mercoledì 15 luglio 2015

L'Abitino

LO SCAPOLARE DELLA MADONNA DEL CARMELO
LA GRANDE PROMESSA DELLA MADONNA DEL CARMINE

PER CHI PORTA L"'ABITINO"


La Regina del Cielo, apparendo tutta raggiante di luce, il 16 luglio 1251, al vecchio generale dell'Ordine Carmelitano, San Simone Stock (il quale L'aveva pregata di dare un privilegio ai Carmelitani), porgendogli uno scapolare -detto comunemente «Abitino»- così gli parlò: «Prendi figlio dilettissimo, prendi questo scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita, privilegio a te e a tutti i Carmelitani. CHI MORRA' RIVESTITO DI QUESTO ABITO NON SOFFRIRA' IL FUOCO ETERNO; questo è un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza di pace e di patto sempiterno».
Detto questo, la Vergine scomparve in un profumo di Cielo, lasciando nelle mani di Simone il pegno della Sua Prima «Grande Promessa».

La Madonna, dunque, con la Sua rivelazione, ha voluto dire che chiunque indosserà e porterà per sempre l'Abitino, non solo sarà salvato eternamente, ma sarà anche difeso in vita dai pericoli.

Non bisogna credere minimamente, però, che la Madonna, con la sua Grande Promessa, voglia ingenerare nell'uomo l'intenzione di assicurarsi il Paradiso, conti­nuando più tranquillamente a peccare, o forse la speranza di salvarsi anche privo di meriti, ma piuttosto che in forza della Sua Promessa, Ella si adopera in maniera efficace per la conversione del peccatore, che porta con fede e devozione l'Abitino fino in punto di morte. 

CONDIZIONI PER OTTENERE IL FRUTTO DELLA GRANDE PROMESSA DELLA MADONNA 

1) Ricevere al collo l'Abitino dalle mani di un sacerdote, il quale, imponendolo, recita una sacra formula di consacra­zione alla Madonna (RITO DI IMPOSIZIONE DELLO SCAPOLARE). Ciò è necessario solo la prima volta che s'indossa l'Abitino. Dopo, quando s'indossa un nuovo «Abitino», esso si mette al collo con le proprie mani. 
2) L'Abitino, deve essere tenuto, giorno e notte, indosso e precisa­mente al collo, in modo che una parte scenda sul petto e l'altra sulle spalle. Chi lo porta in tasca, nella borsetta o appuntato sul petto non partecipa alla Grande Promessa. 
3) È necessario morire rivestivo del sacro abitino. Chi l'ha portato per tutta la vita e sul punto di morire se lo toglie, non partecipa alla Grande Promessa della Madonna. 

ALCUNI CHIARIMENTI

L'Abitino (che non è altro che una forma ridotta dell'abito dei religiosi carmeli­tani), deve essere necessariamente di panno di lana e non di altra stoffa, di forma quadrata o rettangolare, di colore marrone o nero. L'immagine su di esso, della Beata Vergine, non è necessaria ma è di pura devozione. Scolorandosi l'immagine o staccandosi l'Abitino vale lo stesso.
L'Abitino consumato si conserva, o si distrugge bruciandolo, e il nuovo non ha bisogno di benedizione. 
Chi, per qualche motivo, non può portare l'Abitino di lana, può sostituirlo (dopo averlo indossato di lana, in seguito all'imposizione fatta dal sacerdote) con una medaglietta che abbia da una parte l'effige di Gesù e del Suo Sacro Cuore e dall'altra quella della Beata Vergine del Carmelo. 
L'Abitino si può lavare, ma prima di toglierlo dal collo è bene sostituirlo con un altro o con una medaglietta, in modo che non si resti mai privi di esso.
Non è necessario che l'Abitino tocchi direttamente il corpo, ma può portarsi sugl'indumenti, purché sia messo al collo. 
Chi porta l'Abitino, pur non essendo obbligato, è bene che reciti spesso la giaculatoria: «O Maria Santissima del Carmelo pregale per noi».
Baciando lo Scapolare o la medaglia propria o quello di altra persona si lucra l'indulgenza parziale.


IL PRIVILEGIO SABATINO 

Il Privilegio Sabatino, è una seconda Promessa (riguardante lo scapolare del Carmine) che la Madonna fece in una Sua apparizione, ai primi del 1300, al Pontefice Giovanni XXII, al quale, la Vergine comandò di confermare in terra, il Privilegio ottenuto da Lei in Cielo, dal Suo diletto Figlio.
Questo grande Privilegio, offre la possibilità di entrare in Paradiso, il primo sabato dopo la morte. Ciò vuol dire che, coloro che otterranno questo privilegio, staranno in Purgatorio, massimo una settimana, e se avranno la fortuna di morire di sabato, la Madonna li porterà subito in Paradiso.
Non bisogna confondere la Grande Promessa della Madonna con il Privilegio Sabatino. Nella Grande Promessa, fatta a S. Simone Stock, non sono richieste né preghiere né astinenze, ma basta portare con fede e devozione giorno e notte indosso, fino al punto di morte, la divisa carme­litana, che è l'Abitino, per essere aiutati e guidati in vita dalla Madonna e per fare una buona morte, o meglio per non patire il fuoco dell'Inferno. 
Per quanto riguarda il Privilegio Sabatino, che riduce ad una settima­na, massimo, la sosta nel Purgatorio, la Madonna chiede che oltre a portare l'Abitino si facciano anche preghiere e alcuni sacrifici in Suo onore. 

CONDIZIONI VOLUTE DALLA MADONNA PER OTTENERE IL PRIVILEGIO SABATINO 

1) Portare, giorno e notte indosso, l’«Abitino», come per la Prima Grande Promessa. 
2) Essere iscritti nei registri di una Confraternita Carmelitana ed essere, quindi, confratelli Carmelitani. 
3) Osservare la castità secondo il proprio stato. 
4) Recitare ogni giorno le ore canoniche (cioè l'Ufficio Divino o il Piccolo Ufficio della Madonna). Chi non sa recitare queste preghiere, deve osservare i digiuni della S. Chiesa (salvo se non è dispensato per legittima causa) e astenersi dalle carni, nel mercoledì e nel sabato per la Madonna e nel venerdì per Gesù, eccettuato il giorno del S. Natale. 
La S. Chiesa, per venire incontro ai fedeli, dà al Sacerdote, che impone l'Abitino, la facoltà di commutare la recita delle ore canoniche e l'astinenza del mercoledì e del sabato in alcune facili preghiere e in un po' di penitenza, a piacimento del sacerdote stesso. Tutte queste pratiche, generalmente vengono commutate nella recita quotidiana del Santo Rosario oppure di 7 Pater, 7 Ave, 7 Gloria e nell'astinenza dalla carne il mercoledì, in onore della Madonna del Carmine. 

ALCUNE PRECISAZIONI

Chi non osserva la recita delle suddette preghiere o l'astinenza dalle cami non commette alcun peccato; dopo la morte, potrà entrare anche subito in Paradiso per altri meriti, ma non godrà del Privilegio Sabatino.
La commutazione dell'astinenza dalle carni in altra penitenza si può chiedere a qualunque sacerdote.

ATTO DI CONSACRAZIONE ALLA BEATA VERGINE DEL CARMINE
  Maria, Madre e decoro del Carmelo, a te con­sacro oggi la mia vita, quale piccolo tributo di gratitu­dine per le grazie che attraverso la tua intercessione ho ricevuto da Dio. Tu guardi con particolare benevolenza coloro che devotamente portano il tuo Scapolare: ti supplico perciò di sostenere la mia fragilità con le tue virtù, d'illuminare con la tua sapienza le tenebre della mia mente, e di ridestare in me la fede, la speranza e la carità, perché possa ogni giorno crescere nell'amore di Dio e nella devozione verso di te. Lo Scapolare richiami su di me lo sguardo tuo materno e la tua protezione nella lotta quotidiana, sì che possa restare fedele al Figlio tuo Gesù e a te, evi­tando il peccato e imitando le tue virtù. Desidero of­frire a Dio, per le tue mani, tutto il bene che mi riu­scirà di compiere con la tua grazia; la tua bontà mi ottenga il perdono dei peccati e una più sicura fedeltà al Signore. O Madre amabilissima, il tuo amore mi ottenga che un giorno sia concesso a me di mutare il tuo Scapolare con l'eterna veste nuziale e di abitare con te e con i Santi del Carmelo nel regno beato del Figlio tuo che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

PREGHIERA ALLA MADONNA DEL CARMINE PER LE ANIME DEL PURGATORIO
Ricordati, o pietosissima Vergine Maria, gloria del Libano, onore del Carmelo, della consolante promessa che saresti discesa a liberare dalle pene de Purgatorio le Anime dei tuoi devoti. Incoraggiati da questa tua promessa, Ti supplichiamo, Vergine Consolatrice, di aiutare le care Anime, del Purgatorio, e specialmente… O Madre dolce e pietosa, rivolgi al Dio di amore e di misericordia con tutta la potenza della tua mediazione: offri il Sangue prezioso del tuo santissimo Figlio insieme ai tuoi meriti ed alle tue sofferenze: avvalora le nostre preghiere e quelle della Chiesa tutta, e libera le Anime del Purgatorio. Amen. 3 Ave, 3 Gloria.  

LODE ALLA MADONNA DEL CARMELO 

L'abitino che io porto
è sicuro mio conforto,
e lo stimo mio tesoro più d'argento, gemme e oro. 
Da Voi spero, Gran Signora, ciò che voi diceste allora
a Simone Vostro amato, dando l'abito sacrato.
Prometteste, certamente,
a chi il porta piamente,
esentar da cruda sorte ed in vita e dopo morte. 
Ed il sabato che viene, esentarlo dalle pene
col sovrano Vostro zelo e condurlo poi nel Cielo.
Orsù dunque, Verginella,
Madre, Sposa, tutta bella, me infelice liberate d'ogni male e consolate. 
Aiutatemi nei guai mentre afflitto sono assai,
specialmente, allora, quando il mio fiato sta spirando.
Allora sì datemi aiuto,
d'impetrar l'eterna vita, e sfuggire in tutti i modi di Lucifero le frodi.
Fate allora che io gioiendo e con gli Angeli godendo, canti dolce melodia,
Viva, viva del Carmine Maria. Salve Regina
Chi può, diffonda questo foglio tramite fotocopie. 

TESTIMONIANZA SULLA POTENZA DELLO SCAPOLARE

Sulla Piazza di Jlfurt in Alsazia (Francia) vi è una Statua monumentale in bronzo dell'Immacolata, con questa iscrizione:

«In memoria della liberazione dei due ossessi - Teobaldo e Giuseppe Burner - ottenuta per l'inter­cessione della B.V. M. Immacolata - Anno del Signore 1869».

Questi due fratelli furono invasi dal demonio per circa quattro anni (1864-69; curati inutilmente e visitati da molti Medici e specialisti, quando varie volte finalmente furono esorcizzati dal Parroco Brey e da tre Sacerdoti e Religiosi, incaricati dalla Curia di Strasburgo. Molte volte furono presenti, oltre ai genitori e parenti, anche il Sindaco del luogo Tresch e persone importanti, tra cui il Deputato Sig Ignazio Spies.
Teobaldo morì poi il 3-4-1871, all'età di 16 anni. Giuseppe morì più tardi - 1882 - a 25 anni. 

Molti fatti diabolici sono pure registrati nel Vangelo e in molte Vite di Santi.
Quindi non è fantasia: il demonio esiste, come l'Inferno!!!

I due ossessi erano soggetti a fenomeni straordinari, per es.:
- Torcere il collo o le gambe all'indietro, in modo straziante.
- Arrampicarsi sugli alberi, fino a tenui rami, che non si rompevano.
- Vomitare fuoco, schiuma, piume che appestavano la casa.
- Parlavano tutte le lingue e dialetti.
- Svelavano colpe segrete o delitti di persone presenti, che fuggivano.
- Quando i visitatori si erano prima Confessati, i ragazzi ossessi (per opera del demonio) dicevano: Prima siete stati nel porcile (la Chiesa) a togliere lo sterco dalle vostre coscienze!
- Al contrario quando si presentavano coloro che vivevano male o in peccato, dicevano: Oh! ecco uno dei nostri!... Che brava gente! Dovrebbero essere tutti così!... Risparmiano fatica al nostro padrone, e 'gli guadagnano molte anime. - ecc...
- Quando la camera o altre cose, a loro insaputa, venivano benedette con l'Acqua santa, dicevano: l'hanno spalmata col lordume!...
Bestemmiavano Dio, Gesù, l'Eucarestia, La Chiesa, i Santi... e mai la Madonna.
Fu loro chiesto: Perché bestemmiate Tutti... e mai la Madonna?
- Perché la Marionetta (Gesù) sulla Croce ce lo ha proibito!
Che pensate dell'Immacolata Concezione?
- Vattene alla malora con la tua Grande Signora!
Gli si mise addosso l'Abitino della Madonna del Carmine a Teobaldo, senza che se ne accorgesse.
Ma tosto egli gridò: toglimi questo strazio! Mi brucia...!
- Non è uno straccio - si rispose - e te lo toglierò solo quando tu mi dirai cos'è.
L'Abitino della Grande Signora!
Un'altra persona chiede a Giuseppe: Che cosa odiate di più nei Cristiani?
- ... La Devozione alla Grande Signora!... - fu risposto. 

Capite? Oh! Come dobbiamo essere grati alla Mamma del Cielo, che ci vuol vestire del Suo Santo Abitino: lo Scapolare!!!  

AVE MARIA PURISSIMA!

La divina bontà



Nelle lezioni che seguono l'angelo tratta della concezione della Vergine e della sua nascita, e dell'amore ch'ebbe Dio per lei, anche quando era nel seno di sua madre.  Mercoledì - Lezione Prima (Capitolo 10) 

Assoluzione: La vergine madre della sapienza rischiari l'oscura nostra insipienza. Amen. 

Prima della legge data da Mosè, gli uomini vivevano per lungo tempo ignorando come dovessero regolare sé e le loro azioni nella vita. Quindi, quelli che ardevano d'amor di Dio ordinavano sé e i loro costumi nel modo che ritenevano grato a Dio; gli altri, invece, che non avevano tale amor di Dio, senza alcun timore di lui, facevano quanto loro piaceva. La divina bontà, dunque, commiserando quest'ignoranza, stabilì per mezzo del suo servo Mosè la legge con la quale regolarsi in tutto secondo la divina volontà. Questa legge insegnava, finalmente, come dovessero amarsi Dio e il prossimo, e come il consorzio di vita tra l'uomo e la donna dovesse regolarsi dal diritto divino ed onesto, perché da tal connubio nascessero figli che Dio voleva chiamare suo popolo. 

E in verità Dio amava tanto questo connubio, che stabilì di prendere da esso l'onestissima genitrice della sua umanità. Per cui, come l'aquila, volando in sublime altezza, osservati parecchi boschi, scorge da lontano un albero tanto solidamente radicato da non poter essere sradicato dagl'impeti del vento, di cima tanto alta da non potervi salire alcuno, e in positura tale da sembrar impossibile che vi cadesse sopra qualche cosa, e tale albero sceglie, dopo un più attento esame, per costruirvi il nido in cui riposare, così Dio, che è paragonato a quest'aquila, avendo davanti a sé tutte le realtà future e presenti ben chiare e manifeste, mentre osservava tutti i connubi giusti ed onesti che dovevano esistere dalla creazione del primo uomo fino all'ultimo, non ne trovò uno simile, per onestà e amor di Dio, a quello di Gioacchino ed Anna. E perciò gli piacque che da questo santo connubio fosse onestissimamente generato il corpo della madre sua, adombrato nel nido, nel quale egli si degnasse di riposarsi con ogni consolazione. 

Con ragione, infatti, si paragonano a decorosi alberi i devoti connubi, la cui radice è l'unione di due cuori che si congiungono per la sola ragione che ne provenga onore e gloria allo stesso Dio. E con ragione pure si paragona a rami fruttiferi la volontà degli stessi coniugi, quando in tutta la loro attività sono così ligi al timor di Dio, da amarsi onestamente l'un l'altro solo in vista della procreazione della prole, a gloria di Dio e secondo il suo comandamento. L'insidiatore non può raggiungere, con le sue forze ed arti, la sublimità di tali connubi, quando la loro gioia non è in altro che nel rendere onore e gloria a Dio, e quando non li affligge altra tribolazione che l'offesa e il disonore di Dio. Si sentono poi al sicuro solo quando l'affluenza degli onori o delle ricchezze del mondo non vale ad irretire i loro animi nell'amor proprio o nella superbia. Quindi, siccome Dio previde che tale sarebbe stato il connubio tra Gioacchino ed Anna, perciò decise di trarre da esso il suo domicilio, cioè il corpo della madre sua. 


O Anna, madre degna di ogni venerazione, qual tesoro prezioso portasti nel tuo seno, quando in esso riposò Maria, che doveva divenire madre di Dio! Veramente deve credersi senza esitazione che Dio stesso, appena fu concepita e formata in seno ad Anna la materia da cui doveva esser formata Maria, l'amò più di tutti gli altri corpi umani generati o da generarsi nel mondo intero da uomo e donna. Perciò la venerabile Anna può veramente chiamarsi cassaforte di Dio, perché custodiva nel suo seno il tesoro a lui più caro di ogni altra cosa. Oh, com'era sempre vicino a questo tesoro il cuore di Dio! Oh, come rivolgeva con amore e gioia gli sguardi della sua maestà a questo tesoro, colui che poi nel suo Vangelo disse: « Dov'è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore »! E perciò è veramente credibile che gli angeli esultassero non poco per questo tesoro, vedendo che tanto lo amava il loro Creatore, ch'essi amavano più di se stessi. E per questo sarebbe molto conveniente e giusto che fosse avuto in grande venerazione da tutti il giorno in cui fu concepita e condensata in seno ad Anna la materia dalla quale doveva essere formato il corpo benedetto della madre di Dio, dato che lo stesso Dio e gli angeli la circondavano di tanto amore

(Dal Sermone Angelico di santa Brigida)
AVE MARIA!

Chiesa e post concilio: Testo integrale della denuncia di Mons. Stefan Ost...

Chiesa e post concilio: Testo integrale della denuncia di Mons. Stefan Ost...: Ringrazio sentitamente Paolo Pasqualucci per questo suo prezioso contributo, che ci rende accessibile un testo che val la pena conoscere in...







San Francesco di Sales

Immagine
San Francesco di Sales,
colonna della Chiesa e maestro di vita cristiana


San Francesco di Sales, vescovo e Dottore della Chiesa, ricercatissima guida spirituale e fondatore della Congregazione della Visitazione, “martello degli eretici” e ineguagliato maestro di carità e di vita, rimane ancora oggi forse, insieme a sant’Agostino e san Tommaso, il più letto e amato fra i teologi della Chiesa Cattolica. La sua vita e il suo insegnamento non hanno mai perso di attualità e oggi, a distanza di cinque secoli, chiunque lo può verificare meditando i suoi capolavori.


Nasce nel castello di Sales il 31 agosto del 1567, primo di tredici figli (dieci maschi e tre femmine). La madre, Françoise de Sionnaz, ha appena 14 anni e il padre, François 1er des Nouvelles, signore di Boisy, ne ha 31 di più.

Dalla prima educazione ricevuta in casa passa alla scuola nella vicina La Roche e poi al collegio di Annecy. Quindi si trasferisce a Parigi al Collegio Clermont accompagnato dal precettore l’abate Diage, ma attraversa una grave crisi spirituale mentre completa gli studi umanistici e filosofici: a 19 anni parte per Padova allo scopo di laurearsi in diritto civile ed ecclesiastico.

Dopo tre anni si laurea il 5 settembre 1591. Vuol visitare Roma, ma il viaggio termina a Loreto perché i briganti infestano l’Italia centrale. A Padova si congeda dal padre spirituale Antonio Possevino, ma ritorna ad Annecy dov’è la famiglia.

Nel 1592 si iscrive all’Ordine degli Avvocati e difende diverse cause fra cui quella in favore del Vescovo. Cede alle insistenze e pressioni dello stesso per completare la sua preparazione al sacerdozio e quindi viene ordinato a dicembre del 1593.

Aveva studiato filosofia, scienze naturali, medicina, italiano e spagnolo ma le scienze sacre, teologia, greco biblico, ebraico le aveva coltivate per suo conto. Non si può tuttavia mettere in dubbio la sua conoscenza della Bibbia, in cui aveva avuto a Parigi come maestro il grande Génébrard.


Una cultura vasta e profonda

Si è detto che abbia avuto poca simpatia per la speculazione teologica e forse è vero, ma nelle dispute con gli ugonotti e coi calvinisti non mostrò mai incertezze o ambiguità dottrinali. A Padova fu amico e discepolo del gesuita Antonio Possevino, e del minore conventuale Filippo Gesualdi dai quali imparò l’amore per i Padri della Chiesa, per Tommaso e Bonaventura: in parole povere, visse e praticò le verità della fede.

Fin dai tempi di Parigi conosceva la dottrina d’amore del Ficino e del suo discepolo Pico della Mirandola: se ne può vedere una prova nell’Esercizio del sonno o riposo spirituale e nelle Norme per le conversazioni e gli incontri.

Nell’ambiente colto patavino circolavano le opere del Bembo e del Castiglione: Francesco ne valutò l’aspetto cortese e raffinato ma ne scoprì anche il limite in quanto mancava la base solida che è Cristo. Le belle maniere non possono sostituire l’amore vero, la “caritas”.

A Padova conobbe pure il teatino Lorenzo Scupoli il cui trattatello, Il combattimento spirituale, lo aiutò a dare concretezza alla sua spiritualità di tipo cristocentrica.

Preparandosi alla consacrazione episcopale redige per sé e per il suo personale un “Regolamento” che sembra una regola monastica: preghiera, studio, servizio pastorale.


Difensore della verità nella carità

Centro della sua giornata è la Messa, vissuta intensamente. Allo stesso modo teneva in gran conto il sacramento della Confessione, per sé e per gli altri.

Nel periodo dello Chablais (1594-1598) le sue lettere ci danno uno spaccato della sua anima: retto e inflessibile ma allo stesso tempo prudente e delicato non nasconde i suoi sentimenti ma ha il coraggio della verità.

L’eresia che affligge la Chiesa va combattuta e perciò Francesco conquistò la stima di Beza, il continuatore di Calvino, senza però riuscire a riportarlo in seno alla fede cattolica.

Clemente VIII, Paolo V, Leone XI, il Baronio, il Bellarmino lo ammirarono e stimarono incondizionatamente. Francesco è un oratore nato, non nel senso che comunemente si dà a questa parola ma nella sua migliore accezione poiché il vero comunicatore ha la capacità di parlare «col cuore, mentre la lingua parla soltanto alle orecchie» (sono sue felici espressioni).

I suoi modelli sono san Carlo Borromeo, san Filippo Neri, i Barnabiti, i preti dell’Oratorio. Pronunciò, in 18 anni di ministero, 3 o 4 mila sermoni e scrisse un trattatello in forma di lettera al vescovo Bourges, Andrea Frémyot, fratello di Giovanna Francesca di Chantal.

Si convince col tempo che anche lo scritto ha i suoi vantaggi: «offre più tempo della voce alla riflessione, per pensare più profondamente».

Durante la sua missione allo “Chablais” raccolse i suoi sermoni col titolo Meditazioni che chiamò poi Controversie. È evidente in questo libro il suo zelo per la salvezza delle anime e per combattere l’eresia, soprattutto quella degli ugonotti.

Fu allora che un tal Viret, calvinista sfegatato, autore di un velenoso libercolo contro la presenza reale nell’Eucarestia, lo attacca violentemente ed egli allora scrisse una Breve meditazione sul Simbolo degli Apostoli, in cui suffraga ogni affermazione con citazioni delle Scrittura e dei Padri: è con questo criterio o metodo che combatte tutte le opere dei calvinisti.

Quando il Viret osò mettere in dubbio la verginità della Madonna, Francesco fece notare l’ignoranza dell’oppositore. Al calvinista Beza propose, per ordine di Clemente VIII, un incontro ma si accorse presto della pervicace ostinazione del suo interlocutore e quando ad Annegasse, a pochi chilometri da Ginevra, ci fu una solenne celebrazione delle Quarantore e i ministri calvinisti ginevrini organizzarono una violenta opposizione, il santo compose un’opera, Difesa dello Stendardo della Croce, che fu pubblicata tre anni dopo, nel 1600, a causa di una seria malattia e di un viaggio a Roma.

Nel frattempo Francesco ricevette nella Città Eterna la nomina di vescovo titolare di Nicopoli (marzo 1599). Compose in quel tempo l’orazione funebre per il Principe di Mercoeur, al cui casato era debitore per i benefici ricevuti.


I suoi due capolavori

Scrisse pure un breve, prezioso libretto Consigli ai confessori, in cui rivolge ai suoi preti succose esortazioni per il loro ministero pastorale. Famosa la Filotea o Introduzione alla vita devota, che ha cura di formare a una vita pienamente cristiana coloro che vivono nel mondo, in famiglia, e devono assolvere compiti civili, sociali.

Questo libro fu scritto per una signora, Luisa du Chatel, andata sposa al Signore di Charmoisy, cugino del santo ed essendo utile per guidare spiritualmente persone che vivono nel mondo e non nello stato religioso, un gesuita P. Sean Fourrier, ne consigliò la pubblicazione.

Fu un successo enorme e dopo la prima edizione del 1608 ce ne furono altre quattro fino al 1611, ma siccome erano piene di errori ce ne fu una quinta nel 1619 riveduta e corretta dallo stesso autore.

Elogi senza fine ma anche critiche aspre e malevole. Più tardi compose il Trattato dell’amor di Dio, più profondo e ordinato, un vero capolavoro di spiritualità cristiana.


Pastore di Cristo senza riposo

Conviene dire qualcosa sulla sua attività di Pastore (diocesi di Ginevra con sede ad Annecy).

Prese possesso della sua diocesi il 15 dicembre del 1602 e un mese dopo scrisse la sua prima lettera pastorale.

Ordina in essa il digiuno e l’astinenza e bandisce il sinodo per il secondo mercoledì della seconda Domenica dopo Pasqua. Intima inoltre la residenza a tutti i sostenitori di beneficii. Purtroppo la resistenza del clero nell’obbedire alle sue ordinanze lo obbliga a rinnovarle con la minaccia di precise e severe sanzioni nel caso vengano eluse.

A norma del Concilio di Trento visita 260 delle 450 parrocchie della diocesi comprese le 50 rimaste in territorio francese a seguito della cessione di alcuni paesi. Tuttavia la sua perseveranza e la dolcezza nella direzione spirituale danno i loro frutti: anche il catechismo dialogato che usa per le esigenze dei piccoli produce buoni risultati, pur non avendo altri aiuti che i due fratelli minori Sean-François e Bernard.

Il metodo, da lui usato, di catechesi dialogata, incontrò dapprima difficoltà presso il clero e per due anni fu il solo catechista della città, ma poi avvenne la conversione di tutta la sua chiesa: assieme ai bambini vi erano nobili, ecclesiastici e gente del popolo.

Fu necessario occupare altre due chiese e il catechismo del Bellarmino, personalizzato con semplici sussidi esplicativi, si diffuse rapidamente anche grazie alla collaborazione dei laici che aveva coinvolto nella stessa compilazione del regolamento.

Attraverso il libretto dei Consigli ai Confessori aiuta i sacerdoti ad amministrare bene il Sacramento della Penitenza. È pieno di sapienza nel dare i consigli opportuni perché i penitenti prendano fiducia e non si scoraggino: per il duca di Bellegarde scrisse pure un “Promemoria” che è un piccolo trattato sulla Confessione.


Delicato e fermo Padre spirituale

Fu innumerevole la quantità di persone che il santo avvicinò a questo sacramento. Si esprime in termini così affettuosi da creare equivoci o malintesi nelle lettere che indirizza ad esempio alla Chantal, colla quale si è creato un rapporto spirituale così intenso da fargli dire che Dio gli ha dato un cuore di madre più che di padre… ma è amore vero, forte, di uomo di carattere, non tenerezza sentimentale priva di nerbo e di sostanza.

La Congregazione della Visitazione da lui fondata si avvalse di questo spirito dolce e gradevole, che attirò molte anime (di donne e ragazze) che si sentivano escluse dai grandi ordini formati o riformati.

La fondazione non escludeva le opere di carità che affidava a donne mature e sperimentate. Tuttavia lo scopo della Congregazione «è più per dare a Dio delle figlie d’orazione e delle anime così interiori da essere trovate degne di servire la sua Maestà infinita e di adorarlo in spirito e verità».

È per queste figlie e per la loro Madre che porterà a termine il Trattato: dai primi passi tracciati nella Filotea il cammino si avvia alle vette della perfezione cristiana.


La sua figlia fedelissima

Infatti fu la fedelissima e piissima Giovanna Francesca Chantal che lo incoraggiò e scongiurò di portare a termine questo lavoro: era nata da Benigno Frémiot e da Margherita di Berbisey il 23 gennaio 72 a Dijon e arrivò sposa a Cristophe de Barbutin, barone di Chantal, che la lasciò vedova con quattro figli.

Il fratello minore, Andrea Frémiot, divenne vescovo di Bourges nel 1603, e fu a Digione che Francesco conobbe questa pia donna mentre preparava il quaresimale alla Sainte Chapelle il 5 marzo 1604.

Si strinse allora tra il santo vescovo e la nobildonna devota una santa amicizia, che certamente li stimolò a una reciproca edificazione, poiché difficilmente si riesce a distinguere e sceverare chi dei due abbia dato il maggiore apporto alla santificazione dell’altro.

Si iniziò una lunga e intensa collaborazione che ebbe anche frutti spirituali di grande valore: lo stesso Trattato dell’amor di Dionon avrebbe avuto quella profondità e ampiezza che raggiunse attraverso i consigli e le preghiere di Giovanna Francesca.

Il santo disse e scrisse: «Ho l’impressione che Dio mi abbia affidato a lei; ne sono sempre più convinto». È un affetto vero, reale e profondo. Il “Trattato” è un’opera così perfetta che fece dire al P. Poirrat: «San Francesco di Sales forma una scuola di spiritualità da solo. Egli è il suo inizio, il suo sviluppo, la sua somma totale».

È un invito rivolto a quanti intendono rispondere con generosità all’azione di Dio, nessuno escluso. Il santo predicò moltissimo, sino a tre volte in un giorno, ma dei suoi sermoni interi se ne conoscono solo due, poiché nei 4 volumi dedicati ad essi si conoscono solo tracce o riassunti che ne facevano gli uditori.

Accompagnando la corte di Savoia a Parigi il 27 Dicembre del 1622 morì di apoplessia a Lione. Beatificato nel 1661, canonizzato nel 1665, fu dichiarato Dottore della Chiesa nel 1867 da Pio IX. La sua festa si celebra il 24 gennaio.



monsignor Luigi Tirelli


(da “Radici Cristiane”, dicembre 2005)

S. Francesco di Paola




S. Francesco di Paola

I Miracoli

da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
 di  P.Antonio Castiglione
Vengono qui presentati alcuni dei numerosi eventi prodigiosi tramandati dalla tradizione e raccontati da coloro che deposero ai vari Processi di beatificazione del Santo e da numerosi biografi, primo fra tutti  p. Lorenzo Delle Chiavi, o Clavense, o. m. discepolo contemporaneo di san Francesco, che con la firma di Anonimo scrisse la “Vita S. Francisci de Paula, Minimorum Ordinis Institutoris scripta ab anonymo ejusdem sancti discipulo, eique coaevo”. 
La resurrezione di "Martinello" 
Martinello è il nome che S. Francesco ha dato a un agnellino che lo segue sempre e a cui è molto affezionato. Durante i lavori per la costruzione della chiesa a Paola, alcuni operai glielo rubano e dopo averlo sgozzato e mangiato, ne gettano la pelle e le ossa nella fornace della calce.
Appena Francesco lo viene a sapere, si reca all'imboccatura della fornace e grida: "Martinello, Martinello, vieni qua". Subito l'agnellino esce dalle fiamme sano e in vita e, come era solito fare, prende il cibo dalle mani di lui.
Per ricordare questo miracolo, nelle icone il Santo viene rappresentato con in braccio un agnellino.  
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
 di  P.Antonio Castiglione
La Fornace in fiamme 
Durante la costruzione del convento, all'improvviso si sviluppa un incendio nella fornace dove i frati stanno preparando i mattoni,. Le fiamme crescono a dismisura e in breve divorano pareti e travi, al punto che l’intero soffitto è ormai in procinto di cadere, col rischio di perdere ogni cosa. Inutilmente gli operai cercano di opporsi alla furia del fuoco, cercando di chiudere le crepe con l’utilizzo di pietre e terra.
Non sapendo più che fare, chiamano il Santo, il quale subito si accorge della gravità della cosa, ma tranquillizza tutti dicendo: “Per carità figlioli non v’affliggete, perché non cadrà la fornace, andate intanto a far colazione, che Iddio rimedierà al bisogno”.
Mentre si allontanano, i frati vedono Francesco entrare nella fornace in mezzo alle fiamme.
Al loro ritorno lo ritrovano incolume, sano e salvo, di fronte alla fornace che è tornata come nuova, senza alcun segno di abrasione. Agli operai che attoniti si gettono ai suoi piedi Francesco, con le lacrime agli occhi, dice: “Per carità, figlioli, ringraziamo la divina bontà, la quale sta sempre pronta a comunicare le sue grazie anche a quelli che ne sono indegni”.
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
 di  P.Antonio Castiglione
La fonte della cucchiarella 
Durante la costruzione del convento, essendo scomodo e fastidioso ricorrere al  torrente Isca per approvvigionarsi di acqua, si necessita che vi fosse una fontana nei paraggi della struttura in costruzione e la cosa ha suscitato anche la mormorazione di non pochi frati. Francesco colpisce con un bastone una roccia, che si apre immediatamente facendo sgorgare una sorgente viva di acqua. Quest'acqua è attinta con con l’utilizzo dei mestoli e dei cucchiai: da qui il nome  "cucchiarella” dato alla fonte dai fedeli che la reputano curativa.
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
 di  P.Antonio Castiglione
Le pietre del Miracolo
Sempre durante la costruzione del convento di Paola, si verifica una frana fra le montagne attigue alla zona dell’edificio, per cui due grossi macigni si staccano dalla montagna e stanno per precipitare violentemente sulla struttura del convento e travolgere gli operai. Francesco se ne avvede tempestivamente e grida in loro direzione: “Fermatevi, per carità!”; al che i due consistenti massi restano sospesi in bilico contro ogni legge di gravità. Se avessero impattato sul convento, avrebbero provocato vittime e danni incalcolabili. Ancora oggi le pietre incombono in bilico nei pressi del Santuario a Paola, ma stranamente non appaiono minacciose.
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
 di  P.Antonio Castiglione
Il nipote Nicola
ll nipote di San Francesco, di nome Nicola, desidera abbracciare con lui la vita religiosa, ma sua madre Brigida, sorella del Santo, non glielo permette.
Un giorno Nicola si ammala gravemente e muore. Lo portano nella chiesa di San Francesco per le esequie e, al momento di deporlo nella fossa, il Santo ordina di portare il nipote nelle sua cella. Davanti al cadavere del giovane piange, prega a lungo, lo resuscita da morte e lo restituisce alla sorella, facendosi promettere che mai più questa ostacolerà la volontà del figlio di dedicarsi a Dio.
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
 di  P.Antonio Castiglione
Il dente di S. Francesco
La tradizione vuole che prima di partire per la Francia, S. Francesco reca a Paola per salutare la sorella Brigida. Questa profondamente addolorata per la partenza del fratello e presagendo che non sarebbe più ritornato in Calabria, g li chiede un suo ricordo. Non sapendo cosa darle, il Santo avvicina le mani in bocca, si leva un dente molare e lo consegna come ricordo alla sorella.
In seguito alla Beatificazione del Santo, il dente viene donato dalla stessa Brigida al Convento e ancora oggi viene conservato come reliquia nel Santuario di Paola.
Molti anni dopo la partenza di Francesco dalla Calabria, il dente viene presentato ad una nobile signora di facili costumi; appena questa bacia la reliquia il dente si spezza. Sconvolta da questo prodigio, la donna si converte ad una nuova vita.
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
 di  P.Antonio Castiglione
Charitas
San Francesco di Paola viene spesso raffigurato con uno scudo gentilizio sopra il capo o il petto, sul quale si legge la scritta “ Charitas”.
Secondo la tradizione, mentre il Santo si trova assorto in altissima contemplazione, gli compare davanti l’Arcangelo Michele, con uno scudo nelle mani che sembra un sole spendente e al centro di esso è scritta a caratteri d’oro una sola parola: CHARITAS. L’Angelo gli porge lo scudo e gli raccomanda di farne lo stemma del proprio ordine:
"Francisce, haec erunt insignia tui Ordinis”.
Francesco, per dare l’esempio, non comanda cosa se non per carità; non fa miracolo in cui non risuoni il nome di carità; non pratica virtù, che non l’accompagni con la carità. La parola CHARITAS, insomma, viene scolpita non solo nello stendardo dell’Ordine, ma soprattutto nel cuore di tutti e specialmente di coloro che, nel suo Ordine,  esteriormente ne devono mostrare la luce e interiormente ne devono sentire le fiamme.  
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
;di  P.Antonio Castiglione
La traghettata dello Stretto di Messina
Nell’anno 1464 due magistrati di Milazzo, Angelo Camarda e Giovanni Villani, si recano da Francesco lo invitano a costruire un convento nella loro città. Verso la fine di marzo il Santo parte da Paola assieme a due frati e, a piedi e senza danaro, si avviano verso il litorale reggino, per imbarcarsi per la Sicilia.
Giunti al porto, il Santo si avvicina al padrone di una barca carica di legname in procinto di far vela per Messina e lo prega, per amor di Gesù Cristo, di accoglierlo nella sua barca con i due confratelli per la traversata dello Stretto.
Pietro Coloso, il proprietario della barca, quando si rende conto che i frati non hanno soldi per pagarlo, si rifiuta di traghettarli dicendo in malo modo: “Se voi non avete denaro da pagarmi, io non ho barca per portarvi”.
Allontanatosi in disparte, Francesco implora l’aiuto del Signore. Ritornato sul lido rincuora i suoi compagni dicendo loro che il Signore ha preparato per loro una ben robusta barca. Quindi si toglie dalle spalle il suo mantello , lo stende sulle onde, vi monta sopra con i due compagni, e tenendone stretto un lembo alla estremità superiore del suo bastone, come a servirsene di vela, procede rapido e sicuro verso le coste siciliane. Tutta la gente sul lido resta di sasso per lo stupore e Pietro Coloso, che si era rifiutato di portarlo, lo chiama più volte e lo prega di gradire la sua compagnia, ma Francesco seguita il suo viaggio e, intento a glorificare Dio, non bada alle chiamate che gli fanno i marinai.  
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
;di  P.Antonio Castiglione
Il Pozzo degli impiccati
Giunti a Milazzo, i frati si ritrovano in un luogo infausto e scosceso denominato “Pozzo degli impiccati”, dove avviene la esecuzione capitale dei delinquenti. Qui Francesco vede un giovane, morto impiccato da circa quattro giorni. Mosso a pietà, si avvicina al patibolo e fa tagliare il capestro; l'infelice gli cade tra le braccia, riapre gli occhi e rivive.
I lavori per la costruzione del convento iniziano a gennaio del 1465 in località “Colle San Biagio e sono diretti proprio da San Francesco. L’acqua di cui gli operai necessitano dista chilometri dal cantiere e ciò provoca enormi disagi. San Francesco indica un punto dove scavare, ma durante lo scavo gli operai incontrano due enormi massi che impediscono le operazioni. Il Santo con un segno di croce li rende leggeri; questi massi, ancor oggi visibili, costituiscono le uniche fondamenta del Santuario di Milazzo.
Quando arrivano all’acqua, si accorgono che questa non è potabile, allora San Francesco benedicendola la rende dolce e dice: «Quando i miei Figli si saranno provveduti di una cisterna per raccogliere acqua piovana, quest'acqua tornerà salmastra». Come previsto dal Santo, appena viene costruita una cisterna per la raccolta dell'acqua, quella del pozzo torna ad essere salmastra.  
da: S.Francesco di Paola Vita Illustrata
 di  P.Antonio Castiglione
Martinello restituisce i ferri 
Il 2 febbraio 1483 Francesco, in compagnia di tre confratelli, parte alla volta di Napoli, prima tappa nel suo viaggio verso La Francia.
Durante il tragitto, Martinello, l’asino che accompagna i frati eremiti, rimane del tutto sferrato.
Il maniscalco a cui si rivolgono, dopo il suo lavoro, pretende di essere pagato. Il Santo ha sperato tanto di ottenere con la carità quel servizio che non può pagare.
Di fronte alle ingiuriose proteste del maniscalco, ordina alla bestia: “"Martinello, restituiscigli i ferri!...", e l'asino, scuote gli zoccoli e lascia cadere al suolo i quattro ferri davanti  all'esterrefatto e avaro maniscalco.  

 Il Ponte del diavolo a Paola:
Impronta della mano del diavolo
(http://blublogpreziosa.blogspot.it)
Il Ponte del diavolo
La leggenda vuole che il Santo avesse in progetto di costruire un ponte, tuttora attraversato e contemplato da centinaia di pellegrini, per favorire il passaggio da una riva all'altra del fiume Isca. Allora gli appare il Diavolo con la proposta di costruirlo lui in una sola notte in cambio però dell’anima del primo viandante che lo attraverserà. Il Frate accetta ma all'indomani, quando il Diavolo si presenta per riscuotere quanto pattuito, San Francesco, con l'astuzia,  fa passare un cane e invita il diavolo a prendersi l'anima dell'animale. Il diavolo, furioso per essere stato ingannato, colpisce violentemente il muro del parapetto, causando un buco e lasciando l'impronta della mano sulla parete opposta.

 La "Salvietta" miracolosa venerata a Benincasa  Vietri nella Chiesta di S. Maria delle Grazie (www.sanfrancescodipaola-benincasa.info)

La "Salvietta" di San Francesco
Nel 1484 San Francesco di Paola, di passaggio per Salerno mentre si recava in Francia, per tre giorni fu ospite in città presso la residenza dei coniugi Capograsso, appartenenti ad una famiglia antica, illustre e pia, ma destinata ad estinguersi perché tutti i figli che nascevano morivano in tenera età. I buoni coniugi ne erano desolatissimi e narrarono a Francesco la loro sorte infelice. Questi ne ebbe compassione, promise di pregare per la loro sorte e disse: "Non vi affliggete perché il Signore vi manderà ancora altri figli, i quali perpetueranno il vostro casato". E così fu. Verso la metà del XVII secolo la famiglia  si trasferì a Sulmona dove ancora oggi vi sono dei discendenti.
Narra ancora la  tradizione che in uno dei giorni in cui il Santo era a consumare il suo magro pasto si accorse che un pittore, di nascosto, cercava di ritrarlo. Francesco, che si riteneva indegno di qualsiasi onore e venerazione, non gradì e si coprì il volto con la salvietta; ad esaltare il suo servo, Dio compì il prodigio: sul lino della salvietta restarono i lineamenti del suo volto. Nel 1656, narra ancora la tradizione, i discendenti della famiglia Capograsso, per evitare il contagio della peste che inferiva a Salerno, si ritirarono a Benincasa, frazione di Vietri sul Mare. Cessata l’epidemia, alcuni della famiglia restarono in questo villaggio e donarono alla Chiesa la preziosa reliquia , che fu sistemata in un prezioso ed artistico altare di marmo appositamente costruito.

Parrocchia Santa Maria ad Martyres - Via Adriano Falvo, 2/1 - 84127 Salerno
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