lunedì 25 gennaio 2016

La Pastorale Giovanile nel magistero di Benedetto XVI.

Chi non dà Dio dà troppo poco.
La Pastorale Giovanile nel magistero di Benedetto XVI.


Cosa si aspetta Papa Ratzinger dalla pastorale giovanile? Benedetto XVI si è pronunciato in proposito in varie occasioni, incontrando Vescovi e sacerdoti. Innanzitutto, egli ritiene che “la gioventù deve essere realmente la priorità del nostro lavoro pastorale, perché essa vive in un mondo lontano da Dio”...

1.        Porgo un cordiale saluto a tutti voi, che partecipate al X Convegno Nazionale di Pastorale Giovanile, e in particolare ringrazio don Nicolò Anselmi, Direttore del Servizio Nazionale, per l’invito che mi ha fatto a tenere questa relazione, e che ho accettato ben volentieri. Il vostro Convegno è un evento ecclesiale importante, proprio perché la pastorale delle giovani generazioni costituisce in un certo senso il cuore stesso dell’opera evangelizzatrice della Chiesa. 

È veramente entusiasmante vedere una partecipazione così numerosa a questo Convegno: sacerdoti, religiosi, religiose, laici e molti giovani. Una presenza giovanile tanto rilevante dimostra in modo inequivocabile che i giovani non sono affatto soggetti meramente passivi della cura pastorale della Chiesa, ma vi prendono parte attiva da protagonisti. Questa platea riunita testimonia chiaramente dell’attenzione e dell’impegno generoso della Chiesa italiana in favore delle giovani generazioni. 

Infatti, non da oggi la Chiesa italiana ha fatto della pastorale giovanile un’opzione prioritaria e un tema centrale della sua missione. E’ una Chiesa che non ha paura dei giovani, ma con amore materno li cerca, li vuole incontrare “fino agli estremi confini”, come attesta il tema di questo Convegno. Siete un grande segno di speranza, perché proprio nelle giovani generazioni la Chiesa ritrova ogni volta di nuovo il suo volto sempre giovane e trova il coraggio di guardare al futuro. 

Come Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici vi ringrazio e mi congratulo con ciascuno di voi per quanto fate - come Chiesa - a favore dei giovani. Con il vostro lavoro di oggi state formando il laicato di domani, uomini e donne consapevoli della loro vocazione e della loro missione nella Chiesa e nel mondo, persone di cui tanto avvertiamo il bisogno.

Il titolo del mio intervento: “La Pastorale Giovanile nel magistero di Benedetto XVI” richiede una breve spiegazione. Quando si studiano con attenzione gli insegnamenti di Papa Ratzinger, ci si accorge presto - non senza una certa sorpresa - della vastità degli orizzonti pastorali che il suo profondo pensiero teologico apre alla Chiesa del nostro tempo. 

Questo Papa si presenta, dunque, non solo come un grande teologo, ma anche come un autentico pastore, estremamente sensibile ai problemi che la Chiesa deve affrontare, pronto a dialogare con tutti, quindi anche con i giovani, come abbiamo visto durante l’indimenticabile incontro di Agorà 2007 a Loreto. 
Nel suo insegnamento trova piena conferma la regola che non c’è niente di più pastorale che una buona e solida teologia. Proprio da tale costatazione deriva la scelta del tema della mia relazione. Come vedremo, Benedetto XVI ci offre moltissimi insegnamenti assai rilevanti e anche “pratici”, per aiutarci a cogliere ciò che nel nostro impegno pastorale a favore dei giovani è veramente essenziale.

2.        Dobbiamo anzitutto inserire i1 nostro discorso sulla pastorale giovanile nel contesto più ampio della “grande emergenza educativa” provocata dalla cultura post-moderna. Il Papa ultimamente è tornato più volte su questo tema, segno evidente di quanto l’argomento gli stia a cuore. Si tratta “della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento”[1]

Il Papa spiega che si tratta di una emergenza ineludibile: “in una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo - il relativismo è diventato una sorta di dogma-, in una simile società viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso di parlare di verità, lo si considera “autoritario” e si finisce per dubitare della bontà della vita”[2]
Nella “società liquida” (Z. Bauman) senza certezze e senza criteri certi, priva di qualsiasi fondamento solido di valori condivisi, che rifiuta l’esistenza della verità e la sostituisce con il pluralismo illimitato delle opinioni, l’educazione dei giovani diventa un compito estremamente arduo se non addirittura impossibile. 

Sulla stessa linea del Papa si colloca un significativo Appello lanciato recentemente da un gruppo di intellettuali: “Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di una generazione di adulti di educare i propri figli. Per anni da nuovi pulpiti - scuole e università, giornali e televisioni - si è predicato che la libertà è l’assenza di legami e di storia, che si può diventare grandi senza appartenere a niente e a nessuno, seguendo semplicemente il proprio gusto o piacere. 

E’ diventato normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell’uomo fosse destinato a rimanere senza risposta”[3]. Si diffonde un pericoloso clima di confusione, smarrimento e sfiducia. Per essere più concreti, secondo l’ultimo rapporto sull’infanzia e adolescenza di Telefono Azzurro - EURISPES, i giovani italiani si rivelano come la generazione del “tutto e subito”, che percepisce il tempo enfatizzando l’immediatezza e il presente, dato che il futuro si presenta nebuloso e incerto. 

Sono “figli- padroni”, di genitori ormai dominati da una sorta di “pedofobia”, nel senso di una paura per le reazioni aggressive dei più piccoli. Nei genitori, troppo assenti nell’ambiente familiare per lavoro o altri problemi, i sensi di colpa generano una permissività eccessiva nei confronti dei figli che compromette ogni serio rapporto educativo[4]. Il Papa stesso nota che molti educatori “sono tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo o meglio la missione ad essi affidata”[5]

Oggi si può parlare senz’altro di crisi generalizzata della figura dell’educatore, il che inevitabilmente si riflette anche sulla pastorale giovanile. Come uscire da questa crisi, che sta mettendo in pericolo le basi stesse della convivenza sociale e il futuro della nostra società? Certamente non possiamo arrenderci alle tendenze nichiliste della cultura post-moderna. 

La risposta di Papa Benedetto XVI è molto impegnativa: “In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e ala testimonianza dei Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano “odio di sé” che sembra diventato una caratteristica della nostra società”[6]

Ecco, dunque, la grande sfida e al tempo stesso l’entusiasmante proposta del Papa per la pastorale giovanile. Forti, in quanto Chiesa, della pedagogia del Vangelo, siamo chiamati a dare una risposta chiara e coraggiosa all’emergenza educativa dei nostri tempi.

3.        In tale contesto, cosa si aspetta Papa Ratzinger dalla pastorale giovanile? Benedetto XVI si è pronunciato in proposito in varie occasioni, incontrando Vescovi e sacerdoti. 

Innanzitutto, egli ritiene che “la gioventù deve essere realmente la priorità del nostro lavoro pastorale, perché essa vive in un mondo lontano da Dio”[7]. Per lui la meta principale è l’educazione delle nuove generazioni “aila fede, alla sequela e alla testimonianza”. 

E nella situazione di isolamento e di solitudine in cui vivono i giovani d’oggi, il Papa intende la pastorale essenzialmente come un “accompagnamento personale” da parte della comunità ecclesiale. I giovani devono sentirsi amati, compresi e accolti: “in concreto, questo accompagnamento deve far toccare con mano che la nostra fede non è qualcosa del passato, che essa può essere vissuta oggi e che vivendola troviamo realmente il nostro bene… che il modo di vivere cristiano è realizzabile e ragionevole, anzi, di gran lunga il più ragionevole”[8]

Per questo è così importante per i giovani “poter fare esperienza della Chiesa come di una compagnia di amici davvero affidabile, vicina in tutti i momenti e le circostanze di vita”[9].

Nella pastorale giovanile non si deve mai dimenticare che “il rapporto educativo è sempre un incontro di libertà e che la stessa educazione cristiana è formazione all’autentica libertà”[10]

Il Papa sottolinea che “quando avvertono di essere rispettati e presi sul serio nella loro libertà, gli adolescenti e i giovani, pur con la loro incostanza e fragilità, non sono affatto indisponibili a lasciarsi interpellare da proposte esigenti: anzi, si sentono attratti e spesso affascinati da esse”[11]

Nella pastorale, la libertà va coniugata con il bisogno di verità che i giovani portano dentro di sé. Dice il Papa: “E’ nostro compito cercare di rispondere alla domanda di verità ponendo senza timori la proposta della fede a confronto con la ragione del nostro tempo. Aiuteremo così i giovani ad allargare gli orizzonti della loro intelligenza, aprendosi al mistero di Dio”[12].

A questo punto Benedetto XVI rivolge a tutti gli operatori della pastorale giovanile un pressante appello: “non esitate a promuovere una vera e propria pastorale dell’intelligenza[13], cioè una pastorale che prenda sul serio le domande dei giovani, tanto quelle esistenziali quanto quelle nate dal confronto tra fede e ragione. Questo appello sicuramente merita di essere accolto e tradotto operativamente nella programmazione pastorale.

La pastorale giovanile, forse più di tutti gli altri settori dell’impegno pastorale della Chiesa, richiede il coinvolgimento di tutta la comunità cristiana: parrocchiale, diocesana, regionale e nazionale. 

Per questa ragione Benedetto XVI sollecita gli operatori della pastorale giovanile non solo alla comunione profonda con il Signore - presupposto necessario di ogni opera evangelizzatrice - ma anche alla comunione tra educatori: “la disponibilità e prontezza a lavorare insieme, a «fare la rete», a realizzare con animo aperto e sincero ogni utile sinergia”[14]
L’invito è in evidente contrasto con un abbastanza diffuso individualisino degli operatori della pastorale giovanile, e li sollecita a unire le forze, a coordinare meglio le iniziative, per evitare una frammentazione dispersiva e deleteria delle forze. 
Si tratta inoltre di coinvolgere tutte le realtà aggregative presenti nelle diocesi e nelle parrocchie: l’Azione Cattolica, le associazioni giovanili, i movimenti e le nuove comunità ecclesiali, ma anche gli oratori, la scuola cattolica e soprattutto le famiglie cristiane

In un’altra occasione il Papa auspicava come metodo, una “pastorale integrata”, spiegandone in questo modo l’opportunità: “Non ogni parroco ha la possibilità di occuparsi sufficientemente della gioventù. E c'è quindi bisogno di una pastorale che trascenda i limiti della parrocchia e trascenda anche i limiti del lavoro del sacerdote. Una pastorale che coinvolga anche molti operatori”[15]. Il Papa dunque fornisce gli elementi strutturali per costruire una pastorale giovanile che corrisponda veramente ai bisogni della Chiesa del nostro tempo.

4.     Soffermiamoci ora brevemente sui due protagonisti della pastorale giovanile, ovvero sui giovani stessi e su chi è chiamato a svolgere tra di loro l’opera pastorale a nome della Chiesa. 

Occupiamoci dapprima dei giovani d’oggi: chi sono? Cosa cercano nella vita? Cosa li distingue dalla generazione precedente? 
Numerosi studi su questo argomento confermano che oggi i giovani, come in ogni altra epoca, vogliono essere sé stessi, desiderano affermare la propria identità, ricercano ragioni di vita. Quando sono adeguatamente motivati, sono capaci di generosità, solidarietà e dedizione (volontariato!), ma - rispetto al passato - hanno meno punti di riferimento e minor senso di appartenenza. Fortemente individualisti, rivendicano il diritto di costruirsi la vita a prescindere dai valori e dalle norme comunemente accettati.

Li caratterizza una grave carenza di radici culturali, religiose e morali. A differenza della generazione precedente, sono decisamente meno permeabili a influssi ideologici.   Nella loro vita prevale la dimensione affettiva e sensoriale, a scapito della ragione, della memoria e della riflessione. In una società che favorisce e coltiva il dubbio, l’immaturità ed l’infantilismo, i giovani hanno difficoltà a crescere, anzi, dimostrano essi stessi d’averne poca voglia. 

L’infanzia è sempre più breve mentre si prolunga indefinitamente il periodo dell’adolescenza. Perciò, spaventati dalla falsa prospettiva di perdere la loro libertà, i giovani esitano di fronte a impegni duraturi, rifuggono le scelte definitive (matrimonio, sacerdozio, vita religiosa). Il risultato è una personalità estremamente fragile e incoerente[16]

In sintesi, si tratta di figli di una cultura in crisi profonda che - come abbiamo detto - ha perso la capacità di educare le giovani generazioni, di aiutarle, cioè, a “essere di più” e non solo ad “avere di più”. Ogni operatore della pastorale giovanile, che sia sacerdote, religioso o laico, deve confrontarsi ogni giorno con questa situazione.

Benedetto XVI, da parte sua, dimostra una straordinaria capacità di dialogare con i giovani d’oggi, che evidentemente sa capire molto bene. 
Non dimentichiamo che quando era professore universitario per molti anni è stato quotidianamente in contatto diretto con loro: il suo punto di vista sulla gioventù d’oggi è essenzialmente positivo: “c’è un desiderio nella gioventù, una ricerca anche di Dio. I giovani vogliono vedere se Dio c’è e che cosa ci dice. Esiste quindi una certa disponibilità, con tutte le difficoltà oggi. Esiste anche un entusiasmo. Dobbiamo quindi fare il possibile - conclude il Papa - per tenere viva questa fiamma che si mostra in occasioni come le Giornate Mondiali della Gioventù”[17]

Le GMG - come si vede - sono anche per questo Pontefice un importante laboratorio per la pastorale giovanile. A Colonia il Papa, rivolgendosi ai Vescovi tedeschi, diceva: “La loro Idei giovani1 fede e la loro gioia nella fede continuino a essere per noi una provocazione a vincere pusillanimità e stanchezza e ci spingano, a nostra volta I.../ a indicare loro la strada, cosicché l’entusiasmo trovi anche il giusto ordine”. E poi concludeva: “Dobbiamo accogliere la provocazione della gioventù , affinché questa GMG di Colonia possa diventare veramenteun nuovo inizio per la pastorale giovanile[18]

Così il Papa ha messo in risalto la necessità di passare dall’aspetto straordinario” dell’avvenimento (anche questo è importante!) a quello “ordinario” dell’impegno quotidiano nelle diocesi e nelle parrocchie. Abbiamo qui un’importante indicazione di Benedetto XVI a tutti gli operatori della pastorale giovanile: aprirsi sempre di più a quella “salutare provocazione” proveniente dal mondo giovanile, in particolare dalle GMG, per ravvivare l’entusiasmo pastorale e continuare a cercare vie sempre nuove per evangelizzare i giovani.

5.     L’emergenza educativa, di cui parla Benedetto XVI, deriva non solo dalle gravi carenze degli ambienti preposti all’educazione, ma anche da un’allarmante carenza di educatori autentici, di maestri veri. 

Ora evidentemente dobbiamo affrontare la questione della figura dell’operatore di pastorale giovanile: chi è? Come dovrebbe essere? 

Le GMG dimostrano che sta nascendo una nuova generazione di giovani, un fatto che riempie tutti di grande gioia. Ma questa nuova generazione di giovani ha bisogno di una nuova generazione di operatori di pastorale giovanile, capaci di rispondere ai reali bisogni spirituali di questa gioventù, senza lasciarsi condizionare da scelte ideologiche del passato. E questa “nuova generazione” di pastori sta nascendo un po’ ovunque, grazie all’esperienza delle GMG e alla diffusione del loro metodo pedagogico, che sta diventando un punto di riferimento fondamentale per i nuovi formatori. Voi ne siete una prova tangibile ...

L’impegno nella pastorale giovanile comporta per i formatori, che siano pastori, religiosi o laici, la disponibilità a lasciarsi provocare in prima persona dai giovani, che sono molto esigenti nei confronti del mondo degli adulti e si dimostrano sensibilissimi al minimo segnale di incoerenza e falsità. 
Per questo ogni operatore pastorale deve essere disposto a mettersi ogni giorno in questione, disposto sempre alla conversione personale e pastorale. Benedetto XVI sottolinea con insistenza che il lavoro con i giovani richiede la solida autorevolezza che nasce da una testimonianza di vita credibile:specialmente quando si tratta di educare alla fede, è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimonianza (...). Il testimone di Cristo non trasmette semplicemente informazioni, ma è coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della propria vita diventa attendibile punto di riferimento.

Egli non rimanda però a se stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha sperimentato l’affidabile bontà[19]. La maturità umana e cristiana degli operatori della pastorale giovanile è la chiave di volta del processo di educazione alla fede, tuttavia non basta. 
Il Papa insiste: “Una simile opera non può essere realizzata con le nostre forze, ma soltanto con la  potenza dello Spirito. Sono necessarie la luce e la grazia che vengono da Dio e agiscono nell’intimo dei cuori e delle coscienze. Per l’educazione e formazione cristiana, dunque, è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù”[20].
Quando era Cardinale, J. Ratzinger una volta rimarcò che “Solo attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini”[21]. Il Convegno che in questi giorni ci riunisce è un’occasione davvero propizia per riflettere su queste parole...

6.     Siano giunti al centro delle nostre riflessioni: il magistero di Benedetto XVI ci sollecita a riconsiderare seriamente le scelte di fondo del nostro impegno in favore delle giovani generazioni. 

Il Papa, grande maestro della fede, ci aiuta a tornare all’essenziale: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò una decisione definitiva” (Deus Caritas Est, n. l). In queste parole riconosciamo il baricentro di tutta la pastorale.

7.     Ma nell’insegnamento del Papa, incontriamo anche alcuni “grandi temi” che gli stanno molto al cuore, i “pilastri” della pastorale giovanile, che vorrei brevemente presentare: 

A) La centralità di Dio nella vita dell’uomo: il problema fondamentale dell’uomo d’oggi - in particolare dei giovani - è il problema di Dio: e la risposta non è un dio qualunque - insiste Benedetto XVI - ma il Dio che ha il volto di Gesù di Nazaret. Dice il Papa: “I conti sull’uomo, senza Dio, non tornano, e i conti sul mondo, su tutto l’universo, senza di Lui non tornano”[22]
E in un’altra occasione: “Chi esclude Dio dal suo orizzonte falsifica il concetto di «realtà» /.../ Solo chi conosce Dio, conosce la realtà e può rispondere ad essa in modo adeguato e realmente umano”[23].Ormai la fede non può essere data per scontata. Le giovani generazioni hanno il diritto di ricevere l’annuncio di Dio in maniera esplicita e diretta, senza ridurlo a un pretesto per trattare questioni che alla mentalità moderna appaiono forse più interessanti[24]. C’è una grande sete di Dio nei nostri giovani, anche se non sempre sono in grado di articolarla in modo diretto. Il Papa comunque ci offre la regola fondamentale per guidare il nostro impegno pastorale: “Chi non da Dio da troppo poco[25]. Sembra un’affermazione scontata, ma purtroppo l’esperienza dimostra il contrario... 

B) Come spesso ci ricorda Benedetto XVI, viviamo nel mondo estremamente confuso della “dittatura del relativismo”, dove le opinioni soggettive hanno sostituito la verità. Per questo il Papa instancabilmente ci ricorda il principio della ragionevolezza della fededavvero importante per i giovani, dato che oggi in loro - come abbiamo detto - prevale la dimensione affettiva e sensoriale, a scapito della ragione. 

Benedetto XVI ribadisce: “Il desiderio della verità appartiene alla natura stessa dell’uomo. Perciò, nell’educazione delle nuove generazioni, la questione della verità non può certo essere evitata: deve anzi occupare uno spazio centrale. Ponendo la domanda intorno alla verità allarghiamo infatti l’orizzonte della nostra razionalità, iniziamo a liberare la nostra ragione da quei limiti troppo angusti entro i quali essa viene confinata quando si considera razionale soltanto ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo. 
E’ proprio qui che avviene l’incontro della ragione con la fede (…) il dialogo tra fede e ragione, se condotto con sincerità e rigore, offre la possibilità di percepire, in modo più efficace e convincente, la ragionevolezza della fede in Dio”[26]

Dunque la nostra pastorale giovanile non può accontentarsi di esperienze effimere e superficiali, ma deve puntare in profondità, per dimostrare in modo concreto - come dice il Papa - che “il modo di vivere cristiano è realizzabile e ragionevole, anzi, di gran lunga più ragionevole”[27]
Ricordiamo anche in proposito il suo pressante invito a dar vita a una vera e propria “pastorale dell’intelligenza”. 

C) La pastorale giovanile - che punta all’educazione integrale della persona - tocca direttamente l’ambito della libertà e del suo uso corretto, perché sia davvero orientata alla crescita umana e cristiana dei giovani. Si tratta di una questione decisiva per la vita, riguarda infatti le scelte vocazionali

Molti giovani dimostrano in proposito una preoccupante fragilità psicologica, hanno paura delle decisioni definitive, fino a considerarle impossibili. A questo proposito il Papa puntualizza: “Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita (...) quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà”[28]
La pastorale giovanile è dunque essenzialmente una pastorale vocazionale, deve aiutare giovani a compiere scelte mature e responsabili: il matrimonio cristiano, il sacerdozio oppure la vita consacrata. 

D) Seguendo il magistero di Benedetto XVI, arriviamo finalmente all’ultimo punto cruciale per la pastorale giovanile: la bellezza

Già durante la solenne apertura del Pontificato, il Papa diceva: “Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con Lui”[29]
Qualche giorno prima della GMG di Colonia nel 2005, un giornalista gli pose la domanda: “Santità, cosa vorrebbe in modo speciale trasmettere ai giovani che stanno arrivando da tutto il mondo?” Il Papa diede una risposta memorabile: “Vorrei convincere questi giovani che essere cristiani è bello!” 

E’ un tema che nei discorsi di questo Papa ritorna spesso: “I giovani hanno bisogno di vivere la fede come gioia, di assaporare quella serenità profonda che nasce dall’incontro con il Signore (...) La fonte della gioia è questa certezza di essere amati da Dio”[30]

Troppo spesso oggi il cristianesimo viene considerato come un cumulo di divieti, qualcosa che mortifica la libertà e il desiderio di felicità. 
Ma è vero il contrario: il Vangelo - insiste il Papa - è un affascinante programma di vita del tutto positivo. Il cristianesimo non va mai ridotto all’arido moralismo del “devi” o “non devi”. 
Il Vangelo dischiude davanti a noi un appassionante orizzonte per il quale “vale la pena” impegnarsi - “vale la pena scommettere tutta la vita su Cristo”! Ecco, dunque, una sfida decisiva per la pastorale giovanile: svelare ai giovani il volto luminoso di Cristo e del suo Vangelo, convincerli che essere cristiani non solo è giusto, è bello!

7. Certamente non stiamo parlando di un compito facile, soprattutto in un tempo di crisi profonda, che ci ha condotto a una “emergenza educativa” generalizzata. 

Ogni giorno sperimentate sulla vostra pelle questa realtà. Vivete tesi tra gioie pastorali, quando i vostri giovani rispondono con generosità e straordinari slanci di fede, e momenti di tristezza e di scoraggiamento, quando l’indifferenza, la fragilità, la debolezza umana e lo “spirito del mondo” sembrano chiudere i cuori al messaggio evangelico. 

Chi è chiamato a portare avanti la pastorale in genere, e la pastorale giovanile in particolare, ha bisogno di maturare una personalità cristiana solida, capace di affidarsi totalmente al Signore, deve essere animato da una gioia ben radicata, che non svanisca di fronte ai momentanei insuccessi. Gli educatori siano soprattutto uomini e donne di speranza - di una speranza “contagiosa”, specie per i giovani. 

Con l’enciclica “Spe salvi” Benedetto XVI ci ha offerto un insegnamento straordinario in questo senso. Al centro del cammino di evangelizzazione si trova sempre la logica della Croce: un fallimento che è divenuto la più grande vittoria della storia. 
Qualche tempo fa il Papa ha parlato precisamente dei “fallimenti di Dio” lungo la storia della salvezza dell’umanità. Solo alla luce della “legge” del chicco di grano che muore per dare la vita, si può capire il vero senso di questi “fallimenti”. 

Benedetto XVI dice: “Dio fallisce sempre , lascia esistere la libertà dell’uomo, e questa dice continuamente “no”. Ma la fantasia di Dio, la forza creatrice del SUO amore è più grande del “no” umano (...) Che cosa tutto ciò significa per noi? Innanzitutto significa una certezza: Dio non fallisce. “Fallisce” continuamente, ma proprio per questo non fallisce, perché ne trae nuove opportunità di misericordia più grande, e la sua fantasia è inesauribile. Non fallisce, perché trova sempre nuovi modi per raggiungere gli uomini e per aprire di più la sua casa…”[31]

Ecco la ragione per cui la speranza non dovrebbe abbandonarci mai: Dio non fallisce, anche se, guardando il nostro mondo, potrebbe sembrare il contrario! Il Papa continua ad assicurarci che Dio “anche oggi troverà nuove vie per chiamare gli uomini (i giovani!) e vuole avere con sé noi come suoi messaggeri e servitori”[32].



[1] Discorso d'apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (2007), in: 'L'Osservatore Romano', 13 giugno 2007.
[2] Ibid.
[3] Appello: 'Se ci fosse una educazione del popolo tuffi starebbero meglio', in: 'Atlantide', 4/12/2005, p.119.
[4] Cfr. Paola Simonetti, S.O.S. Educazione: genitori permissivi e figli-padroni ', in
'Avvenire', 16 novembre 2007.
[5] Discorso d'apertura del Convegno della Diocesi di Roma (2007).
[6] Ibid.
[7] Incontro con il clero romano, in 'L'Osservatore Romano', 24 febbraio 2007.
[8] Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (2007).
Discorso d'apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (2006), in: 'Insegnamenti di Benedetto XVI' II,1 (2006), pp. 773-779.
[9] Discorso d'apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (2006), in: 'Insegnamenti di Benedetto XVI' II,1 (2006), pp. 773-779.
[10] Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (2007).
[11] Ibid.
[12] Ibid.
[13] Ibid.
[14] Ibid.
[15] Incontro con i sacerdoti della Diocesi di Albano, in “insegnamenti di Benedetto XVI”II,2 (2006), pp. 163-179.
[16] Cfr. T. Anatrella, Le monde des jeunes: qui sorzt-ils, que cherchent-ils? in: “Bulletin du Secrétariat de la Coiiference des Eveques de France “, n.7 (mai 2003), p.20 .
[17] Incontro con i sacerdoti della Diocesi di Albano…
[18] Incontro con. i Vescovi tedeschi, in: “L’Osservatore Romano”, 24 agosto 2005.
[19] Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (2007) ...
[20] Ibid.
[21] La crisi delle culture, in : “l’Europa di Benedetto nella crisi delle culture”, Siena 2005, pp. 63-64.
[22] Omelia della Celebrazione Eucaristica nell’Inslinger Fled di Regensburg, in: “L’Osservatore Romano”, 14 settembre 2006.
[23] Discorso di apertura della Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano, in: “L’Osservatore Romano, 14-15 maggio 2007.
[24] Cfr. ‘‘Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione”Congregazione per la Dottrina della Fede, 3 dicembre 2007.
[25] Messaggio per la Quaresima 2006, in: “Insegnamenti di Benedetto XVI” I (2005), pp. 606-610.
[26] Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (2006) ...
[27] Convegno ecclesiale della Diocesi di Ronza (2007) ...
[28] Discorso al IV Convegno nazionale della Chiesa italiana a Verona, in: “Insegnamenti di Benedetto XVI” II,2 (2006), pp. 465-477.
[29] Omelia della Celebrazione Eucaristica per l’assunzione del ministero petrino, in: “insegnamenti di Benedetto XVI” I (2005), pp. 20-26.
[30] Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (2006)…
[31] ‘‘Discorso ai Vescovi svizzeri in visita ad Eimina, in: “Insegnamenti di Benedetto
XVI” II,2 (2006), pp. 576-577.
[32] Ibid.


AMDG et BVM

Panegirico di san Paolo, apostolo: Paolo sopportò ogni cosa per amore di Cristo


Dalle «Omelie» di 
san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 2, Panegirico di san Paolo, apostolo; PG 50,477-480)
Paolo sopportò ogni cosa per amore di Cristo

    Che cosa sia l'uomo e quanta la nobiltà della nostra natura, di quanta forza sia capace questo essere pensante lo mostra in un modo del tutto particolare Paolo. Ogni giorno saliva più in alto, ogni giorno sorgeva più ardente e combatteva con sempre maggior coraggio contro le difficoltà che incontrava. Alludendo a questo diceva: Dimentico il passato e sono proteso verso il futuro (cfr. Fil 3,13). Vedendo che la morte era ormai imminente, invitava tutti alla comunione di quella sua gioia dicendo: «Gioite e rallegratevi con me» (Fil 2,18). 

Esulta ugualmente anche di fronte ai pericoli incombenti, alle offese e a qualsiasi ingiuria e, scrivendo ai Corinzi, dice: Sono contento delle mie infermità, degli affronti e delle persecuzioni (cfr. 2 Cor 12,10). 

Aggiunge che queste sono le armi della giustizia e mostra come proprio di qui gli venga il maggior frutto, e sia vittorioso dei nemici. Battuto ovunque con verghe, colpito da ingiurie e insulti, si comporta come se celebrasse trionfi gloriosi o elevasse in alto trofei. 

Si vanta e ringrazia Dio, dicendo: Siano rese grazie a Dio che trionfa sempre in noi (cfr. 2 Cor 2,14). Per questo, animato dal suo zelo di apostolo, gradiva di più l'altrui freddezza e le ingiurie che l'onore, di cui invece noi siamo così avidi. 
Preferiva la morte alla vita, la povertà alla ricchezza e desiderava assai di più la fatica che non il riposo. Una cosa detestava e rigettava: l'offesa a Dio, al quale per parte sua voleva piacere in ogni cosa.


    Godere dell'amore di Cristo era il culmine delle sue aspirazioni e, godendo di questo suo tesoro, si sentiva più felice di tutti. Senza di esso al contrario nulla per lui significava l'amicizia dei potenti e dei principi. Preferiva essere l'ultimo di tutti, anzi un condannato però con l'amore di Cristo, piuttosto che trovarsi fra i più grandi e i più potenti del mondo, ma privo di quel tesoro.



    Il più grande ed unico tormento per lui sarebbe stato perdere questo amore. Ciò sarebbe stato per lui la geenna, l'unica sola pena, il più grande e il più insopportabile dei supplizi.



    Il godere dell'amore di Cristo era per lui tutto: vita, mondo, condizione angelica, presente, futuro, e ogni altro bene. All'infuori di questo, niente reputava bello, niente gioioso. Ecco perché guardava alle cose sensibili come ad erba avvizzita. Gli stessi tiranni e le rivoluzioni di popoli perdevano ogni mordente. Pensava infine che la morte, la sofferenza e mille supplizi diventassero come giochi da bambini quando si trattava di sopportarli per Cristo.

RESPONSORIO         Cfr. 1 Tm 1,13-14; 1 Cor 15,9
R. Dio mi ha usato misericordia, perché agivo senza saperlo. * La grazia ha sovrabbondato, insieme alla fede e alla carità, che è in Cristo Gesù.

V. Non merito di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.
R. La grazia ha sovrabbondato, insieme alla fede e alla carità, che è in Cristo Gesù.



ORAZIONE

    O Dio, che hai illuminato tutte le genti con la parola dell'apostolo Paolo, concedi anche a noi, che oggi ricordiamo la sua conversione, di camminare sempre verso di te e di essere testimoni della tua verità. Per il nostro Signore Gesù Cristo. 

Caravaggio: La conversione di San Paolo


Caravaggio: La conversione di San Paolo
di Alessio Varisco

La conversione di San Paolo, Caravaggio, 
1600/01 - olio su tela, 230x175 cm
Roma, Santa Maria del Popolo 


Il famoso dipinto “La conversione di San Paolo” eseguito da Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, è stato realizzato dal pittore all’età di trent’anni ed è custodito presso la Chiesa di Santa Maria del Popolo in Roma, all’interno della Cappella Cerasi.
La tela, di grandi dimensioni, è stata dipinta poco dopo quella presso la Chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, per la Cappella Contarelli ove l’elemento luce squarcia la penombra del locale mettendo in evidenza la povertà e lo squallore. Non dimentico di quest’atmosfera di luce, a circa un anno di distanza, gli viene commissionata un’altra conversione, non più del Discepolo –Matteo-, bensì dell’«Apostolo delle Genti»: Saulo di Tarso. Il modo scattante ed intimamente personalistico di trattare il dato religioso ne fanno un esempio significativo ed un continuum della descrittività mistica della luce nelle scene sacre.
La grande tela (2.30x1.75 mt) propone la conversione sulla via per Damasco[i].

Inconsueta l’ambientazione: la scena è una semplice stalla, una postazione poco prima la città cui Saulo era diretto.Testimoni della vicenda soprannaturale: il cavallo, che occupa più della metà del dipinto, un anziano palafreniere che appena s’intravede sulla destra del dipinto, dietro il muscoloso collo possente del destriero. Paolo, invece, è riverso a terra, rappresentato nell’istante successivo a quella «luce del cielo – che [n.d.r.] - gli folgoreggiò intorno» abbattendolo al suolo.

L’ambientazione poverissima, come la “Vocazione di Matteo”, è scabra, spoglia tanto da parere ai suoi contemporanei perfino blasfema; invece è la luce la vera ed autentica costruzione del dipinto che fa la protagonista principale del teatro della vicenda

Manifestazione della divinità, una sorta di teofanìa nel compiersi meccanico, coatto, di semplici azioni quotidiane; è un farsi prossimo del Dio nella storia nella semplicità. In questa tela proviene dall’alto, una sorta di folgore divina, che squarcia la tenebra del paganesimo, dell’indifferente, del persecutore, del calunniatore. 

Quest’elemento cardine colpisce Saulo che cade; tutto è specchio di quella Fonte, ogni superficie, il bel mantello porpora di Saulo, il mantello pezzato del cavallo, i piedi nudi dell’anziano scudiero. Tutto si impressiona di quella luce, riverbera di quella potenza. 

Ma non è il mero significato simbolico che impressiona, bensì l’inquietante realismo di un corpo non ancora completamente caduto. Si scorge il moto ancora attivo delle gambe, inclinate, le braccia alzate, gli occhi accecati dalle palpebre chiuse in segno di difesa da quel bagliore. E’ un crescendo: la spada alla sinistra affrancata alla cinta è lontana, non può difenderlo, è lì al suo fianco predata come il padrone. 

Sbigottiti per lo stupore gli attori di questa scena e anche noi osservatori, dal pathos evocativo caravaggesco.
Il cavallo è in una posa singolare: l’anteriore destro è rialzato, d’istinto per non calpestare il cavaliere caduto. Mentre il palafreniere è anch’egli accecato dalla folgore divina che ha colpito Saulo, l’unico testimone, cosciente ma  impossibilitato
 a comunicare la dinamica dei fatti, è il cavallo con l’occhio aperto e rivolto al suo cavaliere[ii].

Nella prima versione del dipinto, rifiutata dai committenti, la scena presentava il Salvatore nel momento in cui chiedeva «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Mentre nella versione ultima, quella a noi giunta la presenza della divinità è ancora
 più accorata, resa nell’assenza[iii],  che ci fa percepire la fragilità di Paolo [iv] di fronte alla soprannaturale maestosità della Manifestazione celeste.




 


[i] La conversione di Saulo è descritta dall’evangelista Luca in At 9, 1-9  e 26, 1-23 ove si narra che questo persecutore diretto in Siria, verso la città di Damasco, viene folgorato da una luce divina che lo scaraventa a terra e lo rende cieco per tre giorni. Saulo ebbe così modo di conoscere la potenza del Cristo, personalmente, che lo rimprovera per la sua condotta verso i cristiani. Di qui la conversione, l’adesione e la ferma attività di proselito presso le “genti”. Paolo, così si farà chiamare, sarà testimone-annunciatore fra i più convinti del Signore. L’iconografia cristiana ce lo propone solitamente imbracciante spada e scudo in atto di difesa della fede cristiana.
[ii] E’ impressionante come Caravaggio conosca i fenomeni dell’ottica percettiva negli esseri viventi: l’uomo ha un campo visivo di 120-180° mentre il cavallo ha un campo più complesso bioculare e non vede ciò che può vedere un uomo, quindi anche dinanzi a fonti luminose accecanti per l’uomo può reagire in altro modo.
[iii] Vera ed esasperata ridondante presenza, urlata nell’urlo afono della “non presenza”.
[iv] Questa “fragilità” è l’emblema dell’umanità che ancora non conosce Dio.



*

VERSIONE ODESCALCHI

Quest’altra versione è stata realizzata sempre nello stesso lasso di tempo in cui è stata dipinta la prima versione di cui ci siamo occupati nel paragrafo precedente, ed oggi fa parte della collezione della famiglia romana Odescalchi, da cui prende il nome di “Caravaggio Odescalchi”.

“Conversione di San Paolo” (Collezione Odescalchi) 
Michelangelo Merisi da Caravaggio
Data di produzione: 1600-1601 Dimensioni: 237 x 189 cm 
Dove si trova: Collezione privata Odescalchi, Roma
In questa versione alternativa realizzata da Caravaggio, il momento che viene rappresentato è lo stesso della versione di cui abbiamo parlato precedentemente. L’unica differenza è che qui Gesù viene rappresentato in carne ed ossa, il quale viene sorretto da un angelo, mentre Saulo, li quale è caduto da cavallo si sta coprendo gli occhi per il bagliore ed accanto a lui, Caravaggio inserisce anche un vecchio.
Differentemente dall’oscurità dell’altra versione, qui è presente anche un fiume, ovvero l’Aniene, che arricchisce l’ambiente in cui è collocata la scena.


AMDG et BVM



sabato 23 gennaio 2016

«Figlia Mia, la Mia mano ti ha portata in molte parti del mondo, perché tu accendessi come un grande Focolare di Amore, Riparazione e Adorazione Eucaristica» (24.5.1998).


«…Figlioli, che Io di nuovo partorisco nel 

dolore, finché non sia formato in voi il 

Cristo» (Galati 4,19).



Oggi la Chiesa gioisce nel constatare il rinnovato avverarsi delle profetiche parole «Io effonderò il Mio Spirito sopra ogni persona» (Atti2,17).

Ogni opera differisce dall’altra, ma sono unite nella stessa comunione e per la stessa missione. Alcuni carismi suscitati dallo Spirito irrompono come vento impetuoso, che afferra e trascina verso nuovi cammini di impegno missionario al servizio radicale del Vangelo, proclamando senza pausa le Verità della fede.



L’Opera d’Amore accoglie come un dono il flusso vivo della Tradizione, suscitando in ciascuno l’ardente desiderio della conversione per aiutare gli altri e trovare la santità. Se per loro natura i carismi sono comunicativi e generano «affinità tra le persone» (cfrChristifideles laici 24), comprendiamo che il passaggio del carisma originario all’Opera d’Amore avviene per la misteriosa attrattiva esercitata dal Fondatore su quanti si lasciano coinvolgere nelle Sue esperienze spirituali.

Gesù«Una nuova missione devi compiere affidandoti interamente a Me, tu che sei un’anima-ostia riparatrice; offri la tua esperienza spirituale come una guida che illumina ai futuri Focolari domestici, che raccolti in grandi incontri Mi daranno infinita Riparazione» (19.3.1999).
Maria SS.«Cari figli, non proseguite nel buio sottraendovi al cuore propulsore dell’irradiazione della Mia Opera d’Amore, perché Io stessa formo quanti vi entreranno» (23.7.2001).

«La nascita e la diffusione di Opere sono dunque riflessi dell’unica Chiesa al centro di un mondo dominato da una cultura secolarizzata, che fomenta modelli di vita senza Dio. Si avverte con urgenza il bisogno di personalità cristiane mature, consapevoli della propria identità battesimale, di comunità cristiane vive». (Il Papa e i Movimenti il 30.5.1998).



L’Opera d’Amore e di Riparazione è la risposta suscitata dallo Spirito Santo alla drammatica sfida di fine millennio. Considerato che il vero carisma tende sempre all’incontro con Cristo nei Sacramenti, l’intera Opera si sottopone al discernimento di ciascuno, presentandosi con la specifica vocazione di riconoscere e stimare nell’Eucaristia lasorgente e il culmine di tutta l’esistenza, proponendo alle sue comunità (i Focolari) di esercitare la Riparazione e la Riparazione Eucaristica mediante forma laicale (sacerdotale o religiosa laddove si creino i presupposti). Queste oasi d’amore, i Focolari di preghiera, di ascolto della Parola di Dio con il sostegno luminoso dei Messaggi desiderano esercitare fede, speranza e carità (non astrattamente come spinti da sentimentalismo religioso, prurito di novità) e vivere nell’offerta a Cristo di se stessi. «Non correte fuori dalle vostre terre... Lavorate e adoperatevi ognuno nei propri posti vicino ai vostri fratelli... Ogni vostra cosa deve essere abitata dal Mio Divino Figlio»(21.6.1993).



«Figlia Mia, la Mia mano ti ha portata in molte parti del mondo, perché tu accendessi come un grande Focolare di Amore, Riparazione e Adorazione Eucaristica» (24.5.1998).




«Figlioli, i Focolari che vi ho insegnato a edificare, vi mostreranno il reale cammino che vi condurrà alla santità... La risposta alla Mia chiamata dà gioia al Mio Cuore di Madre addolorata per la incalcolabile perdita di figli» (23.4.1999).



«È tempo di offrire la propria vita al Signore…E’ tempo di prendere la Croce e di seguirMi.» (17.6.1993).



«Figli Miei, preparate un Tempo Nuovo nella vostra era, ove Gesù regni e inauguri un tempo di vera pace» (28.12.1995).



«Donandovi interamente all’Amore, avrete la forza per donare amore al vostro prossimo sofferente. Offrendovi a Gesù, vivrete il Vangelo... fate l’offerta all’Amore con il vostro amore. La vostra anima medicherà le ferite e le piaghe più nascoste. Così accogliendo in voi questo sacrificio, avrete compreso la via, che più volte vi ho indicata: riparare il SS. Sacramento e operare, affinché riprenda la Sua centralità nel cuore di tutti i Miei figlioli. Vi ho parlato più volte del Mio Trionfo, ma senza i Miei figli non potrò trionfare... Vi ripeto: offritevi all’Amore» (23.3.1998).



«Collaborate con Me per l’Opera della Riparazione Eucaristica, che debbo suscitare, perché desidero aiutarvi a riconoscere gli errori e potervi salvare» (23.9.1999).



«Consentite a Mio Figlio di chiamarvi con l’offerta totale» (23.10.2001).



«Offrite a Gesù le vostre vite per la Chiesa che attraversa una fase decisiva. Pregate, riparate, operate nell’amore» (23.11.2001).



«Vi sono grata perché avete deciso di offrire le vostre vite al Cuore adorabile di Mio Figlio» (23.8.2004)



AVE MARIA!