sabato 6 febbraio 2016

...LAGGIU' IN CRIPTA NON C'E' NIENTE.



IL CORPO DI SAN PADRE PIO E' IN CIELO: LAGGIU' IN CRIPTA NON C'E' NIENTE.

Lo afferma il Prof. Giuseppe Sala, che fu sindaco di San Giovanni Rotondo
e per tredici anni medico personale di Padre Pio nelle cui braccia il Padre spirò alle ore 2,30 del 23 settembre 1968:

Laggiù in Cripta non c’è niente. Il corpo del Padre è in cielo. Il mistero dell'ultima Messa di Padre Pio.

Nel sarcofago c’erano solo il saio piegato, il cingolo e i sandali.
Testimoni oculari furono anche Padre Alessio Parente e Padre Giuseppe Pio Martin,
che per tanti anni furono addetti alla persona del Padre.

A TUTTI FU RACCOMANDATO IL SILENZIO.


Documento in allegato PDF.

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Dio la benedica.

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venerdì 5 febbraio 2016

INGANNI !!!


INGANNI CHE IL DEMONIO METTE IN MENTE AI PECCATORI

PUNTO II

Dice: "Dio è di misericordia". Ecco il terzo inganno comune de' peccatori, per cui moltissimi si dannano. Scrive un dotto autore che ne manda più all'inferno la misericordia di Dio, che non ne manda la giustizia; perché questi miserabili, confidano temerariamente alla misericordia, non lasciano di peccare, e così si perdono. Iddio è di misericordia, chi lo nega; ma ciò non ostante, quanti ogni giorno Dio ne manda all'inferno! Egli è misericordioso, ma è ancora giusto, e perciò è obbligato a castigare chi l'offende. Egli usa misericordia, ma a chi? a chi lo teme. "Misericordia sua super timentes se... Misertus est Dominus timentibus se" (Ps 102,11.13). 

Ma con chi lo disprezza e si abusa della sua misericordia per più disprezzarlo, Egli usa giustizia. E con ragione; Dio perdona il peccato, ma non può perdonare la volontà di peccare. Dice S. Agostino che chi pecca col pensiero di pentirsene dopo d'aver peccato, egli non è penitente, ma è uno schernitore di Dio: "Irrisor est, non poenitens". Ma all'incontro ci fa sapere l'Apostolo che Dio non si fa burlare: "Nolite errare, Deus non irridetur" (Gal 6,7). Sarebbe un burlare Dio offenderlo come piace, e quanto piace, e poi pretendere il paradiso.


"Ma siccome Dio m'ha usate tante misericordie per lo passato, e non m'ha castigato, così spero che mi userà misericordia per l'avvenire". Ecco il quarto inganno. Dunque perché Dio ha avuta compassione di te, per questo ti ha da usare sempre misericordia, e non ti ha da castigare mai? Anzi no, quanto più sono state le misericordie, che Egli t'ha usate, tanto più devi tremare, che non ti perdoni più e ti castighi, se di nuovo l'offendi. "Ne dicas: Peccavi, et quid accidit mihi triste? Altissimus enim est patiens redditor" (Eccli 5,4). 
Non dire (avverte l'Ecclesiastico), ho peccato e non ho avuto alcun castigo; perché Dio sopporta; ma non sopporta sempre. Quando giunge il termine da Lui stabilito delle misericordie, che vuol usare ad un peccatore, allora gli dà il castigo tutto insieme de' suoi peccati. E quanto più l'ha aspettato a penitenza, tanto più lo punisce, come dice S. Gregorio: "Quos diutius exspectat, durius damnat".


Se dunque tu vedi, fratello mio, che molte volte hai offeso Dio, e Dio non t'ha mandato all'inferno, dei dire: "Misericordiae Domini, quia non sumus consumti" (Thren 3,22). Signore, ti ringrazio, che non m'hai mandato all'inferno, com'io meritava. Pensa, quanti per meno peccati de' tuoi si son dannati. E con questo pensiero cerca di compensare l'offese, che hai fatte a Dio, colla penitenza e con altre opere buone. Questa pazienza, che Dio ha avuta con te, dee animarti, non già a più disgustarlo, ma a più servirlo ed amarlo, vedendo ch'egli ha fatte a te tante misericordie, che non ha fatte agli altri.

SAN PAOLO AI ROMANI: cap. VII a


LETTERA AI ROMANI

Capo VII.

Terzo frutto della giustificazione:
liberazione dalla servitù della legge per una morte mistica



[1]Forse ignorate, o fratelli (siccome parlo con periti nella legge) che l’uomo è sotto l’impero della legge finché vive? 2Così la donna maritata è legata per legge al marito vivente; ma se le muore è sciolta dalla legge del marito. 3Infatti sarà chiamata adultera se, vivente il marito, starà con un altro uomo; se poi le muore il marito, è liberata dalla legge del marito, in modo da non essere adultera, dato che stia con altro uomo. 4Così, anche voi, miei fratelli, siete morti alla legge pel corpo di Cristo, per appartenere ad un altro, che è risuscitato da morte, affinché portiamo dei frutti a Dio. 5Mentre vivevamo secondo la carne, le passioni peccaminose, occasionate dalla legge, agivano nelle nostre membra in maniera da produrre frutti per la morte. 6Ma ora siamo stati liberati dalla legge, essendo morti alla legge che ci legava, e possiamo servire Dio secondo il nuovo spirito e non secondo l’antiquata lettera.


La legge, benché santa, provoca delle trasgressioni


7Che diremo dunque? La legge è peccato? No, certamente. Ma io non ho conosciuto il peccato se non per mezzo della legge. Infatti non avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non avesse detto: Non desiderare. 8Ma il peccato, presa l’occasione da quel comandamento, fe’ nascere in me ogni sorta di concupiscenza; mentre senza la legge il peccato non esisteva. 9Io poi una volta vivevo senza legge; ma, venuto il comandamento, ebbe vita il peccato, 10ed io morii, ed il comandamento che doveva darmi la vita mi risultò cagione di morte. 11Perché il peccato, presa l’occasione dal comandamento, mi sedusse, e per mezzo di esso mi dié la morte. 12È santa dunque la legge, e santo e giusto e buono il comandamento.

13Una cosa buona m’è dunque divenuta causa di morte? Non può essere. Ma il peccato, per apparire peccato, mi ha data la morte per mezzo d’una cosa buona, in modo da mostrarsi estremamente colpevole attraverso il precetto.


Lezione n° 21 - Pentecoste





< Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa >

giovedì 4 febbraio 2016

LA PREGHIERA PIU' NOBILE

CAPITOLO II 
Perché nel SS. Rosario si dice prima il Pater Noster e poi l’Ave Maria? 



 O Eminentissimo Vescovo, la SS. Trinità,
per mezzo del SS. Rosario della Vergine
Maria, fa scaturire sorgenti d’acqua dai
cuori più riarsi.

I. Il Salterio è la preghiera più nobile in
onore della Vergine Maria, e da Lei viene
portato a perfezione (Maria Santissima, la
Madre di Dio, infatti, possiede tutte le
eccelse qualità, raffigurate sul Salterio, sulla 
Cetra e sull’Arpa della Sinagoga, e i
Rosarianti di Maria Vergine sono i Musici
Angelici della Regina del Cielo), per dieci
valide ragioni e argomentazioni:

1. la purissima Vergine Madre di Dio, al
suono del Suo Salterio, allontana il diavolo,
come già Davide, per mezzo della Cetra,
scacciò il demonio da Saul;

2. la Madre di Dio è l’Arca di Dio, che ha
portato al mondo il Verbo Onnipotente,
come l’Arca, davanti alla quale, una volta,
Davide cantò al suono delle Arpe;

3. Ella ci ottiene la vittoria sui nemici, come
una volta, anche la sorella di Mosè, Maria,
dopo la vittoria sui nemici, cantava al suono
del timpano;

4. Maria comunica ai Santi lo spirito
profetico, come già un tempo ad Eliseo,
mentre cantava il Salterio, fu trasmesso lo
Spirito della profezia divina;

5. Ella ha compiuto il Matrimonio tra Dio e
la creatura umana nel Talamo Verginale,
mediante lo Spirito Santo che si posò su di
Lei;

6. Maria SS. presiede il Coro del Tripudio
Celeste, che canta le divine Lodi, come un
tempo le figlie di Gerusalemme cantavano:
“Saul ne colpì mille, e Davide diecimila”;

7. Maria Vergine ha portato la Pace: infatti
il Suo Figlio riportò unità tra Cielo e terra,
ponendosi come Pietra d’angolo;

8. la Vergine Maria ha portato al mondo un
giorno di festa senza fine, festa per Dio, per
gli uomini e per gli Angeli;

9. è Lei che ha offerto a Dio Padre, per il
mondo, un olocausto di immenso valore, il
Verbo fatto Carne;

10. la Beatissima Vergine e Madre di Dio
cantò, subito dopo l’Incarnazione, il divino
Cantico del Magnificat, come gli Angeli,
appena nacque il Signore degli Angeli, 
cantarono il Gloria in excelsis: la soavità di
questi Cantici riconciliò Dio e l’umanità, e
riportò l’alleanza tra gli angeli e gli uomini.

Questi dieci scene erano raffigurate sul
Salterio della Sinagoga (lo afferma
Sant’Agostino nel Sermone sul Salterio
della Sinagoga, che inizia con: Lodate Dio
nel Salterio ecc.), e si riferivano alla
Purissima Madre di Dio, come vedremo
meglio in seguito.

II. Se certamente sarebbe più appropriato
dire che è Cristo, più che la Vergine Maria,
colui che ha portato a compimento queste
dieci profezie, ed è da Cristo che prende
nome questa preghiera, dal momento che
Cristo è il Signore Onnipotente, tuttavia,
essendo Maria la Madre di Misericordia per
i peccatori, ed in qualche modo più tenera e
più materna rispetto a Cristo, Ella è la
Mediatrice presso il Mediatore.

Tuttavia, si possono riferire a Gesù alcune
specifiche figure:

1. il Salterio è il Cantico della Resurrezione
di Cristo: il Salmo 56,9 afferma: “Risorgi vita
mia, il Salterio e la Cetra la cantino”. 
Così
dunque nel SS. Rosario , si recitano 15 Pater
Noster per Cristo, che risorge in noi
nell’umiltà della preghiera: ecco perché la
teologia, giustamente, afferma che il
Salterio può essere chiamato preghiera di
intercessione perché Cristo risorga in noi;

2. Cristo è il Salterio a dieci corde, perchè
dei dieci Comandamenti di Dio, è il
definitivo Legislatore e il Giudice Ultimo per
quanti li avranno disattesi;

3. a Cristo si riferiscono tutte le profezie,
perché ne è la loro causa efficiente,
formale, esemplare e finale: e il Salterio di
Davide, profetizzava il nuovo Salterio del
SS. Rosario; 

4. E’ Cristo il Salterio della nostra salvezza,
che ci ha redenti e santificati: per questo
nella dedicazione di una Chiesa, sia quando
essa veniva fondata, sia quando essa veniva
riconsacrata, si cantava al suono tripudiante dei Salteri;

5. il Signore Gesù è la nostra gioia senza
fine, la nostra letizia ed esultanza
dell’anima, perché, mediante le sua cinque
porte, ovvero le cinque piaghe , ci conduce
alle dimore della piena felicità. Riguardo a
questo, nei Salmi 46 e 97, il Profeta Davide
scrive: “Gioite senza fine in Dio”, etc. 
Da taliragioni, si comprende la grandezza del SS.
Rosario, il nuovo Salterio dello Sposo Gesù
e della Sposa Maria, con il quale tributiamo
Loro, una lode secondo giustizia.


AVE MARIA!


La grande sorpresa di Giovanni (Gv 1,13)

La grande sorpresa di Giovanni

di Vittorio Messori
(Il Timone - Settembre 2012)
 
Ignace de la Potterie, biblista


Il padre Ignace de la Potterie  (Waregem24 giugno 1914 – Heverlee11 settembre 2003), gesuita, ebbe a lungo la cattedra di Nuovo Testamento giudicata (a ragione) la più importante nell’Istituto, a sua volta conisiderato (anche qui, a ragione) come il più autorevole della Chiesa per gli studi sulla Scrittura.

Parliamo del Pontificio Istituto Biblico, emanazione di quella Università Gregoriana il cui Rettore – a conferma della sua importanza- è nominato dal Papa stesso. Il “Biblico“, come viene abitualmente chiamato, fu fondato nel 1909 da san Pio X per rispondere, con le stesse armi di rigore scientifico, all’attacco alle basi stesse della fede portato dal cosiddetta “critica indipendente“. Quella, cioè, che sezionava i testi dell’Antico e soprattutto del Nuovo Testamento, concludendo – assai spesso – che non si trattava di storia bensì di miti, simboli, leggende e che il “Gesù della storia“, quello realmente vissuto, era un oscuro personaggio, dalla biografia incerta, che poco o nulla aveva a che fare con il “Cristo della fede“. Insomma, il Credo aveva basi abusive e storicamente insostenibili e il cristianesimo null’altro era che una tardiva costruzione nata tra ellenisti ed elementi marginali di un giudaismo oscuro.

Davanti a un simile assalto, la Chiesa si rese finalmente conto che non bastava indignarsi e lanciare invettive contro i “miscredenti“ ma che occorreva replicare con i medesimi strumenti, con la medesima erudizione. A questo si dedicò dunque il Pontificio Istituto, con buoni risultati che, innanzitutto, tolsero ai cattolici il timore che le fondamenta della loro fede non fossero più difendibili davanti alla Scienza (con la maiuscola, ovviamente, come volevano i professori delle università laiche) e tolsero loro il sospetto, magari inespresso ma tormentoso, che proprio l’incarnazione di Dio nella storia fosse improponibile secondo le rigorose categorie della storia moderna.

Il professor de la Potterie, morto pochi anni fa, fu parte eminente e del tutto degna della schiera degli studiosi che hanno illustrato il Biblico per oltre un secolo, avendo tra l’altro fra i docenti e poi tra i direttori un Carlo Maria Martini. Ovviamente coltissimo, padrone di molte lingue sia moderne che antiche, il padre Ignace mi onorava della sua amicizia e condivideva quanto cercavo di fare (ovviamente al mio livello di non specialista, seppure informato della materia quanto più mi era possibile) per trovare conferme della storicità dei vangeli. E quando, ormai molto anziano, si ritirò nel suo Belgio natale, ogni tanto mi sorprendeva con una telefonata che mi rallegrava e al contempo un poco mi rattristava. In effetti, si sfogava con me, disapprovando un certo “ modernismo” e “razionalismo“ che era entrato anche tra i biblisti cattolici, spesso per imitazione dei troppo venerati docenti delle facoltà teologiche protestanti che, in Germania , esistono ancora nelle università pubbliche.

Non potevo non dargli ragione anche perché l’ottimo padre Ignace era tutt’altro che un chiuso tradizionalista, era anzi a conoscenza di tutti i metodi e di tutte le teorie moderne, di cui accettava ciò che non tendeva a trasformare in mito o in simbolo il realismo storico dei vangeli. Professori per i quali nulla, nella Scrittura, andava preso così come sta scritto e le sole cose indiscutibili erano le loro note e le loro introduzioni “demitizzanti“.

Pur muovendosi con padronanza in tutta la Scrittura e in particolare nel Nuovo Testamento, de la Potterie era conosciuto soprattutto come il miglior conoscitore di Giovanni: il Vangelo, ovviamente, ma anche le tre lettere che gli sono attribuite. E proprio nel quarto evangelista aveva individuato, chiarito e messo in rilievo, con sicurezza sino ad allora mai raggiunta, un aspetto tanto importante quanto pochissimo conosciuto. E cioè, nientemeno che questo: nel celeberrimo Prologo (<< In principo era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio …. >>), Giovanni ci darebbe testimonianza esplicita e precisa della triplice verginità di Maria: prima, durante e dopo il parto. Lo stesso padre de La Potterie mi diceva, e scriveva nei suoi articoli, che tra i biblisti d’oggi (persino, purtroppo, in certe università cattoliche) si preferisce sorvolare su questo aspetto, pur così importante, della storia della redenzione. In alcuni ambienti, chi ancora parli con fede convinta della semper Virgo suscita diffidenza quasi fosse un “integrista“, oppure provoca ironia, come si addice a un vecchio retrogrado. E invece, ecco quel docente illustre di un illustre ateneo pontificio scrutare il “suo“ Giovanni e, proprio all’inizio del vangelo scoprire (o riscoprire, lo vedremo) che il testo era stato manipolato già in tempi antichi, nascondendo così la verità con un semplice passaggio di un verbo dal singolare al plurale.

Il professor de la Potterie aveva esposto la sua documentatissima tesi in due articoli di ben 50 pagine ciascuno su Marianum, la rivista dell’omonima facoltà teologica pontificia, già nel 1978 e aveva ripreso il discorso, arricchito da nuove ricerche, nel 1983. Quelle cento pagine, fitte di note e di citazioni in latino, in greco, in ebraico erano state molto lette dagli specialisti i quali, però, avevano scelto il silenzio.

Succede spesso, nel mondo dei biblisti: ciò che può mettere in discussione gli schemi e i pregiudizi egemoni del momento è rimosso, se non ne è possibile una stroncatura, vista (come in questo caso) la rigorosa serietà critica delle ricerca e l’autorevolezza dell’autore. 
Ricordo come in una delle sue ultime telefonate, il vecchio studioso si rammaricasse del silenzio attorno a un tema così importante. Mi parve che, in lui, vi fosse un inespresso ma esplicito, cortese invito ad aiutarlo a fare conoscere una simile scoperta, tanto rilevante per la fede stessa e tale da appoggiare con l’autorevolezza del quarto evangelista il dogma delle perenne verginità di Maria. 

Ebbene, con queste pagine, cercherò di aderire al desiderio del padre Ignace, dando notizia di quella ricerca di cui è stato l’efficace strumento ma che non riguarda certo lui e la sua carriera scientifica, bensì la fede di noi tutti. 
Qui darò, ovviamente, solo una sintesi divulgativa seppur (così almeno spero) corretta, vista l’attenzione con cui ho esaminato quel centinaio di pagine. Ma sarà bene che chi vuole approfondire vada ai due articoli di de la Potterie, magari facendoseli inviare via mail dalla stessa rivista (marianum@marianum.it): assicuro che ne vale la pena. Non si tratta qui di una sorta di curiosità ma di un modo per rafforzare, basandosi sulla Scrittura stessa, una verità su Maria che la Chiesa ha sempre creduto e proclamato.

Vediamo, dunque, come stiano le cose, riproducendo il breve versetto su cui tutto si basa. E’ il tredicesimo del primo capitolo, quel Prologo giovanneo cui sopra accennavamo e che diamo nell’ultima versione (quella del 2007) della Conferenza Episcopale Italiana. Ma per comprendere, dobbiamo prima riprodurre anche i due versetti precedenti, l’undicesimo e il dodicesimo: <<Venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome>>. Seguono le righe su cui si è appuntata la ricerca del nostro studioso: <<I quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati>>.

Questa, dunque, la versione tradizionale e questa, invece, secondo il docente del Biblico, la versione autentica: <<Non da sangui, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio egli (Gesù) è stato generato>>.

Come si vede, il verbo “generare“ è al singolare e non al plurale come nella versione delle nostre edizioni della Scrittura. In effetti, il soggetto è uno solo: Gesù. Mentre nella versione tradizionale, è al plurale, il soggetto essendo <<quelli che credono nel suo nome>>. Dunque, per ripeterci ma per maggior chiarezza, in questo punto decisivo: messo al singolare, il versetto parla della generazione divina del Cristo; messo al plurale parla della trasformazione dei credenti in lui. 
Da notare subito, anche, che – in tutti i manoscritti antichi che abbiamo – “sangue“, in greco, è al plurale ma, mentre nella Vulgata latina il plurale è stato rispettato (ex sanguinibus), in italiano è stato sempre tradotto al singolare. Eppure (si controlli anche su dizionari classici come quello del Tommaseo), “sangui “ in italiano è raro ma esiste ed è impiegato anche da buoni autori. Se nelle traduzioni italiane non lo si è usato e non lo si usa tuttora, non è (come molti hanno detto) perché “sangui“ non c’è nella nostra lingua, ma perché non si è compreso quale fosse la sua importanza nel pensiero di Giovanni. Come vedremo.

La prima domanda da fare è questa: i documenti antichi che abbiamo del Nuovo Testamento, autorizzano a usare la terza persona singolare del verbo “generare “ (attribuendola a Gesù) invece della terza persona plurale, attribuendola ai cristiani?

Va subito detto: tutti, o quasi, i manoscritti greci hanno il plurale. Ma i più antichi di essi risalgono solo al quarto secolo, se si escludono dei frammenti casuali su papiro. E, invece, abbiamo testi di scrittori cristiani e poi di padri della Chiesa, risalenti al secondo secolo, che citano questo versetto al singolare. Per risalire ai più antichi, Sant’Ireneo di Leone, verso il 190, usa il singolare. Addirittura, il sempre polemico Tertulliano, attorno all’anno 200 , imbastisce una disputa proprio attorno a questo brano e accusa una setta di eretici di avere falsificato le parole di Giovanni, mettendole- appunto- al plurale. Cioè, quello che è entrato nel testo ufficiale del Vangelo e che ancora usano le nostre edizioni attuali. Oltre al latino, abbiamo la testimonianza del singolare nei testi più antichi in siriaco, in copto, in etiope.

Va precisato per coloro che non hanno familiarità con la critica biblica: la ricostruzione del testo originale della Scrittura condotta solo sui documenti superstiti è detta “critica esterna“. Ma questa va completata (tutti gli studiosi moderni concordano) con la “critica interna“, che scende più in profondo e che, in questo nostro caso, porta a preferire un “è stato generato“ piuttosto che un “sono stati generati“.

Insomma, la situazione è tale che padre de la Potterie poteva scrivere, già nel 1978 e poi ribadire nel 1983, nel suo secondo articolo-saggio, che proprio la ricerca non solo sugli antichi manoscritti evangelici ma anche sulle citazioni dei primissimi autori cristiani, sembra rendere necessario tornare al <<da Dio è stato generato >> , avendo per soggetto Gesù. 
Rileggiamoci il versetto in quella che sembra essere davvero la versione originaria finalmente restaurata secondo le intenzioni dell’evangelista e ci renderemo subito conto (come vedremo ancor meglio qui sotto) che qui abbiamo una testimonianza preziosissima sulla triplice verginità di Maria. Eravamo convinti che Giovanni si riferisse a quella che non chiama mai col suo nome, ma con quello di “madre di Gesù”, soltanto per l’episodio di Cana e per la presenza ai piedi della croce: ecco invece riemergere una terza testimonianza mariana, di importanza davvero primaria.

Chiediamoci ora: perché già prima del IV secolo è sparito il riferimento all’origine divina di Gesù e nei testi evangelici si è imposto quel plurale che è giunto sino a noi e che, a ben guardare, inserisce una sorta di corpo estraneo? In effetti, tutto il prologo di Giovanni è un inno solenne alla incarnazione del Verbo ed ecco apparire a sorpresa e in modo che non sembra giustificato <<quelli che credono nel suo nome>>, cioè i membri della Chiesa. E in che modo, poi, questi battezzati, uomini concreti in carne ed ossa e non eterei angeli, sarebbero stati generati <<non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini >>?

Sembra che sia avvenuto questo: nella Chiesa primitiva infieriva la setta detta dei “doceti“, i quali negavano la natura umana di Gesù e di conseguenza, il suo concepimento da parte di Maria . Questa sarebbe stata non la madre che ha per nove mesi la creatura nel ventre, ma una sorta di tubo dell'acqua attraverso il quale il Cristo – la cui immagine umana era soltanto apparente - sarebbe passato. 

Il docetismo (il cui “spiritualismo” era particolarmente pericoloso, rendendo Gesù non una persona, ma una sorta di superarcangelo) si appoggiava proprio sul versetto 13 del prologo che stiamo esaminando: il Cristo era venuto tra noi non solo in modo verginale, come attestato dal <<né da volere di carne>> e dal <<né da volere di uomo>>. Ma, soprattutto, la tesi doceta sarebbe provata da quel <<nec ex sanguinibus>>. 

Ma che cosa sono quei “sangui“ ? Come dicevo sopra, che questo plurale faccia parte del testo originale non c’è alcuna discussione, tutte le testimonianze lo riportano, sia quelle in cui Gesù è il soggetto, sia quelle in cui soggetto sono i suoi discepoli. Ma se (come Giovanni doveva avere scritto nel suo prologo) soggetto era il Messia, questa espressione poteva essere utilizzata facilmente dal docetismo: se Egli non era stato “generato da sangui“, era perché non aveva un corpo come ogni altra persona umana, non c’era stato un parto, sempre accompagnato da effusione di sangue da parte della donna. 

Dunque, per citare testualmente il nostro padre de la Potterie, <<per risolvere radicalmente la questione e togliere agli eretici un’arma, probabilmente all’inizio del III secolo, gli scrittori ecclesiastici cominciarono a cambiare il verbo al plurale, spostando il tutto sui cristiani ma interrompendo così, tra l’altro, l’unità del Prologo giovanneo, tutto incentrato sul mistero del Logos fattosi carne>>. 
Il “ritocco“ ecclesiale finì per coinvolgere anche l’originale del Vangelo ed è giunto sino a noi.

Ma riflettiamo soprattutto su quel “sangui“, facendoci aiutare dalla sintesi del padre Domenico Marcucci, uno dei pochi studiosi che ha avuto il coraggio di rompere il conformismo dei colleghi, prendendo radicalmente sul serio lo studio del biblista della Gregoriana: <<Nei testi greci, aima, sangue, si trova solo al singolare. Ma Giovanni usa il plurale. Perché? Per capire, de la Potterie si è rivolto all’ebraico, visto che il quarto evangelista è intriso profondamente della sua cultura, quella giudaica.

Nell’Antico Testamento in ebraico, la parola “sangui“ (damim) sta a significare il sangue versato dalla donna durante le mestruazioni e durante il parto. Esso la rendeva impura, per cui doveva recarsi al tempio per la purificazione>>. Dunque: <<Il “non da sangui“ sta a significare che la nascita di Gesù è avvenuta, a differenza di ogni altra, senza l’effusione del sangue, dunque verginalmente >>.

Proviamo a rivedere il versetto 13 nella versione che sarebbe quella originale e vediamone le conseguenze: Gesù <<è stato generato da Dio>> e, dunque, <<non da volere di carne, né da volere di uomo>> (virginitas ante partum). Inoltre, il parto si svolse <<non da sangui>>, dunque senza le consuete lesioni corporali, il che sottintende sia la virginitas in partu che quella post partum, non avendo il passaggio del corpo del figlio provocato sanguinamenti e avendo dunque lasciata intatta la madre. Come si vede, un risultato di straordinaria importanza: e questo, soltanto rimettendo al singolare un verbo, come pare proprio fosse nelle intenzioni di Giovanni. 
Questi, tra l’altro, chiarisce subito che ciò non mette in discussione la materialità corporea, la realtà umana di Gesù. E, in effetti, il prologo prosegue con le parole: <<E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi…>>. Sta di fatto che, come nota giustamente de la Potterie, se i primi Padri della Chiesa trovavano già in Matteo e in Luca elementi per la concezione verginale, è proprio nel primo capitolo di Giovanni che trovavano non solo conferma ad essa, ma anche un riferimento diretto a un dare alla luce verginale, senza perdite che l’ebraismo considerava impure come quelle di tutte le partorienti.

Ora: perché tanta noncuranza, tanto silenzio su questa riscoperta del possibile, preciso fondamento scritturale di una verità come la semper Virgo, già presente nella Tradizione cristiana nel secondo secolo e divenuta poi dogmatica nella Chiesa? 

Un punto di fede considerato così importante che, in Oriente, tra le rigide regole date agli iconografi vi è quella di non rappresentare mai la Theotokos senza tre stelle - una sul capo e due sulle spalle –a segno della triplice verginità. 

Il padre Ignace non aveva torto nel denunciare il conformismo di tanti suoi colleghi, per i quali un simile tema è fonte di imbarazzo, tanto che, come dice padre Marcucci : <<In molti manuali di mariologia usati nei seminari cattolici, la verginità ante, in, post è oggetto di silenzi imbarazzati più che di seria trattazione>>. Ma, attenzione! In uno dei suoi ultimi libri, il padre Stefano De Fiores – forse il nostro (più recente) maggior mariologo, purtroppo scomparso da poco, docente anche alla Gregoriana– citava gli studi di la Potterie e ne accettava con convinzione i risultati, giudicandoli fondati non solo sui documenti ma anche sulla dinamica di Giovanni. Un riconoscimento davvero importante.

Ma l’ultimo studio in proposito del docente della Gregoriana è, come dicevo, del 1983. Perché la traduzione della Bibbia, rivista e aggiornata della CEI e che è di 24 anni dopo, non segnala almeno in nota a Gv 1,13 la possibilità, che sembra avvicinarsi alla certezza, che il testo primitivo avesse Gesù e non il suo popolo come soggetto? 
[In verità P. Marco Sales commentando nel 1914 questo versetto 1,13 di san Giovanni nota: "Alcuni antichi Padri e parecchi critici moderni, leggono questo versetto al singolare e lo applicano interamente alla concezione verginale di Gesù: Che credono nel nome di lui che non per via di sangue, ecc., ma da Dio è nato. V. Durand. L'Enfance de Jésus, p. 106 e Calmes. - Ed anche gli esegeti recenti (1950): Mollat, F.M.Braun, MèlG, Boismard, Martìn Nieto - NDR].

Una cosa, comunque è confermata per l’ennesima volta: la Scrittura è ancora in grado di riservarci sorprese, alcune delle quali –come nel caso di cui parliamo– riguardano quella Madre di Dio il cui mistero è al contempo discreto e inesauribile.