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martedì 27 gennaio 2015

CHIESA ORTODOSSA E SECONDE NOZZE


Dal Web: www.chiesa - Gli ortodossi ammettono davvero le seconde nozze?  ...in realtà le cose non stanno affatto così.
Mito e realtà delle seconde nozze tra gli ortodossi
È opinione diffusa che le Chiese orientali ammettano un nuovo matrimonio dopo il divorzio e diano la comunione ai risposati. Ma non è così, spiega Nicola Bux. Solo il primo matrimonio è celebrato come un vero sacramento

di Sandro Magister


ROMA, 30 maggio 2014 – Sull'aereo di ritorno dalla Terra Santa, a papa Francesco è stato chiesto se "la Chiesa cattolica potrà imparare qualcosa dalle Chiese ortodosse" riguardo ai preti sposati e all'accettazione delle seconde nozze per i divorziati.

Sull'uno e sull'altro di questi punti il papa ha risposto in modo elusivo. Tutti però ricordano che cosa disse a proposito delle seconde nozze in una precedente intervista in aereo, nel viaggio di ritorno da Rio de Janeiro:

"Una parentesi: gli ortodossi seguono la teologia dell’economia, come la chiamano, e danno una seconda possibilità [di matrimonio], lo permettono. Credo che questo problema – chiudo la parentesi – si debba studiare nella cornice della pastorale matrimoniale".

A questa prassi delle Chiese d'oriente ha fatto riferimento anche il cardinale Walter Kasper nella sua relazione introduttiva al concistoro dello scorso febbraio, nella quale focalizzò la discussione in vista del sinodo sulla famiglia sulla questione della comunione ai divorziati risposati.

L'idea corrente è che nelle Chiese ortodosse si celebrino sacramentalmente le seconde e anche le terze nozze e si dia la comunione ai divorziati risposati.

Quando in realtà le cose non stanno affatto così. Tra la celebrazione delle prime e delle seconde nozze l'ortodossia ha sempre posto una differenza non solo cerimoniale ma di sostanza, come ben mostra l'intonazione fortemente penitenziale delle preghiere per le seconde nozze.

Basti vedere, in proposito, la ricognizione storica che Basilio Petrà – sacerdote cattolico di rito latino, ma di origine greca e studioso della materia, professore al Pontificio Istituto Orientale  – ha pubblicato due mesi fa:


Quella che segue è una chiarificazione di ciò che sono in realtà le seconde nozze nella teologia e nella prassi delle Chiese ortodosse.

L'autore, Nicola Bux, esperto di liturgia e docente alla facoltà teologica di Bari, è consultore delle congregazioni per il culto divino e per le cause dei santi e ha preso parte al sinodo del 2005 sull'eucaristia, del quale riferisce qui un interessante episodio.

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CHIESA ORTODOSSA E SECONDE NOZZE

di Mons. Nicola Bux



Recentemente, il cardinale Walter Kasper si è riferito alla prassi ortodossa delle seconde nozze per sostenere che anche i cattolici che fossero divorziati e risposati dovrebbero essere ammessi alla comunione.

Forse, però, non ha badato al fatto che gli ortodossi non fanno la comunione nel rito delle seconde nozze, in quanto nel rito bizantino del matrimonio non è prevista la comunione, ma solo lo scambio della coppa comune di vino, che non è quello consacrato.

Inoltre, tra i cattolici si suol dire che gli ortodossi permettono le seconde nozze, quindi tollerano il divorzio dal primo coniuge.

In verità non è proprio così, perché non si tratta dell'istituzione giuridica moderna. La Chiesa ortodossa è disposta a tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia stato sciolto da essa, non dallo Stato, in base al potere dato da Gesù alla Chiesa di “sciogliere e legare”, e concedendo una seconda opportunità in alcuni casi particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato, ma per estensione anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia divenuto una finzione). È prevista, per quanto scoraggiata, anche la possibilità di un terzo matrimonio. Inoltre, la possibilità di accedere alle seconde nozze, nei casi di scioglimento del matrimonio, viene concessa solo al coniuge innocente.

Le seconde e terze nozze, a differenza del primo matrimonio, sono celebrate tra gli ortodossi con un rito speciale, definito “di tipo penitenziale”. Poiché nel rito delle seconde nozze mancava in antico il momento dell'incoronazione degli sposi – che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del matrimonio –  le seconde nozze non sono un vero sacramento, ma, per usare la terminologia latina, un "sacramentale", che consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente accettata dalla comunità ecclesiale. Il rito delle seconde nozze si applica anche nel caso di sposi rimasti vedovi.

La non sacramentalità delle seconde nozze trova conferma nella  scomparsa della comunione eucaristica dai riti matrimoniali bizantini, sostituita dalla coppa intesa come simbolo della vita comune. Ciò appare come un tentativo di "desacramentalizzare" il matrimonio, forse per l'imbarazzo crescente che le seconde e terze nozze inducevano, a motivo della deroga al principio dell'indissolubilità del vincolo, che è direttamente proporzionale al sacramento dell'unità: l'eucaristia.

A tal proposito, il teologo ortodosso Alexander Schmemann ha scritto che proprio la coppa, elevata a simbolo della vita comune, “mostra la desacramentalizzazione del matrimonio ridotto ad una felicità naturale. In passato, questa era raggiunta con la comunione, la condivisione dell'eucaristia, sigillo ultimo del compimento del matrimonio in Cristo. Cristo deve essere la vera essenza della vita insieme”. Come rimarrebbe in piedi questa "essenza"?

Dunque, si tratta di un “qui pro quo” imputabile in ambito cattolico alla scarsa o nulla considerazione per la dottrina, per cui si è affermata l'opinione, meglio l'eresia, che la messa senza la comunione non sia valida. Tutta la preoccupazione della comunione per i divorziati risposati, che poco ha a che fare con la visione e la prassi orientale, è una conseguenza di ciò.

Una decina d'anni fa, collaborando alla preparazione del sinodo sull'eucaristia, a cui partecipai poi come esperto nel 2005, tale "opinione" fu avanzata dal cardinale Cláudio Hummes, membro del consiglio della segreteria del sinodo. Invitato dal cardinale Jan Peter Schotte, allora segretario generale, dovetti ricordare a Hummes che i catecumeni e i penitenti – tra i quali c'erano i dìgami –, nei diversi gradi penitenziali, partecipavano alla celebrazione della messa o a parti di essa, senza accostarsi alla comunione.

L'erronea "opinione" è oggi diffusa tra chierici e fedeli, per cui, come osservò Joseph Ratzinger: “Si deve nuovamente prendere molto più chiara coscienza del fatto che la celebrazione eucaristica non è priva di valore per chi non si comunica. [...] Siccome l'eucaristia non è un convito rituale, ma la preghiera comunitaria della Chiesa, in cui il Signore prega con noi e a noi si partecipa, essa rimane preziosa e grande, un vero dono, anche se non possiamo comunicarci. Se riacquistassimo una conoscenza migliore di questo fatto e rivedessimo così l'eucaristia stessa in modo più corretto,vari problemi pastorali, come per esempio quello della posizione dei divorziati risposati, perderebbero automaticamente molto del loro peso opprimente.”

Quanto descritto è un effetto della divaricazione ed anche dell'opposizione tra dogma e liturgia. L'apostolo Paolo ha chiesto l'auto-esame  di coloro che intendono comunicarsi, onde non mangiare e bere la propria condanna (1 Corinti 11, 29). Ciò significa: “Chi vuole il cristianesimo soltanto come lieto annuncio, in cui non deve esserci la minaccia del giudizio, lo falsifica”.

Ci si chiede come si sia giunti a questo punto. Da diversi autori, nella seconda metà del secolo scorso, si è sostenuta la teoria – ricorda Ratzinger – che “fa derivare l'eucaristia più o meno esclusivamente dai pasti che Gesù consumava con i peccatori. […] Ma da ciò segue poi un'idea dell'eucaristia che non ha nulla in comune con la consuetudine della Chiesa primitiva”. Sebbene Paolo protegga con l'anatema la comunione  dall'abuso (1 Corinti 16, 22), la teoria suddetta propone “come essenza dell'eucaristia che essa venga offerta a tutti senza alcuna distinzione e condizione preliminare, […] anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti”.

No, scrive ancora Ratzinger: sin dalle origini l'eucaristia non è stata compresa come un pasto con i peccatori, ma con i riconciliati: “Esistevano anche per l'eucaristia fin dall'inizio condizioni di accesso ben definite [...] e in questo modo ha costruito la Chiesa”.

L'eucaristia, pertanto, resta “il banchetto dei riconciliati”, cosa che viene ricordata dalla liturgia bizantina, al momento della comunione, con l'invito "Sancta sanctis", le cose sante ai santi.   

Ma nonostante ciò la teoria dell'invalidità della messa senza la comunione continua ad influenzare la liturgia odierna.

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Questo testo di Nicola Bux è tratto dalla postfazione che egli ha scritto per l'ultima opera di Antonio Livi, teologo e filosofo della Pontificia Università Lateranense, di prossima uscita, dedicata agli scritti e discorsi del cardinale Giuseppe Siri (1906-1989):

mercoledì 23 maggio 2012

S. Messa in Rito Romano Antico celebrata da Mons. Nicola BUX

“Non c’è salvezza dell’economia
Senza economia
della Salvezza”



Economia della Salvezza /2

"OLTRE I SOLDI. Così in 15 minuti Benedetto XVI ha riassunto alcuni dei passi centrali del suo pontificato"
Ovvero: Articolo sul Foglio di martedì 7 ottobre 2008, in cui si espone un'anonima riflessione intorno alla Meditazione spirituale che il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto in apertura dei lavori della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dopo la lectio brevis durante la preghiera dell’Ora Terza, lunedì 6 ottobre 2008 :
E' vero. il Papa ha parlato del "crollo delle grandi banche", ha detto: "Questi soldi scompaiono, sono niente", ha ricordato che "chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia".



Fin qui però non ci sarebbe nulla di eccezionale. Chi frequenta le chiese è abituato a sentire prediche sulla vacuità delle ricchezze. Di solito funziona così: "Viviamo nella società dell'apparenza, siamo schiavi del successo", quindi "etica, morale" e un larvato invito a vivere un po' in disparte, come dire che è bene per l'uomo sottrarsi alla realtà.
Davanti ai vescovi radunati in Vaticano per il Sinodo, il Papa non ha seguito questa logica.

Ha parlato di "successo, carriera e soldi" per dire cosa?
Che "la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà".

Commentando il Salmo 118 con il suo modo semplice e piano parlando a braccio, stupendo un po' tutti, Benedetto XVI ha disegnato un discorso di quindici minuti in cui sono riecheggiate Ratisbona, le sue encicliche, il discorso al Colleges des Bernardins, il libro su Gesù.
Chiudono le banche, si sgretolano le certezze più solide e lui ammonisce: "Dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio... chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza".
E' l'opposto di un invito a fuggire la realtà. E' l'invito a capovolgere l'assioma cardine dell'Illuminismo e tornare a vivere veluti si Deus daretur. Perché "tutta la creazione è pensata per creare il luogo dell'incontro tra Dio e la sua creatura". E' la storia di questo rapporto che muove il mondo -dice il Papa- e in questo lega in un istante la storia del popolo ebraico e il cristianesimo: "Nel periodo ellenistico, il giudaismo ha sviluppato l'idea che la Torah avrebbe preceduto la creazione del mondo materiale. Questo mondo materiale sarebbe stato creato solo per dare luogo alla Torah, a questa Parola di Dio che crea la risposta e diventa storia d'amore".
Ma nel suo discorso Benedetto XVI è andato oltre. Ha affermato che è la ricerca di Dio a dare sicurezza alla vita dell'uomo.

Accennando a un tema che ha anche causato aspri dibattiti nella Chiesa, ha ricordato ai vescovi che "noi siamo sempre alla ricerca della Parola di Dio" e che per questo la lettura della Scrittura non è il semplice studio di un testo letterario, ma "È il movimento della mia esistenza. È muoversi verso la Parola di Dio".
Sono ritornate così alla mente le parole del suo Gesù di Nazaret dove dove scriveva che "oggi la Bibbia viene assoggettata da molti al criterio alla cosiddetta visione moderna del mondo, il cui dogma fondamentale è che Dio non può affatto agire nella storia... Allora la Bibbia non parla più di Dio, del Dio Vivente, ma parliamo solo noi stessi e decidiamo che cosa Dio può fare e che cosa dobbiamo o vogliamo fare noi".
Il Papa ha ricordato che l'uomo non può affidare le sue speranze a sistemi perfetti, ma solo all'amicizia di Dio. In questo sta il valore della Chiesa, fissato ben oltre i dibattiti che l'hanno afflitta dopo il Concilio Vaticano II. "Entrando nella comunione con la Parola di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che vive la Parola di Dio. Non entriamo in un piccolo gruppo, nella regola di un piccolo gruppo, ma usciamo dai nostri limiti".




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Che cosa fa bene, che cosa cambia in meglio un uomo?
Secondo me, come mi ha insegnato mia madre, confessarsi spesso. La confessione cambia e guarisce. E l’Eucaristia cambia ontologicamente una persona: il corpo di Cristo in noi ci cambia.
Nella quotidianità, nel fare magari apparentemente banale di tutti i giorni, che cosa fa bene?
L’aderire alla realtà. Mai sfuggirla, mai rifugiarsi nei propri pensieri, chiudersi nella propria stanza, isolarsi. Stare di fronte alla realtà che ci è data, affrontarla. Osservare molto. (…). Stare tenacemente nella realtà, che è la circostanza in cui Cristo ci si presenta in quel momento. (…) [cioè ...  ubbidire e pregare sempre]


DEUS MEUS ET OMNIA