sabato 14 novembre 2015

"Chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino"


BENEDETTO XVI
   UDIENZA GENERALE  
Aula Paolo VI
Mercoledì, 20 giugno 2007
Sant’Atanasio di Alessandria

Cari fratelli e sorelle,
continuando la nostra rivisitazione dei grandi Maestri della Chiesa antica, vogliamo rivolgere oggi la nostra attenzione a sant’Atanasio di Alessandria. Questo autentico protagonista della tradizione cristiana, già pochi anni dopo la morte, venne celebrato come "la colonna della Chiesa" dal grande teologo e Vescovo di Costantinopoli Gregorio Nazianzeno (Discorsi 21,26), e sempre è stato considerato come un modello di ortodossia, tanto in Oriente quanto in Occidente. Non a caso, dunque, Gian Lorenzo Bernini ne collocò la statua tra quelle dei quattro santi Dottori della Chiesa orientale e occidentale – insieme ad Ambrogio, Giovanni Crisostomo e Agostino –, che nella meravigliosa abside della Basilica vaticana circondano la Cattedra di san Pietro.

Atanasio è stato senza dubbio uno dei Padri della Chiesa antica più importanti e venerati. Ma soprattutto questo grande santo è l’appassionato teologo dell’incarnazione del Logos, il Verbo di Dio, che – come dice il prologo del quarto Vangelo – "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). Proprio per questo motivo Atanasio fu anche il più importante e tenace avversario dell’eresia ariana, che allora minacciava la fede in Cristo, ridotto ad una creatura "media" tra Dio e l’uomo, secondo una tendenza ricorrente nella storia e che vediamo in atto in diversi modi anche oggi. Nato probabilmente ad Alessandria, in Egitto, verso l’anno 300, Atanasio ricevette una buona educazione prima di divenire diacono e segretario del Vescovo della metropoli egiziana, Alessandro. Stretto collaboratore del suo Vescovo, il giovane ecclesiastico prese parte con lui al Concilio di Nicea, il primo a carattere ecumenico, convocato dall’imperatore Costantino nel maggio del 325 per assicurare l’unità della Chiesa. I Padri niceni poterono così affrontare varie questioni, e principalmente il grave problema originato qualche anno prima dalla predicazione del presbitero alessandrino Ario.

Questi, con la sua teoria, minacciava l’autentica fede in Cristo, dichiarando che il logos non era vero Dio, ma un Dio creato, un essere "medio" tra Dio e l’uomo e così il vero Dio rimaneva sempre inaccessibile a noi. I Vescovi riuniti a Nicea risposero mettendo a punto e fissando il "Simbolo di fede" che, completato più tardi dal primo Concilio di Costantinopoli, è rimasto nella tradizione delle diverse confessioni cristiane e nella liturgia come il Credo niceno-costantinopolitano. In questo testo fondamentale – che esprime la fede della Chiesa indivisa, e che recitiamo anche oggi, ogni domenica, nella Celebrazione eucaristica – figura il termine greco homooúsios, in latino consubstantialis: esso vuole indicare che il Figlio, il logos, è "della stessa sostanza" del Padre, è Dio da Dio, è la sua sostanza, e così viene messa in luce la piena divinità del Figlio, che era negata dagli ariani.

Morto il Vescovo Alessandro, Atanasio divenne, nel 328, suo successore come Vescovo di Alessandria, e subito si dimostrò deciso a respingere ogni compromesso nei confronti delle teorie ariane condannate dal Concilio niceno. 
La sua intransigenza, tenace e a volte molto dura, anche se necessaria, contro quanti si erano opposti alla sua elezione episcopale e soprattutto contro gli avversari del Simbolo niceno, gli attirò l’implacabile ostilità degli ariani e dei filoariani. Nonostante l’inequivocabile esito del Concilio, che aveva con chiarezza affermato che il Figlio è della stessa sostanza del Padre, poco dopo queste idee sbagliate tornarono a prevalere – in questa situazione persino Ario fu riabilitato –, e vennero sostenute per motivi politici dallo stesso imperatore Costantino e poi da suo figlio Costanzo II. Egli, peraltro, che non si interessava tanto della verità teologica quanto dell’unità dell’Impero e dei suoi problemi politici; voleva politicizzare la fede, rendendola più accessibile – secondo il suo parere – a tutti i suoi sudditi nell’Impero.

La crisi ariana, che si credeva risolta a Nicea, continuò così per decenni, con vicende difficili e divisioni dolorose nella Chiesa. E per ben cinque volte – durante un trentennio, tra il 336 e il 366 – Atanasio fu costretto ad abbandonare la sua città, passando diciassette anni in esilio e soffrendo per la fede. Ma durante le sue forzate assenze da Alessandria, il Vescovo ebbe modo di sostenere e diffondere in Occidente, prima a Treviri e poi a Roma, la fede nicena e anche gli ideali del monachesimo, abbracciati in Egitto dal grande eremita Antonio con una scelta di vita alla quale Atanasio fu sempre vicino. 
Sant’Antonio, con la sua forza spirituale, era la persona più importante nel sostenere la fede di sant’Atanasio. Reinsediato definitivamente nella sua sede, il Vescovo di Alessandria poté dedicarsi alla pacificazione religiosa e alla riorganizzazione delle comunità cristiane. Morì il 2 maggio del 373, giorno in cui celebriamo la sua memoria liturgica.

L’opera dottrinale più famosa del santo Vescovo alessandrino è il trattato Sull’incarnazione del Verbo, il Logos divino che si è fatto carne divenendo come noi per la nostra salvezza. Dice in quest’opera Atanasio, con un’affermazione divenuta giustamente celebre, che il Verbo di Dio "si è fatto uomo perché noi diventassimo Dio; egli si è reso visibile nel corpo perché noi avessimo un’idea del Padre invisibile, ed egli stesso ha sopportato la violenza degli uomini perché noi ereditassimo l’incorruttibilità" (54,3). Con la sua resurrezione, infatti, il Signore ha fatto sparire la morte come se fosse "paglia nel fuoco" (8,4). L’idea fondamentale di tutta la lotta teologica di sant’Atanasio era proprio quella che Dio è accessibile. Non è un Dio secondario, è il Dio vero, e tramite la nostra comunione con Cristo noi possiamo unirci realmente a Dio. Egli è divenuto realmente "Dio con noi".

Tra le altre opere di questo grande Padre della Chiesa – che in gran parte rimangono legate alle vicende della crisi ariana – ricordiamo poi le quattro lettere che egli indirizzò all’amico Serapione, Vescovo di Thmuis, sulla divinità dello Spirito Santo, che viene affermata con nettezza, e una trentina di lettere "festali", indirizzate all’inizio di ogni anno alle Chiese e ai monasteri dell’Egitto per indicare la data della festa di Pasqua, ma soprattutto per assicurare i legami tra i fedeli, rafforzandone la fede e preparandoli a tale grande solennità.

Atanasio è, infine, anche autore di testi meditativi sui Salmi, poi molto diffusi, e soprattutto di un’opera che costituisce il best seller dell’antica letteratura cristiana: la Vita di Antonio, cioè la biografia di sant’Antonio abate, scritta poco dopo la morte di questo santo, proprio mentre il Vescovo di Alessandria, esiliato, viveva con i monaci del deserto egiziano. Atanasio fu amico del grande eremita, al punto da ricevere una delle due pelli di pecora lasciate da Antonio come sua eredità, insieme al mantello che lo stesso Vescovo di Alessandria gli aveva donato. 
Divenuta presto popolarissima, tradotta quasi subito in latino per due volte e poi in diverse lingue orientali, la biografia esemplare di questa figura cara alla tradizione cristiana contribuì molto alla diffusione del monachesimo, in Oriente e in Occidente. 
Non a caso la lettura di questo testo, a Treviri, è al centro di un emozionante racconto della conversione di due funzionari imperiali, che Agostino colloca nelle Confessioni (VIII,6,15) come premessa della sua stessa conversione.

Del resto, lo stesso Atanasio mostra di avere chiara coscienza dell’influsso che poteva avere sul popolo cristiano la figura esemplare di Antonio. 
Scrive infatti nella conclusione di quest’opera: "Che fosse dappertutto conosciuto, da tutti ammirato e desiderato, anche da quelli che non l’avevano visto, è un segno della sua virtù e della sua anima amica di Dio. Infatti non per gli scritti né per una sapienza profana né per qualche capacità è conosciuto Antonio, ma solo per la sua pietà verso Dio. E nessuno potrebbe negare che questo sia un dono di Dio. Come infatti si sarebbe sentito parlare in Spagna e in Gallia, a Roma e in Africa di quest’uomo, che viveva ritirato tra i monti, se non l’avesse fatto conoscere dappertutto Dio stesso, come egli fa con quanti gli appartengono, e come aveva annunciato ad Antonio fin dal principio? E anche se questi agiscono nel segreto e vogliono restare nascosti, il Signore li mostra a tutti come una lucerna, perché quanti sentono parlare di loro sappiano che è possibile seguire i comandamenti e prendano coraggio nel percorrere il cammino della virtù" (Vita di Antonio 93,5-6).

Sì, fratelli e sorelle! Abbiamo tanti motivi di gratitudine verso sant’Atanasio. La sua vita, come quella di Antonio e di innumerevoli altri santi, ci mostra che "chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino" (Deus caritas est, 42).

SALUTI…
Rivolgo ora un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. Saluto in particolare i Cappellani del Sovrano Militare Ordine di Malta, i Soci del Motoclub di Castellazzo Bormida e gli alunni della Scuola Elementare di Alberobello. Vi ringrazio tutti, cari amici, per la vostra visita ed invoco su di voi e sulle vostre Comunità copiosi doni celesti per una sempre più solida testimonianza cristiana.
Saluto, inoltre, i giovani, i malati e gli sposi novelli. Domani celebreremo la memoria liturgica di san Luigi Gonzaga, mirabile esempio di austerità e purezza evangelica. Invocatelo, cari giovani, perché vi aiuti a costruire un’intima amicizia con Gesù che vi renda capaci di affrontare con serietà la vostra vita. Questo giovane santo sia per voi, cari malati, sostegno nel trasformare le sofferenze e le prove quotidiane in privilegiate occasioni per cooperare alla salvezza delle anime e renda voi, cari sposi novelli, testimoni di un amore casto e generoso.
APPELLO
Oggi si celebra la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite perché non venga meno nella pubblica opinione l’attenzione verso quanti sono stati costretti a fuggire dai loro Paesi a seguito di reali pericoli di vita.  Accogliere i rifugiati e dar loro ospitalità è per tutti un doveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano isolati a causa dell’intolleranza e del disinteresse. Per i cristiani è, inoltre, un modo concreto di manifestare l’amore evangelico. Auspico di cuore che a questi nostri fratelli e sorelle duramente provati dalla sofferenza siano garantiti l’asilo e il riconoscimento dei loro diritti, e invito i responsabili delle Nazioni ad offrire protezione a quanti si trovano in così delicate situazioni di bisogno.  

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mercoledì 11 novembre 2015

La notte seguente, mentre dormiva, Martino vide il Cristo

Cap. III
Carità di san Martino: presso la porta di Amiens, dà la metà del suo mantello ad un povero. Riceve il battesimo.

1. Un giorno, nel mezzo di un inverno più rigido del solito, al punto che numerose persone morivano a motivo dei rigori del freddo, mentre non aveva addosso niente altro che le armi e il semplice mantello militare, sulla porta della città di Amiens, si imbatté in un povero nudo: l’infelice pregava i passanti di avere pietà di lui, ma tutti passavano oltre. Quell’uomo di Dio, vedendo che gli altri non erano mossi a compassione, comprese che quel povero gli era stato riservato. 

2. Ma che fare? Non aveva nient’altro se non la clamide, di cui era rivestito: infatti, aveva già sacrificato tutto il resto per una buona opera analoga. Allora, afferrata la spada che portava alla cintura, tagliò il mantello a metà, ne diede una parte al povero, e indossò nuovamente la parte rimanente. Intanto alcuni dei presenti, trovandolo brutto a vedersi a motivo di quell’abito tranciato, si misero a ridere. Molti altri, tuttavia, più sensati, cominciarono a dolersi profondamente di non avere fatto niente di simile, mentre, avendo più vestiti di lui, avrebbero potuto vestire il povero senza denudarsi a loro volta. 

3. Dunque la notte seguente, mentre dormiva, Martino vide il Cristo, rivestito della parte della sua clamide con cui aveva coperto il povero. Gli fu ordinato di guardare attentamente il Signore, e di riconoscere la veste che aveva dato. Poi, udì Gesù dire con voce chiara alla moltitudine degli angeli che gli stavano intorno: «Martino, che è ancora un catecumeno, mi ha coperto con questa veste». 

4. Il Signore è veramente memore delle sue parole, egli che un tempo aveva detto: Ogni volta che avete fatto queste cose a una sola di queste umilissime creature, l’avete fatta a me (Cf. Mt 25, 40), dichiarò di essere stato vestito nella persona di quel povero: e, per confermare la testimonianza di un’opera così buona, Egli si degnò di mostrarsi nello stesso abito che aveva ricevuto il povero. 

5. Questa visione non inorgoglì il beato, ma, riconoscendo la bontà di Dio nella sua opera, poiché aveva diciotto anni, si affrettò a ricevere il battesimo. Tuttavia, convinto dalle preghiere del suo tribuno, che era suo compagno di tenda ed amico, non rinunciò subito al servizio militare. Costui, infatti, una volta compiuto il tempo del suo tribunato, prometteva di rinunciare al mondo. 6. Martino fu trattenuto da questa attesa e per circa due anni dopo che ebbe ricevuto il battesimo, rimase soldato, ma soltanto di nome.

Cfr. qui
AVE MARIA!

IL GRAN SEGRETO DEI SANTI

FORZA DELLA PREGHIERA CONTRO LE TENTAZIONI.

Dio, conoscendo il gran bene che apporta a noi la necessità di pregare, a questo fine, (come si dice nel capo I) permette, che siamo assaliti dai nemici, affinché gli domandiamo l'aiuto che egli ci offre, e ci promette. 
Ma quanto si compiace allorché noi ricorriamo a Lui nei pericoli, altrettanto gli dispiace vederci trascurati nel pregare. 
Come il re, dice S. Bonaventura, stimerebbe infedele quel capitano, che trovandosi assediato nella piazza, non gli chiede soccorso; così Dio si stima come tradito da colui, che vedendosi insidiato dalle tentazioni, non ricorre a Lui per aiuto: mentre Egli desidera, e sta aspettando, che gli si domandi, per soccorrere abbondantemente. 
Ben lo dichiarò Isaia, allorché da parte di Dio disse al re Achaz, che gli avesse domandato qualche segno affine di accertarsi del soccorso, che il Signore voleva dargli: Domanda a tua posta un segno al Signore tuo Dio (Is 7). L'empio re rispose: Io non voglio cercarlo, perché non voglio tentare Dio (Ibid. 12). E ciò disse perché confidava nelle sue forze di vincere i nemici senza l'aiuto divino. Ma il profeta indi lo rimproverò con dire: Udite dunque, casa di Davide: È egli adunque poco per voi il far torto agli uomini, che fate torto anche al mio Dio? (Ibid. 13). Significandoci con ciò, che si rende molesto ed ingiurioso a Dio, chi lascia di domandargli le grazie che il Signore gli offre.


Poveri figli miei, dice il Salvatore, che vi trovate combattuti dai nemici, e oppressi dal peso dei vostri peccati, non vi perdete d'animo, ricorrete a me con l'orazione, ed io vi darò la forza di resistere, e darò riparo a tutte le vostre disgrazie (Mt 11,28). 

In altro luogo dice per bocca d'Isaia: "Uomini, ricorrete a me, e benché abbiate le coscienze assai macchiate, non lasciate di venire: e vi do licenza anche di riprendermi, per così dire, se mai dopo che sarete a me ricorsi, io non farò con la mia grazia, che diventiate candidi come la neve" (Is 1,18).


Che cos'è la preghiera? "La preghiera, dice il Crisostomo, è un'ancora sicura a chi sta in pericolo di naufragare; è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero; è una medicina efficacissima a chi è infermo; ed è una custodia certa a chi vuol conservarsi in santità" (Hom. De Consubst. cont. Anon.)

Che fa la preghiera? 
La preghiera, dice S. Lorenzo Giustiniani, placa lo sdegno di Dio, che perdona a chi con umiltà lo prega; ottiene la grazia di tutto ciò che si domanda; supera tutte le forze dei nemici: insomma muta gli uomini da ciechi in illuminati, da deboli in forti, da peccatori in santi (De Perfect., c. 12). 
Chi ha bisogno di luce, la domandi a Dio, e gli sarà data: subito ch'io sono ricorso a Dio, disse Salomone, egli mi ha concesso la sapienza (Sap 7,7). 
Chi ha bisogno di fortezza, la chieda a Dio, e gli sarà donata: subito ch'io ho aperta bocca a pregare, disse Davide, ho ricevuto da Dio l'aiuto (Sal 118,131). E come mai i santi Martiri acquistarono tanta fortezza da resistere ai tiranni, se non con l'orazione, che ottenne loro il vigore da superare i tormenti, e la morte?

Chi si serve insomma di questa grande arma dell'orazione, dice san Pier Crisologo, non cade in peccato; perde affetto alla terra, entra a dimorare nel Cielo, e comincia sin da questa vita a godere la conversazione di Dio (Serm. 45). 

Che serve dunque angustiarsi col dire: Chi sa se io sono scritto o no nel libro della vita? Chi sa se Dio mi darà la grazia efficace e la perseveranza? 
Non vi affannate per niente, dice l'Apostolo, ma in ogni cosa siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo dell'orazione e delle suppliche unite al rendimento di grazie (Fil 4,6). 
Che serve, dice l'Apostolo, confondervi in queste angustie e timori? Via, discacciate da voi tutte queste sollecitudini, che ad altro non valgono che a scemarvi la confidenza, e a rendervi più tiepidi e pigri a camminare per la via della salute. 
Pregate, e cercate sempre, e fate sentire le vostre preghiere a Dio, e ringraziatelo sempre delle promesse che v'ha fatte, di concedervi i doni che bramate, sempre che glieli cerchiate: la grazia efficace, la perseveranza, la salute e tutto quello che desiderate.


Il Signore ci ha posti nella battaglia a combattere con nemici potenti, ma Egli è fedele nelle sue promesse, né sopporta che noi siamo combattuti più di quel che valiamo a resistere (1 Cr 10,13). 

È fedele perché subito soccorre chi l'invoca. Scrive il dotto eminentissimo cardinale Gotti, che il Signore non è già tenuto per altro a darci sempre una grazia che sia uguale alla tentazione, ma è obbligato, quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci [a correre in nostro aiuto] per mezzo della grazia che a tutti tiene apparecchiata, ed offre la forza bastante [sufficiente] con cui possiamo attualmente resistere alla tentazione (De div. grat. q. 2 d. 5, par. 3). 
Tutto possiamo col divino aiuto, che si dona a ciascuno che umilmente lo chiede, onde non abbiamo scusa, allorché noi ci lasciamo vincere dalla tentazione. 
Restiamo vinti solo per nostra colpa, perché non preghiamo. Con l'orazione, scrive S. Agostino, ben si superano tutte le insidie e forze dei nemici (De sal. doc. c, 28).
(cfr. qui)
AVE MARIA!

martedì 10 novembre 2015

"Nessuno potrà essere coronato senza vittoria"

VALORE DELLA PREGHIERA
di sant'Alfonso Maria de' L.

I. - DELL'ECCELLENZA DELLA PREGHIERA E DEL SUO POTERE PRESSO DIO
Sono sì care a Dio le nostre preghiere, che Egli ha destinati gli Angeli a presentargli subito quelle che da noi gli vengono fatte: "Gli Angeli, dice S. Ilario, soprintendono alle orazioni dei fedeli, e ogni giorno le offrono a Dio" (Cap. 18, in Matth.). 
Questo appunto è quel sacro fumo d'incenso, cioè le orazioni dei Santi, che S. Giovanni vide ascendere al Signore, offertogli per mano degli Angeli (Ap c. 8). Ed altrove (Ibid. c. 5), scrive il medesimo santo Apostolo, che le preghiere dei Santi sono come certi vasetti d'oro pieni di odori soavi, e molto graditi a Dio.

Ma per meglio intendere quanto valgano presso Dio le orazioni, basta leggere nelle divine scritture le innumerabili promesse che fa Dio a chi prega, così nell'antico come nel nuovo Testamento: 
"Alza a me le tue grida, ed io ti esaudirò (Ger 33,3). Invocami, ed io ti libererò (Sal 49,15). Chiedete; ed otterrete: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Mt 7,7). Concederà il bene a coloro che glielo domandano (Mt 7,11). Imperciocché chi chiede riceve, e chi cerca trova (Lc 11,10). Qualsiasi cosa domanderanno, sarà loro concessa dal Padre mio (Mt 18,19). Qualunque cosa domandiate nell'orazione, abbiate fede di conseguirla, e la otterrete (Mr 11,24). Se alcuna cosa domanderete nel nome mio, io la darò (Gv 14,14). Qualunque cosa vorrete, la chiederete, e vi sarà concessa (Gv 15,7). In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà(Gv 16,23)". 
E vi sono mille altri testi consimili, che per brevità si tralasciano.


Iddio ci vuol salvi, ma per nostro maggior bene ci vuol salvi da vincitori. Stando dunque in questa vita, abbiamo da vivere in una continua guerra, e per salvarci abbiamo da combattere e vincere. "Nessuno, dice S. Giovanni Crisostomo, potrà essere coronato senza vittoria" (Serm. I De Martyr.). 

Noi siamo molto deboli, ed i nemici sono molti, ed assai potenti: come potremmo loro far fronte, e superarli? Animiamoci, e dica ciascuno, come diceva l'Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili, in Colui che è mio conforto (Fil 4,13).Tutto potremo con l'orazione, per mezzo della quale il Signore ci darà quella forza che noi non abbiamo. 


Scrisse Teodoreto, che l'orazione è onnipotente; ella è una, ma può ottenere tutte le cose. E S. Bonaventura asserì che per la preghiera si ottiene l'acquisto di ogni bene, e lo scampo da ogni male (In Luc. 2). 

Diceva san Lorenzo Giustiniani, che noi per mezzo della preghiera ci fabbrichiamo una torre fortissima dove saremo difesi e sicuri da tutte le insidie e violenze dei nemici (De cast. connub. c. XXII). 

Sono forti le potenze dell'inferno, ma la preghiera è più forte di tutti i demoni, dice san Bernardo (Serm. 49, De modo bene viv. 5). Sì, perché con l'orazione l'anima acquista l'aiuto divino, che supera ogni potenza creata. 

Così si animava Davide nei suoi timori: Io, diceva, chiamerò il mio Signore in aiuto, e sarò liberato da tutti i nemici (Sal 17,4). 
Insomma, dice S. Giovanni Crisostomo, l'orazione è un'arma valevole a vincere ogni assalto dei demoni, è una difesa, che ci conserva in qualunque pericolo; è un porto, che ci salva da ogni tempesta; ed è un tesoro insieme, che ci provvede d'ogni bene (In Ps. 145).

SANCTA MARIA, MATER DEI
ORA PRO NOBIS PECCATORIBUS

L'abito




Viene alla mente ciò che scriveva nel 1982 il beato Giovanni Paolo II al cardinale Ugo Poletti, allora vicario per la diocesi di Roma. 

Dopo aver sottolineato che l’abito ecclesiastico è un segno "che esprime il nostro ‘non essere del mondo’ " e "testimonianza della speciale appartenenza a Dio", così continuava:

 “L'abito ecclesiastico, come quello religioso, ha un particolare significato:

per il sacerdote diocesano esso ha principalmente il carattere di segno, che lo distingue dall'ambiente secolare nel quale vive; 

per il religioso e per la religiosa esso esprime anche il carattere di consacrazione e mette in evidenza il fine escatologico della vita religiosa. 

L'abito, pertanto, giova ai fini dell'evangelizzazione ed induce a riflettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell'esistenza dell'uomo.

Per mezzo di tale segno, è reso agli altri più facile arrivare al Mistero, di cui siamo portatori, a Colui al quale apparteniamo e che con tutto il nostro essere vogliamo annunciare”.

AMDG et BVM