domenica 21 giugno 2015

Zichichi svela la Truffa Creata dal “Nuovo Ordine”

Effetto Serra – Zichichi svela la Truffa Creata dal “Nuovo Ordine”

Sabato, Agosto 10th/ 2013
- di Attività Solare -
Italia, Antonio Zichichi, Effetto Serra, Bufala, Nuovo Ordine Mondiale, Menzogna Globale, Ecologismo, Bufala per controllare ed impporre le proprie strategie, Riscaldamento Globale, Allermismo da bancarella, Strategia per controllare il mondo, Strategia per controllare le imprese, Strategie per far perdere competitività alle Imprese, Calotte Terrestri 
Effetto Serra - Zichichi svela la Truffa 
Creata dal "Nuovo Ordine"
L'Effetto Serra? "Non l'ha provocato l'uomo ma la natura.
E tutti noi dobbiamo ringraziare che esista".
 
di "Attività Solare"
Zichichi e allarmismo da Effetto Serra - Bufala del Nuovo Ordine Mondiale
 La Bufala del Surriscaldamento Globale                                                             
Roma – Il surriscaldamento globale e l'effetto serra colpa dell'uomo e dell'eccessiva produzione di anidride carbonica? Una bufala colossale. Così l'emerito professor Antonino Zichichi, intervenuto al Viest hotel nell'ambito di un convegno organizzato dall'eurodeputato Sergio Berlato. "L'effetto serra non l'ha certo creato l'uomo, bensì la natura e dobbiamo solo ringraziare che esista, altrimenti la vita sul nostro pianeta non potrebbe esserci, visto che le temperature non sarebbero compatibili con la nostra sopravvivenza, ha dichiarato lo scienziato, presidente del Wfs.Non esistono prove scientifiche che il genere umano incida sui fenomeni di cui parla chi lancia l'allarme sugli effetti terrificanti del riscaldamento globale. Servirebbe una matematica molto più raffinata di quella che conosciamo per fare certe affermazioni." Prima di parlare i cosidetti esperti dovrebbero essere sicuri di avere le prove.
Zichichi e allarmismo da Effetto Serra - Bufala del Nuovo Ordine Mondiale
 Nessun Fondamento Scientifico – Ma dietro, tanti interessi                       
Com'è possibile, allora che tutti i governi a livello mondiale prendano ogni giorno decisioni fondamentali, che incidono sulla vita quotidiana di tutti noi, basandosi su dichiarazioni che non hanno alcun fondamento scientifico rigoroso? La questione è stata al centro del dibattito sul tema "La posizione dell'Europa sulla bufala del surriscaldamento globale", al quale hanno preso parte anche il giornalista e scrittore Riccardo Cascioli e il senatore Altero Matteoli."Stiamo spendendo miliardi di risorse per effettuare investimenti atti a ridurre la produzione di anidride carbonica, anche se non è detto che ce ne sia bisogno", ha spiegato Zichichi. "Se fosse vero tutto quello che ambientalisti e meteorologi si affannano a proclamare, terrorizzando gli abitanti dell'intero pianeta sugli effetti deleteri sui nostri comportamenti sul clima - ha aggiunto - io e i miei colleghi del Cern di Ginevra avremmo già chiuso i laboratori. Dove sono le prove scientifiche di tali dichiarazioni?", si chiede lo scienziato di fama internazionale, che aggiunge: "Prima di parlare, i cosidetti esperti dovrebbero essere sicuri di dimostrare la veridicità delle loro affermazioni in maniera sperimentale, inataccabile. Invece, con le conoscenze attuali, nessuno, al giorno d'oggi è in grado di spiegare con una teoria scientifica rigorosa nemmeno come si formano le nuvole o come si è originato il deserto del Sahara". Il motore meteorologico, secondo lo studioso, non l'ha certo creato l'essere umano, ma l'ha trovato così com'è. Tanto che, "negli ultimi 500 milioni di anni, la Terra ha visto sciogliersi ben quattro volte le calotte di ghiacci che ricoprono i poli, che poi si sono riformate da sole, senza che l'uomo influisse in alcun modo su tale processo". A che pro, allora, continuare a investire capitali destinati a raggiungere obiettivi che sembrano, alla luce di tali rilevazioni, irraggiungibili?
Zichichi e allarmismo da Effetto Serra - Bufala del Nuovo Ordine Mondiale
 Un Inganno Ideologico proteso a controllare il mondo ed orientarlo      
L'allarme è diventato un'ideologia che obbliga all'uso di fonti energetiche più costose. "In questi giorni in Europa è stata approvata una delibera in materia di compravendita dei diritti sulle emissioni di anidride carbonica - ha spiegato Berlato - e, come altre direttive comunitarie e normative nazionali, si tratta di disposizioni destinate a condizionare enormemente gli stili di vita di tutti i cittadini e delle imprese.  E' giusto che le aziende, già in forte difficoltà, si trovino costrette ad affrontare elevati costi per adeguarsi a tali normative, se non esiste alcuna prova scientifica che il surriscaldamento globale abbia un fondamento di verità? L'allarme sul riscaldamento globale è diventata un'ideologia politica, che obbliga all'uso di fonti più costose e meno efficienti, aumentando le spese e facendo perdere competività".
di "Attività Solare"

Le armi


Le armi della nostra battaglia
 
 
Al seguito della Regina del cielo e della terra, bella e terribile come schiere a vessilli spiegati (cf. Ct 6, 4), la quale non può che incutere timore ai nemici della verità – di quella Verità vivente che si è incarnata in Lei –, ci accingiamo ad attaccar battaglia per il trionfo del Suo Cuore immacolato e, per mezzo di esso, per l’avvento del Regno di Dio. Il Creatore ha voluto la cooperazione della creatura libera nella realizzazione della Sua opera divina; perciò Colei che compendia in sé tale cooperazione è necessariamente la nostra guida migliore, visto che per il medesimo motivo rappresenta altresì, nella propria persona, l’inizio e il compimento dell’opera stessa in cui la Trinità santissima si estrinseca al di fuori dell’eterna circolazione d’amore che La costituisce.
 
In procinto di far guerra bisogna dapprima esaminare tre aspetti. Occorre anzitutto identificare con precisione il nemico da combattere, soprattutto in una situazione confusa come la nostra. In ultima analisi, non può trattarsi che dei dominatori di questo mondo di tenebra, gli spiriti del male (Ef 6, 12); a livello umano, sono pure quanti lavorano a loro servizio, ossia quelle forze dell’Anticristo che, sotto forme diverse ma dal comune denominatore, operano lungo i secoli allo scopo di limitare, per quanto permesso da Dio, l’estensione della vittoria di Cristo agli uomini da Lui redenti. La loro innominabile regia va attualmente individuata nella massoneria sionista, che è arrivata a dominare il mondo e si è profondamente infiltrata nella Chiesa. Una volta riconosciuta la loro matrice, non vale più la pena di gridare allo scandalo e di strapparsi i capelli per i quotidiani – e abominevoli – deliri che sentiamo; dobbiamo pur preservarci la salute…
 
In secondo luogo, bisogna studiare bene la strategia – o meglio lasciarsela insegnare, in questo caso, dal Cielo. Nelle storie bibliche delle battaglie di Israele, generalmente il Popolo eletto non prende l’iniziativa di aggredire l’avversario, a meno che non si tratti di progetti umani, che si risolvono regolarmente in disastro. Guidato da giudici o da profeti, esso aspetta che siano i nemici a radunarsi in un dato luogo, nel quale potrà agevolmente valutarne le forze e vedere qual è il tipo di attacco più idoneo per avere successo. A questo punto il gioco è fatto: anche con scarsi effettivi, il Signore assicura la vittoria. Visto che la grazia suppone la natura, quei prescelti hanno comunque il compito – ed è l’ultimo elemento da considerare – di selezionare le armi adatte e di esercitarsi assiduamente nel loro impiego.
 
Venendo a noi, i nemici sono ormai venuti allo scoperto: basta verificare la conformità o meno delle loro parole e azioni con l’immutabile dottrina della fede e della morale cattoliche. Il maggiore inconveniente è che essi occupano ormai posti molto elevati nella gerarchia ecclesiastica; oltretutto contrabbandano le loro nefande opinioni sotto mentite spoglie di Vangelo e di misericordia. Alcuni di loro hanno altresì sviluppato capacità acrobatiche talmente audaci che riescono, con discorsi estremamente fumosi e involuti, a salvare regolarmente capra e cavoli – o almeno così credono: chiunque abbia anche solo un’unghia di senso critico si rende perfettamente conto che tali personaggi, sui famosi princìpi non negoziabili, dimostrano una viscida e sfuggente ambiguità, mentre sulle rivendicazioni della deriva relativistica sono perentori… nel sostenerle.
 
Occorre dunque attendere che si riuniscano di nuovo, in modo che i due fronti, già sostanzialmente  delineatisi l’anno scorso, si schierino compatti e possiamo definitivamente distinguere i veri Pastori (ai quali tributare appoggio e obbedienza) dai lupi travestiti da agnelli (i quali, per le loro posizioni anche solo materialmente eretiche, di fatto hanno perso nella Chiesa qualsiasi diritto e giurisdizione e vanno pertanto ignorati). Fu papa Paolo IV, nel 1559, a stabilire con decreto irreversibile e dogmaticamente irreformabile l’immediata decadenza da qualsiasi carica per i prelati caduti in eresia (cf. Bolla Cum ex apostolatus officio); i fedeli sono perciò del tutto liberi, nella loro coscienza come nelle loro scelte, di non seguirli affatto, sono anzi tenuti a rifiutare loro l’obbedienza e qualsiasi altro tipo di riconoscimento. All’epoca della Riforma poi detta gregoriana, san Leone IX (la cui memoria liturgica cade proprio il 19 aprile) ordinò ai cattolici di disertare le celebrazioni dei chierici simoniaci o concubinari e di privarli del sostentamento; perché, a maggior ragione, non applicare lo stesso trattamento a quelli che distorcono la sana dottrina? Se le firme sulla dichiarazione dei redditi, nonostante tanta pubblicità, sono in costante calo, non è forse perché questo è giusto e voluto da Dio?
 
Le nostre prime armi sono dunque il dogma (per riconoscere il nemico), il diritto (per privarlo della forza) e la disciplina (per neutralizzarlo completamente). Le tre armi sono strettamente legate e gerarchicamente ordinate, in quanto derivano l’una dall’altra. 
Con il dogma identifichiamo l’eresia in materia di fede o di morale, che sono del resto inseparabili; con il diritto ci sottraiamo all’autorità abusiva di chi la professa; quanto alla disciplina, gli neghiamo obbedienza e sostegno economico (il punto più sensibile!). ***Sapete come ha reagito l’ultraliberale – e ricchissima – Chiesa tedesca alla minaccia finanziaria costituita da quanti si rifiutavano di pagare l’onerosa tassa ecclesiastica? Dichiarandoli nientemeno che apostati… ma papa Benedetto XVI ha solennemente smentito la posizione intransigente di quei vescovi tanto misericordiosi che dànno la santissima Eucaristia a chiunque – eccetto a coloro che non hanno i soldi per pagarli.
 
Coraggio, in fondo è soltanto l’attacco finale del diavolo, la battaglia decisiva tra il regno di Cristo e l’impero di Satana, che d’altronde ha già perso la guerra. Lo scontro si concentra ormai sulla natura stessa dell’essere umano, che è immagine di Dio particolarmente nella sua declinazione evidente in maschio e femmina quali varianti complementari e riproduzione creata della comunione divina; distruggendone l’immagine visibile, si vuole estromettere dal mondo anche la presenza di Colui che ne è rappresentato. Per raggiungere lo scopo, l’Avversario ha corrotto, per porla al proprio servizio, una parte consistente del clero, che nel frattempo ha salito via via tutti i gradini della gerarchia… Noi siamo agli ordini di quella Donna che, secondo i santi Padri, sconfigge tutte le eresie, avendo già schiacciato la testa del serpente nell’attimo stesso del Suo concepimento.
 
"Dignare me laudare Te, Virgo sacrata.

Da mihi virtutem contra hostes Tuos"

SAN LUIGI GONZAGA


La vita del santo


Luigi non era solo un paggetto grazioso e fragile, orante e penitente, ma un giovane intelligente, ricco di sensibilità e di forza, per reagire all'eredità dei Gonzaga: avarizia, insensibilità, sete di potere... 
Il secolo di Luigi è segnato dall'eresia di Lutero e Calvino. La "nuova era di rigenerazione" (Vasari) convive con materialismo e razionalismo; operano Raffaello e Michelangelo, Ariosto e Tasso; risuonano le note di Monteverdi e di Pier Luigi da Palestrina.

Vedremo come Luigi sa reagire: prega e ama i poveri, si rende conto della corruzione di corte, è capace di difendere il suo cattolicesimo, di svergognare un vecchio signore che teneva discorsi pornografici...Sa rimproverare il principino don Diego, che pretendeva di comandare al vento...

Nelle sue scelte è guidato da grandi ideali! I suoi genitori - Ferrante Gonzaga e Marta Tana di Sàntena, piemontese - si conoscono alla corte di Filippo II e si sposano a Madrid il 15 novembre 1566, secondo le norme del concilio di Trento. Luigi nasce il 9 marzo 1568, con un parto difficile; è battezzato il 20 aprile a Castiglione: certificato in latino! Ferrante è fiero del suo erede. La madre, donna di cultura e di fede, lo educa alla preghiera e alla carità. Luigi cresce vispo e birichino. Il padre gli regala un'armaturina leggera e lui nel 1573, a Casalmaggiore, fa l'ufficiale e spara il cannone...Due anni prima, lo stendardo oro-azzurro della Lega santa aveva trionfato a Lepanto...
Lontano da mamma Marta, Luigi prega di meno e dice "parolacce militari".
Nel 1577-78, insieme al fratello Rodolfo, Luigi passa col padre a Bagni di Lucca ed è poi accolto alla corte di Francesco de' Medici a Firenze. Fa progressi in latino e spagnolo. Nel giardino di Palazzo Pitti gioca con le principessine Eleonora, Anna e Maria.

Ma Firenze matura Luigi: davanti alla santissima Annunziata si consacra alla Madonna. Il precettore lo conduce da un confessore gesuita, e lui sviene in San Giovannino, ripensando alle "parolacce"...
Nel 1579 Ferrante, eletto principe del Sacro Romano Impero, preferisce che i figli rientrino a Castiglione, ove Luigi, il 22 luglio 1580 riceve la prima comunione dal cardinale Carlo Borromeo. Ormai la vita di Luigi segue gli Esercizi spirituali di sant'Ignazio.
Intanto Ferrante è incaricato da Filippo II di accompagnare a Lisbona sua sorella Maria d'Austria, vedova di Massimiliano II. Dal 1581 Luigi vive a Madrid. La sua vocazione si precisa. Il 29 marzo 1583 terrà un suo discorsetto in latino davanti al re. Ma il 15 agosto 1583, davanti alla Madonna del Buon Consiglio nella chiesa del collegio della Compagnia di Gesù, Luigi è certo che il Signore lo vuole gesuita...

Marta è contenta. Ferrante oppone grosse difficoltà. Luigi è convinto, ma accetta di rimandare la decisione al ritorno in Italia. Nel 1584 a Castiglione, Luigi scappa da casa, scrive al Padre generale Acquaviva... Finalmente Ferrante cede, e il 2 novembre 1585, Luigi firma a Mantova l'atto di rinunzia al marchesato.
Lunedì 4 novembre dalla bruma mattutina spunta il sole, la carrozza attraversa il Po a San Niccolò, l'esodo di Luigi è segnato da "grande allegrezza".

Luigi arriva a Roma: forse il 20 novembre 1585. Suo cugino, monsignor Scipione Gonzaga, lo ospita nel palazzetto di via della Scrofa 117 (dal 9 novembre 1991, una lapide ne ricorda il passaggio). Da una lettera di Ferrante, sappiamo che Luigi il 23 novembre fu ricevuto da Sisto V, domenica 24 passò al Gesù per la messa, poi lunedì 25 entrò nel noviziato di Sant'Andrea al Quirinale. Il suo cuore gustò pace e gioia...

Dopo un breve soggiorno a Napoli per ragioni di salute, Luigi è trasferito al Collegio Romano per concludere gli studi di filosofia. Il 25 novembre 1587, nella cappella del quarto piano, pronuncia i primi voti religiosi. Spesso pregherà nella chiesa dell'Annunziata (poi assorbita nella vasta chiesa di Sant'Ignazio).
Luigi passa alla teologia, domanda le missioni dell'India. Nel 1588 riceve gli ordini minori in San Giovanni in Laterano. Il 12 settembre 1589, su consiglio del Padre Bellarmino e del Padre Acquaviva, Luigi va a riappacificare suo fratello Rodolfo con il duca di Mantova. Un suo discorso sull'eucarestia porta molta gente alla confessione. Nel ritorno, entusiasma gli studenti di Siena parlando della sequela generosa di Cristo-Re. Nel febbraio 1591 scoppia a Roma un'epidemia di tifo petecchiale e Luigi è fra i primi volontari. Il 3 marzo trasporta un appestato all'ospedale della Consolazione.

Subito un febbrone lo avvolge e lo avvia alla morte, vero "martire di carità"...L'ultima lettera alla madre lo rivela carico di fede...Il 21 giugno 1591, Luigi ha maturato un grande ideale, "giunge a riva di tutte le sue speranze".

Ricordiamo inoltre il Comune di Castiglione delle Stiviere, per i quattro cortei storici in costume (1988-1991), con cinquecento comparse. L'anno 1991 fu coronato dalla visita carismatica di Giovanni Paolo II.

"Luigi è passato dall'egoismo alla protesta, dalla protesta alla proposta, dalla proposta alla socialità, dalla socialità alla carità".

Di lui Paolo VI disse nel marzo 1968: "Luigi concepì la sua esistenza come un dono da spendere per gli altri"; infine le parole di Giovanni Paolo II nel giugno 1991: "Il Padre misericordioso ha concesso a Luigi d'immolare la sua giovinezza in un servizio eroico di carità fraterna".

Tratto da I Santi nella Storia, edizioni Paoline


Preghiera a San Luigi


1. Preghiera di Papa Giovanni Paolo II

S.Luigi, povero in spirito a te con fiducia ci rivolgiamo benedicendo il Padre celeste perché in te ci ha offerto una prova eloquente del suo amore misericordioso. Umile e confidente adoratore dei disegni del Cuore divino, ti sei spogliato sin da adolescente di ogni onore mondano e di ogni terrena fortuna. Hai rivestito il cilizio della perfetta castità, hai percorso la strada dell’obbedienza, ti sei fatto povero per servire Iddio, tutto a lui offrendo per amore.
Tu, puro di cuore, rendici liberi da ogni mondana schiavitù. Non permettere che i giovani cadano vittime dell’odio e della violenza; non lasciare che essi cedano alle lusinghe di facili e fallaci miraggi edonistici. Aiutali a liberarsi da ogni sentimento torbido, difendili dall’egoismo che acceca, salvali dal potere del Maligno.
Rendili testimoni della purezza del cuore.
Tu eroico apostolo della carità ottienici il dono della divina misericordia che smuova i cuori induriti dall’egoismo e tenga desto in ciascuno l’anelito verso la santità.
Fa’ che anche l’odierna generazione abbia il coraggio di andare contro corrente, quando si tratta di spendere la vita, per costruire il Regno di Cristo.
Sappia anch’essa condividere la tua stessa passione per l’uomo, riconoscendo in lui, chiunque egli sia, la divina presenza di Cristo.
Con te invochiamo Maria, la Madre del Redentore.
A lei affidiamo l’anima e il corpo, ogni miseria ed angustia, la vita e la morte, perché tutto in noi, come avvenne in te, si compia a gloria di Dio, che vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.



Festività


9 marzo - ricordo della nascita (9.03.1568)
21 giugno - ricordo della morte (21.06.1591)

sabato 20 giugno 2015

Un non so che...

Dalla contemplazione del creato alla contemplazione del Creatore. Con san Giovanni della Croce,Dottore Mistico,  per cantare l'inno più bello al Dio vivente

STROFA 7
E quanti intorno a te vagando,
di te infinite grazie raccontando,
ravvivan così le mie ferite,
e me spenta lascia non so cosa
ch’essi vanno appena balbettando.

SPIEGAZIONE

1. Nella strofa precedente l’anima ha mostrato di essere malata o ferita d’amore per lo
Sposo a motivo di quanto di lui ha conosciuto attraverso le creature irrazionali. In
questa strofa lascia intendere che è ferita d’amore a motivo di una conoscenza più alta
che ha dell’Amato, per mezzo delle creature razionali, cioè gli angeli e gli uomini, che
sono più nobili delle altre. Non dice soltanto questo, ma aggiunge anche che sta
morendo d’amore a causa dell’immensità straordinaria che le si svela attraverso queste
creature, senza riuscire a scoprirla del tutto; la chiama qui non so che, perché non sa dire
cosa sia, ma è tale da farla morire d’amore.

2. Possiamo dedurre che in questo interscambio d’amore vi sono tre forme di sofferenza
per l’Amato, a seconda delle tre forme di conoscenza che si possono avere di lui. La
prima si chiama ferita. È la più superficiale e guarisce più in fretta, come una ferita,
perché nasce dalla conoscenza che l’anima riceve dalle creature, appunto le opere
inferiori di Dio. Di questa ferita, che si può anche chiamare malattia, parla la sposa del
Cantico dei Cantici, quando dice: Adiuro vos, filiae Ierusalem, si inveneritis Dilectum
meum ut nuntietis ei quia amore langueo, cioè: Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
se trovate il mio Diletto, ditegli che sono malata d’amore! (Ct 5,8). Per figlie di
Gerusalemme intende le creature.

3. La seconda si chiama piaga: penetra nell’anima più della ferita e per questo dura di
più, perché è come una ferita trasformata ormai in piaga, così che l’anima si sente
veramente piagata d’amore. Questa piaga si forma nell’anima attraverso la conoscenza
delle opere dell’incarnazione del Verbo e i misteri della fede. Sono queste le opere
maggiori di Dio, le quali rispetto alle creature racchiudono in sé un amore più grande.
Come tali producono nell’anima un effetto più profondo d’amore. La loro qualità è tale
che, se la prima forma è come una ferita, questa seconda è come una piaga aperta, che
dura a lungo. Parlando di essa, lo Sposo del Cantico dei Cantici dice all’anima: Tu mi
hai piagato il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai piagato il cuore, con un solo tuo
sguardo, con un solo capello del tuo collo! (Ct 4,9). Lo sguardo qui significa la fede
nell’incarnazione dello Sposo e il capello l’amore per la stessa incarnazione.

4. La terza forma di sofferenza per amore è uguale al morire ed è come avere una piaga
incancrenita nell’anima. Divenuta tutta una piaga purulenta, l’anima vive morendo fino
a quando l’amore, uccidendola, la farà vivere della vita d’amore, trasformandola in
amore. Questo morire d’amore avviene nell’anima mediante un tocco di somma
conoscenza della Divinità, cioè quel non so cosa – di questa strofa – che vanno appena
balbettando. Questo tocco non è continuo né intenso, perché altrimenti l’anima si
separerebbe dal corpo, ma è brevissimo. In questo modo l’anima è sempre sul punto di
morire, e tanto più muore quanto più si accorge di non morire d’amore. Questo si
chiama amore impaziente. Se ne parla nella Genesi, dove la Scrittura dice che era tale il
desiderio che Rachele aveva di concepire, da dire al suo sposo Giacobbe: Da mihi
liberos, alioquin moriar: Dammi dei figli, se no io muoio! (Gn 6,8.9 Volg.). E il profeta
Giobbe diceva: Quis mihi det… ut qui coepit, ipse me conterai?, che significa: Oh,
avvenisse… che colui che ha cominciato mi finisca, lasci libera la sua mano e mi faccia
morire! (Gb 6,8.9 Volg.).

5. Secondo la strofa, queste due forme di sofferenza d’amore, cioè la piaga e il morire,
sono prodotte dalle creature razionali: la piaga, per il fatto che le vanno raccontando
infinite grazie dell’Amato nei misteri e nella sapienza di Dio insegnati dalla fede;
quanto al morire, esso è dovuto a ciò che, come riferisce la strofa, vanno appena
balbettando, cioè il sentimento e la nozione della Divinità che alcune volte l’anima
scopre in quello che sente raccontare di Dio. Dice allora: E quanti intorno a te vagando.

6. Con coloro che vagano qui intende, come ho detto, le creature razionali, cioè gli
angeli e gli uomini, perché solo costoro fra tutte le creature si dedicano a Dio
prestandogli attenzione; questo, infatti, vuol dire il termine vagano, che in latino
sarebbe vacant. È come dire: tutti quanti attendono a Dio, gli uni contemplandolo in
cielo e godendone, come gli angeli; gli altri amandolo e desiderandolo sulla terra, come
gli uomini. Siccome attraverso queste creature razionali l’anima conosce più
chiaramente Dio, sia considerandone la superiorità che esse hanno su tutte le cose
create, sia per ciò che esse ci insegnano di Dio – gli angeli interiormente con ispirazioni
segrete, gli uomini esteriormente per mezzo delle verità della Scrittura –, dice: di te
infinite grazie raccontando.

7. Cioè: mi fanno capire cose stupende della tua grazia e della tua misericordia
nell’opera della tua incarnazione e nelle verità di fede che mi parlano e mi riferiscono
sempre più cose su di te, perché quanto più esse vorranno dirmi, tanto maggiori grazie
potranno svelarmi di te. Ravvivan così le mie ferite.

8. Perché quanto più gli angeli mi ispirano e gli uomini mi insegnano di te, tanto più mi
fanno innamorare di te, e così tutti mi feriscono ancor più d’amore. E me spenta lascia
non so cosa ch’essi vanno appena balbettando.

9. È come se dicesse: oltre al fatto che queste creature mi feriscono con le infinite grazie
che di te mi fanno conoscere, rimane sempre un non so che, qualcosa che resta ancora
da dire, qualcosa che si riconosce ancora inespresso. È una sublime impronta di Dio che
si svela all’anima, che dev’essere ancora indagata. È un’altissima conoscenza di Dio che
non si sa esprimere e che l’anima chiama un non so che. Se ciò che comprendo mi piaga
e mi ferisce d’amore, quello che non riesco a comprendere, ma che avverto in modo
così sublime, mi uccide. Questo accade talvolta alle anime già progredite, che Dio
favorisce concedendo loro, attraverso quello che sentono o vedono o intendono – a volte
solo con l’una o con l’altra di queste percezioni –, una chiara conoscenza in cui fa loro
comprendere e sentire la sua sublimità e grandezza. In tale esperienza l’anima sente Dio
in modo tanto sublime da riconoscere chiaramente che le resta tutto da comprendere.

Questo capire e sentire che la Divinità è talmente immensa da non poter essere
compresa interamente, è una forma di conoscenza molto elevata. Uno dei grandi favori
transitori che Dio concede in questa vita a un’anima è quello di farle comprendere e
sentire la sua presenza in modo tanto sublime che essa si rende chiaramente conto che
non potrà mai comprendere o sentire Dio del tutto. Questo, in un certo qual modo, è
simile alla visione di Dio in cielo, dove quelli che più lo conoscono, comprendono più
chiaramente l’infinito che devono ancora comprendere, mentre a quelli che lo vedono
meno, non appare tanto distintamente – come a quelli che più lo vedono – ciò che resta
loro da vedere.

10. Questo, credo, non riuscirà a comprenderlo bene chi non l’ha sperimentato. L’anima
invece che lo sperimenta, vedendo quanto dista dal comprendere ciò che sente così
intensamente, lo chiama un non so che, perché come non si comprende, così neppure si
sa esprimere, anche se è possibile sentirlo. Per questo l’anima dice che le creature lo
vanno appena balbettando, proprio perché non riescono a farlo comprendere. Balbettare
– atto tipico dei bambini – significa infatti non riuscire a esprimere in modo
comprensibile ciò che si ha da dire.

11. Anche in relazione alle creature superiori vengono concesse all’anima illuminazioni
simili a quelle accennate sopra, quantunque non sempre così elevate, allorquando Dio
accorda la grazia di rivelarle la conoscenza e il senso spirituale di esse. Sembra che tali
illuminazioni facciano comprendere le grandezze di Dio ma non del tutto: è come se
volessero far comprendere qualcosa e non vi riuscissero. Tutto questo è un non so cosa,
che vanno appena balbettando. E allora l’anima prosegue nel suo lamento e nella strofa
seguente parla con la vita della sua anima, dicendo:

STROFA 8
Ma come duri ancor,
o vita, se non vivi ove vivi,
se ti fanno morir
le frecce che subisci
da ciò che dell’Amato concepisci?

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Basilica Vaticana Domenica, 20 giugno 2010



Radio Vaticana, 20.06.2010
Il Papa ordina 14 diaconi: conformatevi alla volontà di Dio, senza ricercare il potere personale. All’Angelus, appello per la pace in Kirghizistan
Il vero sacerdote non aspira ad accrescere il proprio prestigio personale, ma cerca di conformarsi alla volontà di Dio: è uno dei passaggi forti dell’omelia di Benedetto XVI, che stamani in una solenne Messa nella Basilica di San Pietro ha conferito l’ordinazione sacerdotale a 14 diaconi della diocesi di Roma. La Messa è stata concelebrata dal cardinale vicario Agostino Vallini, assieme ai vescovi ausiliari, i rettori dei seminari romani e numerosi sacerdoti. All’Angelus, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello per la pace in Kirghizistan. Quindi, nella Giornata Mondiale del Rifugiato, ha chiesto che vengano riconosciuti i diritti di quanti sono costretti a fuggire dalla propria terra d’origine. Il servizio di Alessandro Gisotti   Canti 

Conformatevi alla volontà di Dio, testimoniando il Vangelo con coraggio, senza cedere alle mode e alle opinioni del momento: è la viva esortazione di Benedetto XVI ai 14 nuovi sacerdoti della diocesi di Roma, ordinati in una Basilica Vaticana gremita di fedeli. Il Papa ha subito sottolineato che l’intera Chiesa di Roma rende grazie a Dio per questi nuovi presbiteri e ripone fiducia e speranza nel loro domani: 

“Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena”.

 Si è così soffermato sulla liturgia della Domenica, che presenta il passo del Vangelo in cui Pietro, differenziandosi dall’opinione della gente, riconosce in Gesù il Cristo di Dio. Benedetto XVI ha indicato nella preghiera la sorgente di questo atto di fede. Dallo stare con il Signore, spiega, “deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù”. Un’indicazione, questa, “ben precisa per la vita e la missione del sacerdote”:

 “Nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità”.

Ha così rammentato che il discepolo è chiamato a seguire Gesù sulla strada della Croce, a “perdere se stesso” per ritrovare pienamente se stesso in Cristo. Ecco allora, è stato il suo monito, che “il sacerdozio non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale”:

“Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica”.

 “Per essere considerato – ha proseguito - dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi”. Un uomo che imposti così la sua vita, ha detto ancora, “un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso”:

“Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero”.

 Benedetto XVI non ha poi mancato di mettere l’accento sul legame tra l’Eucaristia e il Sacramento dell’Ordine, ricordando che al sacerdote “è affidato il sacrificio redentore di Cristo, il suo corpo dato e il suo sangue versato”. Quando celebriamo la Santa Messa, ha soggiunto, “teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio che è Cristo”:

 “È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore!”.

 Il Papa ha quindi invocato il Signore affinché dia ai nuovi sacerdoti “una coscienza sempre vigile ed entusiasta” del dono dell’Eucaristia, centro del loro essere preti. Ed ha auspicato che possano “vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni giorno”. Alla cura per la celebrazione eucaristica, ha detto ancora, si accompagni “sempre l’impegno per una vita eucaristica”, vissuta cioè nell’obbedienza alla grande legge dell’amore. Cari sacerdoti, ha concluso il Papa, “la strada che ci indica il Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale, della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride”. E’ questa “la strada sicura per trovare la vera gioia”.

Canti

Dopo la Messa, il Papa si è affacciato dalla finestra del suo studio per la recita dell’Angelus. Benedetto XVI ha rivolto un pressante appello affinché “la pace e la sicurezza siano ristabilite nel Kirghizistan meridionale” dopo “i gravi scontri verificatisi nei giorni scorsi”. Alle vittime di questa tragedia, il Pontefice ha espresso la sua “commossa vicinanza”:

“Invito, inoltre, tutte le comunità etniche del Paese a rinunziare a qualsiasi provocazione o violenza e chiedo alla comunità internazionale di adoperarsi perché gli aiuti umanitari possano raggiungere prontamente le popolazioni colpite”. 

 Il Papa ha poi ricordato la celebrazione della Giornata Mondiale del Rifugiato. Una ricorrenza, ha detto, che deve “richiamare l’attenzione ai problemi di quanti hanno lasciato forzatamente la propria terra”, “giungendo in ambienti che, spesso, sono profondamente diversi”:  
“I rifugiati desiderano trovare accoglienza ed essere riconosciuti nella loro dignità e nei loro diritti fondamentali; in pari tempo, intendono offrire il loro contributo alla società che li accoglie. Preghiamo perché, in una giusta reciprocità, si risponda in modo adeguato a tale aspettativa ed essi mostrino il rispetto che nutrono per l’identità delle comunità che li ricevono”. 

 Riprendendo la riflessione sviluppata nella Messa in San Pietro, il Papa ha ribadito che tutti i fedeli sono chiamati a seguire Gesù “sulla strada impegnativa dell’amore fino alla Croce”. Prendere la Croce, ha aggiunto, significa “impegnarsi per sconfiggere il peccato che intralcia il cammino verso Dio”, accrescere la fede “soprattutto dinnanzi ai problemi, alle difficoltà, alla sofferenza”. Ed ha citato l’esempio di Edith Stein, che ha testimoniato la fede in un tempo di persecuzione:

  “Anche nell’epoca attuale molti sono i cristiani nel mondo che, animati dall’amore per Dio, assumono ogni giorno la croce, sia quella delle prove quotidiane, sia quella procurata dalla barbarie umana, che talvolta richiede il coraggio dell’estremo sacrificio”.


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Domenica, 20 giugno 2010

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Carissimi Ordinandi,
Cari Fratelli e Sorelle!

come Vescovo di questa Diocesi sono particolarmente lieto di accogliere nel «presbyterium» romano quattordici nuovi Sacerdoti. Insieme col Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari e tutti i Presbiteri ringrazio il Signore per il dono di questi nuovi Pastori del Popolo di Dio. Vorrei rivolgere un particolare saluto a voi, carissimi ordinandi: oggi voi state al centro dell’attenzione del Popolo di Dio, un popolo simbolicamente rappresentato dalla gente che riempie questa Basilica Vaticana: la riempie di preghiera e di canti, di affetto sincero e profondo, di commozione autentica, di gioia umana e spirituale. In questo Popolo di Dio, hanno un posto particolare i vostri genitori e familiari, gli amici e i compagni, i superiori ed educatori del Seminario, le varie comunità parrocchiali e le diverse realtà di Chiesa da cui provenite e che vi hanno accompagnato nel vostro cammino e quelle che voi stessi avete già servito pastoralmente. Senza dimenticare la singolare vicinanza, in questo momento, di tantissime persone, umili e semplici ma grandi davanti a Dio, come, ad esempio, le claustrali, i bambini, i malati e gli infermi. Esse vi accompagnano con il dono preziosissimo della loro preghiera, della loro innocenza e della loro sofferenza.

È, dunque, l’intera Chiesa di Roma che oggi rende grazie a Dio e prega per voi, che ripone tanta fiducia e speranza nel vostro domani, che aspetta frutti abbondanti di santità e di bene dal vostro ministero sacerdotale. Sì, la Chiesa conta su di voi, conta moltissimo su di voi! La Chiesa ha bisogno di ciascuno di voi, consapevole come è dei doni che Dio vi offre e, insieme, dell’assoluta necessità del cuore di ogni uomo di incontrarsi con Cristo, unico e universale salvatore del mondo, per ricevere da lui la vita nuova ed eterna, la vera libertà e la gioia piena. Ci sentiamo, allora, tutti invitati ad entrare nel «mistero», nell’evento di grazia che si sta realizzando nei vostri cuori con l’Ordinazione presbiterale, lasciandoci illuminare dalla Parola di Dio che è stata proclamata.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci presenta un momento significativo del cammino di Gesù, nel quale egli chiede ai discepoli che cosa la gente pensi di lui e come lo giudichino essi stessi. Pietro risponde a nome dei Dodici con una confessione di fede, che si differenzia in modo sostanziale dall’opinione che la gente ha su Gesù; egli infatti afferma: Tu sei il Cristo di Dio (cfr Lc 9,20). Da dove nasce questo atto di fede? Se andiamo all’inizio del brano evangelico, costatiamo che la confessione di Pietro è legata ad un momento di preghiera: «Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui», dice san Luca (9,18). I discepoli, cioè, vengono coinvolti nell’essere e parlare assolutamente unico di Gesù con il Padre. E in tal modo viene loro concesso di vedere il Maestro nell’intimo della sua condizione di Figlio, viene loro concesso di vedere ciò che gli altri non vedono; dall’«essere con Lui», dallo «stare con Lui» in preghiera, deriva una conoscenza che va al di là delle opinioni della gente per giungere all’identità profonda di Gesù, alla verità. Qui ci viene fornita un’indicazione ben precisa per la vita e la missione del sacerdote: nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità. Ovunque siamo, qualunque cosa facciamo, dobbiamo sempre «rimanere con Lui».

Un secondo elemento vorrei sottolineare del Vangelo di oggi. Subito dopo la confessione di Pietro, Gesù annuncia la sua passione e risurrezione e fa seguire a questo annuncio un insegnamento riguardante il cammino dei discepoli, che è un seguire Lui, il Crocifisso, seguirlo sulla strada della croce. Ed aggiunge poi – con un’espressione paradossale – che l’essere discepolo significa «perdere se stesso», ma per ritrovare pienamente se stesso (cfr Lc 9,22-24). Cosa significa questo per ogni cristiano, ma soprattutto cosa significa per un sacerdote? 

La sequela, ma potremmo tranquillamente dire: il sacerdozio, non può mai rappresentare un modo per raggiungere la sicurezza nella vita o per conquistarsi una posizione sociale. Chi aspira al sacerdozio per un accrescimento del proprio prestigio personale e del proprio potere ha frainteso alla radice il senso di questo ministero. 
Chi vuole soprattutto realizzare una propria ambizione, raggiungere un proprio successo sarà sempre schiavo di se stesso e dell’opinione pubblica. Per essere considerato, dovrà adulare; dovrà dire quello che piace alla gente; dovrà adattarsi al mutare delle mode e delle opinioni e, così, si priverà del rapporto vitale con la verità, riducendosi a condannare domani quel che avrà lodato oggi. Un uomo che imposti così la sua vita, un sacerdote che veda in questi termini il proprio ministero, non ama veramente Dio e gli altri, ma solo se stesso e, paradossalmente, finisce per perdere se stesso. 

Il sacerdozio - ricordiamolo sempre - si fonda sul coraggio di dire sì ad un’altra volontà, nella consapevolezza, da far crescere ogni giorno, che proprio conformandoci alla volontà di Dio, «immersi» in questa volontà, non solo non sarà cancellata la nostra originalità, ma, al contrario, entreremo sempre di più nella verità del nostro essere e del nostro ministero.

Carissimi ordinandi, vorrei proporre alla vostra riflessione un terzo pensiero, strettamente legato a quello appena esposto: l’invito di Gesù a «perdere se stesso», a prendere la croce, richiama il mistero che stiamo celebrando: l’Eucaristia. A voi oggi, con il sacramento dell’Ordine, viene donato di presiedere l’Eucaristia! A voi è affidato il sacrificio redentore di Cristo, a voi è affidato il suo corpo dato e il suo sangue versato. Certo, Gesù offre il suo sacrificio, la sua donazione d’amore umile e totale alla Chiesa sua Sposa, sulla Croce. E’ su quel legno che il chicco di frumento lasciato cadere dal Padre sul campo del mondo muore per diventare frutto maturo, datore di vita. Ma, nel disegno di Dio, questa donazione di Cristo viene resa presente nell’Eucaristia grazie a quella potestas sacra che il sacramento dell’Ordine conferisce a voi presbiteri. 

Quando celebriamo la Santa Messa teniamo nelle nostre mani il pane del Cielo, il pane di Dio, che è Cristo, chicco spezzato per moltiplicarsi e diventare il vero cibo della vita per il mondo. È qualcosa che non vi può non riempire di intimo stupore, di viva gioia e di immensa gratitudine: ormai l’amore e il dono di Cristo crocifisso e glorioso passano attraverso le vostre mani, la vostra voce, il vostro cuore! E’ un’esperienza sempre nuova di stupore vedere che nelle mie mani, nella mia voce il Signore realizza questo mistero della Sua presenza!

Come allora non pregare il Signore, perché vi dia una coscienza sempre vigile ed entusiasta di questo dono, che è posto al centro del vostro essere preti! Perché vi dia la grazia di saper sperimentare in profondità tutta la bellezza e la forza di questo vostro servizio presbiterale e, nello stesso tempo, la grazia di poter vivere questo ministero con coerenza e generosità, ogni giorno. La grazia del presbiterato, che tra poco vi verrà donata, vi collegherà intimamente, anzi strutturalmente, all’Eucaristia. Per questo, vi collegherà nel profondo del vostro cuore ai sentimenti di Gesù che ama sino alla fine, sino al dono totale di sé, al suo essere pane moltiplicato per il santo convito dell’unità e della comunione. È questa l’effusione pentecostale dello Spirito Santo, destinata a infiammare il vostro animo con l’amore stesso del Signore Gesù. È un’effusione che, mentre dice l’assoluta gratuità del dono, scolpisce dentro il vostro essere una legge indelebile – la legge nuova, una legge che vi spinge ad inserire e a far rifiorire nel tessuto concreto degli atteggiamenti e dei gesti della vostra vita d’ogni giorno l’amore stesso di donazione di Cristo crocifisso. 

Riascoltiamo la voce dell’apostolo Paolo, anzi in questa voce riconosciamo quella potente dello Spirito Santo: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo» (Gal 3,27). Già con il Battesimo, e ora in virtù del Sacramento dell’Ordine, voi vi rivestite di Cristo. Alla cura per la celebrazione eucaristica si accompagni sempre l’impegno per una vita eucaristica, vissuta cioè nell’obbedienza ad un’unica grande legge, quella dell’amore che si dona in totalità e serve con umiltà, una vita che la grazia dello Spirito Santo rende sempre più somigliante a quella di Cristo Gesù, Sommo ed eterno Sacerdote, servo di Dio e degli uomini.

Carissimi, la strada che ci indica il Vangelo di oggi è la strada della vostra spiritualità e della vostra azione pastorale, della sua efficacia e incisività, anche nelle situazioni più faticose ed aride. Di più, questa è la strada sicura per trovare la vera gioia. Maria, la serva del Signore, che ha conformato la sua volontà a quella di Dio, che ha generato Cristo donandolo al mondo, che ha seguito il Figlio fino ai piedi della croce nel supremo atto di amore, vi accompagni ogni giorno della vostra vita e del vostro ministero. Grazie all’affetto di questa Madre tenera e forte, potrete essere gioiosamente fedeli alla consegna che come presbiteri oggi vi viene data: quella di conformarvi a Cristo Sacerdote, che ha saputo obbedire alla volontà del Padre e amare l’uomo sino alla fine.

Amen!