martedì 18 novembre 2014

Chiesa e post concilio: Sandro Magister. Il papa disorienta molti vescovi:...

Chiesa e post concilio: Sandro Magister. .: Intervista di Sandro Magister a Goffredo Pistelli, su Italia oggi [ qui ]. Risposte asciutte ed essenziali, ma ferme ed inequivoche. Ieri, s...


Sole e Leone

San Girolamo: Sole che illumina le Scritture, leone nella difesa della Fede
Isabel Cristina Lins Brandão Veas
Era un piacevole bel pomeriggio d'autunno, sul finire del IV secolo. In un monastero situato nei dintorni di Betlemme, nella lontana Palestina, si udiva appena echeggiare la voce grave e compassata di un monaco, proveniente dalla sala dove la comunità intera, in silenzioso raccoglimento, ascoltava la lettura spirituale.
Gustavo Kralj  
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San Girolamo, di Taddeo di Bartolo -
Metropolitan Museum of Art, New York
All'improvviso, arrivò un enorme leone zoppicante. Non appena lo videro, i monaci si misero in fuga, in un tremendo parapiglia. Soltanto uno rimase seduto, impassibile: il superiore della casa. Alzatosi, chiamò la fiera con un cenno di mano. Questa si avvicinò come un docile agnellino e gli mostrò una zampa ferita. Dopo averla esaminata, il religioso predispose che i frati la curassero e dessero del cibo al felino, il quale si comportò con esemplare mansuetudine e cominciò a vivere con loro. Oltre a proteggerli e prestar loro numerosi servizi, diventò un fedele compagno del suo benefattore, il rettore del convento, celebre asceta, saggio e scrittore. E chi andava a fargli visita nella sua cella lo trovava il più delle volte con la penna in mano, curvo su una pergamena, avendo al suo fianco il maestoso re degli animali...
Sarà vera questa storiella raccontata dai più antichi biografi di San Girolamo? Secondo alcuni autori, sì; per altri, invece, si tratta di pura leggenda. Nonostante la controversia, tutti concordano che nulla potrebbe trasmettere ai posteri una nozione così puntuale rispetto a San Girolamo quanto immaginarlo convivere con un leone. Sì, infatti questo grande Padre della Chiesa fu un uomo dal carattere forte ed esplosivo, ardente di zelo per la gloria di Dio e instancabile difensore della Fede che, poiché proclamava la verità con gagliardia, meritò di esser paragonato dalla Chiesa a un leone.
Giovane studente a Roma
L'Impero Romano d'Occidente si trovava ormai al tramonto quando Girolamo giunse a Roma per la prima volta, intorno all'anno 360. Era allora un giovinetto di 12 anni di età, intelligente, deciso e volonteroso, con un futuro promettente davanti a sé. Figlio di una famiglia cristiana e benestante, egli aveva concluso la scuola elementare nella sua patria – la piccola Stridone, città della Dalmazia – e veniva a studiare in una delle famose scuole di grammatica e retorica della capitale dell'Impero.
Due caratteristiche del nuovo alunno risvegliarono presto l'attenzione dei maestri: il singolare talento letterario e il vivo entusiasmo per i classici latini, che a quell'epoca costituivano la base dell'apprendimento delle lettere. Girolamo si deliziava con la lettura di questi autori – dei quali, Cicerone era il suo preferito – non risparmiò denaro né sforzi per farsi una biblioteca personale, copiando di proprio pugno varie opere. Inoltre, dotato di un'eccellente memoria, memorizzava i testi con facilità e, col suo animo bellicoso, non esitava a declamarli davanti alla classe, sfidando le burla dei colleghi e le critiche dei professori.
Sempre attratto dalla polemica, divenne un assiduo frequentatore del foro, dove poteva integrare le lezioni apprese in classe, osservando da vicino la nobile arte oratoria. Tuttavia, se questa lo incantava, non lo illuse mai. Bambino sagace, comprendeva quanto quelle discussioni – che molte volte terminavano in offese personali – erano in genere mosse dalla vanità, mirando alla fortuna e all'applauso degli altri. E lui aspirava a cose più alte.
Sebbene fosse ancora catecumeno – poiché a quel tempo normalmente si posticipava il Battesimo a dopo l'adolescenza –, aveva aderito con tale determinazione ai principi religiosi trasmessi dai genitori, che neppure l'ambiente di decadenza dell'Urbe riuscì a scuotere le sue convinzioni. Così, nei giorni festivi era solito visitare le catacombe in compagnia di alcuni amici virtuosi, per venerare insieme i sepolcri dei martiri. Forse quelle gallerie sacre avranno risvegliato in lui l'incanto per la fortezza dei figli della Chiesa, i quali, affrontando i cesari, le moltitudini e le fiere, avevano abbracciato la morte con gioia, per amore del Regno dei Cieli. Anche lui voleva essere ammesso in questa Istituzione Sacra, generatrice di Santi ed eroi.
Sergio Hollmann
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La fiera si avvicinò a lui come un docile agnellino e gli mostrò una zampa ferita

Scene della vita di San Girolamo, di Sano di Pietro - Museo del Louvre, Parigi
Quando aveva più o meno 20 anni di età, chiese il Battesimo. Sebbene non abbia lasciato nessuna descrizione delle circostanze in cui ricevette questo Sacramento – che, come è ritenuto, gli fu amministrato da Papa Liberio –, le affermazioni da lui fatte in scritti posteriori denotano quanto l'avvenimento segnò la sua vita, al punto da dichiarare che si sentiva "romano non solo per lignaggio, ma soprattutto per aver ottenuto presso la Cattedra di San Pietro la sua consacrazione nella milizia di Cristo".1
Prima esperienza monastica
Conclusi gli studi, il giovane neofita partì per la Gallia. I motivi di questo viaggio sono sconosciuti. È probabile, però, che uno di essi fosse il desiderio di iniziare una carriera prestigiosa nella città di Treviri, che, essendo residenza abituale dell'imperatore Valentiniano I, offriva numerose opportunità. Lì egli fece il primo passo del suo glorioso percorso, non occupando una carica in quell'Impero che stava per crollare, ma servendo all'immortale Chiesa Cattolica.
Alcuni decenni prima, era arrivato a Treviri Sant'Attanasio, esiliato da Costantino, e che portava una novità per l'Occidente: la forma di vita ascetica dei monaci orientali. E certamente fu nel contatto con i religiosi appena stabilitisi nella Gallia Belgica che la grazia parlò all'anima di Girolamo, aprendola alla vocazione monastica.
Fin tanto che rimase in quella città, continuò ad aggiungere libri alla sua biblioteca personale. Nel frattempo, copiò codici molto differenti da quelli che fino a quel momento erano stati oggetto del suo interesse: due opere di Sant'Ilario di Poitiers, di cui una è il Commento sui Salmi. Con la sua trascrizione, si aprivano per Girolamo le porte dell'esegesi, nella quale egli in breve avrebbe fatto rendere i suoi talenti, producendo veri gioielli per il mondo cristiano.
La sua prima esperienza di vita monastica avvenne poco dopo, ad Aquileia, dove si unì a un gruppo di asceti da lui denominato "quasi coro dei beati",2 in tal modo erano animati dall'amore a Dio e dalla benevolenza reciproca. La Provvidenza, però, aveva altri progetti per loro. Nel desiderio di visitare la Terra Santa e conoscere l'eroismo dei solitari del deserto, abbandonò quella convivenza paradisiaca e si mise in cammino verso l'Oriente.
Dove sta il tuo tesoro...
L'itinerario del lungo viaggio passava per la città di Antiochia, nel sud dell'attuale Turchia, la cui popolazione, composta da giudei, greci e siriani, formava una società molto ellenizzata. Lì Girolamo si fermò per qualche tempo, ospitato in casa di un amico, in condizioni che gli permisero di approfondire il suo studio della lingua greca.
Sergio Hollmann
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Con l’aiuto della grazia, combatté energicamente le tentazioni sofferte in
quel periodo nel deserto


Scene della vita di San Girolamo, di Sano di Pietro - Museo del Louvre, Parigi
Tuttavia, il suo spirito non era in pace. Voleva servire Cristo; per amore a Lui aveva rinunciato alla carriera, alla famiglia e a tutti i suoi beni... eccetto uno: "Io non riuscivo a staccarmi dalla biblioteca che con tanto lavoro avevo formato a Roma. Arrivavo a digiunare – povero me! – per non tardare a consegnarmi alla lettura di Tullio. Dopo lunghe veglie in preghiera e di lacrime uscite dal fondo del mio cuore per il profondo ricordo dei miei peccati passati, prendevo Plauto in mano. Se, tornando alla ragione, decidevo di leggere un profeta, mi annoiavo col suo stile incolto; e siccome la cecità dei miei occhi m'impediva di vedere la luce, attribuivo la colpa al sole, e non ai miei occhi".3
Egli si trovava in una grande lotta interiore quando, un giorno, si ammalò gravemente, con febbri acute che lo obbligarono a stare a letto. Gli capitò allora un fenomeno curioso: "Mi sono sentito all'improvviso trasportato in spirito fino al tribunale del Giudizio. [...] Interrogato sulla mia condizione, ho risposto che ero cristiano. Ma chi lo presiedeva replicò: 'Menti, tu sei ciceroniano e non cristiano; là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore (Mt 6, 21)'. Allora ammutolii e, tra le frustate – infatti Egli aveva ordinato che mi frustassero –, mi tormentava di più il fuoco della coscienza, considerando questo versetto: Chi negli inferi canta le tue lodi? (Sal 6, 6)".4
Le buone disposizioni di Girolamo gli ottennero alla fine l'indulgenza del Signore, che lo liberò. Tornato in sé, aveva sulla schiena i segni delle frustate e sentiva dolori nel corpo. "Rimprovera il saggio ed egli ti amerà" (Pr 9, 8), dice l'Autore Sacro. Non fu diversa la reazione di Girolamo: "Da quel momento, mi sono dedicato allo studio delle letture divine come prima non avevo fatto con quelle profane".5 Dalla fedeltà a questa grazia sorsero corollari così eccellenti e abbondanti, che la Chiesa lo riconosce e venera come il Dottore Massimo nell'interpretazione delle Scritture.6
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(Edizione brasiliana del Libro delle Ore)
Traduttore ed esegeta della Bibbia,
sei stato un sole che la Scrittura illumina;
le nostre voci, Girolamo, ascolta:
noi ti lodiamo la vita e la dottrina.
Relegando gli autori profani,
il mistero divino hai abbracciato,
quale leone, che abbatte gli eretici,
i messaggi della fede hai preservato.
Hai studiato la parola divina
nei luoghi della stessa Scrittura,
e, bevendo nelle fonti il Cristo,
hai dato a tutti del miele la dolcezza.
Aspirando al silenzio e alla povertà,
nel presepio hai trovato un rifugio;
hai dato il velo a vedove e vergini,
Paola ed Eustochio hai portato con te.
Dal grande dottore istruiti,
proclamiamo, fedeli, Dio trino;
e risuonano per tutti i tempi
i messaggi del libro divino.
Prezioso frutto della lotta alle tentazioni
Con "pochi libri e molte idee elevate", 7 il monaco itinerante partì da Antiochia per la regione desertica di Calcide in Siria, vicino all'odierna Aleppo. Cercava la solitudine, ma non riuscì a goderne per molto tempo, poiché in quel deserto c'erano numerosi eremiti, e alcuni di loro divennero suoi compagni.
In questo periodo, egli subì dure tentazioni. Con l'aiuto della grazia, le combatté energicamente, unendo alla preghiera e alla penitenza un mezzo efficace per allontanare i suggerimenti del demonio: si dedicò a imparare la lingua ebraica, con l'aiuto di un frate di origine israelita. "Quanto lavoro ho consumato in questo compito" – ricordava ormai anziano – "quante difficoltà ho affrontato, quante volte, senza speranza, ho desistito per poi ricominciare".8
Oltre a rendergli meriti in Cielo, questi ardui momenti di studio furono, in realtà, le fondamenta della colossale missione che anni più tardi egli avrebbe portato a termine, traducendo la Bibbia dall'ebraico e dal greco al latino. E per questo aggiungeva: "Ringrazio ora il Signore, poiché colgo i dolci frutti di una così amara semina".9
La Provvidenza volle concedergli ancora due importanti prerogative: il sacerdozio, che ricevette ad Antiochia, non appena fece ritorno dal deserto e gli insegnamenti di San Gregorio Nazianzeno, di cui fu discepolo per tre anni, a Costantinopoli. Sotto l'impulso di questo insigne maestro, San Girolamo tradusse dal greco al latino la Cronaca di Eusebio di Cesarea e le Omelie di Origene.
Patrono dei traduttori
Un'esigenza della Santa Chiesa lo fece ritornare a Roma nel 382, convocato da Papa San Damaso per partecipare al Concilio Generale che si sarebbe lì realizzato quell'anno. Nonostante ciò, quando l'evento terminò, il Santo Padre lo trattenne al suo fianco, prendendolo come segretario e consigliere. L'amore e l'obbedienza al Vicario di Cristo erano al di sopra di tutte le aspirazioni del saggio asceta: solo tre anni dopo, a seguito della morte del Santo Pontefice, egli sarebbe tornato in Oriente.
Più che di soluzioni a problemi ecclesiastici, in questo soggiorno a Roma si occupò di lavori relativi alle Scritture, di cui il grande propugnatore era il Papa stesso. Questi lo consultò su diversi passi biblici, e le risposte tanto lo soddisfecero – non solo per la chiarezza e profondità, ma anche per il bello stile –, che presto gli ordinò la revisione del testo latino dei Vangeli, le cui versioni erano, oltre che inesatte, molto poco letterarie.
San Girolamo iniziò così la sua gigantesca opera di traduzione della Bibbia, in primo luogo a partire dal testo greco e, anni più tardi, utilizzando gli originali ebraici, dove sarebbe risultata la famosa Vulgata. Per questa magistrale impresa, e per le sagge regole di traduzione che lasciò consegnate nei suoi scritti, egli oggi è considerato, a giusto titolo, il patrono dei traduttori.
Guida, maestro e vero padre
Come gigli nati nel fango, c'erano in quella decadente Roma, contaminata dal paganesimo, anime nobili di sangue e ideali. Erano dame dell'alta aristocrazia, vergini e vedove, che, congregate da Santa Marcella, desideravano raggiungere la perfezione cristiana. Soccorrevano poveri e infermi, e difendevano schiavi; ma anche le attirava la vita ascetica: digiunavano, si dedicavano a pratiche pietose, si riunivano per recitare i Salmi e studiare la Bibbia. In San Girolamo esse trovarono un mentore, una guida, un maestro e un vero padre. Egli le orientava sui sentieri dell'ascetismo, le istruiva nella scienza delle Scritture, e giunse a costituire un progetto monastico per queste anime di élite, in una proprietà di Santa Marcella, che finì per non realizzare.
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In questo così agognato raccoglimento, il Santo Dottore trascorse gli ultimi 34 anni
della sua vita, senza smettere di lavorare


A sinistra, grotta di San Girolamo, Basilica della Natività (Betlemme); a destra, 
morte di San Girolamo, di Sano di Pietro
In tale miriade di sante spiccano Santa Paola e sua figlia Santa Eustochio, che lo seguirono nel suo viaggio definitivo in Oriente, insieme ai monaci, suoi compagni. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa e una breve permanenza in Egitto, la comitiva si stabilì a Betlemme, dove, quasi quattro secoli prima, era nato il Salvatore. Sopra la rustica Grotta che allora Gli era servita da riparo, si ergeva ora l'imponente Basilica della Natività, costruita dall'Imperatore Costantino.
Presso il Presepio del Signore
In questo così agognato raccoglimento, il Santo Dottore trascorse gli ultimi 34 anni della sua vita, senza smettere di lavorare: alle mortificazioni e ai lunghi periodi di preghiera seguivano ore di intensa attività, in cui scriveva o dettava i suoi commenti esegetici e lettere – avendo tra i suoi corrispondenti il celebre Vescovo di Ippona, Sant'Agostino –, e componeva opere di carattere biografico e sulla Storia della Chiesa. Fu sempre lì che egli elaborò vibranti trattati apologetici, nei quali "contestò energicamente e vivacemente gli eretici che rifiutarono la Tradizione e la Fede della Chiesa".10
Dove egli trasse la forza per essere fedele a una missione così alta? Analizzando il suo lungo tragitto, possiamo notare un fattore innegabile della sua santità: un amore appassionato alla Madre di Dio, così presente nell'insieme della sua opera che "si potrebbe parlare con una certa libertà di 'mariologia girolaminiana'". 11 Uno degli scritti più famosi in cui manifesta il suo grande amore per la Madonna è il trattato in difesa della verginità di Maria, contro Elvidio, detrattore di questo privilegio. Le parole con cui lo conclude – nel suo stile inflessibile di sempre – denotano una sincera pietà mariana: "Siccome penso che tu, sconfitto dalla verità, comincerai a diffamare la mia vita e a lanciarmi maledizioni [...], ti avverto, preventivamente, che queste tue invettive, lanciate con la stessa bocca con cui hai calunniato Maria, saranno per me motivo di gloria".12
A Betlemme, dove brillò la luce della salvezza del mondo nelle mani di Maria Santissima, terminò i suoi giorni. Avendo lui forgiato la sua indole ferrea nel crogiolo della polemica e dell'ascetismo monastico, e nella soavità della devozione alla Madonna, si trasformò nel "sole che la Scrittura illumina", nel leone che, "abbattendo gli eretici", preservò i "messaggi della Fede".13
1 PENNA, Angelo. San Jerónimo. Barcelona: Luis Miracle, 1952, p.19. 
2 SAN GIROLAMO. Eusebii Chronicorum. L.II, ad ann. 379: ML 27, 507. 
3 SAN GIROLAMO. Ad Eustochium, Paulæ filiam. De custodia virginitatis. Epistola XXII, n.30: ML 22, 416. 
4 Idem, ibidem. 
5 Idem, 417. 
6 Cfr. BENEDETTO XV. Spiritus Paraclitus, n.1. 
7 MORENO, Francisco. São Jerônimo. A espiritualidade do deserto. São Paulo: Loyola, 1992, p.31. 
8 SAN GIROLAMO. Ad Rusticum monachum. Epistola CXXV, n.12: ML 22, 1079. 
9 Idem, ibidem. 
10 BENEDETTO XVI. Udienza generale, del 7/11/2007. 
11 PENNA, op. cit., p.424. 
12 SAN GIROLAMO. Adversus Helvidium. De perpetua virginitate Beatæ Mariæ, n.22. In: Obras Completas. Tratados apologéticos. Madrid: BAC, 2009, vol. VIII, p.115. 
13 MEMORIA DI SAN GIROLAMO. Inno di Laudi e Vespri. In: COMMISSIONE EPISCOPALE DI TESTI LITURGICI. Liturgia delle Ore. Petrópolis: Ave Maria; Paulinas; Paulus; Vozes, 1999, vol.IV, p.1330.
(Rivista Araldi del Vangelo, Settembre/2014, n. 136, p. 19 - 23)

Il sogno delle due colonne


Il Papa, superando ogni ostacolo, guida la nave in mezzo alle due colonne, quindi con una catenella che pende dalla prora la lega a un’ancora della colonna su cui sta l’Ostia, e con un’altra catenella che pende a poppa la lega dalla parte opposta a un’altra ancora che pende dalla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata.


Don Bosco, lo raccontò la sera del 30 maggio 1862.

«Figuratevi — disse — di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio sopra uno scoglio isolato, e di non vedere attorno a voi altro che mare. In tutta quella vasta superficie di acque si vede una moltitudine innumerevole di navi ordinate a battaglia, con le prore terminate a rostro di ferro acuto a mo’ di strale. Queste navi sono armate di cannoni e cariche di fucili, di armi di ogni genere, di materie incendiarie e anche di libri. Esse si avanzano contro una nave molto più grande e alta di tutte, tentando di urtarla con il rostro, di incendiarla e di farle ogni guasto possibile.

A quella maestosa nave, arredata di tutto punto, fanno scorta molte navicelle che da lei ricevono ordini ed eseguiscono evoluzioni per difendersi dalla flotta avversaria. Ma il vento è loro contrario e il mare agitato sembra favorire i nemici.

In mezzo all’immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l’una dall’altra. Sopra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, ai cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione: “Auxilium Christianorum”; sull’altra, che è molto più alta e grossa, sta un’OSTIA di grandezza proporzionata alla colonna, e sotto un altro cartello con le parole: “Salus Credentium”.

Il comandante supremo della grande nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, convoca intorno a sé i piloti delle navi secondarie per tenere consiglio e decidere sul da farsi. Tutti i piloti salgono e si adunano intorno al Papa. Tengono consesso, ma infuriando sempre più la tempesta, sono rimandati a governare le proprie navi.

Fattasi un po’ di bonaccia, il Papa raduna intorno a sé i piloti per la seconda volta, mentre la nave capitana segue il suo corso. Ma la burrasca ritorna spaventosa.

Il Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portare la nave in mezzo a quelle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte ancore e grossi ganci attaccati a catene.

Le navi nemiche tentano di assalirla e farla sommergere: le une con gli scritti, con i libri, con materie incendiarie, che cercano di gettare a bordo; le altre con i cannoni, con i fucili, con i rostri. Il combattimento si fa sempre più accanito; ma inutili riescono i loro sforzi: la grande nave procede sicura e franca nel suo cammino. Avviene talvolta che, percossa da formidabili colpi, riporta nei suoi fianchi larga e profonda fessura, ma subito spira un soffio dalle due colonne e le falle si richiudono e i fori si otturano.

Frattanto i cannoni degli assalitori scoppiano, i fucili e ogni altra arma si spezzano, molte navi si sconquassano e si sprofondano nel mare. Allora i nemici, furibondi, prendono a combattere ad armi corte: con le mani, con i pugni e con le bestemmie.

A un tratto il Papa, colpito gravemente, cade. Subito è soccorso, ma cade una seconda volta e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici; sulle loro navi si scorge un indicibile tripudio.

Sennonché, appena morto il Papa, un altro Papa sottentra al suo posto. I piloti radunati lo hanno eletto così rapidamente che la notizia della morte del Papa giunge con la notizia della elezione del suo successore. Gli avversari cominciano a perdersi di coraggio.

Il nuovo Papa, superando ogni ostacolo, guida la nave in mezzo alle due colonne, quindi con una catenella che pende dalla prora la lega a un’ancora della colonna su cui sta l’Ostia, e con un’altra catenella che pende a poppa la lega dalla parte opposta a un’altra ancora che pende dalla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata.

Allora succede un gran rivolgimento: tutte le navi nemiche fuggono, si disperdono, si urtano, si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre, mentre le navi che hanno combattuto valorosamente con il Papa, vengono anch’esse a legarsi alle due colonne. Nel mare ora regna una grande calma».

A questo punto Don Bosco interroga Don Rua:

— Che cosa pensi di questo sogno?

Don Rua risponde:

— Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, le navi gli uomini, il mare il mondo. Quelli che difendono la grande nave sono i buoni, affezionati alla Chiesa; gli altri, i suoi nemici che la combattono con ogni sorta di armi. Le due colonne di salvezza mi sembra che siano la devozione a Maria SS. e al SS. Sacramento del l’Eucaristia.

— Hai detto bene — commenta Don Bosco —; bisogna soltanto correggere una espressione. Le navi dei nemici sono le persecuzioni. Si preparano gravissimi travagli per la Chiesa. Quello che finora fu, è quasi nulla rispetto a quello che deve accadere. Due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto scompiglio: Devozione a Maria SS., frequente Comunione.

Il servo di Dio Card. Schuster, arcivescovo di Milano, dava tanta importanza a questa visione, che nel 1953, quando fu a Torino come Legato Pontificio al Congresso Eucaristico Nazionale, la notte sul 13 settembre, durante il solenne pontificale di chiusura, sulla Piazza Vittorio, gremita di popolo, diede a questo sogno una parte rilevante della sua Omelia.

Disse tra l’altro: « In quest’ora solenne, nell’Eucaristica Torino del Cottolengo e di Don Bosco, mi torna in mente una visione profetica che il Fondatore del Tempio di Maria Ausiliatrice narrò ai suoi nel maggio del 1862. Gli sembrò di vedere la flotta della Chiesa battuta qua e là dai flutti di una orribile tempesta; tanto che, ad un certo momento, il supremo condottiero della nave capitana — Pio IX — convocò a consiglio i gerarchi delle navi minori.

Purtroppo la bufera, che mugghiava sempre più minacciosa, interruppe a mezzo il Concilio Vaticano (è da notare che Don Bosco annunciava questi eventi otto anni prima che avvenissero). Nelle alterne vicende di quegli anni, per ben due volte gli stessi Supremi Gerarchi soccombettero al travaglio. Quando successe il terzo, in mezzo all’oceano furente cominciarono ad emergere due colonne, in cima alle quali trionfavano i simboli dell’Eucaristia e della Vergine Immacolata.

A quella apparizione il nuovo Pontefice — il Beato Pio X — prese animo e con una salda catena, agganciò la nave Capitana di Pietro a quei due solidi pilastri, calando in mare le ancore.

Allora i navigli minori cominciarono a vogare strenuamente per raccogliersi attorno alla nave del Papa, e così scamparono dal naufragio. La storia confermò la profezia del Veggente. Gli inizi pontificali di Pio X con l’ancora sullo stemma araldico coincisero appunto con il cinquantesimo anno giubilare della proclamazione dogmatica della Concezione Immacolata di Maria, e venne festeggiata in tutto l’orbe cattolico. Tutti noi vecchi ricordiamo l’8 dicembre 1904, in cui il Pontefice in San Pietro circondò la fronte del l’Immacolata d’una preziosa corona di gemme, consacrando alla Madre tutta intera la famiglia che Gesù Crocifisso le aveva commesso.

Il condurre i pargoli innocenti e gli infermi alla Mensa Eucaristica entrò parimenti a far parte del programma del generoso Pontefice, che voleva restaurare in Cristo tutto quanto l’orbe. Fu così che, finché visse Pio X, non ci fu guerra, ed Egli meritò il titolo di pacifico Pontefice dell’Eucaristia.

Da quel tempo le condizioni internazionali non sono davvero migliorate; così che l’esperienza di tre quarti di secolo ci conferma che la nave del Pescatore sul mare in burrasca può sperare salvezza solo con l’agganciarsi alle due colonne dell’Eucaristia e dell'Ausiliatrice, apparse in sogno a Don Bosco » (da L’Italia del 13 settembre 1953).

Lo stesso santo Card. Schuster, un giorno disse a un Salesiano:

« Ho visto riprodotta la visione delle due colonne. Dica ai suoi Superiori che la facciano riprodurre in stampe e cartoline, e la diffondano in tutto il mondo cattolico, perché questa visione di Don Bosco è di grande attualità: la Chiesa e il popolo cristiano si salveranno con queste due devozioni: l’Eucaristia e Maria, Aiuto dei Cristiani».

(Don Bosco) Sogni Don Bosco autore: san Giovanni Bosco // HOME ARTICOLI » Don Bosco » Sogni Don Bosco

lunedì 17 novembre 2014

San GERARDO Maiella

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Mosaico della Parrocchia San Gerardo
Maiella, Fort Oglethorpe (Stati Uniti)
Come un cristallo purissimo attraversato da intensi raggi di Sole, l'anima di San Gerardo Maiella lasciò passare la luce divina senza opporLe resistenza. Per questo, egli ha potuto, mentre era ancora in questa valle di lacrime, "vedere Dio"!

Suor Clara Isabel Morazzani Arráiz

"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" (Mt 5, 8). Forse questa è una delle più belle frasi del Vangelo, e una delle più conosciute. Tuttavia, non sempre troviamo il significato più profondo voluto dal Divino Maestro nel pronunciarla. Di certo non si riferiva solo alla purezza dei Santi nel Cielo, né a quella per cui il cuore, ancor qui sulla Terra, è continuamente alla ricerca di Dio, ma anche alla visione che l'innocente possiede di tutte le creature, discernendo in loro un riflesso del Creatore.

Ora, secondo Sant'Agostino, San Tommaso d'Aquino e altri Dottori, è possibile per un uomo cominciare a godere, ancora in questa vita, dei premi promessi nel Discorso della Montagna. Circa la ricompensa dei puri, scrive il Dottor Angelico: "Con la visione purificata dal dono dell'intelligenza, Dio può, in un certo modo, esser visto".1

Se tutti i Santi raggiungono questa singolare verginità di spirito, in alcuni essa sembra brillare con maggior splendore, servendo da modello da imitare. Così avviene con San Gerardo Maiella, che nella sua breve esistenza di soli 29 anni lasciò alla Chiesa un esempio vivo di questa beatitudine. "O mio Dio, di tutte le virtù che Ti sono gradite, la mia preferita è la purezza di cuore"2 – ha scritto.

Percorrendo la sua storia, analizzando le sue virtù, i suoi miracoli e, soprattutto, le terribili sofferenze che dovette affrontare, abbiamo l'impressione di contemplare un cristallo purissimo attraversato da intensi raggi di Sole: la sua anima lasciò passare la luce divina senza opporLe resistenza. Per questo, egli ha potuto, mentre era ancora in questa valle di lacrime, "vedere Dio"!

Un bambino predestinato

Ultimo figlio di una pia famiglia, Gerardo nacque nella piccola città di Muro Lucano, vicino a Napoli, nell'aprile del 1726. Fin da molto giovane diede manifestazioni di essere un'anima prediletta dalla Provvidenza: non chiedeva mai di mangiare e, in alcuni giorni della settimana, arrivava a rifiutarlo, preannunciando i digiuni che avrebbe più tardi praticato e la sua celebre massima: "L'amore a Dio non entra nell'anima se lo stomaco è pieno".3

Il suo principale passatempo consisteva nell'erigere piccoli altari, adornandoli con candele e fiori; ma il suo luogo preferito era la cappella di Capodigiano, dedicata alla Santissima Vergine, distante da Muro circa 2 km.
Da qui tornò, una volta, portando un piccolo pane bianco. Alla mamma che gli chiese chi gli avesse dato l'alimento, rispose: "Il figlio di una bella signora col quale ho giocato".4

Siccome il fatto si ripeté quotidianamente per vari mesi, una delle sue sorelle lo seguì un giorno, senza che lui se ne accorgesse, e poté testimoniare il seguente spettacolo: appena Gerardo si inginocchiò ai piedi della statua di Maria, il Bambino Gesù scese dalle braccia di sua Madre per giocare con lui e, al momento di salutarlo, gli consegnò un pezzo di pane.
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Di notte, scalava il campanile della cattedrale per introdurvisi attraverso le arcate delle
campane e andare a pregare ai piedi del Santissimo Sacramento
La città di Muro, con in cima la Concattedrale di San Nicola
La sua Prima Comunione non fu meno straordinaria: avendo ricevuto dal parroco una categorica risposta negativa, perché era ancora troppo piccolo per ricevere il Pane dei forti, il piccolo Gerardo si mise a singhiozzare in fondo alla chiesa. Quella stessa notte gli apparve San Michele Arcangelo e gli amministrò la Sacra Eucaristia!

Già nell'adolescenza, segno di contraddizione

A somiglianza di Nostro Signore Gesù Cristo, Gerardo fu, fin dai primi anni, un segno di contraddizione (cfr. Lc 2, 34) negli ambienti che frequentava. A causa della morte di suo padre, si vide obbligato a lavorare come apprendista di un sarto. Il padrone dello stabilimento si affezionò a lui; ma il capo dei dipendenti, al contrario, fu preso da antipatia per il giovinetto, proprio perché lo vedeva così pio. Lo accusava di essere un vagabondo, lo copriva di schiaffi, al punto che, una volta, gli fece perdere i sensi. Gerardo non si lamentava mai col padrone; anzi, era contento di patire per Gesù e ripeteva al suo carnefice: "Battimi, battimi ancora, che merito questo castigo"!5

Qualche tempo dopo, si mise a servizio di Mons. Albini, Vescovo di Lacedonia, noto per il suo carattere irascibile. Per tre anni Gerardo sopportò umiliazioni, reprimende, maltrattamenti... Una volta, fece cadere nella cisterna il mazzo di chiavi della residenza episcopale. Preso da una terribile afflizione, trovò solo una via d'uscita: fece scendere fino in fondo al pozzo, legata alla corda, una statua del Bambino Gesù, e nel contempo supplicava: "Solo Tu puoi aiutarmi... Se non vieni in mio soccorso, Monsignore mi sgriderà. Per favore, riportami la chiave!".6 Tirò la corda e – oh, meraviglia! – la statua aveva le chiavi in mano. Questo prodigio e la sua eroica pazienza gli valsero l'ammirazione di tutta la città, eccezion fatta per lo stesso prelato. E quando questi morì, Gerardo dimostrò con le sue lacrime quanto stimava colui che tanto lo faceva soffrire:
– Ho perso il mio migliore amico! – esclamava sconsolato.

"Più pazzo sei Tu, Signore"!

Ritornato a Muro, Gerardo aprì una sartoria. Mentre l'ago correva tra le sue agili dita, la sua anima si elevava alle altezze della contemplazione. Nutriva una filiale devozione per Maria Santissima, cui aveva consacrato la sua verginità, e gli bastava pronunciare il suo nome per sperimentare trasporti d'amore.

Inebriato dalla "stoltezza" della Croce (cfr. I Cor 1, 18), cercava di imitare in tutto le sofferenze del Salvatore: si flagellava fino a sanguinare, si comportava da pazzo per attirare il disprezzo dei suoi concittadini, passava giorni interi senza mangiare e, le notti, scalava il campanile della cattedrale per introdurvisi attraverso le arcate delle campane e andare a pregare ai piedi del Santissimo Sacramento. Se, da un lato, il demonio gli ordiva delle trappole, prendendo le sembianze di un cane furioso o provocando incidenti, dall'altro, il Signore lo ricompensava con numerose consolazioni.
Andreas F. Borchert (CC-3.0)     
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Non appena vide alcuni religiosi
redentoristi, Gerardo comprese
che quella era la sua vocazione
Sant'Alfonso de' Liguori - Cattedrale
di Carlow (Irlanda)
In una di queste lunghe veglie, una voce soave, proveniente dal tabernacolo, ruppe il silenzio notturno: "Pazzerello!".7 La risposta uscì rapida dalle sue labbra ardenti: "Più pazzo sei Tu, Signore, che per amore stai qui, prigioniero nel tabernacolo!".8

Nella Congregazione del Santissimo Redentore

Essere religioso era stato sempre il sogno di Gerardo; tuttavia, alla Provvidenza piacque provare la sua perseveranza prima di accettare la sua consegna. Non riuscì in due tentativi ad entrare nei Cappuccini e in una breve esperienza come anacoreta. Questo avrebbe scoraggiato qualunque altro, non il giovane Maiella!

Alcuni preti della Congregazione Redentorista, che era appena stata fondata da Sant'Alfonso de' Liguori, giunsero a Muro per predicare una missione. Non appena li vide, Gerardo comprese che questa era la sua vocazione, e chiese di essere ammesso. Il superiore, padre Paolo Cafaro, si rifiutò esplicitamente, allegando che lui non possedeva le forze necessarie per sopportare i rigori della vita religiosa. Siccome si era incaponito nella sua decisione e lo importunava incessantemente, padre Cafaro chiese a sua madre di chiuderlo a chiave in camera, il giorno della partenza dei missionari. Il giovane, però, usando una corda fabbricata con le lenzuola, scappò dalla finestra e corse dietro ai redentoristi, lasciando un biglietto per la famiglia: "Vado a farmi santo. Dimenticatemi".9

Li raggiunse per strada e li seguì fino alla città vicina, ricevendo sempre lo stesso rifiuto. Infine, la sua santa e serena tenacia poté più della determinazione ferrea del superiore: nel maggio 1749, a 23 anni, fu accolto, a titolo di prova, nel convento di Deliceto.

Instancabile apostolo, grande taumaturgo

Cominciava per Gerardo l'ultima tappa della sua vita: soltanto sei anni lo separavano dalla sua dipartita per l'eternità... sei anni fecondi in meriti, ricchi di fatti miracolosi e rapimenti celesti, inframmezzati da difficoltà e sofferenze quasi sovrumane.

Considerato inutile per qualsiasi lavoro a causa della sua estrema magrezza, non tardò a smentire questa fama. Il fuoco interiore che lo consumava suppliva alla mancanza di robustezza, al punto che i religiosi affermavano che rendeva per quattro persone. Si prodigava in attenzioni verso gli altri e assumeva su di sé gli incarichi più umili: giardiniere, sacrestano, collettore di elemosine, portinaio... La sua presenza fu contesa nelle diverse case della Congregazione.

Esimio nel compimento degli obblighi, si rivelò anche apostolo infaticabile e irresistibile nelle missioni. Scrive uno dei suoi biografi: "Il suo aspetto, la sua semplice presenza, raccontano i testimoni, valevano una predicazione; si sentiva Dio in lui. La sua parola ardente imprimeva nelle anime l'orrore per il peccato, l'ardore per la preghiera, l'amore a Gesù e a Maria, e la fedeltà ai doveri di stato. [...] Esalava dalla sua persona un non so che di divino che consolava i cuori, guariva le anime e trascinava alla virtù".10

Assecondato dal dono di miracoli concesso dalla Provvidenza, produceva abbondanti frutti di apostolato. Gli elementi, le malattie e i demoni obbedivano alla sua parola. Guarì un numero sterminato di infermi, tra i quali una bambina paralitica dalla nascita. In varie occasioni, moltiplicò il cibo e giunse ad aprire le acque di un fiume che gli impediva il passaggio.
Uno dei suoi più clamorosi prodigi fu quello realizzato a Napoli. Una folla riunita in riva al mare si affliggeva davanti allo spettacolo di un'imbarcazione piena di passeggeri che si dibatteva tra le onde, in mezzo a una furiosa tempesta. Passando per di lì, Gerardo si gettò in acqua e ordinò alla barca, in nome della Santissima Trinità, di fermarsi. Dopo la trascinò fino a terra, come se fosse paglia, e uscì dall'acqua con gli indumenti interamente asciutti. Tutto il popolo lo acclamava, volendo rendergli omaggio, ma egli fuggì di corsa per le vie della città.

Un serafino in carne e ossa

Tuttavia, dove più si faceva sentire l'aroma della sua santità era nel recinto sacro del convento. In tal modo in questo religioso esemplare rivaleggiavano le virtù, che sarebbe difficile indicarne una come la principale. Non c'era nessuno più umile, più obbediente, più osservante della regola! I suoi stessi maestri lo prendevano a modello e i confessori si confondevano davanti all'integrità di quel fratello laico, neofita nella vita religiosa e già elevato alle vette della perfezione. Alcuni suoi contemporanei giunsero ad affermare che sembrava non essere stato toccato dal peccato originale, come un serafino in carne e ossa!

I fenomeni mistici con cui fu graziato sono uno dei tratti più sorprendenti della sua spiritualità. "A quanto pare, tutti i favori concessi da Dio agli altri santi, nell'ordine mistico, Egli ha voluto riunirli nella persona del nostro serafico confratello",11 scrive il citato padre Saint-Omer. Infatti, in un secolo nel quale il razionalismo cercava di negare l'esistenza del soprannaturale e, in fondo, di Dio stesso, la vita di Gerardo mostrava come siano tenui i veli che ci separano dal mondo invisibile, per cui dobbiamo convincerci che siamo sempre sotto lo sguardo di Dio.
Visioni, estasi, levitazioni, dono di profezia, scienza infusa, discernimento degli spiriti, conoscenza a distanza, aureole, bilocazioni, invisibilità... Impossibile descrivere nell'esiguo spazio di un articolo ognuna di queste meraviglie!
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All’improvviso, Gerardo fu chiamato a Pagani, dove allora risiedeva Sant’Alfonso de Liguori.
Era il primo incontro dell’umile frate col fondatore... e quanto doloroso!

Cella e cappella privata di Sant’Alfonso de’ Liguori, Pagani
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Citiamo soltanto due esempi. In visita al Carmelo di Ripacandida, entrò improvvisamente in estasi e il suo corpo diventò incandescente al punto di sciogliere la grata di ferro che egli toccava con le mani. Gli accadde anche di sollevarsi dal suolo, contemplando un bel dipinto della Santissima Vergine, fino a raggiungere l'altezza del quadro e, baciandolo con ineffabile affetto, esclamare: "Come è bella! Guarda com'è bella!".12

Sotto il segno del dolore

Si farebbe comunque, un'idea sbagliata riguardo a Gerardo, chi credesse che egli sia stato un uomo quasi magico, immune dalle tentazioni e dalle sofferenze. Nulla di più contrario della realtà! Dal suo ingresso nella Congregazione, soffrì terribili privazioni spirituali, nelle quali si riteneva abbandonato da Dio, pronto a soccombere alla disperazione. La sua stessa descrizione, in una lettera a una religiosa, è più convincente di qualsiasi narrazione: "Sono sceso così in basso che non vedo più nemmeno la possibilità di uscire da questo precipizio... poco mi preoccuperei se per lo meno potessi amare Dio e piacerGli. Ma, ecco la spina che trafigge il mio cuore: mi sento che soffro senza Dio. [...] Mi vedo come sospeso sull'abisso della disperazione. Mi sembra che Dio sia scomparso per sempre, che le sue divine misericordie si siano esaurite, che sopra la mia testa aleggino minacciosi i fulmini della sua giustizia".13

Fatto curioso: nella misura in cui Gerardo progrediva in virtù, le angosce si facevano più frequenti e intense. Nel 1754, un anno prima della morte, sopravvenne la grande prova, terribile e spaventosa. All'improvviso, fu chiamato a Pagani, dove allora risiedeva Sant'Alfonso de Liguori. Era il primo incontro dell'umile frate col fondatore... e quanto doloroso! Dopo averlo salutato, Sant'Alfonso lesse a voce alta due lettere nelle quali qualcuno accusava il giovane religioso di un crimine commesso proprio contro la virtù che lui più amava: la castità!

Ciò nonostante, senza far trasparire alcuna emozione, Gerardo rimase in silenzio. Tale atteggiamento equivaleva a un assenso... Sorpreso, il fondatore decise di non espellerlo, ma gli impose una durissima penitenza: privazione dell'Eucaristia e proibizione di trattare con persone esterne alla Congregazione. Per più di due mesi egli sopportò questa situazione vessatoria, sorvegliato dai superiori, oggetto di sospetto di quanti lo conoscevano. Quello che più gli faceva male, però, era la mancanza della Comunione. Gli costava contenere gli ardori del desiderio di ricevere un così augusto Sacramento. A un sacerdote che lo esortava a servire da accolito la sua Messa, rispose: "Non mi tentare, caro padre, potrei strapparti l'Ostia dalle mani!".14

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"Figlio mio, perché non hai parlato?
Perché non hai pronunciato neppure
una parola per difendere la tua
innocenza?"
Conversazione tra Sant'Alfonso
e San Gerardo - Santuario di
Pagani (Salerno)
Finalmente, la verità venne fuori: altre due lettere, che smentivano la calunnia delle precedenti, rivelarono a Sant'Alfonso la falsità dell'accusa alla quale il suo cuore di padre si rifiutava di dare interamente credito... Invitato, ancora una volta, a presentarsi davanti al fondatore, Gerardo fu ricevuto con queste parole: "Figlio mio, perché non hai parlato? Perché non hai pronunciato neppure una parola per difendere la tua innocenza?".15 Al che egli replicò: "Padre mio, come avrei potuto farlo, se la nostra regola non ammette scuse di fronte ai rimproveri dei superiori?".16

"La volontà divina e io siamo una cosa sola"

Gerardo non era più di questo mondo. Del resto, non lo era mai stato! Tuttavia, quella tribolazione lo aveva allontanato ancor più dalle cose terrene. Nell'agosto del 1755, durante una missione, ebbe la prima emottisi. Il suo superiore lo indirizzò al convento di Materdomini, affinché si ristabilisse. Lungi dal regredire, la malattia peggiorò rapidamente: sangue, febbre, malesseri infiniti. Nulla, tuttavia, riuscì a strappargli un solo lamento: "La volontà divina e io siamo una cosa sola",17 diceva con gioia. A costo di enorme sforzo lasciava il letto per passare alcune ore in ginocchio davanti al Crocefisso della sua cella.

Anche questo periodo fu segnato da fatti straordinari: dal suo corpo minato dalla tubercolosi emanava un profumo così penetrante che i visitatori identificavano la sua stanza con facilità. Più edificante ancora fu la sua obbedienza: avendo ricevuto l'ordine di guarire, si alzò subito e riprese la vita comunitaria per varie settimane.

Senza dubbio, la volontà di Dio era un'altra, e in ottobre la malattia lo attaccò con maggior rigore. Nei pochi giorni che gli restavano, patì, per uno speciale favore del Cielo, i tormenti della Passione di Cristo. Giunto il giorno 15, annunciò che sarebbe morto quella sera stessa. Ricevette la mattina il Viatico e, nel pomeriggio, recitò il Salmo Miserere. Due ore prima di morire, vedendo approssimarSi la Regina del Cielo, si inginocchiò sul letto ed entrò in estasi. Era circa la mezzanotte quando la sua anima abbandonò il corpo.

Immediatamente il suo volto inerte si trasfigurò, acquistando una bellezza angelica. E quando il campanaro del convento volle far suonare il rintocco dei defunti, sentì una forza irresistibile che lo obbligò a suonare il carillon delle grandi feste!
Nel 1893, Leone XIII elevò Gerardo Maiella all'onore degli altari, come Beato. Undici anni dopo, San Pio X iscrisse nel Catalogo dei Santi questo religioso esemplare che mantenne sempre intatta la sua purezza di cuore.

1 SAN TOMMASO D'AQUINO. Somma Teologica. I-II, q.69, a.2, ad 3.
2 DUNOYER, CSsR, Jean-Baptiste. Vie de Saint Gérard Majela, rédemptoriste. Saint-Étienne: Bureaux de "L'Apôtre du Foyer", 1943, p.103.
3 REY-MERMET, CSsR, Thèodule. San Gerardo Maiella, il "pazzerello" di Dio. Materdomini: Stampa Valsele, 1992, p.51.
4 SAINT-OMER, CSsR, Édouard. Le Thaumaturge du XVIIIe siècle ou la vie, les vertus et les miracles du Bienheureux Gérard-Marie Majela. Desclée de Brouwer et Cie, 1893, p.2.
5 DUNOYER, op. cit., p.21.
6 Idem, p.32.
7 REY-MERMET, op. cit., p.32.
8 Idem, ibidem.
9 Idem, p.46.
10 SAINT-OMER, op. cit., p.75.
11 Idem, p.80.
12 Idem, p.46.
13 DUNOYER, op. cit., p.276- 277.
14 REY-MERMET, op. cit., p.114.
15 Idem, p.115.
16 Idem, ibidem.
17 Idem, p.133.