mercoledì 15 luglio 2015

San Francesco di Sales

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San Francesco di Sales,
colonna della Chiesa e maestro di vita cristiana


San Francesco di Sales, vescovo e Dottore della Chiesa, ricercatissima guida spirituale e fondatore della Congregazione della Visitazione, “martello degli eretici” e ineguagliato maestro di carità e di vita, rimane ancora oggi forse, insieme a sant’Agostino e san Tommaso, il più letto e amato fra i teologi della Chiesa Cattolica. La sua vita e il suo insegnamento non hanno mai perso di attualità e oggi, a distanza di cinque secoli, chiunque lo può verificare meditando i suoi capolavori.


Nasce nel castello di Sales il 31 agosto del 1567, primo di tredici figli (dieci maschi e tre femmine). La madre, Françoise de Sionnaz, ha appena 14 anni e il padre, François 1er des Nouvelles, signore di Boisy, ne ha 31 di più.

Dalla prima educazione ricevuta in casa passa alla scuola nella vicina La Roche e poi al collegio di Annecy. Quindi si trasferisce a Parigi al Collegio Clermont accompagnato dal precettore l’abate Diage, ma attraversa una grave crisi spirituale mentre completa gli studi umanistici e filosofici: a 19 anni parte per Padova allo scopo di laurearsi in diritto civile ed ecclesiastico.

Dopo tre anni si laurea il 5 settembre 1591. Vuol visitare Roma, ma il viaggio termina a Loreto perché i briganti infestano l’Italia centrale. A Padova si congeda dal padre spirituale Antonio Possevino, ma ritorna ad Annecy dov’è la famiglia.

Nel 1592 si iscrive all’Ordine degli Avvocati e difende diverse cause fra cui quella in favore del Vescovo. Cede alle insistenze e pressioni dello stesso per completare la sua preparazione al sacerdozio e quindi viene ordinato a dicembre del 1593.

Aveva studiato filosofia, scienze naturali, medicina, italiano e spagnolo ma le scienze sacre, teologia, greco biblico, ebraico le aveva coltivate per suo conto. Non si può tuttavia mettere in dubbio la sua conoscenza della Bibbia, in cui aveva avuto a Parigi come maestro il grande Génébrard.


Una cultura vasta e profonda

Si è detto che abbia avuto poca simpatia per la speculazione teologica e forse è vero, ma nelle dispute con gli ugonotti e coi calvinisti non mostrò mai incertezze o ambiguità dottrinali. A Padova fu amico e discepolo del gesuita Antonio Possevino, e del minore conventuale Filippo Gesualdi dai quali imparò l’amore per i Padri della Chiesa, per Tommaso e Bonaventura: in parole povere, visse e praticò le verità della fede.

Fin dai tempi di Parigi conosceva la dottrina d’amore del Ficino e del suo discepolo Pico della Mirandola: se ne può vedere una prova nell’Esercizio del sonno o riposo spirituale e nelle Norme per le conversazioni e gli incontri.

Nell’ambiente colto patavino circolavano le opere del Bembo e del Castiglione: Francesco ne valutò l’aspetto cortese e raffinato ma ne scoprì anche il limite in quanto mancava la base solida che è Cristo. Le belle maniere non possono sostituire l’amore vero, la “caritas”.

A Padova conobbe pure il teatino Lorenzo Scupoli il cui trattatello, Il combattimento spirituale, lo aiutò a dare concretezza alla sua spiritualità di tipo cristocentrica.

Preparandosi alla consacrazione episcopale redige per sé e per il suo personale un “Regolamento” che sembra una regola monastica: preghiera, studio, servizio pastorale.


Difensore della verità nella carità

Centro della sua giornata è la Messa, vissuta intensamente. Allo stesso modo teneva in gran conto il sacramento della Confessione, per sé e per gli altri.

Nel periodo dello Chablais (1594-1598) le sue lettere ci danno uno spaccato della sua anima: retto e inflessibile ma allo stesso tempo prudente e delicato non nasconde i suoi sentimenti ma ha il coraggio della verità.

L’eresia che affligge la Chiesa va combattuta e perciò Francesco conquistò la stima di Beza, il continuatore di Calvino, senza però riuscire a riportarlo in seno alla fede cattolica.

Clemente VIII, Paolo V, Leone XI, il Baronio, il Bellarmino lo ammirarono e stimarono incondizionatamente. Francesco è un oratore nato, non nel senso che comunemente si dà a questa parola ma nella sua migliore accezione poiché il vero comunicatore ha la capacità di parlare «col cuore, mentre la lingua parla soltanto alle orecchie» (sono sue felici espressioni).

I suoi modelli sono san Carlo Borromeo, san Filippo Neri, i Barnabiti, i preti dell’Oratorio. Pronunciò, in 18 anni di ministero, 3 o 4 mila sermoni e scrisse un trattatello in forma di lettera al vescovo Bourges, Andrea Frémyot, fratello di Giovanna Francesca di Chantal.

Si convince col tempo che anche lo scritto ha i suoi vantaggi: «offre più tempo della voce alla riflessione, per pensare più profondamente».

Durante la sua missione allo “Chablais” raccolse i suoi sermoni col titolo Meditazioni che chiamò poi Controversie. È evidente in questo libro il suo zelo per la salvezza delle anime e per combattere l’eresia, soprattutto quella degli ugonotti.

Fu allora che un tal Viret, calvinista sfegatato, autore di un velenoso libercolo contro la presenza reale nell’Eucarestia, lo attacca violentemente ed egli allora scrisse una Breve meditazione sul Simbolo degli Apostoli, in cui suffraga ogni affermazione con citazioni delle Scrittura e dei Padri: è con questo criterio o metodo che combatte tutte le opere dei calvinisti.

Quando il Viret osò mettere in dubbio la verginità della Madonna, Francesco fece notare l’ignoranza dell’oppositore. Al calvinista Beza propose, per ordine di Clemente VIII, un incontro ma si accorse presto della pervicace ostinazione del suo interlocutore e quando ad Annegasse, a pochi chilometri da Ginevra, ci fu una solenne celebrazione delle Quarantore e i ministri calvinisti ginevrini organizzarono una violenta opposizione, il santo compose un’opera, Difesa dello Stendardo della Croce, che fu pubblicata tre anni dopo, nel 1600, a causa di una seria malattia e di un viaggio a Roma.

Nel frattempo Francesco ricevette nella Città Eterna la nomina di vescovo titolare di Nicopoli (marzo 1599). Compose in quel tempo l’orazione funebre per il Principe di Mercoeur, al cui casato era debitore per i benefici ricevuti.


I suoi due capolavori

Scrisse pure un breve, prezioso libretto Consigli ai confessori, in cui rivolge ai suoi preti succose esortazioni per il loro ministero pastorale. Famosa la Filotea o Introduzione alla vita devota, che ha cura di formare a una vita pienamente cristiana coloro che vivono nel mondo, in famiglia, e devono assolvere compiti civili, sociali.

Questo libro fu scritto per una signora, Luisa du Chatel, andata sposa al Signore di Charmoisy, cugino del santo ed essendo utile per guidare spiritualmente persone che vivono nel mondo e non nello stato religioso, un gesuita P. Sean Fourrier, ne consigliò la pubblicazione.

Fu un successo enorme e dopo la prima edizione del 1608 ce ne furono altre quattro fino al 1611, ma siccome erano piene di errori ce ne fu una quinta nel 1619 riveduta e corretta dallo stesso autore.

Elogi senza fine ma anche critiche aspre e malevole. Più tardi compose il Trattato dell’amor di Dio, più profondo e ordinato, un vero capolavoro di spiritualità cristiana.


Pastore di Cristo senza riposo

Conviene dire qualcosa sulla sua attività di Pastore (diocesi di Ginevra con sede ad Annecy).

Prese possesso della sua diocesi il 15 dicembre del 1602 e un mese dopo scrisse la sua prima lettera pastorale.

Ordina in essa il digiuno e l’astinenza e bandisce il sinodo per il secondo mercoledì della seconda Domenica dopo Pasqua. Intima inoltre la residenza a tutti i sostenitori di beneficii. Purtroppo la resistenza del clero nell’obbedire alle sue ordinanze lo obbliga a rinnovarle con la minaccia di precise e severe sanzioni nel caso vengano eluse.

A norma del Concilio di Trento visita 260 delle 450 parrocchie della diocesi comprese le 50 rimaste in territorio francese a seguito della cessione di alcuni paesi. Tuttavia la sua perseveranza e la dolcezza nella direzione spirituale danno i loro frutti: anche il catechismo dialogato che usa per le esigenze dei piccoli produce buoni risultati, pur non avendo altri aiuti che i due fratelli minori Sean-François e Bernard.

Il metodo, da lui usato, di catechesi dialogata, incontrò dapprima difficoltà presso il clero e per due anni fu il solo catechista della città, ma poi avvenne la conversione di tutta la sua chiesa: assieme ai bambini vi erano nobili, ecclesiastici e gente del popolo.

Fu necessario occupare altre due chiese e il catechismo del Bellarmino, personalizzato con semplici sussidi esplicativi, si diffuse rapidamente anche grazie alla collaborazione dei laici che aveva coinvolto nella stessa compilazione del regolamento.

Attraverso il libretto dei Consigli ai Confessori aiuta i sacerdoti ad amministrare bene il Sacramento della Penitenza. È pieno di sapienza nel dare i consigli opportuni perché i penitenti prendano fiducia e non si scoraggino: per il duca di Bellegarde scrisse pure un “Promemoria” che è un piccolo trattato sulla Confessione.


Delicato e fermo Padre spirituale

Fu innumerevole la quantità di persone che il santo avvicinò a questo sacramento. Si esprime in termini così affettuosi da creare equivoci o malintesi nelle lettere che indirizza ad esempio alla Chantal, colla quale si è creato un rapporto spirituale così intenso da fargli dire che Dio gli ha dato un cuore di madre più che di padre… ma è amore vero, forte, di uomo di carattere, non tenerezza sentimentale priva di nerbo e di sostanza.

La Congregazione della Visitazione da lui fondata si avvalse di questo spirito dolce e gradevole, che attirò molte anime (di donne e ragazze) che si sentivano escluse dai grandi ordini formati o riformati.

La fondazione non escludeva le opere di carità che affidava a donne mature e sperimentate. Tuttavia lo scopo della Congregazione «è più per dare a Dio delle figlie d’orazione e delle anime così interiori da essere trovate degne di servire la sua Maestà infinita e di adorarlo in spirito e verità».

È per queste figlie e per la loro Madre che porterà a termine il Trattato: dai primi passi tracciati nella Filotea il cammino si avvia alle vette della perfezione cristiana.


La sua figlia fedelissima

Infatti fu la fedelissima e piissima Giovanna Francesca Chantal che lo incoraggiò e scongiurò di portare a termine questo lavoro: era nata da Benigno Frémiot e da Margherita di Berbisey il 23 gennaio 72 a Dijon e arrivò sposa a Cristophe de Barbutin, barone di Chantal, che la lasciò vedova con quattro figli.

Il fratello minore, Andrea Frémiot, divenne vescovo di Bourges nel 1603, e fu a Digione che Francesco conobbe questa pia donna mentre preparava il quaresimale alla Sainte Chapelle il 5 marzo 1604.

Si strinse allora tra il santo vescovo e la nobildonna devota una santa amicizia, che certamente li stimolò a una reciproca edificazione, poiché difficilmente si riesce a distinguere e sceverare chi dei due abbia dato il maggiore apporto alla santificazione dell’altro.

Si iniziò una lunga e intensa collaborazione che ebbe anche frutti spirituali di grande valore: lo stesso Trattato dell’amor di Dionon avrebbe avuto quella profondità e ampiezza che raggiunse attraverso i consigli e le preghiere di Giovanna Francesca.

Il santo disse e scrisse: «Ho l’impressione che Dio mi abbia affidato a lei; ne sono sempre più convinto». È un affetto vero, reale e profondo. Il “Trattato” è un’opera così perfetta che fece dire al P. Poirrat: «San Francesco di Sales forma una scuola di spiritualità da solo. Egli è il suo inizio, il suo sviluppo, la sua somma totale».

È un invito rivolto a quanti intendono rispondere con generosità all’azione di Dio, nessuno escluso. Il santo predicò moltissimo, sino a tre volte in un giorno, ma dei suoi sermoni interi se ne conoscono solo due, poiché nei 4 volumi dedicati ad essi si conoscono solo tracce o riassunti che ne facevano gli uditori.

Accompagnando la corte di Savoia a Parigi il 27 Dicembre del 1622 morì di apoplessia a Lione. Beatificato nel 1661, canonizzato nel 1665, fu dichiarato Dottore della Chiesa nel 1867 da Pio IX. La sua festa si celebra il 24 gennaio.



monsignor Luigi Tirelli


(da “Radici Cristiane”, dicembre 2005)

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