma Francesco tace, rimane indietro, sembra assorto. I suoi compagni lo deridono e lo motteggiano; egli risponde che ormai ha deciso di sposare una donna di cui non si era mai vista l’uguale: alludeva a Madonna Povertà. E si allontanò da loro; non cercò più le allegre brigate, ma la solitudine dei campi, la compagnia dei poveri, a cui dava senza misura denaro, vesti e pane. Per i poveri si fece povero anche lui. A Roma cambiò le sue vesti con gli stracci di un povero mendico, e per lui chiese l’elemosina in francese. Ritornato ad Assisi, rimase solo: gli amici lo avevano completamente abbandonato. Il padre non lo trattava più come un figlio, né il fratello Angelo come un fratello; soltanto la mamma lo seguiva e l’amava. 

4. 1 lebbrosi e gli assalti del diavolo (1205) 

 Un giorno errava col suo cavallo per la vallata umbra; ad un tratto il cavallo si fermò di botto davanti ad un lebbroso. A quella vista, Francesco sentì ribrezzo; voleva 14 scappare, ma una voce interna lo avvertiva che ormai gli doveva essere dolce ciò che gli era stato odioso. Balzò, allora, da cavallo, abbracciò e baciò il lebbroso, mentre una grande dolcezza si effondeva nell’anima sua. Da quel giorno anche i lebbrosi furono i suoi amici prediletti: li andava a visitare a S. Salvatore, dando loro abbondanti elemosine. Più volte fu assalito dal diavolo con forti tentazioni: ora gli sollevava nell’anima sdegno e ripugnanza contro la miseria; ora gli faceva vedere l’inutilità della nuova vita intrapresa. Ma egli non soccombeva perché nella preghiera trovava subito il suo sostegno. 

5. I1 Crocifisso di S. Damiano (1206) 

 Mentre un giorno pregava davanti al Crocifisso di S. Damiano, sentì rivolgersi queste parole: « Va, o Francesco, e ripara la mia casa, che minaccia rovina ». Le prese alla lettera: uscì dalla chiesa, diede al prete tutto il denaro che aveva per accendere la lampada d’olio al Crocifisso, andò poi a vendere a Foligno il suo cavallo e le migliori stoffe del fondaco del padre e offrì tutto il ricavato per i restauri della chiesuola. Il prete non voleva accettare la generosa offerta, conoscendo l’avarizia di Pietro di Bernardone; ma Francesco gliela buttò sul davanzale della finestra, e rimase lì, a S. Damiano, a pregare e a piangere sui dolori del Crocifisso. 

6. L’ira del padre (1206-1207) 

 Rientrato Pietro di Bernardone dai suoi viaggi e accortosi della mancanza di stoffe, furibondo va a S. Damiano, cerca Francesco e reclama ciò che gli era stato sottratto. Riebbe dal prete il ricavato delle stoffe vendute; ma non vi trovò Francesco. Lo vide un giorno passare davanti al fondaco tra un branco di monelli, che lo insultavano e lo deridevano. L’ira lo accecò in quell’istante: gli si scagliò contro, e, afferratolo per un braccio, tra grida e forti rimproveri, andò a rinchiuderlo nel sottoscala. La mamma, pietosa, 1o rimise ben presto in libertà. 

7. Rinunzia all’eredità (1206 o 1207) 

 Pietro di Bernardone s’irritò talmente a quest’altra fuga, che decise di diseredarlo. Lo citò ai consoli della città. Francesco si appellò al tribunale ecclesiastico. Davanti al vescovo Guido I egli rinunziò all’eredità paterna, si spogliò delle sue stesse vesti, e, coperto di un vecchio mantello, su cui aveva impresso una croce bianca, uscì dal vescovado tra la commozione degli astanti. 

8. L’araldo del gran Re (1206 o 1207) 

 Se ne andava per i monti, cantando le lodi del Signore. Quand’ecco fu assalito da 15 una masnada di briganti. « Io sono l’araldo del gran Re », disse loro. E quelli lo percossero e lo gettarono in un fossato di neve. Uscitone intirizzito dal freddo, continuò il suo cammino cantando. Avendo fame ed essendo già notte, andò a bussare ad un monastero di Benedettini, che lo ricevettero e lo misero ad aiutare: nacque una grande amicizia tra i monaci e Francesco. Ma Francesco, sentendo che non era lì la sua vocazione, proseguì per Gubbio recandosi da un suo amico fedele e vestitosi di una tunica eremitica, si diede a curare ed a visitare i lebbrosi. 

9. II mendicante e il muratore (1207-1208) 

 Una voce interna lo chiamava intanto a S. Damiano. Vi ritornò presto, mettendosi subito all’opera per la riparazione della chiesuola. Faceva l’accattone e il muratore: chiedeva le pietre per la chiesa e il cibo per sfamarsi. Chi gli dava due cucchiaiate di zuppa, chi un osso, chi un tozzo di pan duro. Egli tutto metteva nella sua scodella. A questua finita, poi, si sedeva e mandava giù quel minestrone a occhi chiusi, benché si sentisse rivoltare lo stomaco. Portava sempre con sé un vecchio mendicante, perché lo benedicesse tutte le volte che Pietro di Bernardone lo avesse maledetto. Un giorno questuando l’olio per le lampade di S. Damiano, s’incontrò con un gruppo dei suoi vecchi amici, che allegramente banchettavano in un’osteria. Ebbe allora vergogna e pensò di fuggirsene; ma, poi, si fece animo, entrò, confessò la sua vergogna e chiese 1’olio anche a loro. Terminati i lavori di S. Damiano, cominciò a restaurare la chiesa di S. Pietro e poi la Porziuncola. 

10. La chiamata del Vangelo (1208 o 1209) 

 La mattina del 24 febbraio 1208, festa di s. Mattia, Francesco ascoltava la Messa nella chiesuola di S. Maria degli Angeli. Al Vangelo fu colpito da queste parole: « Non tenete oro, né argento, né scarpe, né bastone ecc. ». Trasalì di gioia, chiese spiegazione al prete e poi esclamò: « Ecco quello che io voglio! Questa sia la mia vita! » Uscì fuori, gettò sandali, bastone e cintura; si cinse i fianchi di una corda, si mise un cappuccio e se ne andò per le vie d’Assisi a predicare la penitenza e la pace. 

11. I primi discepoli (1208-1210) 

 Ben presto altri compagni lo seguono. Il primo è Bernardo da Quintavalle, che ricorre all’astuzia del sonno per accertarsi della santità di Francesco; dopo di lui viene Pietro Cattani. Tutti e due vendettero i loro beni, (dopo aver consultato per tre volte il Vangelo), distribuirono il denaro ai poveri sul piazzale di San Giorgio, e si ritirarono con Francesco nella solitudine di una misera capanna di rami, accanto alla Porziuncola. La mattina del 23 aprile 1209, un altro giovane di nome Egidio fu ammesso nella loro compagnia; poi altri compagni ancora: Sabatino, Morico, Giovanni del Cappello, Filippo 16 Longo, Giovanni da S. Costanzo, Barbaro, Bernardo Vigilante, Angelo Tancredi, Silvestro. Dodici in tutto. Se ne andavano a due a due per il mondo a predicare il Vangelo. Non avevano nulla; dormivano o sotto un portico o ai piedi di un albero o sui gradini di una chiesa. Gli uomini li disprezzavano: chi li prendeva per insensati e per ladri, chi li copriva d’ingiurie, chi buttava loro del fango; ci fu chi li spogliò delle loro vesti, senza che essi reagissero. Fu verso quest’anno (1209) che Francesco, mentre era assorto in preghiera a Poggiobustone, inabissato nella meditazione dei suoi peccati, sentì una voce che lo rassicurava del perdono divino. 

12. A Rivotorto (1209) 

 Dalla Porziuncola la famigliola di Francesco si trasferì a Rivotorto: un piccolo tugurio anche questo, senza chiesa e cappella. Se dovevano pregare, s’inginocchiavano davanti ad una croce di legno. Non stavano mai in ozio, servivano nei lazzaretti, aiutavano i contadini, senz’altra ricompensa che un tozzo di pane. Fu a Rivotorto che due poveri frati, mentre venivano presi a sassate da un vagabondo, cercavano di fare ciascuno scudo all’altro con la propria persona. Un giorno passò di lì l’imperatore Ottone IV. Andava a Roma per farsi incoronare dal Papa. La gente accorreva da ogni parte per vedere quel grandissimo corteo; ma Francesco con i suoi frati non si mosse: vi mandò soltanto uno, per annunziargli la vanità e la brevità della di lui potenza. 

13. Prima approvazione della Regola (1209-1210) 

 A Rivotorto Francesco tracciò un primo abbozzo di Regola (che si è soliti chiamare ‘Protoregola’), e il 16 Aprile 1209 o 1210 si recava a Roma per averne l’approvazione del Papa. Trovò forti opposizioni presso la Curia romana: lo stesso Innocenzo III riteneva quasi impossibile quel genere di vita così eroica: ma il sogno del Papa sul Laterano sul punto di crollare e la parabola di Francesco sulla povera donna del deserto dovettero talmente influire sul Pontefice da fargli decretate la tanto sospirata approvazione. Ricevuta poi la tonsura e il permesso di predicare, se ne ritornò con gli altri dodici frati a Rivotorto. 

14. Pacificatore e maestro di spirito (1210) 

 Dopo l’autorizzazione apostolica, Francesco si mise a predicare con maggiore slancio per le vie e nelle piazze, parlando a tutti dei vizi e delle virtù. Predicò nella cattedrale di S. Rufino, rappacificò i Maggiori e i Minori d’Assisi: cioè i ricchi e i poveri, allora in continua lotta. Portò la pace ad Arezzo, Siena, Perugia e in molte altre città: Celebre è il racconto del lupo di Gubbio che narra la pace conclusasi per opera di Francesco tra questa città ed un lupo molto aggressivo: forse simbolo anche di qualche feroce signorotto dei castelli dintorno.. 17 Coi frati era poi tutto bontà e tenerezza: a lui essi ricorrevano e manifestavano i segreti più intimi del loro cuore. E Francesco li incoraggiava, li istruiva e li metteva in guardia contro le tentazioni diaboliche. Frate Rizzerio s’era messo in testa che il Padre serafico non gli volesse più bene, ed era per questo molto triste. Francesco gli lesse in volto la tristezza, lo abbracciò e, sventando la tentazione, gli ridonava la serenità dell’anima. Di un altro frate si dice che una notte si mise a gridare, perché aveva fame; Francesco fece allora apparecchiare la tavola e invitò gli altri a fargli compagnia perché non avesse a vergognarsi. Condusse una volta nella vicina vigna un povero frate ammalato, per fargli gustare un po' di uva, di cui era tanto desideroso; e perché quello non provasse vergogna, ne mangiò anche lui. 

15. Nuovi compagni e s. Chiara (1210-1212) 

 Da Rivotorto la piccola famiglia francescana si era trasferita fratttanto alla Porziuncola, dato che un contadino aveva turbato col suo asino la loro pace e il loro silenzio. Alla Porziuncola si aggiunse una nuova schiera di frati: frate Masseo di bell’aspetto ed eloquente; frate Rufino, della nobile stirpe degli Scifi; frate Ginepro, l’originale; frate Leone confessore e segretario di s. Francesco, e frate Giovanni, soprannominato il semplice. Nel 1210 e 1211 Francesco si ritirò per un’intiera quaresima in un’isola disabitata del lago Trasimeno. L’anno seguente (1211-1212) predicò la quaresima nella cattedrale di S. Rufino, al termine della quale (domenica delle Palme), lo seguiva la nobile Chiara d’Assisi, consacrandosi interamente al Signore. Con lei Francesco fondava il Secondo Ordine: le Clarisse. 

16. Vita attiva o contemplativa (1212-1213) ? 

 Un forte dubbio tormentava Francesco: se, cioè, dovesse egli darsi alla vita attiva o contemplativa. Essendo stati interrogati Chiara e Silvestro, a mezzo di frate Masseo e di frate Filippo, gli fu risposto che non soltanto al proprio miglioramento, ma anche a quello del prossimo egli era stato chiamato. Conosciuta così la volontà di Dio, si recò a Roma per informare il Pontefice Innocenzo III sugli sviluppi dell’Ordine. Per via predicò ad una grande moltitudine di uccelli presso Bevagna; e ad Alviano impose silenzio alle rondinelle, perché con i loro garruli gridi non disturbassero la sua predica. A Roma fece conoscenza ed amicizia con Giacomina dei Settesoli. Poi dal porto d’Ancona s’imbarcava per la Siria. Il vento contrario gl’impedì di continuare il viaggio, essendosi arenata la nave tra le coste della Schiavonia. Dovette, quindi, ritornare, nascondendosi questa volta nella stiva. Giunto nella Marca d’Ancona, convertì l’uomo più famoso del tempo, chiamato il « Re dei versi » : Guglielmo Divini, che fu poi chiamato frate Pacifico. A Montefeltro convertì un altro nobile cavaliere: Orlando dei Cattani, che gli fece dono del monte della Verna (maggio 1213). 18 

17. Verso il Marocco e incontro con s. Domenico (1213-1215) 

 Tornato alla Porziuncola, Francesco cadde ammalato. Ristabilitosi, volle tentare un viaggio verso il Marocco, per predicare il Vangelo ai Musulmani. Mentre dalla Spagna stava per imbarcarsi per l’Africa, ricadde ammalato e dovette rimpatriare. Nel 1215 visitò la Verna; quindi si recò nuovamente a Roma per il Concilio Lateranense IV. In tale occasione s’incontrò con s. Domenico e strinse amicizia con lui: si rivedranno alla Porziuncola nel Capitolo generale del 1219, e s’incontrarono nuovamente a Roma nell’inverno del 1220-21. 

18. L'indulgenza della Porziuncola (1216) 

 In una notte d’estate del 1216, Francesco, mentre pregava nella chiesuola della Porziuncola, vide apparire Gesù e Maria, circondati da una grande schiera d’angeli. Alla promessa di Gesù che gli avrebbe concesso tutto ciò che avesse chiesto, egli domandava per tutti coloro, che fossero entrati in quella chiesuola, l’indulgenza plenaria di tutti i peccati già confessati. La sua preghiera venne da Gesù esaudita, con la condizione di chiederne la conferma al suo vicario, Onorio III, che risiedeva allora a Perugia, confermò quanto richiesto. 

19. Missioni all’Estero e Cardinale protettore (1217-1219) 

 Nella Pentecoste del 1217, durante il Capitolo generale, Francesco suddivise i frati ( erano già oltre un migliaio) in Provincie religiose e stabilì di inviare a predicare il Vangelo in tutto il mondo: in Germania, in Ungheria, in Francia, nella Spagna e in Terra Santa. Francesco aveva scelto per sé la Francia, ma non poté partire, perché il cardinale Ugolino glielo aveva sconsigliato, essendo la sua presenza necessaria per il bene dell’Ordine. L’esito di questa prima spedizione fu poco felice: quelli della Francia, essendo stati presi per Albigesi, furono percossi; quelli della Germania furono gettati in prigione; quelli dell’Ungheria furono maltrattati dai contadini, che aizzavano contro di loro i cani e li percotevano con la punta del bastone. Queste notizie rattristarono tanto il cuore di Francesco. Una notte vide in sogno una chioccia nera, che non arrivava a tenere sotto le ali i suoi pulcini. Pensò, allora, a se stesso: si paragonò a quella gallina e si vide anche lui troppo piccolo perché potesse dirigere e proteggere i suoi figliuoli, ormai molto numerosi. Decise, quindi, di tornare a Roma per chiedere al Papa che il cardinale Ugolino facesse da Protettore a tutto il suo Ordine. Fu in questa udienza che Francesco dimenticò il discorso che aveva preparato e imparato a memoria. Ottenuto dal Papa quanto gli aveva chiesto, il cardinale Ugolino per la prima volta presiedeva da Protettore il Capitolo generale nella Pentecoste del 1219 a cui era presente anche s. Domenico, che rimase profondamente commosso delle virtù ammirate in quella assemblea generale. In questo Capitolo furono riprese le missioni. In Germania questa volta non fu mandato alcun missionario per il cattivo trattamento di due anni prima; a Tunisi andò f. Egidio e f. Eletto; in Grecia, f. Benedetto d’Arezzo; in Francia ritornò fra Pacifico. Per 19 il Marocco partirono Vitale, Berardo, Pietro, Adiuto, Accursio, Ottone: Vitale, ammalatosi in Spagna, dovette rientrare in Italia. Gli altri cinque subirono il martirio in Marocco, il 16 gennaio 1220: sono i protomartiri francescani. San Francesco sulla fine di giugno dello stesso anno (1219) s’imbarcava per la Siria, lasciando come vicari: Gregorio da Napoli per l’Italia e Matteo da Narni per la Porziuncola. Verso la metà di luglio sbarcò a S. Giovanni d’Acri, andò a Damietta, animò ed incoraggiò i crociati; predicò davanti al Sultano e visitò, poi, la Terra Santa. 

20. Capitolo delle stuoie – Terz’Ordine e Regola (1221) 

 Mentre era ancora in Oriente, cattive notizie gli giunsero dall’Italia. Gregorio da Napoli e Matteo da Narni, frate Filippo e frate Giovanni del Cappello avevano introdotto delle novità nell’Ordine. Decise, allora, di ritornare subito in Italia, per sopprimere ogni abuso. Avendo gli occhi gravemente ammalati, rinunziò alla direzione dell’Ordine e l’affidò a Pietro Cattani. Nella Pentecoste del 1221 riunì alla Porziuncola tutti i frati a Capitolo, detto « Capitolo delle stuoie », perché abitavano in piccole capanne di stuoie. In questa grande riunione capitolare, in cui vi erano da 3000 a 5000 religiosi (era anche presente s. Antonio), f. Elia fu eletto vicario dell’Ordine e fu anche mandato un nuovo drappello di missionari in Germania. Nello stesso anno (1221), Francesco rielaborò la Regola (chiamata ‘Regola non bollata’) con la cooperazione di Cesario da Spira e istituì il Terz’Ordine, dando l’abito della penitenza ai due coniugi, Lucchesio e Buona Donna in Poggibonsi. 

21. La grande casa da studio (1222) 

 Trovandosi Francesco a Bologna nel 1222, essendo venuto a conoscenza che Pietro da Sciacca vi aveva fatto fabbricare una grande casa da studio, non conforme allo spirito della Regola, comandò in virtù di s. Ubbidienza a tutti i frati di uscire da quella casa, preferì alloggiare presso i Domenicani. II 15 agosto predicò in piazza in onore dell’Assunta. 

22. Fonte Colombo e il Presepe (1223) 

 Nel 1223 frate Francesco con frate Leone e frate Bonizio si ritirava nella solitudine di Fonte Colombo, e lì, nella preghiera e nel digiuno, elaborò la stesura definitiva della Regola del I Ordine, approvata da Onorio III il 29 novembre (chiamata ‘Regola Bollata’: appunto perché inserita definitivamente nella Bolla pontificia ‘solet annuere’). Nella notte del 24 dicembre dello stesso anno, celebrava sopra una collina di Greccio, donatagli da Giovanni Vellita, il primo Natale col presepio. In quella notte, mentre gli abitanti di Greccio assistevano con torce accese alla Messa, celebrata sopra la mangiatoia, si vide all’improvviso il Bambinello animarsi tra le braccia di Francesco che se lo stringeva teneramente al cuore. 20 

23. Le Stimmate (1224) 

 Nell’agosto del 1224 Francesco si ritirava alla Verna con frate Leone, Angelo e Masseo, per prepararsi alla festa di s. Michele Arcangelo. Un contadino col suo asino fece loro da guida; gli uccelli li accolsero festanti. Dopo la visita del conte Orlando, che era andato a trovarlo con abbondanti viveri, Francesco si ritirò nella grotta del Sasso Spicco; anzi, celebratasi la festa dell’Assunzione, volle andare a nascondersi in un luogo ancora più remoto. Qui soltanto frate Leone poteva avvicinarsi due volte al giorno. La mattina del 14 settembre, mentre era assorto nella contemplazione della Passione di Gesù, si vide apparire un Serafino con sei ali, che gl’impresse le piaghe del Crocifisso. Così trasformato, il 30 settembre, il serafico Padre lasciava il monte sacro della Verna e ritornava alla Porziuncola, operando grandi miracoli lungo il cammino. 

24. Il Cantico di Frate Sole (1225-1226) 

 Nell’estate del 1225, Francesco si ritirò a S. Damiano. Mentre giaceva su un piccolo giaciglio nel giardinetto di s. Chiara, compose, tra le sofferenze degli occhi ammalati e i tormenti, procuratigli dall’invasione dei topi, il celebre cantico di frate Sole. Essendosi, intanto, aggravata la malattia degli occhi, dietro istanza dei frati, dovette recarsi a Rieti per farseli curare dai medici pontifici. Di là passò a Siena, e per Cortona fece ritorno ad Assisi, dove venne alloggiato nel palazzo episcopale. Qui rappacificò il Vescovo col Podestà, scrisse delle lettere ai frati dell’Ordine 

25. Morte (1226-1230) 

 Da Assisi viene ricondotto alla Porziuncola. Giunto all’ospedale S. Salvatore, a metà strada da Assisi alla Porziuncola, fa fermare la barella su cui è disteso, si fa voltare con la faccia verso Assisi e benedice la sua città. Giunto alla Porziuncola detta ad Angelo Tancredi il suo Testamento e riceve l’ultima visita di Giacomina dei Settesoli. Sentendosi, intanto, vicino a morire, chiese di essere disteso per terra, si fece leggere il passo del Vangelo di s. Giovanni sulla Passione, benedisse tutti i frati presenti e futuri e iniziò a cantare il Salmo 141 «Con la mia voce al Signore grido aiuto ». Quando giunse all’ultimo versetto « strappa dal carcere la mia vita… i giusti mi faranno corona » rese la sua anima a Dio. 
Aveva quarantaquattro anni, era il vespro del sabato 3 ottobre 1226. Nel 1228 veniva elevato agli onori degli altari; due anni dopo (1230) la sua salma fu trasportata dalla chiesa di S. Giorgio alla grande Basilica, eretta da frate Elia sul colle del Paradiso per ordine del Papa. 



AMDG et BVM