Visualizzazione post con etichetta Sandro Magister. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sandro Magister. Mostra tutti i post

mercoledì 26 ottobre 2016

IL DIARIO CINESE DI PADRE PIERO GHEDDO del P.I.M.E con pagine di grande interesse

.....
Sono uscite in Italia le memorie di padre Piero Gheddo, del Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, grande missionario d'antica scuola. Le ha edite la EMI col titolo: "Inviato speciale ai confini della fede".
Alla Cina padre Gheddo dedica pagine di grande interesse. Eccone qui di seguito un assaggio, sugli anni bui della Rivoluzione culturale e sul dopo.
*
HO VISTO LA RISURREZIONE DELLA CHIESA IN CINA
di Piero Gheddo
Dopo l’ordinazione sacerdotale, nel 1953, mi impegnai subito nel giornalismo, intervistando – tra gli altri – i nostri missionari del Pontificio Istituto Missioni Estere che in quegli anni venivano espulsi dalla Cina: 140 in tutto, con cinque vescovi.
Nel 1973 vado in Cina come membro di una commissione della Montedison, sostituendo un ammalato. Era il tempo della "rivoluzione culturale" e quella Cina, dico la verità, mi aveva quasi affascinato: disciplina, ordine, pulizia, povertà dignitosa e orgoglio nazionale, uguaglianza nell’avere tutti il necessario. Non si vedevano per le città poveri né mendicanti né lebbrosi. Poi, leggendo il Libretto rosso di Mao, parevano sentenze degne di san Paolo: "A ciascuno tutto quello di cui ha bisogno, da ciascuno tutto quello che può dare"; "Servire il popolo è l’ideale del buon cinese"; "L’ideale del comunismo è cambiare il cuore dell’uomo".
Ho avuto momenti di dubbio nel mio granitico convincimento che il comunismo senza Dio non può produrre frutti positivi per l’uomo. La Cina pareva dimostrare il contrario e la guida non mancava di ripetere: "La Cina ha imparato a fare a meno di Dio". Non solo i cristiani, ma anche i buddisti, i musulmani, i confuciani erano scomparsi: l’ateismo di Stato pareva condiviso dal popolo. In Occidente e in Italia, Mao era considerato da giornalisti e "profeti" il vero salvatore della Cina, che, si diceva, ogni giorno dà una ciotola di riso a tutti i cinesi.
Tornato in Italia, ho poi scritto che in Cina la Chiesa cattolica non esiste più, secoli di missione non hanno prodotto frutti. Pensavo: i cosiddetti "cristiani del riso", convertiti dagli aiuti alimentari, non esistono più. Per cui, quando ci sarà libertà in Cina, si dovrà "ricominciare da capo l’evangelizzazione dei cinesi"! Ero ingenuo e cieco, vedevo la realtà cinese solo con i miei poveri occhi umani, non era ancora maturata bene in me la fiducia nello Spirito Santo, protagonista della missione della Chiesa!
Il nostro viaggio in Cina aveva come base un albergo per stranieri a Canton. Dalla città ci portano a vedere le conquiste della Cina maoista, una grande caserma. Al mattino suona la sveglia alle sei: musiche, canti patriottici in tutta la metropoli. Poco dopo, nel grande viale lungo il fiume scendono uomini e donne vestiti tutti più o meno allo stesso modo, pantaloni neri o blu scuro, camicetta bianca. Incomincia la ginnastica quotidiana, diretta da una voce robusta e sonora, con un sottofondo di musiche patriottiche, diffuse in ogni zona della grande città. Poi, tutti al lavoro.
Non visitiamo la Cina, ma una ristretta regione vicina a Canton, dove tornavamo alla sera. Ci mostrano alcune scuole, un ospedale moderno, le "comuni agricole" con la vita comunitaria delle famiglie, tutte impegnate nei lavori, e i bambini mantenuti ed educati dallo Stato. E poi una grande diga, costruita da migliaia di uomini e donne divisi in gruppi: portano pesi sulle spalle, salgono su scale di bambù che solo al vederle vengono i brividi, il lavoro è in gran parte manuale. I vari gruppi di un settore sono in competizione, ovunque bandierine di vario colore per segnare il lavoro fatto, un grande spettacolo. Alla sera si premia il gruppo che ha lavorato di più. Interessante anche la visita all’università. I palazzi antichi, le aule, i laboratori nelle facoltà scientifiche, tutto più o meno come in Occidente. Ma quando entriamo nella grande biblioteca vediamo subito molti scaffali e pochi libri, tutti o quasi in lingua cinese. L’anziano bibliotecario, che parla in francese, mi prende in disparte e mi dice: "I libri in altre lingue li hanno bruciati tutti".
Alla fine, due giorni di libertà. Un mattino esco col permesso della nostra guida e vado verso la maestosa cattedrale cattolica in stile gotico, costruita dai missionari francesi alla fine dell’Ottocento. La cattedrale è dietro a una cancellata chiusa. La fotografo con un quadro di Mao sopra il portale. Di fianco alla cattedrale una grande tettoia dove scaricano i rifiuti di quel quartiere. I miei confratelli di Hong Kong mi hanno poi spiegato che quello era un marchio di disprezzo per quell’edificio straniero. Dopo la cattedrale, mi fermo un po’ su una panca nella piazza vicina e rientro in albergo. Vado in stanza e mi accorgo che una delle mie due macchine fotografiche non ha più il coperchietto di plastica per la lente. Scendo al ristorante e un cameriere mi porge su un vassoio quel coperchio e dice: "L’ha lasciato lei sulla panca della piazza qui vicino?". E io, ingenuo, pensavo di essere libero!
In albergo, mi alzo alle due del mattino e celebro la messa sul tavolo della stanza. Messe commoventi nel silenzio notturno, pensando a tutti i cristiani nelle carceri e nei campi di lavoro e di sterminio cinesi, i laogai. Mentre era in corso la "rivoluzione culturale", non c’era nessuna chiesa aperta: sembrava che la Chiesa in Cina fosse letteralmente scomparsa.
Ma dopo la morte di Mao, che avviene nel 1976, la Chiesa risorge dalle ceneri. Verso il 1979-1980, cristiani cinesi incominciano a scrivere ai missionari italiani del PIME espulsi dalla Cina 20-25 anni prima. Lettere molto semplici, di gente di campagna, che ha sperimentato la sofferenza, la persecuzione, il carcere, i campi di lavoro forzato e arriva a scrivere frasi come questa: "Sono contento di aver sofferto per la fede in Gesù Cristo".
Quella gente ha conservato la fede in condizioni difficilissime, senza chiese, senza sacerdoti, senza comunità cristiana, anzi in presenza di uno Stato totalitario che per quasi trent’anni ha perseguitato tutte le religioni. In quelle lettere i cristiani cinesi chiedono non denaro, ma oggetti sacri: rosari, Vangeli, immagini della Madonna, medaglie, libri di preghiera.
La rinascita della Chiesa cinese è un vero e proprio miracolo. Torno in Cina una seconda volta nell’estate 1980, insieme con padre Giancarlo Politi, missionario a Hong Kong, che parlava bene il cinese. Così visitiamo una diocesi dove nel 1973 non avevo trovato nessun segno di presenza cristiana. A Sheqi incontriamo il vescovo e un sacerdote, con alle spalle 25 e 31 anni di carcere. I non cristiani che chiedono l’istruzione religiosa – dicono – sono tanti. Purtroppo non ci sono libri, segni sacri, non è possibile dare loro un’adeguata formazione cristiana. Chiedo come mai ci sono queste richieste di conversione, quando la Chiesa è così povera di preti e di materiale formativo: Vangeli, immagini, libri di preghiere. Il vescovo risponde: "Noi non predichiamo, ma la vita dei cristiani annunzia il Vangelo e una società alternativa a quella presente. Tutti sanno chi sono i cristiani: ci hanno visti quando siamo stati perseguitati, processati e condannati ingiustamente: non abbiamo mai maledetto nessuno, anche in carcere e nei campi di lavoro forzato la testimonianza dei cristiani ha convertito molti al Vangelo. E ora che siamo tornati alle nostre case, non cerchiamo vendette, non ci lamentiamo per quanto abbiamo patito, aiutiamo quelli che sono bisognosi del nostro aiuto. Credo che da qui vengano le richieste di istruzione religiosa e le conversioni".
Nell’ottobre 2000 la mia terza visita in Cina. Nel mio soggiorno a Canton incontro 26 giovani suore, in pantaloni neri, camicetta bianca, senza velo, capelli tagliati corti, con un piccolo crocifisso sul petto. Le piccole comunità di suore vivono in appartamenti fra la gente, esercitando ciascuna una professione, un lavoro, interessandosi dei poveri, collaborando con le parrocchie, prendendo contatto con le donne e le famiglie. Chiedo: "È vero che in questi giorni ci sono riunioni di preti, suore e catechisti, convocate dal governo, che vuole indottrinarvi?". "Sì – rispondono –, è vero, abbiamo una riunione tutti i giorni. Ci raccontano la storia del passato, i crimini e le prepotenze dei popoli cristiani occidentali, i danni che i missionari e le suore hanno fatto al popolo cinese. Però queste lezioni finiranno in pochi giorni e tutto tornerà come prima. Se anche ci fosse qualcosa di vero in quel che dicono, la nostra fede è basata sull’amore a Cristo e sulle esperienze concrete che la fede e la preghiera aiutano a vivere meglio". Testimonianze di fede e coraggio che non ho dimenticato.

AMDG et BVM

martedì 27 gennaio 2015

CHIESA ORTODOSSA E SECONDE NOZZE


Dal Web: www.chiesa - Gli ortodossi ammettono davvero le seconde nozze?  ...in realtà le cose non stanno affatto così.
Mito e realtà delle seconde nozze tra gli ortodossi
È opinione diffusa che le Chiese orientali ammettano un nuovo matrimonio dopo il divorzio e diano la comunione ai risposati. Ma non è così, spiega Nicola Bux. Solo il primo matrimonio è celebrato come un vero sacramento

di Sandro Magister


ROMA, 30 maggio 2014 – Sull'aereo di ritorno dalla Terra Santa, a papa Francesco è stato chiesto se "la Chiesa cattolica potrà imparare qualcosa dalle Chiese ortodosse" riguardo ai preti sposati e all'accettazione delle seconde nozze per i divorziati.

Sull'uno e sull'altro di questi punti il papa ha risposto in modo elusivo. Tutti però ricordano che cosa disse a proposito delle seconde nozze in una precedente intervista in aereo, nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro:

"Una parentesi: gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità [di matrimonio], lo permettono. Credo che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale".

A questa prassi delle Chiese d'oriente ha fatto riferimento anche il cardinale Walter Kasper nella sua relazione introduttiva al concistoro dello scorso febbraio, nella quale focalizzò la discussione in vista del sinodo sulla famiglia sulla questione della comunione ai divorziati risposati.

L'idea corrente è che nelle Chiese ortodosse si celebrino sacramentalmente le seconde e anche le terze nozze e si dia la comunione ai divorziati risposati.

Quando in realtà le cose non stanno affatto così. Tra la celebrazione delle prime e delle seconde nozze l'ortodossia ha sempre posto una differenza non solo cerimoniale ma di sostanza, come ben mostra l'intonazione fortemente penitenziale delle preghiere per le seconde nozze.

Basti vedere, in proposito, la ricognizione storica che Basilio Petrà – sacerdote cattolico di rito latino, ma di origine greca e studioso della materia, professore al Pontificio Istituto Orientale  – ha pubblicato due mesi fa:


Quella che segue è una chiarificazione di ciò che sono in realtà le seconde nozze nella teologia e nella prassi delle Chiese ortodosse.

L'autore, Nicola Bux, esperto di liturgia e docente alla facoltà teologica di Bari, è consultore delle congregazioni per il culto divino e per le cause dei santi e ha preso parte al sinodo del 2005 sull'eucaristia, del quale riferisce qui un interessante episodio.

__________


CHIESA ORTODOSSA E SECONDE NOZZE

di Mons. Nicola Bux



Recentemente, il cardinale Walter Kasper si è riferito alla prassi ortodossa delle seconde nozze per sostenere che anche i cattolici che fossero divorziati e risposati dovrebbero essere ammessi alla comunione.

Forse, però, non ha badato al fatto che gli ortodossi non fanno la comunione nel rito delle seconde nozze, in quanto nel rito bizantino del matrimonio non è prevista la comunione, ma solo lo scambio della coppa comune di vino, che non è quello consacrato.

Inoltre, tra i cattolici si suol dire che gli ortodossi permettono le seconde nozze, quindi tollerano il divorzio dal primo coniuge.

In verità non è proprio così, perché non si tratta dell'istituzione giuridica moderna. La Chiesa ortodossa è disposta a tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia stato sciolto da essa, non dallo Stato, in base al potere dato da Gesù alla Chiesa di “sciogliere e legare”, e concedendo una seconda opportunità in alcuni casi particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato, ma per estensione anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia divenuto una finzione). È prevista, per quanto scoraggiata, anche la possibilità di un terzo matrimonio. Inoltre, la possibilità di accedere alle seconde nozze, nei casi di scioglimento del matrimonio, viene concessa solo al coniuge innocente.

Le seconde e terze nozze, a differenza del primo matrimonio, sono celebrate tra gli ortodossi con un rito speciale, definito “di tipo penitenziale”. Poiché nel rito delle seconde nozze mancava in antico il momento dell'incoronazione degli sposi – che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del matrimonio –  le seconde nozze non sono un vero sacramento, ma, per usare la terminologia latina, un "sacramentale", che consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente accettata dalla comunità ecclesiale. Il rito delle seconde nozze si applica anche nel caso di sposi rimasti vedovi.

La non sacramentalità delle seconde nozze trova conferma nella  scomparsa della comunione eucaristica dai riti matrimoniali bizantini, sostituita dalla coppa intesa come simbolo della vita comune. Ciò appare come un tentativo di "desacramentalizzare" il matrimonio, forse per l'imbarazzo crescente che le seconde e terze nozze inducevano, a motivo della deroga al principio dell'indissolubilità del vincolo, che è direttamente proporzionale al sacramento dell'unità: l'eucaristia.

A tal proposito, il teologo ortodosso Alexander Schmemann ha scritto che proprio la coppa, elevata a simbolo della vita comune, “mostra la desacramentalizzazione del matrimonio ridotto ad una felicità naturale. In passato, questa era raggiunta con la comunione, la condivisione dell'eucaristia, sigillo ultimo del compimento del matrimonio in Cristo. Cristo deve essere la vera essenza della vita insieme”. Come rimarrebbe in piedi questa "essenza"?

Dunque, si tratta di un “qui pro quo” imputabile in ambito cattolico alla scarsa o nulla considerazione per la dottrina, per cui si è affermata l'opinione, meglio l'eresia, che la messa senza la comunione non sia valida. Tutta la preoccupazione della comunione per i divorziati risposati, che poco ha a che fare con la visione e la prassi orientale, è una conseguenza di ciò.

Una decina d'anni fa, collaborando alla preparazione del sinodo sull'eucaristia, a cui partecipai poi come esperto nel 2005, tale "opinione" fu avanzata dal cardinale Cláudio Hummes, membro del consiglio della segreteria del sinodo. Invitato dal cardinale Jan Peter Schotte, allora segretario generale, dovetti ricordare a Hummes che i catecumeni e i penitenti – tra i quali c'erano i dìgami –, nei diversi gradi penitenziali, partecipavano alla celebrazione della messa o a parti di essa, senza accostarsi alla comunione.

L'erronea "opinione" è oggi diffusa tra chierici e fedeli, per cui, come osservò Joseph Ratzinger: “Si deve nuovamente prendere molto più chiara coscienza del fatto che la celebrazione eucaristica non è priva di valore per chi non si comunica. [...] Siccome l'eucaristia non è un convito rituale, ma la preghiera comunitaria della Chiesa, in cui il Signore prega con noi e a noi si partecipa, essa rimane preziosa e grande, un vero dono, anche se non possiamo comunicarci. Se riacquistassimo una conoscenza migliore di questo fatto e rivedessimo così l'eucaristia stessa in modo più corretto,vari problemi pastorali, come per esempio quello della posizione dei divorziati risposati, perderebbero automaticamente molto del loro peso opprimente.”

Quanto descritto è un effetto della divaricazione ed anche dell'opposizione tra dogma e liturgia. L'apostolo Paolo ha chiesto l'auto-esame  di coloro che intendono comunicarsi, onde non mangiare e bere la propria condanna (1 Corinti 11, 29). Ciò significa: “Chi vuole il cristianesimo soltanto come lieto annuncio, in cui non deve esserci la minaccia del giudizio, lo falsifica”.

Ci si chiede come si sia giunti a questo punto. Da diversi autori, nella seconda metà del secolo scorso, si è sostenuta la teoria – ricorda Ratzinger – che “fa derivare l'eucaristia più o meno esclusivamente dai pasti che Gesù consumava con i peccatori. […] Ma da ciò segue poi un'idea dell'eucaristia che non ha nulla in comune con la consuetudine della Chiesa primitiva”. Sebbene Paolo protegga con l'anatema la comunione  dall'abuso (1 Corinti 16, 22), la teoria suddetta propone “come essenza dell'eucaristia che essa venga offerta a tutti senza alcuna distinzione e condizione preliminare, […] anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti”.

No, scrive ancora Ratzinger: sin dalle origini l'eucaristia non è stata compresa come un pasto con i peccatori, ma con i riconciliati: “Esistevano anche per l'eucaristia fin dall'inizio condizioni di accesso ben definite [...] e in questo modo ha costruito la Chiesa”.

L'eucaristia, pertanto, resta “il banchetto dei riconciliati”, cosa che viene ricordata dalla liturgia bizantina, al momento della comunione, con l'invito "Sancta sanctis", le cose sante ai santi.   

Ma nonostante ciò la teoria dell'invalidità della messa senza la comunione continua ad influenzare la liturgia odierna.

__________


Questo testo di Nicola Bux è tratto dalla postfazione che egli ha scritto per l'ultima opera di Antonio Livi, teologo e filosofo della Pontificia Università Lateranense, di prossima uscita, dedicata agli scritti e discorsi del cardinale Giuseppe Siri (1906-1989):

martedì 18 novembre 2014

sabato 1 novembre 2014

La vera storia...

La vera storia di questo sinodo. Regista, esecutori, aiuti

Nuovi paradigmi su divorzio e omosessualità sono ormai di casa ai vertici della Chiesa. Niente è stato deciso, ma FP è paziente. Un storico americano confuta le tesi de "La Civiltà Cattolica"

di Sandro Magister




ROMA, 17 ottobre 2014 – "È tornato a soffiare lo spirito del Concilio", ha detto il cardinale filippino Luis Antonio G. Tagle, stella emergente nella gerarchia mondiale oltre che storico del Vaticano II. Ed è vero. Nel sinodo che sta per concludersi ci sono molti elementi in comune con ciò che accadde in quel grande evento.

La similitudine più appariscente è lo stacco tra il sinodo reale e il sinodo virtuale veicolato dai media.

Ma c'è una somiglianza ancor più sostanziale. Sia nel Concilio Vaticano II sia in questo sinodo i cambi di paradigma sono il prodotto di una accurata regia. Un protagonista del Vaticano II come don Giuseppe Dossetti – abilissimo stratega dei quattro cardinali moderatori che erano al comando della macchina conciliare – lo rivendicò con fierezza. Disse di "aver capovolto le sorti del Concilio" grazie alla propria capacità di pilotare l'assemblea, appresa nella sua precedente esperienza politica di leader del maggior partito italiano.

Anche in questo sinodo è avvenuto così. Sia le aperture alla comunione ai divorziati risposati – e quindi l'ammissione da parte della Chiesa delle seconde nozze – sia l'impressionante cambio di paradigma in tema di omosessualità infilato nella "Relatio post disceptationem" non sarebbero stati possibili senza una serie di passi abilmente calcolati da chi aveva e ha il controllo delle procedure.

Per capirlo, basta ripercorrere le tappe che hanno portato a questo risultato, anche se il provvisorio finale del sinodo – come si vedrà – non è stato pari alle aspettative dei suoi registi.

Il primo atto ha per protagonista pF in persona. Il 28 luglio 2013, nella conferenza stampa sull'aereo che lo riporta a Roma dopo il suo viaggio in Brasile, egli lancia due segnali che sull'opinione pubblica hanno un impatto fortissimo e duraturo.

Il primo sul trattamento degli omosessuali:

"Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarlo?".

Il secondo sull'ammissione delle seconde nozze:

"Una parentesi: gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità [di matrimonio], lo permettono. Credo che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale".

Segue nell'ottobre del 2013 la convocazione di un sinodo sulla famiglia, primo di una serie di due sinodi sullo stesso tema nell'arco di un anno, con decisioni rimandate a dopo il secondo. A segretario generale di questa sorta di sinodo permanente e prolungato il papa nomina un neocardinale con nessuna esperienza in proposito, ma a lui legatissimo, Lorenzo Baldisseri. Al quale affianca per l'occasione, come segretario speciale, il vescovo e teologo Bruno Forte, già esponente di spicco della linea teologica e pastorale che aveva avuto il suo faro nel cardinale gesuita Carlo Maria Martini e i suoi maggiori avversari prima in Giovanni Paolo II e poi in Benedetto XVI: una linea dichiaratamente aperta a un cambio dell'insegnamento della Chiesa in campo sessuale.

All'indizione del sinodo si associa il lancio di un questionario a raggio mondiale con domande specifiche sulle questioni più controverse, comprese la comunione ai risposati e le unioni omosessuali.

Anche grazie a questo questionario – cui seguirà l'intenzionale pubblicazione delle risposte da parte di alcuni episcopati di lingua tedesca – si ingenera nell'opinione pubblica l'idea che si tratti di questioni da ritenersi già "aperte" non solo in teoria ma anche in pratica.

Dà prova di questa fuga in avanti, ad esempio, l'arcidiocesi di Friburgo, in Germania, retta dal presidente della conferenza episcopale tedesca Robert Zollitsch, che in un documento di un suo ufficio pastorale incoraggia l'accesso alla comunione dei divorziati risposati sulla semplice base di "una decisione di coscienza".

Da Roma il prefetto della congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Gerhard L. Müller, reagisce ripubblicando il 23 ottobre 2013 su "L'Osservatore Romano" una sua nota già uscita quattro mesi prima in Germania che riconferma e spiega il divieto della comunione.

A nulla vale però il suo richiamo affinché l'arcidiocesi di Friburgo ritiri quel documento. Anzi, sia il cardinale tedesco Reinhard Marx, sia con parole più grossolane il cardinale honduregno Óscar Rodríguez Maradiaga criticano Müller per la sua "pretesa" di troncare la discussione in materia. Sia Marx che Maradiaga fanno parte del consiglio degli otto cardinali chiamati da papa Francesco ad assisterlo nel governo della Chiesa universale. Il papa non interviene a sostegno di Müller.

Il 20 e il 21 febbraio 2014 i cardinali si riuniscono a Roma in concistoro. FP chiede loro di dibattere sulla famiglia e delega a tenere la relazione introduttiva il cardinale Walter Kasper, già battagliero sostenitore nei primi anni Novanta di un superamento dei divieto della comunione ai risposati, ma sconfitto, all'epoca, da Giovanni Paolo II e da Joseph Ratzinger.

Nel concistoro, che è a porte chiuse, Kasper rilancia in pieno quelle sue tesi. Numerosi cardinali gli si oppongono, ma F lo gratifica di altissimi elogi. In seguito, Kasper dirà di aver "concordato" col p le sue proposte.

Inoltre, Kasper ha dal p il privilegio di rompere il segreto sulle cose da lui dette nel concistoro, a differenza di tutti gli altri cardinali. Quando il 1 marzo la sua relazione esce a sorpresa sul quotidiano italiano "Il Foglio", la stessa relazione è infatti già in corso di stampa presso l'editrice Queriniana. L'eco della pubblicazione è immensa.

All'inizio della primavera, per bilanciare l'impatto delle proposte di Kasper, la congregazione per la dottrina della fede programma la pubblicazione su "L'Osservatore Romano" di un intervento di segno opposto di un cardinale di primo piano. Ma contro la pubblicazione di questo testo scatta il veto del papa.

Le tesi di Kasper sono comunque oggetto di severe e argomentate critiche da parte di un buon numero di cardinali, che intervengono a più riprese su diversi organi di stampa. Alla vigilia del sinodo, cinque di questi cardinali ripubblicano in un libro i loro interventi precedenti, col corredo di saggi di altri studiosi e di un alto dirigente di curia, gesuita, arcivescovo, esperto della prassi matrimoniale delle Chiese orientali. Kasper, con vasto consenso nei media, deplora la pubblicazione del libro come un affronto mirato a colpire il papa.

Il 5 ottobre si apre il sinodo. Contrariamente al passato, gli interventi in aula non sono resi pubblici. Il cardinale Müller protesta contro questa censura. Ma invano. Una prova in più, dice, che "non faccio parte della regia".

Compongono la centrale operativa del sinodo i segretari generale e speciale, Baldisseri e Forte. Ma ad essi il papa affianca, scelti da lui personalmente, coloro che si occuperanno della stesura del messaggio e della "Relatio" finali, tutti appartenenti al partito del cambiamento, con alla testa il suo fidato ghostwriter Víctor Manuel Fernández, arcivescovo e rettore dell'Università Cattolica di Buenos Aires.

Che questa sia la vera cabina di regia del sinodo diventa clamorosamente evidente lunedì 13 ottobre, quando davanti a duecento giornalisti di tutto il mondo il cardinale delegato che figura come l'autore formale della "Relatio post disceptationem", l'ungherese Péter Erdõ, interrogato sui paragrafi riguardanti l'omosessualità, rifiuta di rispondere e cede la parola a Forte dicendo: "Quello che ha redatto il brano deve sapere lui cosa dire".

Alla richiesta di chiarire se i paragrafi sull'omosessualità possano essere interpretati come un cambio radicale nell'insegnamento della Chiesa in materia, ancora il cardinale Erdõ risponde: "Certamente!", marcando anche qui il suo disaccordo.

In effetti questi paragrafi riflettono non un orientamento espresso in aula da un consistente numero di padri – come ci si aspetta di leggere in una "Relatio" – ma le cose dette da non più di tre individui su quasi duecento. Uno dei tre è il gesuita Antonio Spadaro, direttore de "La Civiltà Cattolica", nominato membro del sinodo personalmente da papa Francesco.

Martedì 14 ottobre, in conferenza stampa, il cardinale sudafricano Wilfrid Napier denuncia con parole taglienti l'effetto della prevaricazione operata da Forte con l'inserire nella "Relatio" quegli esplosivi paragrafi sull'omosessualità. Essi, dice, hanno messo la Chiesa in una posizione "irredeemable", senza vie d'uscita. Perché ormai "il messaggio è partito: questo è ciò che dice il sinodo, questo è ciò che dice la Chiesa. A questo punto non c'è correzione che tenga, tutto quello che possiamo fare è solo tentare di limitare i danni".

In realtà, nei dieci circoli linguistici in cui i padri sinodali proseguono la discussione, la "Relatio" va incontro a un massacro.  A cominciare dal suo linguaggio "touffu, filandreux, excessivement verbeux et donc ennuyeux", come denuncia impietoso il relatore ufficiale del gruppo "Gallicus B" di lingua francese, che pur comprende due campioni di tale linguaggio – e dei suoi contenuti altrettanto vaghi ed equivoci – come i cardinali Christoph Schönborn e Godfried Danneels.

Ripresi giovedì 16 ottobre i lavori in aula, il segretario generale Baldisseri, con a fianco il papa, dà l'avviso che i rapporti dei dieci gruppi non saranno resi pubblici. Esplode la protesta. Il cardinale australiano George Pell, fisico e temperamento da giocatore di rugby, è il più intransigente nell'esigere la pubblicazione dei testi. Anche il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin si associa. Baldisseri cede. Lo stesso giorno, papa Francesco si vede costretto a integrare il pool incaricato di scrivere la relazione finale, immettendovi l'arcivescovo di Melbourne Denis J. Hart e soprattutto il combattivo cardinale sudafricano Napier.

Il quale, però, aveva visto giusto. Perché qualunque sia lo sbocco di questo sinodo programmaticamente privo di una conclusione, l'effetto voluto dai suoi registi è in buona misura raggiunto.

Sull'omosessualità come sul divorzio e le seconde nozze, infatti, il nuovo verbo riformatore comunque immesso nel circuito mondiale dei media vale più del favore effettivamente raccolto tra i padri sinodali dalle proposte di Kasper o di Spadaro.

La partita potrà durare a lungo. Ma papa Francesco è paziente. Nella "Evangelii gaudium" ha scritto che "il tempo è superiore allo spazio".

*

Nel pilotare il sinodo verso l'ammissione alla comunione dei divorziati risposati si è mostrata particolarmente intraprendente "La Civiltà Cattolica", con la pubblicazione di un articolo secondo cui già il Concilio di Trento avrebbe aperto un varco in questa direzione:

> Seconde nozze a Venezia per "La Civiltà Cattolica"

"La Civiltà Cattolica" è diretta dal gesuita Antonio Spadaro ed è ogni volta stampata con il previo esame e l'approvazione delle massime autorità vaticane, in questo caso è facile immaginare con il personale "placet" del papa, con cui padre Spadaro intrattiene un rapporto strettissimo e confidenziale.

Ma quanto è fondata, storicamente, la tesi che fa del Concilio di Trento un antesignano delle "aperture" del pontificato di Jorge Mario Bergoglio in materia di divorzio?

Ecco qui di seguito una confutazione dell'articolo de "La Civiltà Cattolica". L'autore è professore di teologia morale nel St. John Vianney Theological Seminar di Denver, Stati Uniti, e ha studiato in profondità gli atti del Concilio di Trento in materia di matrimonio.

__________



DAMNATIO MEMORIÆ ?

di E. Christian Brugger



l padre gesuita Giancarlo Pani, docente di storia del cristianesimo presso l'Università di Roma "La Sapienza", ha recentemente pubblicato un saggio su "La Civiltà Cattolica" del titolo "Matrimonio e ‘seconde nozze’ al Concilio di Trento". In essa egli difende la pratica matrimoniale greca di "oikonomia" secondo la quale i matrimoni falliti possono essere sciolti e i coniugi hanno il permesso di risposarsi, o più spesso avere i loro "nuovi matrimoni dichiarati validi" dalla Chiesa “dopo un periodo di penitenza". Egli si augura palesemente che questa "tradizione tollerante" possa fare strada anche nella Chiesa cattolica.

A conforto di tale aspirazione, egli rivendica nientemeno che l’autorità del Concilio di Trento, che ritiene abbia implicitamente sancito la pratica greca del divorzio nei suoi "canones de sacramento matrimonii".

La sua tesi ha due difetti. Il primo e più serio qui semplicemente lo accenno. Nel suo saggio, egli non solo assume ma addirittura afferma più volte che questa forma di divorzio e di nuovo matrimonio non è in conflitto con la dottrina dell'indissolubilità, senza fornire nessun argomento a sostegno. L'affermazione è stata confutata da Germain Grisez, John Finnis e William E. May vent’anni fa nella loro risposta critica ai vescovi tedeschi Walter Kasper, Karl Lehmann e Oskar Saier, che avevano proposto una soluzione per permettere ai cattolici divorziati e risposati in Germania di accedere all'eucaristia.

Il secondo problema riguarda l'interpretazione di Pani del canone 7 di Trento sull’indissolubilità. Egli segue la fortunata interpretazione del gesuita fiammingo Piet Fransen (1913-1983), la cui ricostruzione, anche se ampiamente accolta, è gravemente difettosa (1). L'articolo di Pani riassume abbastanza gli eventi dell'agosto del 1563, per cui non è necessario ripeterli qui. Ma c’e una storia più ampia che esige delle osservazioni.

Anche se la Chiesa ortodossa orientale – scrive Pani – "ha affermato e riconosciuto rigorosamente l'indissolubilità del matrimonio", tuttavia ha consentito il divorzio e le seconde nozze in alcuni casi. I padri e i teologi a Trento sapevano dell'antico "ritus" (costume) dell'Oriente e l’hanno rispettato. Molti padri conciliari avevano dubbi circa la "clausola d’eccezione" nel Vangelo di Matteo ("tranne nei casi di porneia"). Essi dubitavano che la rivelazione divina escludesse assolutamente un nuovo matrimonio in caso di adulterio. Dato il dubbio, decisero di "parlare chiaramente sulla indissolubilità del matrimonio, ma anche di dire che tale dottrina non può essere considerata come una parte costitutiva della [divina] rivelazione". I loro dubbi hanno raggiunto il punto culminante nell'agosto del 1563 con il famoso intervento della delegazione veneziana, che ha esortato i padri conciliari, per il bene delle pratiche di divorzio dei Greci in terre cattoliche, a non condannare direttamente il divorzio e il nuovo matrimonio in caso di adulterio. La petizione ha avuto successo e alla fine il Concilio ha approvato una formulazione indiretta del canone 7. Questo ovviamente perché la grande maggioranza dei padri conciliari hanno preferito lasciare aperta la questione della legittimità delle pratiche greche di divorzio.

Pani lamenta che questa "pagina" nell'insegnamento di Trento sul matrimonio "sembra essere stata dimenticata dalla storia". Ma come può essere stata dimenticata quando Walter Kasper (2), Charles Curran (3), Michael Lawler (4), Kenneth Himes (5), James Coriden (6), Theodore Mackin S.J. (7), Victor J. Pospishil (8), Francis A. Sullivan SJ (9), Karl Lehmann (10), e Piet Fransen S.J. (solo per citarne alcuni) l’hanno ripetuta continuamente nel corso degli ultimi cinquant'anni? In realtà questa ricostruzione risale al XVII secolo. Il teologo antiromano Paolo Sarpi e il giansenista Jean Launoy (12) hanno sostenuto che il Concilio intendeva lasciare aperta la questione se a volte fosse legittimo risposarsi dopo il divorzio (13).

Pani incolpa i segretari e i cronisti del Concilio per il loro "silenzio eloquente" su questa storia. Ma un'interpretazione alternativa del loro silenzio mi sembra più ovvia e corretta: la ricostruzione di Pani è una creazione postconciliare. Questo non vuol dire che gli eventi che egli cita, in particolare l'intervento di Venezia, non abbiano avuto luogo. Certo che hanno avuto luogo. Ma non vi è alcuna base storica per la sua affermazione secondo cui il Concilio – e con questo intendo la stragrande maggioranza dei vescovi votanti – avrebbe letto il canone 7 come se lasciasse curi le pratiche di divorzio dei Greci. Molti studiosi prima della metà del XX secolo hanno sostenuto che Trento intendeva definire l'assoluta indissolubilità [del matrimonio] come una verità "de fide", per esempio Domenico Palmieri (14) e Giovanni Perrone (15), l'illustre autore e redattore del francese "Dictionnaire de Théologie Catholique” Alfred Vacant (16) e il teologo dogmatico George Hayward Joyce, S.J. (17). Più di recente la stessa tesi è stato difesa dal futuro papa Joseph Ratzinger (18) e dai teologi morali Germain Grisez e Peter Ryan, S.J. (19).

Per dimostrare a fondo la falsità dell'interpretazione di Pani-Fransen occorrerebbe un trattato della lunghezza di un libro. Ma molte cose si possono dire per dimostrare che essa è discutibile. Per capire le vere intenzioni dei padri a Trento, non dobbiamo guardare subito, come fa Pani, l'intervento della delegazione veneziana. Dobbiamo guardare per prima cosa il consenso solido come roccia dei padri e dei teologi in ogni precedente discussione sul matrimonio, dal 1547 fino all'agosto del 1563.

Quando il canone 6 (che divenne il canone 7) fu presentato ai padri il 20 luglio del 1563, dopo aver subito diverse riscritture fu formulato così:

"Se qualcuno dirà che a causa dell'adulterio di un coniuge il matrimonio può essere sciolto, e che è lecito per entrambi, o almeno per il coniuge innocente che non ha dato nessun motivo per l'adulterio, di risposarsi, e che non è un adultero colui che licenzia una adultera e ne sposa un'altra, né è un'adultera colei che licenzia un adultero e ne sposa un altro: sia anatema" (20).

Non vi è nulla di straordinario in questa formulazione, in quanto il suo contenuto è più o meno lo stesso del contenuto delle proposizioni precedentemente condannate (numeri 3-5), proposte al Concilio da Angelo Massarelli, il segretario generale, nell'aprile del 1547 (21). Questa formulazione condanna in forma diretta le proposizioni che il matrimonio può essere sciolto a causa di adulterio; che non è mai lecito per i coniugi adulteri di risposarsi; e che il coniuge che ripudia un coniuge adultero e si risposa non è colpevole di adulterio.

Fin dalle prime discussioni di Trento questo è stato il consenso dei padri conciliari. Per quanto riguarda le "auctoritates", i prelati hanno fatto riferimento a Nostro Signore e a san Paolo, ai Canoni Apostolici, a Girolamo, Ambrogio, Agostino, Crisostomo, Origene, Ilario, ai papi Innocenzo I, Leone I, Alessandro III e ai Concili di Milevi, Elvira, Costanza, Firenze e Lateranense IV, tra altri. Quando pensatori cattolici del XVI secolo come Erasmo e Catarinus hanno suggerito che la dottrina dell'assoluta indissolubilità debba essere annacquata, le loro proposte sono state condannate dalle facoltà di teologia delle università di Colonia, Lovanio e Parigi. La conclusione di Agostino che la clausola d’eccezione in Matteo va letta in conformità con gli insegnamenti più restrittivi che si trovano in Luca 16, Marco 10 e Romani 7, 1-3 era accettata da quasi tutti. "Separazione di letto, non di legame", era il motto del momento.

Pani menziona il significativo dubbio contro l’indissolubilità assoluta [del matrimonio] esposto dal vescovo di Segovia il 14 agosto del 1563, come fa ogni altro autore che segue questa interpretazione (22). Ma egli non menziona che dall'inizio delle discussioni sul matrimonio una maggioranza rilevante e coesa ha affermato, contro il punto di vista segoviano, il motto agostiniano "letto, non legame", senza eccezioni. Alcuni nomi dovrebbero essere sufficienti a dimostrare questo: il presidente del concilio e legato pontificio cardinale Cervinus; gli arcivescovi Materanus, Naxiensis, Aquensis, e Armacanus; i vescovi Aciensis, Sibinicensis, Chironensis, Sebastensis, Motulanus, Motonensis, Mylonensis, Feltrensis, Bononiensis, Sibinicensis, Chironensis, Aquensis, Bituntinus, Aquinas, Mylensis, Lavellinus, Mylensis, Caprulanus, Grossetanus, Upsalensis, Salutiarum, Caprulanus, Veronensis, Maioricensis, Camerinensis , Thermularum, Mirapicensis e Vigorniensis.

In una dichiarazione sommaria registrata negli Acta il 6 settembre del 1547, si legge: "Le risposte dei padri erano varie; ma la stragrande maggioranza erano d’accordo che l'adulterio non può sciogliere un matrimonio; che se uno sposa un'altra persona quando il suo coniuge è ancora in vita commette adulterio; e che per nessuna ragione possono essere separati, tranne che nel letto”. (23). Riguardo alle "auctoritates" che si oppongono a questo punto di vista, la maggioranza ha concordato "che la separazione deve essere intesa solo come separazione del letto, e non del vincolo secondo l'interpretazione dei dottori (e l'insegnamento di San Paolo in 1 Cor 7, 10ss e Romani 7, 2ss, di Marco 10, 11, di Luca 16, 18 e dello stesso Matteo 5, 32)" Infine, la maggioranza ha concordato “che la comprensione della Scrittura dovrebbe essere secondo l'insegnamento della Chiesa” (24).

Quando la bozza del canone 6 fu presentata il 20 luglio del 1563, più di duecento padri del Concilio (cardinali, arcivescovi, vescovi, abati e generali delle congregazioni) intervennero a commentarla. Tutti sapevano che la fine dei dibattiti sul matrimonio si avvicinava. Se ci fossero stati dubbi diffusi o insoddisfazione tra i padri circa la destinazione della formulazione, l'inclusione dell'anatema, o le sue implicazioni per le pratiche di divorzio dei Greci (25), ci si sarebbe aspettato un notevole numero di "non placet" al canone. Ma solo 17 esprimettero disapprovazione, soprattutto a causa delle "opinioni dei Greci". Più dell'85 per cento dei prelati votanti erano soddisfatti per la formulazione diretta dell'anatema che condannava le seconde nozze dopo l'adulterio, con una larga maggioranza che approvò esplicitamente il suo contenuto ("placet").

Tre settimane più tardi, l'11 agosto, arrivò la proposta di Venezia di una formulazione indiretta. Circa 136 prelati si esprimettero a favore della proposta. Come si spiega questo cambiamento? Forse perché i padri conciliari preferivano lasciare aperta la questione della legittimità delle pratiche greche di divorzio, come Pani e altri suggeriscono? Tale conclusione deve essere respinta. È verosimile che in meno di tre settimane la stragrande maggioranza dei prelati votanti abbiano abbandonato l’indissolubilità assoluta per consentire alcuni casi di divorzio e seconde nozze? Nella versione finale del canone 7 il Concilio adottò quattro altri importanti cambiamenti che contraddicono questa conclusione.

In primo luogo, aggiunse la frase "iuxta evangelicam et apostolicam doctrinam" per far capire che le successive proposizioni che condannano la negazione dell'indissolubilità nei casi di adulterio hanno la loro origine nella rivelazione divina.

In secondo luogo, sostituì il termine normativo "non dovrebbe... contrattare" ("non debere... contrahere") con il termine sostanziale "non può... contrattare" ("non posse... contrahere") rendendo chiaro che un nuovo matrimonio dopo il divorzio non è solo sbagliato, ma addirittura impossibile, sempre.

In terzo luogo, per garantire che il canone riguardava in modo trasparente l'indissolubilità del vincolo del matrimonio, adottò il termine "vinculum matrimonii" in sostituzione di "matrimonium".

Infine, introdusse per la prima volta una prefazione dottrinale ai canoni sul matrimonio. Ciò era chiaramente mirato ad istituire un quadro dottrinale all'interno del quale i canoni devono essere letti e interpretati. L’introduzione fonda la verità della indissolubilità sulla legge naturale (l'ordine creato), sull'ispirazione dello Spirito Santo nel Antico Testamento e sulla volontà e l'insegnamento di Gesù come espresso nel Nuovo Testamento. E afferma che sono condannati non solo gli "scismatici" ma anche "i loro errori" ("eorumque errores"), cioè le loro proposizioni erronee sulla natura del matrimonio, compresa la loro indiscutibile negazione della indissolubilità assoluta del matrimonio.

La spiegazione più plausibile per l'improvvisa svolta è che i padri conciliari restavano comunque convinti che il matrimonio non può essere sciolto a causa di un adulterio o di qualsiasi altra cosa, e che questo doveva essere insegnato come una verità di fede. Essi si erano trovati pronti a insegnare ciò nella forma di un anatema diretto che condannava la sua negazione. Ma l'intervento di Venezia li aveva mesi in guardia da una possibile conseguenza di questo atto, vale a dire il turbamento del delicato equilibrio dei rapporti tra i cristiani greci e la gerarchia romana nelle isole del Mediterraneo.

Erano certi che la proposizione che affermava l'indissolubilità assoluta del matrimonio era vera e apparteneva alla rivelazione divina, e avevano l’intenzione di insegnare entrambe le cose, ma di farlo in modo da ridurre al minimo le conseguenze indesiderabili. Non hanno fatto ricorso a una formulazione indiretta a motivo di dubbi circa l'interpretazione della "clausola d’eccezione", per la paura dello scandalo di "anatematizzare Ambrogio" o perché volessero lasciare i Greci liberi di seguire le loro antiche usanze di divorzio. L'appello di Venezia ha avuto successo per il motivo pastorale che una formulazione indiretta poneva una probabilità minore di turbare le relazioni greco-romane nei territori veneziani.

L'idea di Pani che nella pubblicazione del canone 7 i padri intendevano soltanto condannare Lutero e i riformatori ma lasciare fuori dalla critica le pratiche di divorzio dei Greci è in contrasto con il giudizio motivato sulla indissolubilità assoluta del matrimonio della stragrande maggioranza dei padri e dei teologi del Concilio dalla primavera del 1547 alla fine dell'estate del 1563. Come Ryan e Grisez affermano: "Anche se Trento non anatematizza [esplicitamente] la pratica della 'oikonomia', il canone 7 comporta che la sua applicazione alle 'seconde nozze' dopo il divorzio è contraria alla fede" (26).

La formula ironica di Pani, "damnatio memoriae", è davvero adatta. Ma non sono gli atti, i segretari, i cronisti o i commentatori del Concilio che impongono il silenzio sull'insegnamento di Trento. Si tratta piuttosto di coloro che, in nome della "misericordia evangelica", vogliono sostituìre una verità di fede con una "tollerante" fantasia.

__________


NOTE

(1) La tesi di dottorato di Fransen sul canone 7 ("De indissolubilitate Matrimonii christiani in casu fornicationis. De canone Septimo Sessionis XXIV Concilii Tridentini, luglio-novembre 1563") è stata presentata alla Gregoriana nel 1947. Nel 1950, Fransen pubblicò altri sei saggi influenti sulla rivista "Scholastik" sull'insegnamento di Trento sul matrimonio, che sono ristampati in una raccolta di saggi di Fransen intitolata "Ermeneutica dei Concili e altri studi", ed. H.E. Mertens e F. de Graeve, Leuven University Press, 1985. Egli ha riassunto le conclusioni di questi saggi in un saggio inglese molto letto dal titolo "Il divorzio a causa della Adulterio - Il Concilio di Trento (1563)", stampato in un numero speciale della rivista "Concilium", dal titolo "Il futuro del matrimonio come istituzione", ed. Franz Böckle, New York, Herder and Herder, 1970, 89-100.

(2) Kasper, "Theology of Christian Marriage", New York, Crossroad, 1977, note 87, p. 98, also p. 62.

(3) Charles Curran, "Faithful Dissent", Sheed & Ward, 1986, 269, 272.

(4) Michael Lawler, “Divorce and Remarriage in the Catholic Church: Ten Theses,” New Theology Review, vol. 12, no. 2 (1999), 56.

(5) Kenneth Himes and James Coriden, “The Indissolubility of Marriage: Reasons to Reconsider,” Theological Studies, vol. 65, no. 3 (2004), 463.

(6) Ibid.

(7) Theodore Mackin, "Divorce and Remarriage", New York, Paulist Press, 1984, 388.

(8) Victor J. Pospishil, "Divorce and Remarriage", New York, Herder and Herder, 1967, 66-68.

(9) Francis Sullivan, "Creative Fidelity: Weighing and Interpreting Documents of the Magisterium", New York, Paulist Press, 1996, 131-134.

(10) Karl Lehmann, "Gegenwart des Glaubens", Mainz, Matthias-Grünwald-Verlag, 1974, 285-286.

(11) Paolo Sarpi (1552 -1623), "Istoria del Concilio Tridentino", Londra, 1619; Traduzione in inglese: "History of the Council of Trent" (1676). La sua "Istoria", molto letta dai protestanti, è stata criticata come orientata contro la curia romana; vedi L.F. Bungener, "History of the Council of Trent", New York, Harper & Brothers, 1855, xix-xx.

(12) Jean de Launoy (1603-1678); vedi "De regia in matrimonium potestate" (1674), par. III, art. I, cap. 5, n. 78; in "Opera", Colonia/Ginevra, 1731, tom. 1, cap. I, p. 855.

(13) Bossuet scrisse di Sarpi: "Era un protestante sotto un abito religioso, che ha recitato la messa senza credere in essa, e che rimase in una Chiesa che egli considerava idolatra". Vedi Bertrand L. Conway, CSP, “Original Diaries of the Council of Trent,” The Catholic World, vol. 98 (Oct. 1913-March 1914), 467.

(14) Domenico Palmieri, "Tractatus de Matrimonio Cristiano", Typographia Polyglotta SC de Propaganda Fide, Roma, 1880, p. 142.

(15) G. Perrone, SJ., "De Matrimonio Christiano", vol. 3, Rome, 1861, bk. 3, ch. 4, a. 2, p. 379-380.

(16) A. Vacant, s.v., “Divorce", in ”Dictionnaire de théologie catholique", 1908, vol. XII, cols. 498-505.

(17) George Hayward Joyce, S.J., "Christian Marriage: An Historical and Doctrinal Study", London: Sheed and Ward, 1933, 395.

(18) In un saggio del 1972, "Zur Frage nach der Unauflöslichkeit der Ehe: Bemerkungen zum dogmengeschichtlichen Befund und zu seiner gegenwärtigen Bedeutung" (in Ehe und Ehescheidung: Diskussion Unter Christen, a cura di Franz Henrich e Volker Eid, München, Kösel, 1972, 47, 49), Ratzinger dice che egli segue Fransen sul canone 7. Nel 1986 egli dimostra però che ha cambiato idea: "La posizione della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio sacramentale e consumato... è stata infatti definita nel Concilio di Trento, e così appartiene al patrimonio della fede "(vedi citazione in Charles Curran, "Faithful Dissent", Sheed & Ward, 1986, p 269).

(19) Peter F. Ryan, S.J. and Germain Grisez, “Indissoluble Marriage: A Reply to Kenneth Himes and James Coriden", Theological Studies 72 (2011), 369-415.

(20) CT, IX, 640.

(21) See CT, VI, 98-99.

(22) CT, XI, 709.

(23) CT, VI, 434.

(24) CT, VI, 434-435.

(25) “Non placet, quia ferit Graecos and Ambrose” (Arcivescovo Cretensis), CT, IX, 644.

(26) Op. Cit., nota 180.

__________


Il testo integrale dell'importante articolo scritto nel 1994 sulla rivista dei domenicani inglesi "New Blackfriars" da Germain Grisez, John Finnis e William E. May contro le tesi dei vescovi tedeschi Walter Kasper, Karl Lehmann e Oskar Saier favorevoli ad ammettere alla comunione i divorziati risposati:

> Indissolubility, Divorce and Holy Communion

__________


Il testo letto in sinodo a conclusione della prima settimana di discussione in aula, con i tre esplosivi paragrafi (50-52) sull'omosessualità:

> Relatio post disceptationem

E i rapporti dei dieci circoli linguistici che l'hanno fatto a pezzi:

> Relazioni dei circoli minori

__________


Per un profilo più compiuto del segretario speciale del sinodo:

> Diario Vaticano / La conversione del vescovo-teologo Bruno Forte (10.9.2012)



http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/14/terzo-segreto-di-fatima-cardinale-saraiva-possono-ancora-sparare-a-un-papa/1119984/
__________

17.10.2014